I cavilli di Nordio e i cavalli di Meloni

È il 13 dicembre 2024 quando gli investigatori Onu consegnano al Consiglio di sicurezza il nuovo report annuale sulla Libia. Il caso Almasri, con il controverso viaggio in Europa e l’arresto in Italia su mandato della Corte penale dell’Aja concluso con l’accompagnamento di Stato a Tripoli, non è neanche in preventivo. Ma il generale libico per la seconda volta dal 2023 è uno dei protagonisti dell’investigazione internazionale.

Per il Panel of experts, che ancora una volta dal Consiglio di sicurezza Onu non hanno visto muovere alcun rilievo al loro lavoro, i crimini di Almasri hanno «seguito un modello coerente di privazione illegale della libertà, sparizione forzata, tortura e altri maltrattamenti e negazione dei diritti». Non è che la sintesi della serie di prove raccolte direttamente dagli investigatori delle Nazioni Unite.

Nel mirino c’è soprattutto la rete del nuovo apparato di Sicurezza libico denominato “Dacot”, che sta per “Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism”, in cooperazione con Isa, il servizio segreto interno.

A seguire il calendario viene da dire che la Corte penale internazionale, e non il contrario, ha confermato con proprie autonome indagini le accuse del Panel of expert. Non è un caso che nel mandato di cattura per Almasri, i giudici dell’Aja avessero indicato tra le fonti delle proprie inchieste il lavoro degli esperti Onu incaricati dal Consiglio di sicurezza. Solo il giorno dopo, il 14 dicembre, il procuratore internazionale Kharim Khan preannunciava l’emissione di nuovi mandati di cattura. I nomi sono stati coperti dal segreto investigativo. Ma ora sappiamo che uno di loro è proprio il generale Najim (Almasri)

Il Gruppo di esperti ha esaminato le numerose testimonianze e prove documentali a proposito del carcere di Mitiga, a Tripoli, raccolte a partire dal giugno 2021. Oltre alle vittime sono state ascoltate «persone che hanno assistito alle violazioni commesse in quella struttura». Non viene precisato chi siano questi testimoni, dovendone tutelare l’incolumità. «Tra questi, cinque ex detenuti e tre testimoni oculari hanno identificato Osama Najim come responsabile diretto di aver ordinato e commesso personalmente atti di tortura e altre forme di maltrattamento come parte di una politica organizzativa di gestione della struttura di detenzione di Mitiga». Il Gruppo di esperti ha corroborato queste testimonianze «con prove documentali indipendenti, tra cui rapporti medici, decisioni giudiziarie ufficiali e documentazione interna del Dacot, nonché con fonti terze affidabili che hanno tutte confermato sia la natura sistematica delle violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale umanitario, sia la responsabilità del personale del Dacot per tali violazioni».

Nelle 299 pagine di relazione, cui sono allegati centinaia di documenti, foto, filmati, registrazioni, è ricostruita l’intera filiera del traffico di esseri umani, che vede in particolare 17 boss libici, tutti con una divisa da militare o la grisaglia di funzionario pubblico.

Almasri è il sistema di cui fa parte, è un ingranaggio tra i più robusti. Perché ai detenuti, specialmente ai subsahariani, viene offerta una chance per sopravvivere alle torture: arruolarsi nella milizia e combattere per conto dei libici. E questo, spiegano gli ispettori, perché la milizia di Almasri è screditata presso la popolazione libica, specialmente quella di Tripoli, dove a causa delle malefatte della “cupola” fatta di generali e politici, chi può si sottrae all’arruolamento.

Dalla lettura si apprendono particolari abietti, Non solo i prigionieri vengono “picchiati e presi a calci per ore durante i giorni di detenzione”, non solo “minacciati di morte”, ma “esposti a continue brutalità perpetrate sui compagni di cella” dai detenuti stessi e alla presenza dei loro familiari. (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)

Di fronte alla schiacciante evidenza di questi elementi, i cavilli giuridici e procedurali di Carlo Nordio stanno in poco posto.  Il dato politico emerge con vergognosa verità: il governo non tiene in alcuna considerazione le istituzioni internazionali, a cui peraltro il nostro Paese aderisce.

Anche la scusa della ragion di Stato, peraltro nemmeno ufficialmente accampata, ma lasciata solo intravedere dalla strafottenza meloniana, si scioglie nell’attuale inquietante convenienza politica: il nazionalismo si sta imponendo e unendo al populismo in una miscela di stampo trumpiano. Non è infatti una strana coincidenza che Trump abbia firmato un ordine esecutivo che ritira il suo Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio per i diritti umani (Unhrc) e dalla principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi (Unrwa) e prevede la revisione del coinvolgimento nell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco).

È la democrazia di tipo occidentale (e non solo la nostra…) che sta traballando. In una simile avventura c’è posto anche per l’alleanza con la Libia e i suoi carnefici. Cosa volete che sia mandare in libertà un Almasri qualsiasi.

La Corte penale internazionale dell’Aja ha avviato un fascicolo di indagine sull’operato del governo italiano per “ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma” in relazione alla vicenda del generale Almasri. É quanto scrive il quotidiano Avvenire nella pagina online.

Nella denuncia ricevuta dall’Ufficio del Procuratore, che l’ha trasmessa al cancelliere e al presidente del Tribunale internazionale, sono indicati i nomi di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi.

L’atto finito all’attenzione dei giudici è stato trasmesso dai legali di un rifugiato sudanese che già nel 2019 aveva raccontato agli investigatori internazionali le torture che lui e la moglie avevano subito dal generale libico, quando entrambi erano stati imprigionati in Libia. 

 (…)

“Secondo l’accusa – si afferma nell’articolo -, nella quale Meloni, Nordio e Piantedosi sono indicati come «sospettati», i rappresentanti del governo italiano non hanno provveduto a consegnare il generale Almasri alla Corte penale internazionale: “Hanno abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali”. In particolare viene citato l’articolo 70 dello Statuto di Roma che disciplina i provvedimenti contro chi ostacola la giustizia internazionale. Secondo la norma “la Corte eserciterà la propria giurisdizione” su una vasta serie di reati, tra cui “ostacolare o intralciare la libera presenza o testimonianza di un teste”. (ANSA.it)

A questo punto si sono aperte due inchieste, una che pende davanti al Tribunale dei ministri e una che pende davanti alla Corte penale internazionale, sul comportamento di autorevoli membri del governo, che fanno i furbi e gli schizzinosi e si difendono attaccando. Qualcosa di poco limpido sta avvenendo: rispetto delle leggi, dei trattati e delle procedure lasciano a dir poco a desiderare, per non parlare delle scelte politiche che ci immergono fino al collo nel disordine mondiale.

Giorgia Meloni sta scherzando col fuoco, la pentola più si mescola e più puzza (la sporca ed inaccettabile ragion di Stato, se esiste, è comunque la tessera di un ben più ampio mosaico) e il popolo italiano non riesce ad accorgersene. È chiaro che una simile deriva non può ammettere contrappesi (magistratura, stampa, organi di controllo, etc.) e contrarietà di un certo spessore. E allora guerra contro tutti!

Non so se la questione Almasri possa essere la goccia che fa traboccare il vaso. Troppo complessa la situazione internazionale, troppo debole l’opposizione politica e parlamentare, troppo divisa l’Europa, esageratamente addomesticati i media: ognuno sembra autorizzato a comandare più che a governare, a fare quel che vuole in nome di un consenso popolare peraltro tutto da dimostrare e rispettare (la democrazia entra in campo il giorno dopo le elezioni…). Troppo manovrabile l’opinione pubblica: impazzano i social. La gente fatica a rendersi conto della gravità della posta in palio.

Bisogna che qualcuno rompa le uova nel paniere. Insisto nel vedere questo qualcuno nel Presidente della Repubblica.