Il torto e la ragione

Della diatriba sui conti pubblici italiani e del conseguente continuo tormentone nei rapporti con l’Unione Europea voglio cogliere l’essenza, ponendomi un quesito: ha ragione la Ue a tormentarci sul debito e sul deficit richiamandoci rigorosamente agli impegni assunti o ha ragione l’Italia a chiedere maggiore flessibilità al fine di crescere e così migliorare i propri conti.

Per rispondere a questa domanda vado a prestito da un episodio accadutomi durante la mia lunga esperienza professionale. Era stato fatto un pignoramento a carico di un artigiano-collaboratore di una cooperativa: era pieno di debiti e faticava a pagarli al punto che un creditore parti in quarta intendendo sequestrargli il compenso che percepiva. La cooperativa da me assistita si recò all’udienza davanti al pretore per sapere come si sarebbe dovuta comportare, esprimendo nell’occasione seria preoccupazione per il rapporto che rischiava di essere compromesso. Il giudice, dopo avere attentamente ascoltato le parti, si rivolse al legale che difendeva gli interessi dei creditori insoddisfatti e gli disse con molta franchezza: «Se questo artigiano, sequestrandogli tutto il compenso, non lo fate mangiare e non gli consentite di continuare la sua attività, sarà ben difficile che possa pagare i debiti. Quindi riformulatemi le vostre richieste nei limiti di una ragionevole parte degli emolumenti».

Che il debito pubblico italiano sia enorme è cosa indiscutibile. Gli esperti sostengono, guardando il grafico del suo andamento nel tempo, che sia esploso durante gli anni del consociativismo: i partiti chiedevano e i governi concedevano con eccessiva facilità. Penso non sia giusto giudicare così sbrigativamente quel periodo storico che consentì comunque alla società italiana di contrastare il terrorismo e di fare notevoli passi avanti. Tuttavia occorre riflettere sul dato dell’esplosione del debito pubblico anche e soprattutto per verificare se questo indebitamento sia servito a migliorare le condizioni di vita dei cittadini o se sia andato sprecato nel calderone di una spesa pubblica senza controllo. Ma non è questo il discorso attuale. Il debito quindi c’è, ma per pagarlo, o almeno riportarlo a livelli accettabili rispetto alla ricchezza prodotta nel Paese (il Pil), bisogna che l’Italia sia messa in grado di crescere nella sua economia altrimenti…

Né più né meno il discorso di buon senso del pretore di cui sopra. Anche lui, codice alla mano, avrebbe potuto consentire il pignoramento totale (tra l’altro il pignorato non era un lavoratore dipendente, ma un artigiano imprenditore), ma superò col ragionamento la regola. I parametri europei quindi non andrebbero applicati ragionieristicamente, ma politicamente calati in un contesto problematico ed in continua evoluzione (immigrazione, terremoti, contingenze varie).

Oltretutto sarebbe opportuno che chi fa la faccia feroce con gli Stati in difficoltà si ricordasse di rappresentare uno Stato che si è trovato in passato in gravissime difficoltà ed è stato aiutato: mi riferisco alla Germania nel secondo dopo-guerra e all’atto della riunificazione tra est e ovest. Se gli Stati Uniti e i Paesi vittoriosi della guerra si fossero comportati con la severità che oggi la Germania adotta verso i suoi attuali partner, probabilmente dopo oltre settant’anni i tedeschi starebbero ancora pagando i danni e i debiti relativi e forse della riunificazione non se ne sarebbe fatto nulla. Ma la memoria fa difetto, è corta…Come si ricorderà anche il Vangelo contiene una parabola al riguardo: quel tale che, dopo aver ottenuto con suppliche il condono dei suoi enormi debiti, incontra un suo piccolo debitore e lo vuol strozzare se non pagherà immediatamente.

Ciò non toglie che l’Italia debba mettere ordine nei propri conti con una gestione oculata a livello di entrate e di uscite. E qui viene il bello. Meno tasse o più tasse. Meno spese e più investimenti. Meno sprechi e più produttività. Sacrifici ed equità. Lacrime e sangue.

Il commento lo lascio fare a mio padre. Non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Anche oggi, riflettendo ad alta voce di fronte alle difficoltà economiche dello Stato italiano direbbe: «Se tutti i paghison e i fisson col c’lè giust, as podriss där d’al polastor ai gat…».

 

Dilettanti allo sbaraglio

Non ho mai avuto una considerazione ragguardevole per il dilettantismo, in nessun campo: sono un incallito perfezionista e da me stesso, prima che dagli altri, ho sempre preteso preparazione e professionalità. Atteggiamento che costa insoddisfazione al limite della frustrazione, ma che comporta anche una spinta a migliorarsi con studio, dedizione ed impegno.Delle caratteristiche negative del nuovo presidente americano Donald Trump (sono tante e pericolosissime), quella che più mi infastidisce e mi preoccupa è proprio il dilettantismo dell’approccio e il pressappochismo delle scelte. In meno di due mesi è già dovuto ripetutamente tornare sulle nomine a livello governativo e a livello del suo staff: nomine di primaria importanza, non certo l’ultimo usciere della Casa Bianca; dimissioni e sostituzioni, rassegnate ed effettuate per motivi gravi o gravissimi, non certo per malattia o motivi personali.Il precariato però non è limitato alla dirigenza, ma si estende anche alle linee di fondo della presidenza: da un giorno all’altro cambiano gli umori, i proclami si rincorrono, i voltafaccia non si contano, su argomenti di fondamentale importanza per gli USA e per il mondo intero. Sì, perché continuo a sentire troppe persone che sussurrano: «Gli americani l’hanno voluto, adesso se lo tengano e si arrangino». No, purtroppo ci arrangiamo tutti, perché, oggi più che mai, le decisioni di questo livello e tenore si ripercuotono sull’intero pianeta, sugli equilibri internazionali, sulle politiche di tutti i settori e di tutte le nazioni. Non illudiamoci sull’impostazione isolazionista e protezionista che, a stretto rigore, dovrebbe liberarci dalla morsa statunitense: sarà ancor peggio perché al danno si aggiungerà la beffa.Quando lo si vede in televisione si ha la sensazione di uno capitato lì per caso, che gioca a fare il presidente, che non si rende conto di quel che sta facendo, che spara cazzate a raffica, che dice tutto e il contrario di tutto. Con Trump la politica non è populistica, ma analfabetica. È la risposta altolocata, gratificante ed alienante alla presuntuosa e crassa ignoranza della gente.Ho sempre preferito avere a che fare con un soggetto cattivo ma intelligente e colto piuttosto che con un soggetto buono ma ignorante e stupido: col primo si riesce comunque a trovare un modus vivendi, con il secondo è una tragedia (Trump oltretutto faccio fatica a considerarlo un buono, ma il concetto penso sia comunque chiaro).In questi giorni mi è venuto spontaneo fare un azzardato e paradossale parallelo con la sindacatura di Virginia Raggi: stesso discorso. Ne ha combinate e ne sta combinando tali e tante da rimanere sbalorditi. Senza entrare nel merito, si resta basiti di fronte alle giravolte di persone e idee che si svolgono intorno a questa assurda pavoncella. Qualcuno dice che sia in balia dei poteri forti, ma, secondo me, più che in balia dell’establishment credo sia vittima di se stessa e della sua totale incapacità.I Romani l’hanno voluta e adesso se la tengano e si arrangino. No, siamo alle solite. Ce la teniamo tutti, perché non è l’amministratrice della bocciofila, ma la sindaca della capitale d’Italia. Qualcun altro, giocando al tanto peggio tanto meglio, si consola sperando che sia l’inizio del prematuro tramonto del grillismo (dell’uomo qualunque riveduto e (s)corretto). Ho i miei dubbi, perché può finire come a scuola, quando un allievo studioso viene interrogato assieme ad uno o più compagni impreparati: non fa bella figura, ma viene coinvolto in una sputtanata generale e soffre anche lui del nervosismo dell’insegnante, anche perché costretto ad un superlavoro in conseguenza delle domande irrisolte che gli si girano tutte addosso.I balordi creano solo disastri per tutti. Molti li assolvono o li giustificano guardando ai guasti creati prima di loro: ammesso e non concesso che sia così, anche questa finisce con l’essere un ben magra consolazione.Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lù cme lù o ag la mandè la federassion (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?)». Si beccò due anni di squalifica.Dopo esserci chiesti chi ci abbia mandato questi assurdi personaggi, avremo come risposta una squalifica: ce la beccheremo tutti e temo per ben oltre due anni.

Forti coi deboli e…

Ammetto di essere molto più preoccupato, oserei dire sconvolto, dalla morte del giovane di Lavagna, suicidatosi per la vergogna di essere stato beccato in possesso di una piccola quantità di droga ultraleggera, che non dalle contorsioni politico-identitarie di Pierluigi Bersani ed ancor meno da quelle di Massimo D’Alema alla sola ricerca di un improbabile ritorno in pista.L’improvviso gesto estremo di questo ragazzo ci interpella su diversi piani: della cultura, della politica, dell’ordine pubblico.Ci sarebbe materia per un trattato interdisciplinare, ma mi limito a tre brevi riflessioni.La prima: la mentalità borghese con il suo perbenismo, radicato e annidato anche nelle famiglie, vince sempre. Si ritiene infamante avere un figlio in odore di droga, si teme di essere rifiutati dalla società al punto da togliersi la vita. Riflettano coloro che culturalmente si riempiono la bocca del concetto di rispetto della vita e capiscano che la vita non si difende rispettando asetticamente i principi, ma sostanzialmente le persone. Se non partiamo dalla persona creiamo inevitabilmente dei capri espiatori.La seconda: le forze dell’ordine devono smetterla di massacrare moralmente e materialmente gli anelli deboli delle catene criminose e mafiose. È inaccettabile, comodo e stupido combattere la piaga della droga partendo dalle vittime e non dai carnefici, trincerandosi dietro l’alibi delle procedure di legge. Nel caso in questione la Guardia di Finanza sarebbe intervenuta su sollecitazione dei genitori, disperati perché non riuscivano ad affrontare la situazione del figlio, finito in un giro assai pericoloso e da cui è difficile uscire. Probabilmente i genitori (il mestiere più difficile che esista) si sono fatti prendere dal panico; probabilmente i finanzieri, che avevano già sentore che davanti a quella scuola (presidi e insegnanti, altri mestieri improbi) girasse la droga, sono entrati in azione con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalleria; si è creato un corto circuito in cui ci ha lasciato le penne un giovane che si faceva delle canne. Mi chiedo tante cose. I genitori prima di arrivare a denunciare il proprio figlio (extrema ratio) non potevano chiedere aiuto a qualche altra istituzione o figura competente? Non mi sembra che questo loro figlio fosse talmente assuefatto alla droga da essere in pericolo di vita o da richiedere interventi così drastici. La scuola, che, come pare, sapeva di questi traffici, non poteva fare qualcosa di più che passare parola alla polizia? Non c’era qualche ulteriore tentativo educativo da operare con molta pazienza e discrezione? Il terreno è minato, ma proprio perché minato deve essere sondato con cautela e attenzione. E vengo alle forze dell’ordine. Era proprio necessario entrare a gamba tesa senza prima informarsi meglio e dialogare con famiglia e insegnanti? Si sono (in buona fede non lo discuto) improvvisati nel ruolo di salvatori della patria, senza averne sensibilità, competenza, esperienza e preparazione? Che bisogno c’era di effettuare con tanta solerzia e immediatezza una perquisizione domiciliare, che avrebbe comunque portato ad un risultato scontato e risibile? Cosa pensavano di trovare il magazzino centrale della droga immessa nel mercato italiano? Speravano che questo ragazzo li potesse condurre a chissà quali ulteriori sviluppi nella battaglia contro il narcotraffico? Anche per loro non dovrebbe valere il buon senso? Non si poteva, trattandosi di un minore, usare più prudenza, rinviando ulteriori eventuali provvedimenti ad un momento successivo, magari dopo aver sentito un parere del magistrato competente o di un esperto in materia o addirittura di entrambi? Cosa sarebbe successo di grave se l’intervento fosse proseguito con un dialogo in separata sede con i genitori del ragazzo, impiegando gli psicologi, ammesso e non concesso che servano a qualcosa, prima di certi interventi e non dopo i suicidi. Non sarebbe stato opportuno fare degli appostamenti in modo da capire se effettivamente ci fosse sotto un traffico e per risalire ai responsabili di alto livello? Si dirà: senno di poi, intellettualismo da parte di chi è fuori della mischia. Può darsi, ma proseguo. Perché non viene riservato il pugno duro ai veri narcotrafficanti ed a quanti tengono i fili di questo mercato internazionale e nazionale. La risposta alle precedenti domande è complessa e delicata, quella a quest’ultima, a mio giudizio è semplice. Se si toccano nel vivo i vertici di questa criminalità si rischia grosso da tutti i punti di vista, perché questi soggetti, secondo me perfettamente conosciuti dalle polizie di mezzo mondo, non scherzano e impiegano un minuto secondo a far fuori chiunque osi disturbarli. Un motivo in più per concentrare le energie e il coraggio in tale direzione. D’altra parte il comportamento altalenante delle forze dell’ordine evidenzia altre contraddizioni in altri comparti: ad esempio, molta tolleranza verso la violenza da stadio e molto implacabile interventismo sulla violenza nei conflitti sociali; molto accanimento sui tossicodipendenti ed assai meno attenzione al bullismo dilagante. Ho la netta impressione che il “manganello” abbia le sue “preferenze”.La terza riflessione: la politica faccia il suo mestiere, vale a dire leggi e provvedimenti che cerchino di affrontare un problema enorme, non con dogmatismo ma con pragmatismo, non sbandierando princìpi ma affrontando la realtà. È ora di legalizzare l’uso terapeutico di alcune sostanze stupefacenti e di depenalizzare e liberalizzare il ricorso alle cosiddette droghe leggere. Sempre meglio la concretezza del male minore piuttosto della virtualità del bene maggiore.In conclusione credo che il suicidio di questo fragile ragazzino rappresenti una sconfitta per lo Stato, per tutti i suoi servitori, per tutti gli educatori e per l’intera società molto più dell’evasione dal carcere di un ergastolano pluriomicida. Si dirà: non si poteva fare diversamente, bisognava intervenire, la legge doveva fare il suo corso. La madre del ragazzo suicida durante il funerale ha detto nobili, commoventi e stimolanti parole. So di dirla grossa, ma, con tutto il rispetto possibile e immaginabile per le persone coinvolte, mi chiedo: non sarà che il suicidio di questo ragazzino trasgressivo, invece che mettere a soqquadro la coscienza di tutti, finirà col tranquillizzarla? Facciamo una straziante lamentazione, “ ‘na béla cridäda” sui giovani d’oggi, sulle loro debolezze, sulle loro smanie di autonomia, una convincente pontificata sulla lotta alla droga senza eccezione e senza deroga alcuna e poi…tutti innocenti, tutti assolti, tutti come prima.Forse sarebbe il caso di andare tutti a farci benedire! Possibilmente da un prete che assomigli al mio amico Luciano Scaccaglia.

La scaramuccia continua

La difficile e convulsa fase che sta vivendo il Partito democratico rispecchia indubbiamente la complessità della situazione politica italiana, europea e mondiale: alla mancanza dei punti di riferimento ideologici si aggiunge infatti la stizzosa liquidità dei rapporti a livello continentale e l’inquietante incognita degli equilibri internazionali.Tutto sembra messo in discussione dalla “sconvolgente” attualità dei fenomeni migratori e dall’impellente necessità di ripensare gli assetti economici coniugandoli con l’equità tra Stati, tra strati sociali, tra generazioni, tra consumi e investimenti, tra sviluppo e protezione ambientale, tra crescita e rigore, tra innovazione e conservazione, tra produzione e ridistribuzione.Da una parte abbiamo quindi l’oggettiva provocazione proveniente dall’enormità dei problemi, dall’altra la soggettiva reazione delle persone caratterizzata dalla paura e dall’angoscia per il nuovo che si impone disordinatamente: in mezzo la politica, alla ricerca di facili risposte a problemi difficili, scombussolata nei suoi schemi tradizionali, tentata dalle spinte populiste dell’antipolitica e da quelle revansciste del nazionalismo.Un partito, che voglia elaborare una strategia di fronte a tanta problematica materia, è destinato ad andare in crisi, a mettersi in discussione e quindi non mi scandalizzano affatto le discussioni animate all’interno del PD; mi stupirei del contrario.Di questo confronto aspro mi sorprendono e mi danno fastidio due elementi: l’estrema povertà dei contenuti da parte di chi critica a cui fa da ovvio controcanto una certa supponenza difensiva di chi è criticato.Nella mia vita ho fatto l’esperienza politica della Democrazia Cristiana di cui il PD rischia di avere tutti i difetti e ben pochi pregi. Anche in questo partito del passato, che, volenti o nolenti, ha fatto un pezzo di storia italiana, esistevano contrapposizioni al limite della rottura, divisioni politiche al limite della lacerazione, diversi richiami ideali al limite del conflitto; anche nella DC era forte la tentazione del potere e la spinta a farne il “perverso” cemento unificante; anche nella DC si vivevano contingenze che sembravano preludere a spaccature verticali insanabili; anche nella DC esistevano i personalismi e le conseguenti tentazioni di schiacciare in tal senso il correntismo interno.Poi però, quando tutto sembrava precipitare nel gorgo della “divisione”, il carisma dei leader, la forza dell’ispirazione di fondo, il senso di responsabilità, la capacità di mediazione, la visione strategica, la vocazione popolare riuscivano a fare sintesi e a tradurre lo scontro in alcune scelte di fondo unificanti e qualificanti.Nel partito democratico mancano queste capacità: prevale il tatticismo fine a se stesso. Chi critica non ha proposte sostanziali da mettere in campo e si rifugia dietro generiche e contraddittorie contestazioni di metodo, non ha visioni alternative e lascia trasparire solo l’intento di abbattere Renzi e il cosiddetto “renzismo”, per poi fare cosa non è dato capire.Certo l’impazienza renziana a volte non aiuta, certo la leaderizzazione troppo accentuata non agevola, la spasmodica ricerca del consenso può essere fuorviante, ma non sono elementi tali da giustificare questa insopportabile “scaramuccia continua”.I casi sono due: o questa contrapposizione così forte è suffragata da motivazioni profonde e sostanziali e allora non può che sfociare in una scissione, e sarebbe meglio farla senza trascinarsi in una inutile e sterile diatriba di copertura; oppure il conflitto è solo una questione riconducibile a scelte tattiche e allora deve rientrare nei limiti di un corretto dibattito senza ultimatum e ricatti.Propendo per la seconda ipotesi, anche se l’insistenza ad accentuare i toni della polemica rischia di scivolare sulla prima: la scissione fatta sul nulla, solo per dispetto verso Renzi. Quando sento esponenti della sinistra dem, o meglio dell’antirenzismo dem, liquidare gli ultimi tre anni di governo come una sorta di pedissequa ripetizione del berlusconismo, mi chiedo perché siano ancora nel partito. Quando si esprimono certe idee bisogna avere il coraggio e la lealtà di andarci fino in fondo, altrimenti è meglio tacere.Spero solo che la politica italiana non si riduca ad un barometro sul PD: si dividono? Stanno insieme? Fanno il congresso? Non lo fanno? Puntano alle elezioni? Fanno le primarie?Se questo deve essere il prezzo pagato all’ integrità di questo partito, ben venga una scissione. Vorrà dire che la cosiddetta sinistra estrema avrà un ulteriore segmento disgiuntivo, confermando la sua vocazione all’inutilità. Uno più, uno meno…

Raggi di luce grillina

In questi giorni ho ascoltato autorevoli (?) esponenti pentastellati accusare il PD di essere condizionato dalle sue divisioni interne. Mi sono detto: altro che divisioni dentro al M5S…non ci si capisce più niente! Mi riferisco, non solo ma soprattutto, al putiferio romano che continua e, francamente, comincia a stancare, non per colpa dei giornalisti che fanno (male) il loro mestiere, ma per le contraddizioni della giunta capitolina che rispecchiano perfettamente la confusione regnante nell’intero movimento di Grillo. Da tempo il leader ha perso il controllo della situazione e si vede. Poi sento le scandalizzate reazioni grilline all’infelice, ma veniale, titolo su “Libero” nei confronti di Virginia Raggi. A proposito di sessismo, la “patata bollente” di Vittorio Feltri non è niente in confronto al comportamento, risalente a circa tre anni fa, del parlamentare grillino Massimo Felice De Rosa verso le sue colleghe piddine in commissione Giustizia, di cui elogiò non tanto l’abilità oratoria, ma quella orale, dicendo loro: «Siete qui perché siete brave solo a fare i pompini». Niente in confronto agli insulti di Beppe Grillo verso la presidente della Camera Laura Boldrini: «Che fareste in auto con Boldrini?».Al di là del sessismo comunque esecrabile di Feltri il fatto curioso è che a Roma, a margine della prevista costruzione del nuovo stadio con una colossale speculazione edilizia dietro l’angolo, ci sta lasciando le penne l’assessore all’urbanistica Paolo Berdini, in bilico, non tanto per aver detto “la verità” su Virginia Raggi (quella politica intendo, il resto non mi interessa, sono “polizze sue”), ma per aver osato impattare la sfida dei costruttori, a suon di abbattimento di cubatura, davanti alla quale la Raggi e il suo movimento tentennano, perché le Olimpiadi si possono toccare, ma il tifo calcistico romano, ma soprattutto quello dei palazzinari, no. Allora anche il M5S ha imparato l’arte dell’amministrazione possibile? Mi sembra che abbia soprattutto imparato l’arte del compromesso con i tanto (giustamente) odiati poteri forti.Virginia Raggi oltre che dibattersi fra nomine, revoche, dimissioni, inchieste sui suoi assessori e collaboratori, cosa sta facendo? Ha richiamato all’ordine l’assessore Berdini affinché lavori invece di dare giudizi e fare polemiche: ma lei sta lavorando o sta giocando a fare il sindaco, come i bambini giocano a fare il piccolo chimico.Il grillino, Luigi Di Maio, che si è montato la testa e gioca anche lui a fare il leader del movimento, si lamenta perché i media sarebbero implacabilmente attenti e critici verso l’amministrazione Raggi. Pensavano di poter avere un rapporto idilliaco col sistema, loro che si candidano a rivoltarlo come un calzino, di avere baci e abbracci dopo aver seminato all’interno e all’esterno del movimento un vero e proprio odio contro il cosiddetto establishment? Ritenevano che tutto il loro fare politica potesse ricondursi a questo postulato dell’antisistema, per cui tutto va bene purché vada contro l’establishment, anche Trump in quanto ha picconato quello clintoniano, Putin dal momento che rompe le balle un po’ a tutti nel mondo, Farage perché vuole abbattere l’Europa? Della serie i nemici dei miei nemici sono miei amici. Il che non è molto distante dal “molti nemici, molto onore” di mussoliniana memoria.Altra lamentazione: le bufale sarebbero il grimaldello per far saltare il M5S. Ma se la politica grillina è una bufala continua? Ma se i blog pentastellati sono un caleidoscopio di contraddittorie bordate, sparate a vanvera contro tutto e tutti?Passi un movimento politico di cui è padrone, in tutti i sensi, un comico in vena di fare politica; passi che l’antipolitica possa essere un modo di fare politica; passi che gli esponenti di questo movimento siano impreparati, inesperti, incapaci come stanno ampiamente dimostrando; passi che il sistema debba guadarsi dalle proprie travi più che dalle pagliuzze dei grillini; passi che i disastri di Roma non siano stati opera dei pentastellati; passi che finora il grillismo abbia cercato di dare voce istituzionale alla rabbia popolare; passi che l’Europa debba darsi una bella regolata; passi tutto quel che volete. Ma arriverà pure il giorno in cui chi piccona, distrugge, abbatte, sarà chiamato a spiegare cosa propone in cambio, cosa è capace di costruire sulle macerie che continua a sbadilare.Bisogna che i grillini si rassegnino a questo esame-finestra. Grillo lo sa da tempo e cerca disperatamente di allontanare questo momento nel tempo, di giocare sempre di sponda, proprio come fanno i comici in teatro con qualcuno che gli deve fare da spalla. Mi sembra che anche per lui il tempo stia arrivando. A meno che non si illuda di entrare nel circo massimo succhiando le ruote di Trump e Putin. A volte basterebbe avere un po’ di senso della misura.

Un caffè a Sanremo e a Bologna

Da una parte l’apoteosi del Festival di Sanremo dall’altra la rivolta studentesca bolognese. Rivendico totale estraneità rispetto alla kermesse sanremese, non faccio parte dei dodici milioni di italiani che, poco o tanto, l’hanno seguito. Non per questo mi sento solo ed emarginato, anzi. Mi dà molto fastidio però l’autoreferenzialità della Rai che fino a prova contraria non appartiene solo a quei dodici milioni di telespettatori, ma a tutti i cittadini che pagano il canone.Rai news 24 ha trasmesso in diretta la conferenza stampa finale tenuta dai responsabili e conduttori di questa manifestazione (a proposito, che differenza di classe fra l’insopportabile Carlo Conti e l’inossidabile Pippo Baudo!): uno spazio eccessivo se paragonato a quello riservato col contagocce alle conferenze stampa del Presidente del Consiglio o di importanti esponenti politici (non c’è mai tempo, bisogna andare in pubblicità, c’è il rischio di scontentare qualcuno, etc. ). Mi sono ricordato di quanto mi disse al teatro Regio un mio carissimo amico impegnato in politica durante una serata inaugurale negli anni settanta, caratterizzata da proteste sociali fuori dal teatro: c’era un enorme schieramento di polizia a difesa del pubblico elegantissimo che entrava e verso il quale volavano uova marce, ortaggi vari, escrementi e rifiuti solidi e liquidi. Mi prese da parte e mi confidò: «Tanta polizia mobilitata in difesa e a protezione di “quattro cagone” che vengono qui a sfoggiare le loro toilette, mentre ai politici vogliono negare la scorta…sarà giusto?». Era infatti un periodo in cui andava di moda contestare l’impegno di uomini e mezzi a copertura degli esponenti di governo nel mirino della contestazione violenta.Tanto spazio, tanta considerazione, tanta reverenza ai cagoni esibitisi sul palcoscenico di Sanremo e tanto scetticismo verso la politica.Mio padre, che era un dissacratore nato, prevedeva, ai suoi tempi, che il popolino avrebbe facilmente osannato un divo dello spettacolo e probabilmente snobbato, se non pernacchiato, uno scienziato: il classico evento capace di distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali, creando lo spazio per far passare sotto silenzio anche le più brutte situazioni. Diceva testualmente: «Se a Pärma a ven Sofia Loren, i fan i pugn pr’andärla a veddor; se ven Alexander Fleming ig scorezon adrè’…».Poi leggo in questi giorni di un revival della contestazione studentesca in quel di Bologna: disordini, manganellate, casini vari. Cerco di capire la motivazione: tutto contro i tondelli installati per i controlli all’ingresso alla biblioteca universitaria. Tutto lì? Sembrerebbe di sì. Se è così non mi ritrovo, nel modo più assoluto, nemmeno dalla parte di quegli scalmanati che giocano a fare i rivoluzionari. Non scomodiamo, per cortesia, il sessantotto, il settantasette: rischiamo di dare i numeri del lotto. Altra storia, altro clima, altri movimenti. E allora io alla fine dove mi colloco? Nella elite snobistica dei “né con Sanremo né con le proteste giovanili”? Nel salotto buono di mezzo? Nella vedovanza politica? Nel ricovero dei vecchi barbogi? Tra i nostalgici dell’ “andava meglio quando andava peggio”?Una mia carissima amica, quando parla di me dice: «Ennio? Scrive, scrive…». Lascia intendere che forse mi rifugio troppo in me stesso.Il grande Ermanno Olmi sostiene paradossalmente che vale più un caffè con gli amici della lettura di centinaia di libri. Sarà il caso che io legga e scriva un po’ meno e che stia più in compagnia con gli altri. Se non per condividere, almeno per capire e non solo per criticare.

Malati di sinistrismo cronico

Ovunque la sinistra politica in genere, quella estrema in particolare, continua a brillare per la sua intramontabile capacità divisiva. Sinistra Italiana (Si) ha celebrato il suo primo congresso con una scissione. Era nata a sua volta dalle ceneri di Sel (sinistra ecologia e libertà) e ad essa avevano aderito alcuni fuorusciti dal PD (Fassina e D’Attorre). Ora, mentre si intravede una iniziativa volta a raggruppare le forze di sinistra al di fuori del PD e mentre nel Pd si profila la remota (?) possibilità di una scissione a sinistra, assistiamo ad un autentico sfarinamento di quest’area in perenne e spasmodica ricerca della propria identità. Fortunatamente non si tratta, a mio avviso, di questioni di potere, ma paradossalmente di stabilire chi vuole stare più lontano dal potere. Ci sarà quindi quel che rimane di “Si”, la nuova di zecca “SiApre”, la costruenda “area Pisapia”, la “sinistra dem” in attesa di rompere il PD, il movimento “Possibile” creato dall’ex Pd Giuseppe Civati e un minuscolo “Partito comunista italiano”duro e puro.Quest’ultima scissione è tra coloro che si aprono a Pisapia ed, eventualmente, agli scissionisti dem e quelli che invece…mai col PD (forse meglio dire con questo PD).Il bello (il brutto direi) è che queste masturbazioni identitarie non avvicinano affatto la sinistra ai tanto enfatizzati problemi del Paese ed alla gente che li soffre sulla propria pelle, ma crea l’illusione di un progresso legato alle battaglie di principio da cui non si riesce poi mai a scendere nel concreto.Non basta nemmeno l’assurdo collante dell’antirenzismo, perché si è scatenata la gara a chi è più antirenzista: ascoltando le loro dichiarazioni vengo colto da un profondo senso di smarrimento, non riesco a seguirli, ne soffro tutta l’anacronistica e demagogica impotenza politica.Auguro a Pisapia di riuscire a rendere plasmabile e lavorabile questa dura materia prima per poterne ricavare una creatura politica spendibile e spandibile.Ho sempre avuto un occhio di riguardo verso chi estremizza i propri richiami ideologici, ho sempre rispettato chi evita facili compromissioni a scapito delle proprie idealità, ma la politica è altra cosa, è l’arte del possibile e non la fuga verso l’impossibile.In Francia succedono, seppure in misura meno clamorosa, cose analoghe; anche in Spagna i “Podemos”, una formazione a metà strada tra grillismo e sinistrismo, si stanno spaccando tra il massimalismo del loro leader Iglesias ed il riformismo del vice-leader Errejón. Sì, perché sotto-sotto la questione di fondo da centinaia di anni a questa parte, sta nella divisione fra chi vuole tutto ottenendolo dall’abbattimento del sistema e chi accetta una gradualità di conquiste accontentandosi di migliorare e cambiare il sistema.Se devo essere sincero sono stanco di queste sterili diatribe: uno dei motivi per cui, nonostante dubbi e perplessità, continuo a ritenere che Matteo Renzi potesse e possa incarnare una prospettiva di governo per la sinistra italiana e un contributo importante per la sinistra europea.Il “casino” politico scoppiato l’indomani del referendum mi dà ampiamente ragione: ne sono tutti preoccupati, a livello europeo e mondiale, e ne stiamo già soffrendo le conseguenze. Gli avversari politici ne godono, ma quel che mirattrista è che ne godano a sinistra col solito penoso ragionamento del “tanto peggio, tanto meglio”.Adesso sembra che, in tre anni di governo, Renzi non abbia combinato nulla. È molto difficile fare una valutazione oggettiva e seria in una situazione dove non si va al di là della polemica più becera. Penso che uno sforzo notevole sia stato fatto e vada salvaguardato. Invece prevale la voglia di buttare tutto a mare. Si accomodino pure, poi vedremo…

L’establishment dell’anti-establishment

Chi lo chiama establishment, chi casta, chi élite, chi poteri forti, chi massoneria, chi non so che altro: credo che alla fine tutti intendano, più o meno, il consolidato, intoccabile e opprimente assetto di potere della società moderna a cui viene ascritto tutto quanto in essa non va e bisognerebbe cambiare. Che il sistema presenti limiti e difetti gravi è innegabile: molto discutibile e pericoloso invece il modo sbrigativo e semplicistico di cambiarlo in nome di una fantomatica e pregiudiziale anti-politica.Della battaglia contro l’establishment, in buona o in mala fede, si sta facendo una bandiera da sventolare sotto il naso degli insoddisfatti: Trump vuole sostituire a quello dei “Clinton” il suo e, dietro questa sostituzione, nasconde un subdolo ritorno a razzismo, nazionalismo, protezionismo, separatismo, sovranismo, etc. etc.; Putin ha sostituito all’establishment della burocrazia comunista una mafiosa oligarchia economica ruotante attorno alla sua persona; il turco Erdogan impone progressivamente il suo fascistoide establishment pseudo-islamico; gli altri, quelli di casa nostra (europea e italiana), cercano di riproporre pappagallescamente questi schemi basandosi sostanzialmente sulle paure della gente (terrorismo, immigrazione, insicurezza, crisi economica), rinverdendo certi falsi valori identitari (nazione, religione, benessere, etc.), bypassando le istituzioni democratiche tramite un rapporto diretto con la gente (populismo), cavalcando la protesta verso la politica in nome dell’anti-politica (avversione ai partiti e rifiuto degli schemi tradizionali), strumentalizzando i social network per orientare la pubblica opinione offrendole a getto continuo le cosiddette post-verità o false verità, puntando tutto su una sorta di autoreferenzialità ed esorcizzando quindi ogni e qualsiasi critica quale reazione complottistica del potere.Questo schema di analisi e di intervento si sta avvitando su se stesso, creando, per parafrasare una espressione di Leonardo Sciascia, l’establishment dell’anti-establishment, sistemizzando l’anti-politica e facendone un mero supporto della restaurazione anti-democratica.Veniamo brevemente ai fatti di casa nostra: il leghismo prima, il berlusconismo poi, che riuscì ad assorbirne la spinta, furono facili e sciagurati profeti di questo schema. Umberto Bossi (ben altra stoffa rispetto ai Salvini e c.) capì subito di essere caduto nel tranello e dopo pochi mesi buttò all’aria l’alleanza con Berlusconi, ma poi si rassegnò a convivere sperando che l’anti-politica in carne ed ossa potesse prevalere su quella di plastica. Vinse la plastica, oltremodo inquinante e inquinata da colossali conflitti di interesse, che poi fu sconfitta (?), non tanto da un progressivo risveglio nelle coscienze democratiche, ma dalla impossibilità a controllare e coinvolgere certi poteri (leggi magistratura), ad inserirsi negli equilibri internazionali (leggi Europa e Occidente) e a governare certi meccanismi (leggi mercati ed economia in genere). A ben pensarci sono le difficoltà che sta incontrando e incontrerà sempre più Donald Trump, il quale dopo aver firmato davanti al popolo il decreto anti-immigrazione se lo è visto bloccare dal primo giudice che passava per la strada; il quale, pur disponendo di un potere enorme sulla scena mondiale, dovrà fare i conti col mondo intero; il quale molto probabilmente sarà colpito dai boomerang di una politica economica che porterà più danni che benefici.A proposito della illusoria politica di Trump, dei suoi muri e della sua dichiarata guerra agli immigrati indesiderati, mi sovviene un simpatico aneddoto relativo a un “originale” amico della mia famiglia, che molto tempo fa combatteva l’invasione dei topi catturandoli con le trappole e portandoli nei prati periferici. Al ritorno a casa trovava regolarmente i topi e pensava fossero gli stessi più veloci di lui a rientrare.Tornando al nostro Paese abbiamo anche noi attualmente alcuni personaggi che giocano a fare i Trump all’italiana (molto meno credibili e capaci rispetto ai Trump in salsa francese), che costituiscono tuttavia presenze piuttosto ingombranti sulla scena. Da noi, oltre le motivazioni dette in precedenza, gioca un ruolo determinante la corruzione, che fornisce inopinatamente un brodo di coltura ideale agli anti-sistema e la ribellione all’eurocrazia, vale a dire il senso di sfiducia nel processo di integrazione europea. Così come forse eravamo, fino a qualche tempo fa, epidermicamente favorevoli all’Europa, ora siamo diventati superficialmente e velleitariamente anti-europei.Se devo essere sincero non mi spaventa affatto Matteo Salvini: lo ritengo culturalmente e politicamente incapace di guidare una seria rivolta dell’anti-politica. Men che meno prendo sul serio Giorgia Meloni. Qualche maggiore preoccupazione mi riserva Beppe Grillo col “suo” movimento: i 5 stelle stanno infatti conducendo un gioco equivoco e riescono a confondere le loro evidenti incapacità e contraddizioni sciogliendole nella generale sfiducia verso i partiti e soprattutto riescono, non so fino a quando, a buttare la palla vittimista nella tribuna della stampa faziosa, ad autoassolversi dai loro peccati raffrontandoli con quelli dell’establishment. Il vuoto politico del dopo referendum si sta rivelando poi una manna nel deserto del loro progetto politico. Sarò presuntuoso, ma un Luigi Di Maio nei panni di un eventuale premier che ci trascina fuori dall’Europa e dalla Nato, che rivolta come un calzino l’Italia, non ce lo vedo proprio.Non sottovalutiamo comunque questi rischi e soprattutto stiamo attenti, perché la storia non comincia e non finisce oggi: i peggiori regimi sono sempre stati preceduti da un lavoro “sporco” di contestazione al sistema (molte volte anche giustificato da enormi lacune e difetti dello stesso) per poi lasciare il campo all’uomo forte che porta a regime la indistinta voglia di novità, interpretandola in chiave anti-democratica.Che fare? Se i pesci nuotano in una certa acqua non bisogna tanto combattere i pesci, perché si riprodurranno e ce ne saranno sempre dei più grossi e più resistenti, ma occorre prosciugare il barile, possibilmente non con un cucchiaino da caffé.

La sessuofobia genera mostri

L’onda lunga della pedofilia non cessa di colpire la Chiesa cattolica in diverse parti del mondo. È una piaga davanti alla quale la gerarchia rischia di fare la parte del medico pietoso che la rende puzzolente.Intendiamoci, è stata superata la fase in cui l’emergere di questo marciume veniva considerato come un pretestuoso ed esagerato attacco alla Chiesa tutta, tramite malevole generalizzazioni e senza fare i doverosi distinguo. L’istinto puramente difensivo si è esaurito, ma non ha ancora fatto posto definitivamente allo schierarsi inequivocabilmente dalla parte delle vittime degli abusi, alla adozione di severe procedure volte a chiarire e ad intervenire sulla realtà dei fatti e al doveroso ricorso alla giustizia civile.Innanzitutto va posto in assoluta priorità il discorso della difesa delle potenziali vittime e dell’aiuto alle vittime conclamate: in questi giorni stanno venendo a galla vicende che dimostrano come certi sotterfugi e silenzi (non parliamo di coperture…) possano avere, seppure indirettamente, favorito la reiterazione degli abusi sui minori. Occorre nel modo più assoluto che l’autorità religiosa competente ai vari livelli trovi il coraggio di affrontare queste situazioni a gamba tesa, facendo decisamente pulizia e passando le questioni alla magistratura inquirente per quanto di competenza.Non si tratta di criminalizzare o di mettere alla gogna, ma di eliminare ogni e qualsiasi residuo di marciume. Prima viene il dramma delle vittime, poi l’accertamento delle responsabilità, poi il dramma dei preti caduti in questo gorgo tremendo. Non bisogna invertire le priorità, fare confusione, sgattaiolare fuori dalla verità. Resta a mio giudizio troppo forte il timore dello scandalo e la paura che dietro, dentro o a latere di queste emergenti denunce, possa esserci la volontà o comunque il rischio di colpire nel mucchio, di coinvolgere persone innocenti o comunque sostanzialmente estranee. La delicatezza delle questioni impone senza dubbio grande equilibrio e correttezza, ma questi atteggiamenti non devono mai minimamente pregiudicare l’accertamento della verità con tutte le conseguenze del caso.Penso tuttavia che bisognerebbe cercare di chiudere la stalla prima che i buoi scappino, meglio ancora sarebbe che non ci fossero né la stalla né i buoi. Mi riferisco al discorso del come un prete viene educato alla sessualità e del come poi la vive. Rimane più di un’ombra al riguardo: l’obbligo del celibato può nascondere alla lunga una repressione tale da sconfinare nella perversione; i rapporti con l’altro sesso devono essere totalmente sdoganati e liberati da ogni e qualsiasi fobia: la donna non è un demonio, ma la più bella creatura che Dio abbia fatto, il suo capolavoro; il sesso è un dono meraviglioso che Dio ci ha fatto e noi lo dobbiamo vivere con amore, gioia ed entusiasmo, senza sensi di colpa; il sacerdote, come ogni altro uomo, deve operare le sue scelte che possono prevedere anche il celibato, ma non solo e per sempre; l’introduzione, a pieno titolo, della donna nel discorso sacerdotale, oltre che essere una valorizzazione per la donna stessa e un arricchimento per la Chiesa, potrebbe superare il maschilismo strisciante e persino auto-reprimente, che ancora alberga e che può essere il brodo di coltura di discriminazioni e financo di perversioni. Non mi convince chi sostiene che non ci sia alcun collegamento tra l’obbligo del celibato e la pedofilia. C’è poi anche il problema dell’omosessualità, che non può essere nascosto e tanto meno condannato, ma affrontato e vissuto in modo culturalmente aperto: se ammettiamo la presenza dell’omosessualità tra i laici, perché non ammetterla tra i chierici.Discorsi delicati, ma ineludibili. Tutti guardano a papa Francesco ed auspicano che abbia il coraggio e la determinazione di affrontarli senza tentennamenti. Diciamocelo però sinceramente: non basta, non è giusto e non è ecclesiale. Ognuno nella Chiesa-Istituzione e nella Chiesa-Comunità deve prendersi le proprie responsabilità: preti, laici, vescovi, cardinali, uomini, donne, famiglie, associazioni, parrocchie, diocesi, conferenze episcopali. Tutti. Benedetto XVI, prima ancora di essere nominato papa, aveva preso coscienza della triste realtà della pedofilia e non solo. Molto probabilmente anche questa drammatica consapevolezza lo avrà condizionato nella scelta, peraltro molto ammirevole, di dimettersi. Papa Francesco ha avviato percorsi nuovi anche in queste materie. Parola d’ordine: niente ipocrisia. Gesù aveva nel mirino gli ipocriti, non li poteva sopportare. Sì, è questa la peggior macchia ecclesiale, la madre di tutti i mali. Bisogna uscirne in tutto e per tutto. Invece siamo ancora lì a discutere se e come concedere l’accesso alla comunione ai divorziati risposati, se smetterla o meno di chiedere la castità agli omosessuali che decidono di accoppiarsi stabilmente, se i rapporti prematrimoniali siano da considerare un peccato e soprattutto se la coscienza individuale sia la migliore bussola e l’amore sia l’unica fondamentale regola di comportamento, se la Chiesa sia una comunità di fede, se il Cristianesimo sia un Dio che si è fatto uomo. Con tutte le nostre regole religiose sappiamo fare solo dei disastri.

Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere… al “bar totale”

Qual è la differenza sostanziale fra l’Italia è gli altri Paesi europei? Di fronte ai numerosi e gravi problemi, che tutti hanno, nel nostro Paese si chiacchiera (per non discutere), mentre negli altri si tace (un diverso modo, forse più serio, per non discutere).Ricordo come dopo lo scoppio della prima tangentopoli italiana, un caro amico, conoscitore e frequentatore della Germania, mi disse: «Non pensare che la corruzione non esista in Germania: loro tengono tutto nascosto, coprono, tacciono; noi apriamo i cassetti, scopriamo gli altarini, fin troppo».Faccio, legandomi all’attualità, tre esempi italici, in diversi campi, tutti comunque riconducibili al clima da “bar totale”, che sta dilagando anche sotto la malefica spinta mediatica. Quante volte si dice: le cose stavano in questi termini anche nel passato, solo che non si sapevano… Ebbene, la valanga informativa che ci sommerge rischia di non creare conoscenza, ma di generare confusione.Primo esempio: nei giorni scorsi è girata la notizia che Anis Amri, l’attentatore del tir al mercatino natalizio di Berlino, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia italiana, nel 2015 sarebbe stato scarcerato e non espulso dall’Italia perché scelto dai servizi segreti come potenziale spia da infiltrare in cellule jihadiste. Questa per la verità è stata una chiacchiera importata dalla Germania (i tedeschi sono molto bravi a sputtanare gli altri ed a coprire i propri scandali; forse sono anche incazzati per la bella figura fatta dall’Italia con la tempestiva uccisione di questo terrorista), dalla “Welt am Sonntag, giornale domenicale tedesco. A parte le smentite e le conferme succedutesi, che già la dicono lunga sul clima velenoso esistente, resta il discorso sulla lotta al terrorismo a livello di intelligence. Tutti all’indomani degli attentati terroristici affermano che la vera diga al terrorismo non si fa con leggi speciali o bloccando l’immigrazione, ma con un efficiente e coordinato sistema di spionaggio. Lo spionaggio, fino a prova contraria, si fa con le spie e le spie per essere tali devono fare il doppio gioco per inserirsi negli ambienti caldi e carpire segreti da girare ai mandanti. Nel caso specifico quale miglior spia di un jihadista infiltrato, disposto a tradire la causa. Non capisco cosa ci sia di strano e di scandaloso: qualcuno pensava che per battere il terrorismo bisognasse sguinzagliare come spie le suore di madre Teresa di Calcutta? No, ma è bello e suggestivo chiacchierare di spie in attesa della prossima strage.Secondo esempio: il presidente della Commissione Grandi rischi, Sergio Bertolucci, lancia l’allarme “Vajont” in merito alle dighe esistenti nella zona terremotata, con rischio di caduta negli invasi di vere e proprie fette di suolo in movimento. Tutti cominciano a sputare sentenze, si crea un allarmismo pazzesco, poi si riuniscono le massime autorità protagoniste dell’emergenza e affermano che “non sono state evidenziate criticità nelle dighe nelle zone sismiche”. Lo stesso Bertolucci che aveva innescato il panico dice di essere stato frainteso e di avere usato una terminologia equivoca. Ci siamo sbagliati, mortus, fine della ricreazione. Pur di chiacchierare si è portati a gridare al lupo e quando il lupo ci sarà davvero…Terzo esempio: l’80% degli Italiani ha voglia di un Uomo forte, il nostro Paese vuole essere governato da un leader solo al comando che assomigli a Trump o a Putin (c’è solo l’imbarazzo della scelta). Pur di scrivere e chiacchierare si è disposti a cavalcare i peggiori istinti antidemocratici, a lisciare il pelo dell’antipolitica, se poi la gente ci crede davvero…E questa sarebbe informazione? Se andiamo avanti così mi sembra che abbia ragione Trump (tutti i matti hanno le loro virtù) quando afferma: «I giornalisti sono tra gli esseri umani più disonesti della terra». Se non che la predica viene dal peggior pulpito possibile, da uno, come dice lo scrittore Philip Milton Roth, che è “ignorante e privo di decenza, un artista della truffa”, uno che della falsità ha fatto uno stile consapevole, uno che alle chiacchiere sta facendo seguire i peggiori fatti.Gli fa eco a livello nazionale Grillo, che, straparlando con il suo blog, attacca a gamba tesa le chiacchiere della stampa (tra le tante, una possibile alleanza futura tra il Movimento cinque stelle e la Lega di Salvini), col piccolo particolare però che lui non fa solo chiacchiere, ma vomita insulti e si incazza se qualcuno prende per buone le sue chiacchiere demagogiche (cotta per Trump e Putin, eczema allergico all’Europa, freno tirato all’immigrazione).Forse sto esagerando, ma non ne posso più. Il quarto potere, quello della stampa, sta perdendo quota non solo e non tanto per il prevalere del circuito dei social network, ma per la propria autoreferenzialità ciarlatana.Alle chiacchiere mi viene spontaneo rispondere con le mie contro-chiacchiere (una più, una meno…).Chiacchiere. Le spie devono essere persone perbene. Gli invasi protetti dalle dighe devono essere svuotati. Per governare l’Italia ci vuole questa ricetta (se la stanno contendendo Salvini e Grillo): pasta trumpiana, sugo alla putiniana, olio “di ricino”alla mussoliniana, formaggio piccante alla erdoganiana, una bella prezzemolata di nazismo e…peccato, come dice il televisivo cuoco Guerrino, che non ne possiate sentire il profumo…Contro chiacchiere. Il Ministro degli Interni è amico dei terroristi! Perché? Li vuole scarcerare e usare come spie… Il Ministro delle Infrastrutture è amico del giaguaro! Perché? Difende le infrastrutture a costo di allagare mezza Italia… Matteo Renzi è l’Uomo Forte! Perché? Punta al PdR (Partito di Renzi) e al GdR (governo di Renzi)…Per oggi finisce qui, domani avremo la chiacchierata del dopo sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale: chiacchieroni d’Italia preparatevi.Com’è bello chiacchierare… e pensare che mio padre stimava le persone che chiacchierano poco…Perché? Hanno meno probabilità di dire stupidaggini…