La difficile e convulsa fase che sta vivendo il Partito democratico rispecchia indubbiamente la complessità della situazione politica italiana, europea e mondiale: alla mancanza dei punti di riferimento ideologici si aggiunge infatti la stizzosa liquidità dei rapporti a livello continentale e l’inquietante incognita degli equilibri internazionali.Tutto sembra messo in discussione dalla “sconvolgente” attualità dei fenomeni migratori e dall’impellente necessità di ripensare gli assetti economici coniugandoli con l’equità tra Stati, tra strati sociali, tra generazioni, tra consumi e investimenti, tra sviluppo e protezione ambientale, tra crescita e rigore, tra innovazione e conservazione, tra produzione e ridistribuzione.Da una parte abbiamo quindi l’oggettiva provocazione proveniente dall’enormità dei problemi, dall’altra la soggettiva reazione delle persone caratterizzata dalla paura e dall’angoscia per il nuovo che si impone disordinatamente: in mezzo la politica, alla ricerca di facili risposte a problemi difficili, scombussolata nei suoi schemi tradizionali, tentata dalle spinte populiste dell’antipolitica e da quelle revansciste del nazionalismo.Un partito, che voglia elaborare una strategia di fronte a tanta problematica materia, è destinato ad andare in crisi, a mettersi in discussione e quindi non mi scandalizzano affatto le discussioni animate all’interno del PD; mi stupirei del contrario.Di questo confronto aspro mi sorprendono e mi danno fastidio due elementi: l’estrema povertà dei contenuti da parte di chi critica a cui fa da ovvio controcanto una certa supponenza difensiva di chi è criticato.Nella mia vita ho fatto l’esperienza politica della Democrazia Cristiana di cui il PD rischia di avere tutti i difetti e ben pochi pregi. Anche in questo partito del passato, che, volenti o nolenti, ha fatto un pezzo di storia italiana, esistevano contrapposizioni al limite della rottura, divisioni politiche al limite della lacerazione, diversi richiami ideali al limite del conflitto; anche nella DC era forte la tentazione del potere e la spinta a farne il “perverso” cemento unificante; anche nella DC si vivevano contingenze che sembravano preludere a spaccature verticali insanabili; anche nella DC esistevano i personalismi e le conseguenti tentazioni di schiacciare in tal senso il correntismo interno.Poi però, quando tutto sembrava precipitare nel gorgo della “divisione”, il carisma dei leader, la forza dell’ispirazione di fondo, il senso di responsabilità, la capacità di mediazione, la visione strategica, la vocazione popolare riuscivano a fare sintesi e a tradurre lo scontro in alcune scelte di fondo unificanti e qualificanti.Nel partito democratico mancano queste capacità: prevale il tatticismo fine a se stesso. Chi critica non ha proposte sostanziali da mettere in campo e si rifugia dietro generiche e contraddittorie contestazioni di metodo, non ha visioni alternative e lascia trasparire solo l’intento di abbattere Renzi e il cosiddetto “renzismo”, per poi fare cosa non è dato capire.Certo l’impazienza renziana a volte non aiuta, certo la leaderizzazione troppo accentuata non agevola, la spasmodica ricerca del consenso può essere fuorviante, ma non sono elementi tali da giustificare questa insopportabile “scaramuccia continua”.I casi sono due: o questa contrapposizione così forte è suffragata da motivazioni profonde e sostanziali e allora non può che sfociare in una scissione, e sarebbe meglio farla senza trascinarsi in una inutile e sterile diatriba di copertura; oppure il conflitto è solo una questione riconducibile a scelte tattiche e allora deve rientrare nei limiti di un corretto dibattito senza ultimatum e ricatti.Propendo per la seconda ipotesi, anche se l’insistenza ad accentuare i toni della polemica rischia di scivolare sulla prima: la scissione fatta sul nulla, solo per dispetto verso Renzi. Quando sento esponenti della sinistra dem, o meglio dell’antirenzismo dem, liquidare gli ultimi tre anni di governo come una sorta di pedissequa ripetizione del berlusconismo, mi chiedo perché siano ancora nel partito. Quando si esprimono certe idee bisogna avere il coraggio e la lealtà di andarci fino in fondo, altrimenti è meglio tacere.Spero solo che la politica italiana non si riduca ad un barometro sul PD: si dividono? Stanno insieme? Fanno il congresso? Non lo fanno? Puntano alle elezioni? Fanno le primarie?Se questo deve essere il prezzo pagato all’ integrità di questo partito, ben venga una scissione. Vorrà dire che la cosiddetta sinistra estrema avrà un ulteriore segmento disgiuntivo, confermando la sua vocazione all’inutilità. Uno più, uno meno…