L’azzeccagarbugli di via Arenula e il bravo di piazza del Viminale

Il dottor Azzecca-garbugli è un personaggio immaginario presente ne I promessi sposi, romanzo di Alessandro Manzoni. Azzecca-garbugli è il soprannome di un avvocato di Lecco, chiamato, nelle prime edizioni del romanzo, dottor Pettola e dottor Duplica (nell’edizione definitiva non c’è il nome ma solo il soprannome). Il nome costituisce un’italianizzazione del termine dialettale zaccagarbùj. È un personaggio letterario del tutto secondario, ma è rimasto famoso per l’abilità di Manzoni nel creare e nel descrivere la sua personalità.

Viene chiamato così dai popolani per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone disoneste e potenti. Spesso e volentieri aiuta i bravi, poiché, come don Abbondio, preferisce stare dalla parte del più forte, per evitare una brutta fine.

Renzo Tramaglino giunge da lui, nel capitolo III, per chiedere se ci sia una grida che possa condannare don Rodrigo. Inizialmente, l’avvocato crede che Renzo sia un bravo (infatti gli domanda che fine abbia fatto il suo ciuffo, ed il giovane gli risponde di non aver portato ciuffo in vita sua), e che sia stato proprio lui a commettere il torto, e cerca di rassicurarlo sulla sua abilità nel tirarlo fuori dai guai; però, chiarito l’equivoco e sentendo nominare il potente signore, respinge il giovane perché non avrebbe potuto contrastare la sua potente autorità. Egli rappresenta quindi un uomo la cui coscienza meschina è asservita agli interessi dei potenti. (da Wikipedia – L’enciclopedia libera)

Ascoltando in diretta l’intervento in Parlamento del ministro della Giustizia Carlo Nordio sul caso Almasri, ho pensato che Alessandro Manzoni la sapeva molto lunga. Il ministro, anziché, da uomo di giustizia e da uomo di governo, sentire il dovere di punire un personaggio di enorme portata criminale, ha preferito fare le pulci alla Corte Penale Internazionale, fornendo al governo italiano una squallida scappatoia per lavarsi le mani di fronte ai misfatti di questo orrendo figuro senza nemmeno avere il coraggio di accampare la scusa della ragion di Stato.

Io vorrei sapere perché Almasri è stato liberato ed espulso e non tenuto in carcere su richiesta della Corte dell’Aia. Credo che questa domanda se la facciano molti italiani a prescindere dalle loro idee politiche. Non c’è risposta! E allora bisogna pensar male: il tutto è avvenuto per difendere sporchi interessi del nostro Paese a livello di freno all’immigrazione e di fornitura di petrolio.

Gli italiani sono stati inondati da un fiume di cavilli giuridici e di presunte carenze della magistratura nazionale ed internazionale per coprire una squallida realtà politica. Non ho idea se si rendano conto di essere presi per i fondelli.

Il ministro dell’Interno Piantedosi, dal canto suo, si è limitato a ripetere la nota fandonia della difesa dell’interesse nazionale e dell’ordine pubblico. La presidente del Consiglio ha preferito mandare avanti i suoi ministri, perché, come dice una parodia popolare, a lei scappava da ridere.

Sullo sfondo c’è lo scontro fra governo e magistratura: non so se sia più grave l’oscena vicenda Almasri o la sua contestualizzazione nel conflitto istituzionale in atto.  Il governo delegittima i giudici considerandoli propri nemici da combattere aspramente senza esclusione di colpi. Ho l’impressione che i magistrati si difendano come possono, commettendo magari anche qualche grave errore tattico nella pur sacrosanta strategia della difesa della propria autonomia.

Continuo a sperare nell’azione del Presidente della Repubblica: solo lui può riportare le Istituzioni a svolgere i compiti loro assegnati dalla Costituzione, senza sconfinamenti e senza risse politiche, a costo (la dico grossa per rendere l’idea) di sciogliere il Parlamento, vale a dire la legittima sede degli interessi del popolo italiano; solo lui può intimare a Parlamento e Governo il rispetto degli accordi internazionali; solo lui, peraltro e oltre tutto come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, può difendere, autorevolmente, credibilmente e senza corporativismi,  l’autonomia della Magistratura dai reiterati attacchi del Governo.

Credo che sia venuto il momento di passare dalla moral suasion, vale a dire dai pur autorevoli inviti a correggere o rivedere determinate scelte o comportamenti, al coraggioso esercizio pieno, totale, ficcante e magari scomodo delle proprie prerogative costituzionali, facendo anche ricorso al consenso popolare di cui gode Sergio Mattarella. Visto infatti che il populismo governativo sta prendendo il posto della sovranità popolare, sarebbe più che opportuno che il Capo dello Stato brandisse l’arma costituzionale per ripristinare la pace istituzionale nell’interesse del popolo italiano (art.87 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”).

La seduta parlamentare sul caso Almasri è forse, a mia memoria, il punto più basso della politica italiana e della sua inadeguatezza rispetto ai gravissimi problemi che stiamo attraversando: una premier che scappa dalle proprie responsabilità e preferisce arringare il popolo utilizzando i social; due ministri che fanno i pesci nell’incasinato barile di un governo a dir poco inquietante; un ministro che si diverte a fare il fine dicitore e riduce la riforma della giustizia a subdola minaccia verso la magistratura; un altro ministro che difende l’ordine pubblico creando disordine a livello di valori democratici; un Parlamento in cui la maggioranza fa la cassa di risonanza dell’esecutivo e l’opposizione altro non può fare che gridare allo scempio della verità.

Se andiamo avanti così andranno a votare solo gli aficionados del centro-destra o addirittura solo Giorgia Meloni e i suoi cari.