Il giardino degli orrori, la società dei disastri

Restano ancora molti punti da chiarire sulla triste vicenda dei due neonati trovati – a distanza di un mese – seppelliti nel giardino di una villetta a Vignale, frazione del Comune di Traversetolo, in provincia di Parma. Ieri una nota del procuratore della Repubblica, Alfonso D’Avino, ha rivelato che il lavoro investigativo procede incessante (indagano i carabinieri e il Ris, reparto investigazioni scientifiche, coordinati dalla pm Francesca Arienti), ma che si intende tutelare dall’attenzione mediatica i contorni della vicenda, sia per preservare il segreto di indagine sia la presunzione di innocenza. Pertanto la Procura indaga anche per «violazione del segreto» in relazione ad alcune notizie che sono state diffuse. Questi episodi rendono evidente quanto prezioso sia il lavoro che viene prestato perlopiù dai volontari delle associazioni, come il Movimento per la vita (Mpv), che si offrono sostegno alle donne alle prese con gravidanze difficili. Proprio il vescovo di Parma, Enrico Solmi, intervenendo sulla vicenda ha lanciato un «appello alla responsabilità nei confronti della vita di un neonato».
Il procuratore D’Avino, in relazione al neonato trovato morto il 9 agosto scorso, ha comunicato che nessuno era a conoscenza della gravidanza della ragazza, una giovane di 22 anni, nemmeno la famiglia e il padre del bimbo. La donna non è stata seguita da un ginecologo e avrebbe partorito da sola in casa, senza l’aiuto di nessuna figura professionale (ginecologo, medico di famiglia). La giovane sarebbe indagata con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Sembra infatti che il neonato fosse nato vivo e che sia deceduto dopo il parto, per cause che l’autopsia dovrà accertare. La giovane avrebbe ammesso di essere la madre di questo neonato, trovato nel giardino della casa dove vive con la famiglia. Il padre del bimbo, fidanzato da anni con la giovane e suo coetaneo, sostiene di non aver mai saputo della gravidanza, così come amiche e amici della ragazza. Ancora più oscuri i contorni del secondo ritrovamento nel giardino della stessa villetta, avvenuto sabato scorso, dei resti di un neonato che sembrerebbe antecedente al primo ritrovato, perché sarebbero state trovate quasi solo ossa, su cui si indaga con analisi anche genetiche. Difficile quindi per ora sapere di più. 

(…)

Per il presule responsabile della diocesi di Parma, «la comunità, sia civile che religiosa, è ora sgomenta, così dovrà verificare quanto sta in essa per educare e supportare il significato vero della maternità e della vita, come culmine di scelte consapevoli e di autentica relazione tra uomo e donna, nella valutazione di una retta scala di valori». Opportuno è allora ricordare il lavoro svolto in favore delle donne, che vivono una gravidanza inattesa o difficile, dai volontari del Movimento per la vita. Oltre alle “ruote per la vita” presenti in una quarantina di ospedali, dove è possibile lasciare il neonato in sicurezza, sono tanti i Centri di aiuto alla vita (Cav) sparsi nel nostro Paese. Esiste anche il servizio Sos-vita: un numero di telefono gratuito (800.813.000) attivo 24 ore su 24, e una chat sul sito http://www.sosvita.it/ a cui possono rivolgersi le donne. Infine, non si può dimenticare che in Italia la legge permette di partorire in anonimato, non riconoscere alla nascita il bambino, a cui viene assicurata l’assistenza necessaria e riconosciuto lo stato di abbandono in vista dell’adozione. (dal quotidiano “Avvenire” – Enrico Negrotti)

Mi pare che un po’ tutti non si preoccupino del dramma umano che sta dietro questi sconvolgenti fatti, ma di portare acqua al proprio mulino socio-culturale. I media sono i più immediatamente coinvolti in questo macabro gioco: propalano notizie alla ricerca dello scoop sempre più scoop, che porta alla sbrigativa criminalizzazione dei protagonisti.

La Magistratura si autocelebra a livello di indagini portate avanti a regola d’arte (?). Non tanto, a giudicare dalla fuga di notizie intervenuta, dalla mancata riservatezza e dalla conseguente confusione emergente.

La società civile si pulisce la coscienza accampando gli strumenti teoricamente atti ad evitare l’abbandono dei neonati indesiderati: l’aborto, che a monte sembra la panacea dei mali, si dimostra purtroppo un argine di carta assorbente, così come a valle non funzionano le ruote di scorta, i telefoni di emergenza, le chat di pronto intervento e tutto l’armamentario di pannicelli tiepidi messi in atto da una società che non vuole risolvere i problemi ma esorcizzarli.

La comunità religiosa trova clamorose conferme alla imprescindibile necessità del proprio impegno in difesa della maternità e della vita: discorso peraltro appaltato ai volontari che servono più a dimostrare il perbenismo clericale che non a dialogare costruttivamente con le donne prima, durante e dopo le loro gravidanze.

Il femminismo si lecca le ferite derivanti dalla colpevole sottovalutazione del ruolo maschile e di quello delle strutture famigliari e sociali: l’utero è mio e lo gestisco io. L’enfatizzazione dell’autonomia decisionale della donna finisce con l’isolarla e ributtarla nella piena bagarre psicologica.

Che la comunità, sia civile che religiosa, sia sgomenta, come osserva il vescovo di Parma, non sono in grado di valutarlo, ma mi permetto di nutrire seri dubbi: c’è tutta la superficiale e momentanea emozione di una città chiusa nel suo benessere/malessere.

Facciamo silenzio! Ognuno faccia umilmente i propri mea culpa, rendiamoci tutti conto che nessuno ha la coscienza a posto e tanto meno la ricetta in tasca, perché quando le scelte personali si fanno durissime subentra la paura che fa novanta e che spesso non viene arginata dal compagno di vita, dalla famiglia di origine, dalle strutture assistenziali pubbliche e private, dai valori etici che si sciolgono come neve al sole, dai rapporti umani che diventano sempre più inconsistenti.

Che una madre partorisca e poi sotterri nel giardino di casa il cadavere del proprio figlio neonato, “accompagnata” dall’incredibile e totale insipienza del fidanzato, dei famigliari, degli amici vicini e lontani, nell’assenza di ogni e qualsiasi supporto pubblico o privato, nella disastrosa solitudine che mette a tacere o comunque devia la propria coscienza, nella disperante fuga verso l’ignoto, è una realtà sconvolgente che tocca tutti i tasti più delicati della nostra esistenza. Forse bisogna ricominciare tutto daccapo…

 

 

Un po’ Francesco, un po’ Giovanni Battista

Il Papa non si nasconde quando gli chiedono dei diversi programmi dei due candidati alle elezioni americane. Ammettere l’aborto e respingere i migranti sono entrambi atteggiamenti «contro la vita». «Sia quello che butta via i migranti, sia quello che uccide i bambini». Ricordando poi che già dall’Antico Testamento c’era il dovere di proteggere gli stranieri, gli orfani e le vedove, sottolinea che respingere i migranti, non dar loro la possibilità di lavorare o trattarli come schiavi «è un peccato grave». Quanto all’aborto, «è un assassinio». «La scienza dice che nel mese del concepimento ci sono già tutti gli organi formati. Quindi abortire è uccidere un essere umano. Può piacere o meno la parola – sottolinea Francesco – ma questo è e bisogna dirlo chiaramente. La Chiesa non è chiusa perché non permette l’aborto. La Chiesa non lo permette perché significa uccidere». Come deve votare dunque un cattolico? «Nella morale politica – risponde Francesco – si dice che non andare a votare è brutto. E si deve scegliere il male minore. Chi è in questo caso il male minore, quella signora o quel signore? Ognuno in coscienza ci pensi e faccia così». (dal quotidiano “Avvenire”)

Anch’io modestamente ero recentemente arrivato al discorso del meno peggio riferito al voto dei cittadini americani chiamati a scegliere fra Donald Trump e Kamala Harris. Se la conclusione papale può essere saggia, non lo è il ragionamento che sta a monte.

Non si possono mettere sullo stesso piano le mele marce della politica anti-migratoria di Trump e le pere da sbucciare dell’abortismo di Harris. Sul piano squisitamente etico-religioso le due questioni possono anche essere, seppure forzatamente, accostate, ma una candidatura e un voto sono fatti politici, che comportano valutazioni più complesse e articolate.

Buttare via i migranti è una scelta immorale in senso pregiudiziale, che non può trovare alcun recepimento a livello politico. Il discorso dell’aborto è pure esso eticamente inaccettabile, ma, dal momento che comporta scelte individuali delicate e molto problematiche, non può essere ridotto sic et simpliciter ad un no secco ad ogni e qualsiasi regolamentazione.

A monte del respingimento dei migranti c’è una scelta dettata dall’egoismo sociale che diventa criterio di governo della società. A monte della regolamentazione abortista (preferisco non parlare di diritto all’aborto) c’è la considerazione dei motivi che possono comportare una scelta dettata da uno stato di necessità. Si potrà discutere sulla legislazione più o meno liberal, questo sì, ma come dice don Andrea Gallo, se una donna, dopo che ad essa siano state seriamente fatte presenti tutte le controindicazioni, opta per l’aborto, non è possibile alzare una barriera etica.

Non sono sicuro oltre tutto che abortire sia comunque e sempre una grave devianza morale: certamente siamo in presenza di una scelta non rivolta coraggiosamente alla vita, ma ogni caso fa storia a sé e va lasciato alla coscienza individuale, pur informata di tutti gli aspetti annessi e connessi e corroborata da appoggi ed aiuti sul piano sociale.

Ammetto che la posizione così drasticamente espressa da papa Francesco mi abbia dato una benefica scossa ed una spinta ad uscire dal mio eccessivo pragmatismo politico: sono sicuro che volesse soprattutto scuotere le coscienze e non certo fare un discorso squisitamente politico.

D’altra parte il tema dell’aborto era già stato affrontato dal papa con un taglio misericordioso, che preferisco di gran lunga a quello dogmatico e schematico emergente dalla conferenza stampa di cui sopra. Mi risulta che papa Francesco fosse stato molto possibilista col presidente Biden che si trovava sull’orlo della scomunica da parte dei vescovi statunitensi. E allora mi chiedo perché questa improvvisa ed enfatica dichiarazione antiabortista. Un contentino ai confratelli vescovi americani non certo teneri con papa Francesco?  La necessità di controbilanciare l’ostilità a Trump con una sonora bacchettata ad Harris? Un modo per quietare i fermenti tradizionalisti all’interno della Chiesa? Una mossa antipolitica per fare meglio politica su altri fronti (vedi Cina)? Mi fermo qui perché non è giusto fare un processo alle intenzioni. E poi, chi sono io per giudicare il papa?

Per Salvini la condanna etica è già scritta

Sei anni di carcere per il vicepremier Matteo Salvini, per aver impedito, nel 2019, lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti soccorsi dalla nave della ong spagnola Open Arms. Il pm Calogero Ferrara ha formulato questa richiesta durante il processo per questi fatti.

Non ho la competenza per esprimermi dal punto di vista giudiziario e quindi lascio naturalmente che la giustizia faccia il suo corso. Men che meno azzardo l’ipotesi, subito sposata dal governo, che si tratti di un processo politico.

Ho letto che il pubblico ministero nella sua analisi è partito da una premessa: «C’è un principio chiave non discutibile: tra i diritti umani e la protezione della sovranità dello Stato sono i diritti umani che nel nostro ordinamento, per fortuna democratico, devono prevalere».

Preferisco quindi collocarmi nelle mie riflessioni sul piano etico e di conseguenza sulla più alta delle visioni politiche, vale a dire quella contenuta nella nostra Carta Costituzionale. Non v’è alcun dubbio che da questo punto di vista Matteo Salvini sia colpevole e ne risponderà in primis alla propria coscienza.

Quale la conseguenza oserei dire a livello prepolitico? Chi governa deve mettere al primo posto i diritti umani e quindi la difesa della vita sempre e comunque, soprattutto quella che viene messa in pericolo, come succede per i migranti in mezzo al mare. E chi vota e sceglie da chi essere governato deve fare altrettanto. Non c’è santa sicurezza che tenga. Non c’è difesa dei confini nazionali che possa giustificare il voltarsi dall’altra parte mentre persone disperate rischiano di morire affogate.

Il processo a Matteo Salvini ha questo significato a prescindere dalla punibilità del ministro sul piano giudiziario. Cerchiamo di difendere la nostra civiltà dagli attacchi spregiudicati e strumentali dei demagoghi, pronti a barattare la vita di decine di persone con il voto degli eticamente sprovveduti. Salvini, e non solo lui, opera, seppure indirettamente, (mi auguro che lo faccia in buona fede e/o per pura follia populista) una sorta di paradossale, tragica, sconvolgente e rovesciata decimazione: un immigrato lasciato morire in mare per dieci voti in più nelle urne.

Che tutto ciò ce lo ricordi la magistratura non dovrebbe scandalizzarci, ma semmai farci doppiamente morire di vergogna per aver perso completamente il senso democratico e per non essere più capaci di distinguere il sacro della vita dal profano della più cattiva delle politiche.

 

Un’attività governativa con scarso pro-Fitto

Nessun vicepresidente esecutivo al gruppo Ecr, dunque a Raffaele Fitto. Verdi, liberali e socialisti europei si schierano contro la eventuale scelta di Ursula von der Leyen di far rappresentare l’Italia da un esponente di spicco del governo a guida Giorgia Meloni. Non è una questione di lana caprina, ma un vero e proprio diktat della maggioranza uscita vincitrice alle recenti elezioni europee con Ecr all’opposizione. I tre gruppi, nella sostanza, avvertono Ursula von der Leyen che dare troppo spazio ai Conservatori può far venire meno il sostegno dei partiti che l’hanno votata.  La questione è tanto ingarbugliata e delicata che la von der Leyen ha rinviato la presentazione della nuova Commissione. (Giornale Radio – Daniele Biacchessi)

Le sottigliezze della politica italiana non tengono a livello europeo. In effetti è strano come al rappresentante di un partito (Ecr), che ha votato contro l’accordo di maggioranza, venga concessa una delega importante e addirittura una vice-presidenza esecutiva a livello di Commissione europea. Non si tratta di una ritorsione contro Giorgia Meloni, ma di un ragionamento molto lineare e difficile da smontare. In qualche modo ne usciranno, ma resta il problema dello splendido isolamento italiano che non mancherà di creare brutte conseguenze per il nostro Paese.

Le furbizie meloniane sono basate sul filo-occidentalismo, per meglio dire sul filo-americanismo, e sul filo-ursulismo. Quando bene o male la politica entra in scena, l’Italia è nuda. Non so cosa riuscirà a garanitre Tajani tramite la sua adesione al Ppe, non so fino a che punto terrà il patto femminile Ursula-Giorgia, non so come se la caverà il governo italiano con il nuovo presidente americano, non so soprattutto come uscirà l’Italia dal debito pazzesco che la condiziona.

Giorgia Meloni sta tentando addirittura di giocare di sponda con Mario Draghi, tornato in campo tramite lo sciorinamento delle sue analisi europeistiche; sta facendosi forte dell’aiuto a tutti i costi all’Ucraina di Zelensky; sta sperando che la nuova presidenza Usa mandi ancora baci e abbracci; sta sperando che il mal comune dell’economia europea diventi mezzo gaudio per le casse erariali italiane.

Sono tutti atteggiamenti tattici che lasciano il tempo che trovano. Nei rapporti con la Commissione Ue la politica non tarderà a farsi sentire; nei rapporti con l’Ucraina l’Italia è più vicina a Orban che agli altri partner europei (vedi l’uso delle armi ucraine in territorio russo); sia Trump che Harris saranno molto meno abbindolabili da parte italiana; il macigno debitorio non mancherà di gravare sui bilanci del nostro Paese.

L’unica speranza italiana è che i rapporti fra gli Stati facciano premio sulla politica, un modo per essere antieuropeisti. Ma la politica fatta uscire dalla porta è pronta e rientrare dalla finestra. C’è al riguardo il finestrino dei rapporti tra i partiti di governo: aumenta l’insofferenza meloniana verso l’autonomia forzitaliota sponsorizzata da mediaset, nonché la lontananza patriottica di Fratelli d’Italia rispetto al velleitarismo leghista di stampo vannnacciano.

Giorgia Meloni deve guardarsi da troppi potenziali nemici e da alcuni subdoli amici.  Molti nemici molto onore: appena qualcuno la critica diventa immediatamente un nemico. Il giochino dell’amico-nemico ha un limite e prima o poi il governo italiano ne farà le spese in termini di isolamento sempre meno splendido.

 

Lo ius pirlae

La riforma che non c’è. La Camera ha bocciato tutti gli emendamenti delle opposizioni sulla modifica della legge sulla cittadinanza, compreso quello di Azione che proponeva lo ius scholae, ovvero l’acquisizione della cittadinanza per i minori figli di immigrati dopo un ciclo scolastico di 10 anni. I no sono stati 169, 126 i sì e 3 gli astenuti. Anche Forza Italia ha votato contro. Gli azzurri hanno ribadito, con un intervento di Paolo Emilio Russo, che sono al lavoro su una proposta di legge in materia. «Si tratta – ha detto Russo – di un tema che merita più attenzione di un emendamento infilato all’ultimo un un provvedimento che parla di sicurezza». Il voto è stato a scrutinio palese dopo il no alla richiesta delle opposizioni di voto segreto. Tra gli emendamenti dell’opposizione bocciati, quelli del Pd sullo ius soli temperato e sullo ius scholae a 5 anni e quello di +Europa che riproponeva il referendum sulla cittadinanza. Pd e Avs hanno votato anche tutti gli emendamenti degli altri gruppi in materia. (dal quotidiano “Avvenire” – Danilo Paolini)

Siamo ad un bell’esempio di “Pirlamento”. La politica ridotta a mera copertura dei propri giochi elettorali, le istituzioni democratiche ridotte a sede di collaudo degli equilibri politici costruiti altrove. Forza Italia aveva sollevato nei mesi estivi il problema della cittadinanza agli immigrati, dichiarandosi disponibile all’introduzione del cosiddetto “ius scholae”, vale a dire alla concessione della cittadinanza a quei soggetti che abbiano compiuto in Italia un ciclo scolastico di 10 anni. A quanto pare si trattava di un ballon d’ essai, di una provocazione verso gli altri partiti della maggioranza, un modo per distinguersi: passata la festa, gabbato lo santo o, meglio, passato il contrasto politico gabbato il giovane immigrato. Resta soltanto una piccola spada di Damocle tenuta in sospesa da Forza Italia: non si sa mai…

Il fatto più grave però non è tanto la parodistica impostazione dei rapporti fra i partiti di maggioranza, ma l’autentico scempio istituzionale, vale a dire il Parlamento considerato come una pezza per i piedi del governo e il fondamentale gioco democratico fra maggioranza e opposizione vissuto come un ignobile tira e molla. La maggioranza, o almeno una parte di essa, infatti si dice disponibile al dialogo e al confronto con l’opposizione su temi etici che travalicano i perimetri partitici, salvo tirarsi indietro vergognosamente al momento cruciale; l’opposizione oscilla tra la contrapposizione globale e pregiudiziale e la disponibilità a trovare soluzioni largamente condivise. Quella dello ius scholae poteva essere un interessante esperimento fallito miseramente prima del nascere.

Attualmente in Italia esiste un governo di destra che non ha nessuna intenzione di aprire finestre di dialogo, che non sopporta le critiche anzi le esorcizza, che si sta preparando nei fatti al premierato, che litiga al proprio interno, ma trova sempre e comunque la quadra negli accordi di potere. Il Parlamento è un ingombrante e imbarazzante dipiù. Il governo ombra non esiste, esiste soltanto un governo che fa ombra a tutti.

Se i figli degli immigrati aspettano lo ius scholae, fanno in tempo ad ottenere la cittadinanza per altri motivi, alla faccia della loro tanto sbandierata integrazione.

Al rinvio (sine die?) della normativa riguardante lo ius scholae ha fatto vergognosa compagnia una novità perfettamente rientrante nella (in)sensibilità governativa. Niente più rinvio di pena per le donne in gravidanza o con figli di meno di un anno. L’eventuale differimento della carcerazione – quando il ddl sarà approvato definitivamente anche al Senato – sarà esaminato caso per caso dai giudici. È successo ieri alla Camera, nel corso delle votazioni sul “ddl sicurezza”. L’aula ha approvato l’articolo 15 che rende facoltativo – e non più obbligatorio – il rinvio della pena per le neo-madri detenute. Forza Italia, che inizialmente si era detta contraria, stavolta invece ha votato con Fdi e Lega. (dal quotidiano “Avvenire”)

Ma come è brava Forza Italia: si distingue nelle intenzioni per poi rientrare nei ranghi al momento del dunque. Il peggior modo di fare politica: dire e disdire, parlare bene e razzolare malissimo, tirare il sasso e nascondere la mano.  I berluscloni (termine acutamente inventato da Marco Travaglio) non si smentiscono mai: i forzitalioti giocano a fare i berluscloni buoni, i meloniani e i salviniani giocano a fare i berluscloni cattivi. Un modo come un altro per mettere alla prova il (poco) cervello degli italiani.

Mio padre alla domenica sera era preoccupato di chiudere drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose. L’unica eccezione era la lettura al lunedì mattina dell’opinione di Curti, pubblicata sul quotidiano locale, un commento essenziale ed equilibrato che finiva, quasi sempre, con la solita sconsolata espressione “un’altra partita da dimenticare”. E mio padre chiosava: “Pri tifóz dal Pärma a gh vól la memoria curta”.

La politica italiana in questi giorni, come detto sopra, ha vissuto a livello parlamentare una giornata da dimenticare. I tifosi smemorati della curva accanto al governo (sono tanti e non mollano) hanno di che esultare, mentre quelli della curva democratica devono scegliere: rassegnarsi ad avere la memoria corta se intendono solo galleggiare, lunga se desiderano sgombrare prima o poi le istituzioni dai pirla che le stanno occupando più o meno abusivamente.

 

 

La giustizia fai da te

«Ho appreso con vero sgomento quanto accaduto in via Coppino a Viareggio». Inizia così il commento dell’arcivescovo di Lucca monsignor Paolo Giulietti sul terribile omicidio consumatosi nella notte tra domenica e lunedì scorsi e costato la vita al 47enne di origine algerina Said Malkoun investito più volte da Cinzia Dal Pino imprenditrice locale 65enne. Impressionante soprattutto la dinamica dell’episodio criminale, immortalato da una telecamera di sicurezza. Vi si vede il Suv guidato da Dal Pino schiacciare l’uomo contro la vetrina di un negozio. A prima vista si sarebbe potuto trattare di un incidente dettato da imprudenza o distrazione. Subito dopo però il Suv aziona la retromarcia per investire ancora Malkoun altre tre volte fino a provocarne ferite mortali. A quel punto le telecamere inquadrano la donna scendere dalla vettura per recuperare la borsa che Malkoun le aveva rubato poco prima, per poi risalire in macchina e andarsene. Proprio lo scippo è stato alla base della reazione di Dal Pino che gestisce uno stabilimento balneare a Viareggio. «Quell’uomo mi ha minacciata con un coltello», avrebbe riferito la donna agli investigatori del commissariato di Viareggio e della squadra mobile dopo essere stata fermata con l’accusa di omicidio volontario. Ma accanto al corpo della vittima non è stata trovata alcuna arma. (dal quotidiano “Avvenire” – Riccardo Maccioni)

Davanti a questo inquietante fatto di cronaca mi è venuto spontaneo fare un azzardato collegamento con quelli riguardanti le azioni violente contro gli operatori sanitari. Il filo rosso che li collega potrebbe essere definito “quando la legittima difesa diventa legittima offesa”.

C’è una bella differenza tuttavia tra l’esasperazione di persone malate che vivono nell’indifferenza o nell’insufficienza delle strutture sanitarie pubbliche e quella di una persona che viene scippata e reagisce in modo a dir poco sconsiderato pur di recuperare il maltolto. Nei primi casi c’è in ballo l’incolumità personale messa a repentaglio da carenze sanitarie conclamate, nel secondo c’è la difesa del patrimonio dagli attacchi dei ladri.

Se, come già scritto nei giorni scorsi, mi sento di intravedere attenuanti psico-sociali riguardo alla violenza derivante dal profondo disagio delle persone quanto meno trascurate a livello sanitario, non riesco a trovarne per una violenza così brutale ammantata da legittima difesa (lascio che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza individuale scavi nel proprio intimo).

In tutti questi casi però chi governa ai vari livelli la nostra società dovrebbe fare parecchi “mea culpa”. Non si può infatti lasciare a se stessa la sanità sempre più incapace di assistere i malati, così come non si può continuare a seminare la zizzania dell’odio verso gli extracomunitari dipingendoli come potenziali delinquenti anziché sforzarsi di gestire in modo umanitariamente razionale il fenomeno migratorio.

Mi si dirà che il cittadino si sente indifeso rispetto alla delinquenza sempre più agguerrita ed aggressiva. Anch’io ad attraversare in orari serali certe zone cittadine mi sento psicologicamente in difficoltà, ma non penso che si possa reagire a questo disagio tollerando o addirittura incoraggiando la illegittima difesa o, se volete, l’eccesso doloso in legittima difesa.

Sono argomenti molto delicati che toccano la carne viva della nostra società. Stiamo bene attenti perché, così come si ipotizza e teorizza ante litteram la guerra giusta degli Stati aggrediti, si arriva a legittimare la difesa violenta di chi viene aggredito a livello sociale.  Conclusione: la globalizzazione del far west.

E nessuno pensa ad impegnarsi per sgombrare almeno un po’ il campo dalle motivazioni che muovono aggressori ed aggrediti. La nostra è la società che vuole sempre risolvere a valle i problemi delle alluvioni, usando, come sosteneva mio padre, “j èrzon äd cärta suganta”.

Chiudo, tanto per alleggerire la tensione, con una barzelletta inerente la paradossale legittimazione della violenza. Un marito uccide la moglie. Al processo il giudice vuole capire il movente del delitto: «Perché avete ucciso vostra moglie con un ferro da stiro?». Al che l’imputato risponde candidamente: «Parchè l’era adrè ciapär na brutta pìga…».

La democrazia del meno peggio

Un tempo (quando ero giovane e pieno di entusiasmo) mi sarei sicuramente alzato in piena notte per seguire in diretta il dibattito televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Usa. Lo feci per molto meno, vale a dire per seguire la diretta radiofonica dello storico incontro di pugilato tra Benvenuti e Griffith.

Mi sto chiedendo se questo odierno mio forfait (non mi è passato infatti nemmeno dall’anticamera del cervello il pensiero di sacrificare due ore di sonno per visionare il duello tra Harris e Trump) sia dovuto all’inevitabile (?) logorio mentale intervenuto nella mia vita o anche e soprattutto a qualcosa d’altro.

Sono cambiato io, ma è ancor più cambiato il mondo e la politica che lo governa. Un mio amico sostiene candidamente di non ritrovarsi nel mondo attuale, di sentirsi come un pesce fuor d’acqua, di non riuscire assolutamente ad adattarsi agli schemi culturali e politici correnti.

Qualcuno dirà che si tratta di sintomi di incalzante vecchiaia: qualcosa di vero ci sarà, ma sono invecchiato io o è invecchiato il mondo al punto da non essere più seriamente vivibile?

Vengo al sodo: perché al sacrosanto schifo che mi provoca la sola visione di Donald Trump non fa riscontro una sacrosanta speranza ispirata dalla candidatura di Kamala Harris? Gli echi al duello televisivo non riescono a smuovermi da questa sorta di scetticismo globale: capisco che la vittoria di Trump sarebbe una autentica iattura, ma non trovo un po’ di fiducia nell’eventuale futuro targato Harris, se non quella di evitare il peggio.

Mi sforzo di individuare due motivi fondamentali. Il primo riguarda l’invecchiamento, speriamo non inarrestabile, della democrazia a livello di sistema: la personalizzazione esasperata della politica, che nulla ha da spartire col vero leaderismo, blocca la partecipazione critica e costruttiva ai processi decisionali. Il cittadino-elettore è diventato un corpo estraneo!

Il secondo è relativo al disordine mondiale tale da spegnere sul nascere ogni e qualsiasi luce in fondo al tunnel sintetizzabile teoricamente e concretamente nella guerra. In buona sostanza la situazione è tragica e non si vede chi possa invertirne la tendenza. Stiamo toccando il fondo e questo potrebbe essere persino un elemento positivo se si trovasse qualcuno che sapesse imprimere uno slancio di ripresa. Manca invece chi possa minimamente mobilitare le coscienze verso la rivoluzione del meglio che sconfigga lo status quo del sempre peggio.

Le penose e scontate schermaglie tra Harris e Trump non sono potenziali scintille capaci di incendiare qualcosa, ma soltanto le solite trovate mediatiche che non emozionano nessuno: una recita dal copione risaputo, ma dalle conseguenze sempre più drammatiche.

Non ho sentito una parola, non ho intravisto un concetto, non ho scovato un’idea che possa non dico convincermi, ma almeno emozionarmi. E la chiamano democrazia…

Questo scoraggiamento è ulteriormente alimentato dallo scetticismo, al limite dell’omertà, da parte dei governi occidentali cosiddetti democratici (Europa in primis): per loro sembra che questa o quello siano pari. Un cittadino qualsiasi può anche pensarlo, un governante no! Un po’ di spinta innovativa agli Usa potrebbe darla l’Europa. Ma esiste l’Europa?

“È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” (Winston Churchill, da un discorso alla Camera dei Comuni, novembre 1947).

Non mi basta la democrazia del meno peggio, anche perché il male è molto profondo e radicato nelle coscienze che dovrebbero essere nel frattempo diventate più democratiche.

E allora cosa farei se fossi un elettore statunitense. Sarei tentato di astenermi, ma non lo farei. Troppo alta la posta in palio. Mi turerei il naso alla Indro Montanelli e voterei Kamala Harris.

 

Quando i pazienti diventano impazienti…

Gli incresciosi e reiterati fatti di aggressione a danno di operatori della sanità non possono essere considerati meri episodi di inspiegabile intolleranza in mezzo al mare di violenza della nostra società. Potranno essere anche questo, ma prima devono essere considerati il sintomo di un gravissimo malessere a livello sanitario. Il sistema sta facendo acqua e la reazione si sfoga sugli operatori sanitari e le loro insufficienze.

Quando una persona è esasperata se la prende col primo che gli viene a tiro e non ha purtroppo la freddezza, la lucidità e il tempo di risalire alle vere cause ed ai veri responsabili della situazione. La sanità è una potenziale polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro.

La sensazione da parte del malato e dei suoi famigliari è spesso quella di essere abbandonato a se stesso: purtroppo molte volte è la triste, sconfortante e preoccupante realtà.

Gli operatori sanitari, che venivano esageratamente santificati durante la pandemia, ora vengono demonizzati e aggrediti. Perché? Sono i soggetti schierati in prima linea che subiscono i giudizi e gli attacchi e rischiano di fare da paravento ai soggetti responsabili che sono al coperto.

Intendiamoci bene, anche l’etica professionale del personale sanitario non è granché, il sistema con i limiti economici ed organizzativi che impone, non aiuta medici e infermieri a lavorare bene, siamo assai lontani dai tempi in cui fare il medico e finanche l’infermiere era considerata una vocazione (quasi) sacerdotale. È pur vero, come diceva mio padre, che, se un medico sbaglia la diagnosi o la terapia, gli sono tutti addosso, mentre se compie un intervento-capolavoro non fa altro che il proprio dovere. Tuttavia il sistema non funziona e chi vi resta impigliato può anche avere reazioni violente: la pazienza ha un limite e negli ospedali di pazienza ce ne vorrebbe una quantità smisurata.

La risposta della politica è, come ormai avviene normalmente, repressiva: si parla di esercito, di daspo, di misure punitive per chi osa lamentarsi in modo esagerato. Non sono d’accordo! I problemi non si affrontano dal fondo. Occorrono scelte coraggiose da parte della finanza pubblica, serve uno sforzo organizzativo straordinario, è fondamentale incoraggiare e premiare la responsabilità degli operatori sanitari, bisogna ridare fiducia al cittadino che l’ha persa e, se ha risorse disponibili, si rivolge alla sanità privata, mentre, se non ha queste possibilità, si mette in fila aggiungendo ansia e sofferenze a quelle connaturali alla sua malattia.

Credo sia la scommessa fondamentale nei rapporti fra cittadino ed istituzioni, perché il cittadino è in una condizione di estrema debolezza e le istituzioni non possono approfittarne, gridando poi allo scandalo quando esplodono proteste violente. Bisognerebbe oltre tutto approfondire gli antefatti.

Non è giusto drammatizzare la situazione, anche se non è facile spiegarlo a chi, magari sotto colica, sta ore ed ore in attesa di un intervento medico. Non è giusto però nemmeno ridurre la situazione al comportamento esagitato di alcuni (im)pazienti.

Ognuno si assuma le proprie responsabilità a tutti i livelli, diversamente, è proprio caso di dirlo, non se ne esce vivi.

 

 

 

Il Conte senza Grillo

Il passaggio più velenoso Beppe Grillo lo ha lasciato nelle ultime righe di un intervento sul suo blog: nel caso in cui si metta mano a “elementi imprescindibili del M5s: il nome, il simbolo e la regola dei due mandati” non potrò che “esercitare i diritti che lo Statuto mi riconosce in qualità di Garante”.

Insomma, siccome con la Costituente si potrà discutere di tutto ma proprio di tutto, allora Grillo ha lasciato intendere di essere pronto per le carte bollate.

Questo sul piano legale. Sul piano politico, la lettura l’ha fatta l’ex ministro Danilo Toninelli, vicino al garante: “E’ già in corso una rottura. Il Movimento, oggi, è fatto da due partiti e Grillo l’ha palesato”.

 Mentre il fondatore sembra preparare la battaglia legale, i vertici del Movimento studiano il contrattacco: sui valori fondamentali del M5s e sulla interpretazione autentica dello statuto, il garante può al massimo esercitare una “moral suasion”, ha spiegato il parlamentare Alfonso Colucci, coordinatore dell’area legale del M5s. E poi, ha aggiunto, con accordi “contrattuali con il M5s coperti da riservatezza, Grillo ha espressamente rinunciato ad ogni contestazione relativa all’utilizzo del simbolo come modificato e come in futuro modificabile”.

Ma non è solo una questione di tribunali. “Ormai è chiaro come il sole – ha scritto Grillo – a ottobre vi troverete davanti a un bivio, costretti a scegliere tra due visioni opposte di cosa debba essere il Movimento 5 Stelle. La prima è di una politica che nasce dal basso, e non da politici di professione, la seconda è quella di Giuseppe Conte. Ad oggi non mi sembra si stia compiendo un’opera di rinnovamento, ma un’opera di abbattimento”. (ANSA.it)

I pentastellati sono ai ferri corti. Sono passati parecchi anni da quando pensavo che il M5S consistesse in Beppe Grillo e poco più. Il fondatore sembra voler tornare agli inizi per rivendicare una primazia sbiaditasi nel tempo. Al di là di tale questione genealogica non riesco a cogliere una vera e propria controversia politica. Il nome, il simbolo e i due mandati non bastano a significare un ruolo per e nel futuro del Paese.

Ho riconosciuto fin dall’inizio una funzione positiva a Grillo nell’aver dato una voce politica all’antipolitica: si rischiava una deriva qualunquistica molto pericolosa che venne almeno contenuta. Poi la prematura assunzione di responsabilità governative ha imposto il doppiopetto al movimento ed è quindi spuntato Giuseppe Conte a guidarlo in chiave istituzionale, abbandonando la piazza informatica e devitalizzando il dente dolente su cui batteva l’antipolitica.

Credo che Grillo abbia l’intenzione di mettere indietro le lancette dell’orologio pentastellato: impresa piuttosto ardua. Il rischio è che il M5S diventi un ring su cui il fondatore e il traghettatore se le diano di santa ragione, senza esclusione di colpi, ma senza progetti politici.

Grillo, anche per le sue vicissitudini famigliari, ha perso credibilità e mordente. Conte da parte sua dimostra di essere un capo costruito a tavolino: lo scontro è fra due leader immaginari. In mezzo una classe dirigente (?) polemicamente compatta ma politicamente sfilacciata. L’elettorato tende a scomparire consultazione dopo consultazione. Resta qualche impennata rispettabile sui temi della pace e della moralità.

Non basta per dare futuro ad un partito nato prematuro e messo a balia piuttosto asciutta. L’antipolitica è stata assorbita a destra dal velleitarismo meloniano; a sinistra si è rifugiata nell’astensionismo in attesa di tempi migliori.

Mio padre sosteneva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». Forse nel M5S sta succedendo così: i rappresentanti istituzionali del movimento guardano i due contendenti e si limitano a sottolinearne le botte, mentre il marchese del Grillo sta duellando con un Conte decaduto e il Conte del piffero si sta spacciando per un marchese senza nobiltà.

 

Verdure Sanjulienne in agrodolce

L’epilogo dell’affaire Sangiuliano era molto prevedibile e quindi non stupisce più di tanto, rientra nella normalità (sic!) di questi tempi. Semmai stupisce che casi ben più gravi vengano tenuti aperti a bagnomaria.

Siamo davanti ad una pozza di latte versato più da Giorgia Meloni che da Gennaro Sangiuliano su cui la destra non ha nemmeno il coraggio di piangere tanta è la quantità di latte sparsa sul cammino governativo da arrivare alle ginocchia; la sinistra si accontenta di aver vinto una battaglietta qualsiasi contro un governo che una ne fa e cento ne pensa; i commentatori oscillano fra il garantismo di chi chiude la bocca ai critici in mancanza di reato e chi grilloparlantescamente rivendica il ruolo politico del gossip.

Non si è trattato di una parentesi rosa nel grigio-nero andazzo di un governo, ma forse dell’apostrofo rosa fra parole impronunciabili.

Non si è trattato di un incidente di percorso, ma del percorso alternativo adottato a causa dell’ultimo di una catena di incidenti.

Non si è trattato di un gesto di responsabilità, ma dell’unica via d’uscita rimasta dopo tante irresponsabilità: le dimissioni sono un bel gesto se non tardano troppo a venire, perché allora diventano uno sberleffo.

Cherchez la femme? No, cherchez la culture de gouvernement!

Non si è trattato di un piccolo diversivo pseudo-governativo, ma di un grande tran tran etico-politico-culturale.

Non si è trattato di una scappatella di evasione, ma di un maldestro tentativo di attaccamento al nulla.

Non si è trattato di un grande personaggio scivolato su una buccia di banana, ma di un piccolo personaggio che mangia troppe banane.

A giudicare dalla relativa velocità con cui Sangiuliano è stato sacrificato o non aspettavano altro per farlo fuori o gli hanno fatto pagare il conto di altri o non ne potevano più delle sue gaffe o era talmente debole da provare a lavare i panni sporchi in casa Tg1 e da piangere più nelle braccia di Giorgia Meloni che in quelle di sua moglie.

In mezzo a tanta gente arrogante e antipatica, ci poteva stare anche lui che, tutto sommato, non è né arrogante né antipatico, è solo piccolo e grigio (non sufficientemente nero…).