La giungla delle Nazioni

Non mi ha sorpreso l’entrata in guerra degli Usa contro l’Iran: era nell’aria e d’altra parte, quando ci si mette in una certa perversa logica, non ci si può fermare, bisogna andarci fino in fondo, salvo almeno il diritto/dovere di chiamarsi fuori da parte di chi non è d’accordo.

Mi hanno invece sconvolto le deliranti, oserei dire diaboliche, dichiarazioni di Donald Trump e di Benjamin Netanyahu.

Il commander in chief ha parlato per soli tre minuti, con tono serio e solenne. Prima ha fatto il bilancio dell’operazione, assicurando che “i siti nucleari chiave iraniani sono stati completamente e totalmente distrutti” con “massicci attacchi di precisione” in quello che ha definito “uno spettacolare successo militare”. Quindi ha lanciato un nuovo ultimatum a Teheran, affermando che il futuro dell’Iran è “pace o tragedia” e che ci sono molti altri obiettivi che possono essere colpiti dall’esercito americano. “Se la pace non arriva rapidamente, attaccheremo quegli altri obiettivi con precisione, velocità e abilità”, ha minacciato. Poi su Truth ha avvisato la Repubblica islamica che “qualsiasi ritorsione dell’Iran contro gli Stati Uniti sarà contrastata con una forza molto superiore a quella di questa sera”. Il presidente ha detto anche di aver fatto un “lavoro di squadra” con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. (ANSA.it)

In un video pubblicato in inglese, il premier israeliano Netanyahu ha ringraziato il presidente degli Stati Uniti, Trump, per l’attacco agli impianti nucleari iraniani. “La decisione di Trump e coraggiosa e cambierà la storia”, ha affermato il primo ministro. “Io e il presidente Trump diciamo spesso, ‘la pace attraverso la forza’. Prima viene la forza, poi viene la pace. E stasera il presidente Trump e gli Stati Uniti hanno agito con molta forza”. (Televideo)

Viene consacrato uno sconvolgimento totale nei rapporti fra le nazioni: che vale è la forza, il diritto internazionale non esiste e non valgono nulla le istituzioni ad esso preposte; la pace non si ottiene col dialogo e con la diplomazia, ma con la forza. Non contano più nulla i valori della democrazia e della coesistenza pacifica, nemmeno la ricerca di una qualche compatibilità degli interessi nazionali, che conta è la forza bruta.

A dirlo e metterlo in pratica non sono due personaggi qualsiasi, ma il presidente della più grande potenza mondiale che domina l’Alleanza Atlantica e di un Paese che in passato qualcuno sognava di far entrare addirittura nell’Unione europea, coi quali siamo alleati. Bisognerà pure, a livello europeo ed italiano, prenderne atto e agire di conseguenza.

Il popolo europeo e quello italiano sono d’accordo con questo cambiamento storico, tale, a mio giudizio, da mettere in discussione alleanze, assetti e collaborazioni internazionali? Non sono più ammessi tatticismi, opportunismi, ambiguità ed omertà. È in gioco il destino dell’umanità e non la sopravvivenza del governo Meloni!

 

 

 

 

 

 

 

Il diritto alla non sofferenza

Il risultato dello scrutinio è stato accolto dalla lobby eutanasica britannica, con Humanitas Uk e Dignity in dying in prima linea, come una «vittoria storica per la compassione, la dignità e la libertà di scelta». Slogan gridati dagli attivisti che hanno atteso l’esito del voto a Parliament Square. Dall’altro lato della piazza, il mondo pro-life in allarme per i rischi legati all’applicazione di una legge «profondamente difettosa e pericolosa». Che costringe la rete degli hospice a una profonda riorganizzazione tutta da disegnare. «Siamo preoccupati per il futuro delle cure palliative – ha dichiarato l’arcivescovo John Sherrington, responsabile per le questioni di bioetica della Chiesa cattolica di Galles e Inghilterra – soprattutto perché l’esperienza suggerisce che, in assenza di protezioni esplicite, gli hospice potrebbero essere obbligati a collaborare con il suicidio assistito. Se ciò accadesse, il futuro di molte istituzioni cattoliche potrebbe essere a rischio». «Non perdiamo la speranza – ha però incoraggiato – e continuiamo a combattere”. (dal quotidiano “Avvenire” – Angela Napoletano)

Innanzitutto non condivido i toni allarmistici usati dal quotidiano cattolico per affrontare questa delicata materia. In Inghilterra hanno finalmente varato una legge per regolare un problema intorno al quale in Italia si gira a vuoto tra opportunismi clericali, scontri istituzionali, dibattiti etici che lasciano il tempo che trovano.

In secondo luogo non ritengo che l’eutanasia sia materia di scontro ideologico tra lobby: non è una vittoria e una sconfitta per nessuno, men che meno per le istituzioni cattoliche impegnate nelle cure palliative.

Al centro del discorso c’è la persona umana, della quale, come diceva don Andrea Gallo, «sulla base di una scelta chiara e consapevole, bisogna rispettare il diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita».

La Chiesa e i credenti facciano il loro “mestiere” della carità e della solidarietà a chi soffre, senza imporre soluzioni dogmatiche e senza scadere nel dolorismo a tutti i costi; lo Stato faccia buone leggi a servizio di chi è in gravi difficoltà, offrendo soluzioni diverse a seconda delle scelte operate a livello di coscienza individuale. Il resto è fuffa giocata sulla pelle di chi soffre.

Volendo rimanere sul piano etico-religioso, mi sono sempre chiesto come il Padre eterno accoglierà un suo figlio che abbia deciso di interrompere la vita perché “non ce la faceva più a vivere”. Si scandalizzerà? Lo manderà all’inferno? Gli rimprovererà questa dolorosa scelta? Ma fatemi il piacere…lo abbraccerà, lo bacerà e gli dirà: “Finalmente sei arrivato dopo tanto soffrire!”.

Probabilmente il Padre Eterno avrà invece qualcosa da ridire su quanti vogliono mettere sulle spalle di chi soffre una soma insopportabile e su coloro che non fanno niente per aiutare fino in fondo chi soffre salvo, nel peggiore dei casi, nascondersi dietro il teorico rispetto della vita e, nel migliore dei casi, offrire la somministrazione delle cure palliative.

 

 

 

L’essenziale protagonismo resistenziale

Mentre a Bruxelles si vedevano alcuni dei referenti politico-militari delle minoranze, dall’altra parte dell’Atlantico si è recato Abdullah Mohtadi, leader dell’altro movimento curdo, il più noto e organizzato “Partito Komala del Kurdistan iraniano”. È volato negli Stati Uniti «per ribadire la posizione di pieno sostegno a un Iran non nucleare», ha detto. Le coincidenze, per chi conosce quel labirinto minato che è il Medio Oriente, non esistono. Due giorni fa Mothadi inviava ai suoi sostenitori un messaggio in parte da decifrare. Gli incontri americani «si sono svolti a Capitol Hill (il Parlamento Usa, ndr) e con osservatori dell’Iran al di fuori del governo statunitense». A chi si riferisse, se ai sauditi o ad altre entità, non ha voluto precisarlo. Una cosa però il leader curdo, che ha rimproverato l’Europa per essersi fatta da parte, ha voluto ripetere per rassicurare chi teme che possa scoppiare una guerra interna tra diverse fazioni fino a tracimare specialmente fino al confine turco: «Siamo a favore di un Iran democratico, dei diritti dei curdi e della pace con i nostri vicini».
Argomenti ribaditi ieri da Maryam Rajavi, presidente eletta del “Consiglio nazionale della resistenza iraniana”. «La soluzione a questa guerra e a questa crisi risiede nel rovesciamento e nel cambiamento di questo regime da parte del popolo iraniano e della sua resistenza», ha detto davanti al Parlamento Ue, invocando il riconoscimento «della lotta del popolo iraniano per rovesciare il regime». I tempi stringono, a giudicare anche dalle parole di Abdullah Mohtadi, che ha lasciato gli Usa con un saluto sibillino: «La prossima settimana sarà importante». (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)

Ho molti seri dubbi che la guerra israeliana contro l’Iran possa favorire un repentino e positivo cambio di regime: la storia, almeno quella dopo il secondo conflitto mondiale, insegna esattamente il contrario. Ai regimi dispotici, combattuti e abbattuti dall’Occidente per mero opportunismo, hanno fatto seguito situazioni confuse e tutto sommato ancora peggiori: gli esempi si sprecano dalla Libia all’Afganistan.

Anche le forze contrarie ai pasdaran costituiscono purtroppo un’accozzaglia assai difficile da interpretare e da aiutare dall’esterno. Una cosa è certa: soltanto da una loro forte presa di coscienza e da una loro profonda volontà di cambiamento può dipendere una nuova pagina di storia in senso autenticamente democratico. Sono loro a dover dettare tempi e modi a cui fare riferimento per eventuali interventi esterni mirati e non sconclusionati, motivati e non strumentali, rispettosi e non utilitaristici.

Israele e gli Usa non mi sembrano affidabili per operazioni così delicate e complesse, non hanno il rispetto dei valori democratici e si muovono in base ad interessi contingenti o comunque al di fuori del diritto internazionale. Come può infatti ristabilire in uno Stato l’ordine fondato sul rispetto dei diritti fondamentali chi li viola sistematicamente a casa propria e a livello internazionale? Non vorrei che gli oppositori iraniani si appoggiassero a chi li vuole soltanto strumentalizzare per poi magari mettere in piedi un regime che risponde più ai “liberatori” che ai “liberati”.

Faccio fatica ad intravedere il protagonismo unitario indispensabile per una resistenza da parte delle forze di opposizione iraniane, una sorta di Comitato di liberazione che dialoghi e collabori con gli Stati veramente amici e non con quelli che fanno finta di esserlo.

Faccio ancor più fatica a vedere nell’Occidente, guidato da Netanyahu e Trump, l’interlocutore affidabile e pronto a ritarare la propria azione sulle esigenze della popolazione iraniana. E il resto del mondo arabo quale ruolo potrà avere al di là dei meri opportunismi economico-commerciali? Per non parlare di eventuali interferenze russe…

La Resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale era dotata di valori democratici unitari e gli alleati condividevano nella sostanza l’antifascismo e l’antinazismo: se tento un parallelo non trovo attualmente i valori e principi su cui basare un’azione simile. Intendiamoci bene, non è che gli Usa fossero dei benefattori, avevano tutto il loro interesse ad appoggiare la Resistenza, però c’era una comunanza ideale che faceva da substrato alla guerra di liberazione. Contro l’Iran non è proprio così.

Non escluderei drasticamente che dal male della guerra scatenata da Israele possa sortire un’occasione per voltare pagina, purché cessi il massacro dei Palestinesi e le nuove pagine, quella palestinese e quella iraniana, le scrivano gli interessati veramente democratici ed autonomi. Al momento mi sembra il libro dei sogni!

 

 

 

Le bombe e le balle nucleari

Il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi, ha dichiarato in un’intervista all’emittente statunitense CNN che, fino ad oggi, l’Agenzia non ha trovato nessuna prova dell’esistenza di un programma organizzato da parte dell’Iran volto alla costruzione di armi nucleari.

Grossi ha spiegato che, malgrado l’attenzione internazionale rivolta alle capacità nucleari iraniane, “non abbiamo osservato prove che indichino un movimento strutturato verso la produzione di armamenti nucleari”.

Alla domanda sul tempo che sarebbe necessario all’Iran per ottenere un’arma nucleare, Grossi ha risposto: “Senza dubbio, non è una questione imminente, ma non possiamo nemmeno dire con certezza che si tratti di anni. Queste rimangono solo ipotesi, ed è per questo che affermo che, in realtà, non lo sappiamo”. Il direttore dell’AIEA ha inoltre sottolineato che, nonostante alcune limitazioni, l’Agenzia continua a monitorare la situazione e a riferire quanto è in suo possesso. “Fino a questo momento, i nostri rapporti non contengono indicazioni di un piano coordinato per dotarsi di armi nucleari”, ha ribadito.

Quando venerdì scorso Israele ha lanciato la sua serie di attacchi contro l’Iran ha dichiarato di averlo fatto perché in possesso di prove secondo le quali la Repubblica Islamica si stesse avvicinando rapidamente a un punto di non ritorno nella sua corsa all’ottenimento di armi nucleari; gli attacchi dello stato ebraico sarebbero stati quindi necessari per prevenire tale risultato.

Tuttavia le valutazioni dell’intelligence statunitense sono giunte a una conclusione diversa: non solo l’Iran non starebbe attivamente perseguendo un’arma nucleare, ma sarebbe anche a tre anni di distanza dalla capacità di produrne e utilizzarne una.

Un alto funzionario USA interpellato dalla CNN ha però ammesso che l’Iran è tecnicamente “quasi pronto” e, qualora decidesse di costruire una bomba, avrebbe le risorse per farlo. I danni inflitti finora da Israele sembrano aver ritardato il programma iraniano solo di qualche mese. L’impianto di Natanz è stato colpito duramente, ma Fordow – la struttura sotterranea più protetta – è rimasta intatta.

Secondo esperti militari, Israele non ha la capacità tecnica per colpire Fordow senza armi e supporto aereo statunitensi. “Se vuoi davvero smantellare quel programma, serve un attacco americano o un accordo diplomatico”, ha dichiarato Brett McGurk, ex diplomatico USA. Questo crea un dilemma di non semplice soluzione per l’amministrazione Trump, che sta cercando di evitare un coinvolgimento diretto ma sa che Israele, da solo, non può distruggere l’intero programma nucleare iraniano. (Fanpage.it)

E allora come la mettiamo? Forse è giunta l’ora di finirla e di ammettere apertamente quel che (quasi) tutti hanno capito: Israele vuol fare piazza pulita dei Paesi disturbatori della sua imperialistica quiete, il resto sono balle etiche (salvare il mondo dall’atomica in mano ai cattivi iraniani, balle politiche (cambiare il regime anti-democratico e teocratico dei pasdaran), balle economiche (difendere gli interessi occidentali su approvvigionamenti energetici, scambi commerciali, etc.), balle internazionali (garantire equilibri di coesistenza pacifica).

Netanyahu (a proposito di democrazia non si è ancora capito se disponga di un serio e valido consenso) si sta comportando da autocrate tanto quanto i suoi amici di merende, vale a dire Putin e Trump. I diritti calpestati in Iran sono garantiti in Russia, negli Usa e in Israele? Cosa vogliono esportare gli israeliani e gli americani capeggiati da personaggi che stanno liquidando il diritto a livello interno e internazionale?

Cosa ci sta a fare l’Europa? Lo sgabello per i piedi trumpiani e/o la quarta colonna della politica israeliana? Come ha recentemente affermato Massimo D’Alema, non riesce a difendere i propri valori, ma nemmeno i propri interessi.

E l’Italia, tra le ridicolaggini di Tajani, le sceneggiate di Meloni e le puttanate di Salvini, cosa sta combinando? Non sta forse dilapidando un patrimonio storico fatto di azioni diplomatiche verso i Palestinesi e i Paesi arabi?

E Donald Trump cosa ci riserva (si accettano scommesse sulla sua entrata in guerra): parecchi anni fa gli Usa avevano concordato un accordo con l’Iran, ora se lo è rimangiato dando naturalmente la colpa ad Obama che l’aveva costruito, a Biden che lo ha gestito male e agli iraniani che non l’hanno rispettato. Ma non è così: la diplomazia non esiste più, esiste la legge della jungla, dove tutto è giustificabile ed ammissibile.

La montagna del recente G7 ha partorito il topolino di un vergognoso compromesso che ha tenuto insieme il no ad un Iran dotato di armamenti nucleari (al momento non le ha!), il diritto di Israele a difendersi (da cosa?), la ripresa dei negoziati (detto da chi li ha fatti saltare?) e udite-udite un cessate il fuoco a Gaza (esiste ancora la striscia di Gaza?).

Avete notato come si pavoneggiava Giorgia Meloni? Non sa fare altro… Dovrebbero andare tutti (incapaci, incoerenti e delegittimati) a nascondersi e invece…

 

 

La ragión la s’ dà ai cojón

«Concordo con papa Leone quando afferma che il mondo dovrebbe essere liberato da ogni minaccia nucleare e che il modo migliore per prevenirla è il dialogo». L’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Yaron Sideman, segue passo dopo passo il nuovo Pontefice. Compresi i suoi appelli a fermare le armi in Medio Oriente. Più volte Leone XIV ha fatto riferimento a Gaza. Ora l’invito alla «responsabilità» e all’«incontro» rivolto a Tel Aviv e Teheran per evitare l’escalation. 

(…)

«Israele non ha intrapreso una guerra con l’Iran, ma un’operazione militare volta a eliminare un’imminente minaccia esistenziale portata avanti dal regime iraniano. In linea di principio, la guerra dovrebbe sempre essere considerata l’ultima opzione, ma ciò non significa che non sia affatto valida, qualora tutte le altre fallissero»

(…)

«Un regime, come quello iraniano, dotato di capacità nucleari militari rappresenta una chiara minaccia per Israele ma anche per l’intero Medio Oriente. La storia ci insegna che, quando un regime minaccia la nostra esistenza, dobbiamo prenderlo sul serio»

(…)

«Israele sarà l’ultimo a introdurre tali armi in Medio Oriente. Siamo un Paese che sostiene i valori della vita e della libertà. Però ci troviamo di fronte a regimi che santificano e glorificano la morte e diffondono terrore e distruzione nel mondo. Questa è la giusta prospettiva. Basta guardare la carneficina che l’Iran sta compiendo ora colpendo deliberatamente i civili israeliani con missili balistici convenzionali. Immaginate se quei missili fossero dotati di testate nucleari…».

(…)

«Mentre l’Iran sta prendendo di mira le aree densamente popolate, Israele colpisce le infrastrutture militari e gruppi terroristi. L’unico obiettivo di Israele in Iran è agire contro le armi nucleari e l’arsenale di missili balistici. Iran e Hamas sono in perfetta sintonia. Entrambi invocano apertamente la distruzione di Israele e fanno parte di una mortale asse del male, guidata dall’Iran, che include anche Hezbollah e gli Houthi nello Yemen. Entrambi lavorano per raggiungere il loro comune intento, come dimostrano la carneficina di Hamas del 7 ottobre 2023 o gli attacchi di Teheran contro Israele nei vari anni, inclusi quelli missilistici non provocati proprio l’anno scorso. Iran e Hamas sono anche solidali finanziariamente, poiché l’Iran è un importante sostenitore finanziario di Hamas e le fornisce i mezzi per portare avanti le sue attività terroristiche contro Israele».

Giudico questa intervista rilasciata dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede utilizzando due espressioni dialettali molto eloquenti: “bècch äd fér” e “la ragión la s’ dà ai cojón”.

Stando alla faziosa analisi del diplomatico, Israele sarebbe il regno del bene che combatte contro quello del male: storicamente le vittime sono diventate vittimiste. La realtà è molto più complessa e ingarbugliata. Come minimo anche Israele ha le sue colpe: la morte a Gaza di centinaia di bambini a cosa è dovuta se non a una pazzesca e smisurata vendetta? Sono forse vittime del caso?

Quando mio padre commentava la morte di una persona di cui non si riusciva a trovare la causa e per la quale non si individuava nemmeno l’esecutore materiale dell’eventuale delitto, concludeva sarcasticamente: «As védda che quälcdòn al gà preghè un cólp…».

La guerra giusta non esiste, è sempre sbagliata. Mi rifaccio al giudizio papale. «…è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo “fermare”. Non dico bombardare, fare la guerra. “Fermarlo”. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati… una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto…» (papa Francesco).

Il becco di ferro consiste nel propinare un’incredibile ricostruzione dei fatti spacciandola per verità: non è possibile accettarla. La verità è che ormai, come sostiene il filosofo Massimo Cacciari, non esiste più un ordine internazionale e quindi ogni Stato costruisce una verità a suo uso e consumo secondo la realpolitik ridotta a mera legge del più forte, facendo poi credere addirittura che l’aggredito sia l’aggressore e viceversa.

Quanto al dare ragione al Papa per poi smentirlo clamorosamente nelle parole e nei fatti è una vecchia storia ben sintetizzata appunto nel detto parmigiano “la ragión la s’ dà ai cojón”.

Sappiano i governanti di Israele che in Vaticano ci sono personaggi che la sanno molto più lunga di loro, che sanno discernere e separare le verità dalle falsità anche senza essere infallibili e che non sono affatto coglioni a cui concedere contentini dialettici.

Per cortesia, almeno non prendiamoci in giro. Dialoghiamo, ma ammettendo le proprie responsabilità, altrimenti il dialogo è fra sordi.

A volte, per segnare marcatamente il distacco con cui seguiva i programmi TV, mio padre si alzava di soppiatto dalla poltrona e quatto-quatto se ne andava. Mia madre allora gli chiedeva: “Vät a lét?”. Mio padre con aria assonnata rispondeva quasi polemicamente: “No vagh a lét”. Era un modo per ricordare la gustosa chiacchierata tra i due sordi. Uno dice appunto all’altro: “Vät a lét?”; l’altro risponde: ” No vagh a lét”. E l’altro ribatte: “Ah,  a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.

 

 

 

 

 

 

Un mondo che cammina su Trump…oli

La sua prima dichiarazione al summit è stata infatti la condanna dell’allontanamento della Russia dal consesso dopo l’annessione della Crimea nel 2014. «È stato un errore, non avremmo avuto la guerra, se Putin fosse stato membro non avremmo avuto la guerra — ha detto il tycoon, che già nel 2018 si era espresso per la riammissione di Mosca, provocando un’alzata di scudi degli alleati —. Passiamo molto tempo a parlare della Russia e Putin non è al tavolo, il che rende le cose molto più complicate. Putin parla solo con me perché è stato offeso quando è stato cacciato dal G8, anche io lo sarei, è stato altamente offensivo».
Trump ha aperto alla possibilità di invitare la Cina («perché no, è la più grande economia nel mondo dopo gli Usa — ha detto il tycoon — non sarebbe una cattiva idea, se qualcuno lo suggerisse») dando l’impressione di essere più interessato a discutere con i leader assenti che con quelli presenti. (da “Avvenire” – Elena Molinari)

Sono molto scettico sulle riunioni del cosiddetto G7, mio padre sarebbe oltremodo d’accordo ed aggiungerebbe: “Sì. I päron còj che all’ostarìa con un pcon äd gèss in simma la tävla i mètton a pòst tùtt; po’ set ve a veddor a ca’ sòvva i n’en gnan bon äd fär un o con un bicér…”.

Purtroppo però non è solo questione di incapacità, che quasi sempre va di pari passo con l’arroganza e la presunzione, ma di “affari di Stato”, nel senso che ognuno punta agli affari del proprio Paese se non addirittura agli affari suoi personali.

Partendo da questo presupposto non si può che arrivare al disastro internazionale che stiamo vivendo. Donald Trump sta trascinando tutti in una logica perversa: nessuno ha il coraggio di reagire, pendono tutti, più o meno, dalle sue labbra e si adeguano.

Netanyahu sta facendo il lavoro sporco per conto di Trump, per lo meno col suo tacito assenso, e allora la verità non si può dire. Putin è interlocutore imprescindibile di Trump e allora non lo si può disturbare più di tanto. Xi Jinping è un potenziale partner di Trump e allora meglio lasciar fare a lui eventuali accordi sporchi con la Cina.

Si sta creando una banda criminale a cui vengono consegnati i destini del mondo, anche perché il resto del mondo sta a guardare e a subire, illudendosi di poter mangiare le briciole che cadono dal tavolo dei potenti.

Possibile che l’Europa non abbia uno scatto di dignità e non trovi nella sua pur travagliata storia un qualche appiglio valoriale e culturale per essere protagonista di un risveglio politico a livello internazionale?

Possibile che nessuno abbia il coraggio di condannare apertamente il massacro perpetrato ai danni dei palestinesi?

Possibile che nessuno abbia l’intelligenza politica per capire che il proditorio attacco all’Iran non ha alcuna giustificazione plausibile se non quella di disegnare il Medio Oriente ad uso e consumo israeliano?

Possibile che gli europei accettino supinamente di essere sostanzialmente esclusi dagli assetti di potere a livello internazionale, giocando un ruolo da meri comprimari?

Possibile che tra i governanti degli Stati europei sia in atto la gara a svolgere nel migliore dei modi il ruolo di “port coton” nei confronti di Re Trump?

Possibile ascoltare analisti e politici di fama capaci soltanto di giustificare un andazzo che ci porta alla rovina? Mi riferisco, ad esempio, a Mario Monti: non ci doveva salvare dal disastro berlusconiano? A posteriori si può ben dire che stavamo freschi allora e stiamo freschi oggi! Non era un caso che Berlusconi fosse amico di Putin, proprio come oggi è Trump…

Possibile che non ci sia un manipolo di deputati europei capaci di occupare la sede del Parlamento di Strasburgo fintanto che questo ridondante organismo di facciata non pronunci parole chiare e intenzioni serie contro Israele e la sua politica?

Possibile che un gruppo di parlamentari italiani non provi vergogna dei silenzi italiani e non occupi Palazzo Chigi fino a che Giorgia Meloni non abbia il buongusto di pronunciare qualche frase dettata almeno dalla coscienza se non dai doveri di Stato?

Tutte cose possibili e inaccettabili. E la faccenda non è ancora finita! Ne vedremo delle belle, ma forse nemmeno un missile che colpisse i Palazzi romani della politica ci potrebbe svegliare. Sì, perché ci sarebbe subito qualcuno che darebbe la colpa ai pacifisti, i quali ci isolerebbero e fuorvierebbero con i loro sogni di piccolezza.

 

 

 

Papa Leone indietrista, ma solo un pochettino

Nelle scorse ore ha destato curiosità l’introito arrivato a Papa Leone XIV da parte dello Ior, la “banca del Vaticano”. Un dividendo importante frutto degli utili fatti registrare dall’Istituto per le Opere di Religione. Ora, invece, un’altra questione ha suscitato interesse per quanto concerne il Pontefice. Prevost, infatti, ha ricevuto i Nunzi tra cui era presente anche “padre” Georg Gänswein, segretario di Papa Benedetto XVI ed ex prefetto della Casa Pontificia che in passato non aveva avuto un feeling ottimale con Bergoglio con il quale c’erano state diverse polemiche.

A seguito di quella pubblicazione, viste anche le tempistiche – solamente pochi giorni dopo il funerale del Papa emerito – Francesco aveva cercato di tenere a bada ogni discussione salvo poi rilasciare nel libro intervista con il giornalista Javier Martinez Brocal ‘Il Successore’ parole di accusa verso lo stesso Georg accusato di aver avuto una “mancanza di umanità e nobilità d’animo” per quelle anticipazioni nel giorno dei funerali di Ratzinger.

In questa ottica, l’incontro avvenuto in Vaticano tra Papa Leone XVI e Georg sa tanto di “smacco” a Francesco. Il Corriere della Sera, edizione Roma, infatti, ha parlato di un faccia a faccia breve con tutti i Nunzi ma ha anche sottolineato come questo sia stato “caldo” e “formale”. Nello specifico con Gänswein “si è intrattenuto un po’ di più, sorridendogli e quasi abbracciandolo”.

Secondo quanto riferito dal quotidiano, questa situazione potrebbe far pensare “che per l’attuale Nunzio Apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia, possa finalmente aprirsi uno spiraglio per un rientro in Vaticano”, dopo le tensioni e le polemiche del passato con Bergoglio. Al momento non sappiamo se si possa essere trattato solo di un comportamento cordiale da parte di Prevost verso Georg o se dietro possa esserci di più ma senza dubbio l’incontro ha suscitato grande attenzione.

Conversando con alcuni amici ho ammesso di non avere ancora elaborato il lutto per la morte di papa Francesco. Elaborare il lutto significa affrontare il processo di accettazione e trasformazione del dolore causato dalla perdita di una persona cara. Questo processo, che può essere lungo e difficile, permette di elaborare le emozioni intense che si provano, come tristezza, rabbia, colpa e senso di vuoto. L’elaborazione del lutto aiuta a integrare la perdita nella propria vita, a trovare un nuovo equilibrio emotivo e a riprendere a vivere con serenità.

Ebbene evidentemente non mi sono ancora ripreso dal trauma, mi sento vedovo di Bergoglio e pensare che non sempre ero d’accordo con le sue posizioni, anche se le accoglievo sempre a coscienza aperta, come si fa con un padre.

Ho sempre avuto un atteggiamento ipercritico nei confronti della Chiesa pur sentendomi in essa a pieno titolo e papa Francesco era lì a garantire la mia appartenenza e a rassicurarmi nel comportamento spesso trasgressivo, non per giustificarlo a priori, ma per capirlo. In poche parole ero e sono un cattolico borderline, tentato di andarmene, ma deciso a rimanere nonostante tutto e, durante questi ultimi quindici anni, nella consapevolezza di avere un padre che mi accettava per quello che ero.

La situazione mi si è cambiata e sento di avere perduto un punto di riferimento indispensabile: lo deduco da tante giornaliere impressioni, da tanti indizi che temo finiscano per costituire una prova della discontinuità di papa Prevost rispetto a papa Bergoglio. Prima durante e dopo il conclave si sono sprecate buone intenzioni di rimanere nel solco della pastorale bergogliana: alle parole rassicuranti fanno seguito scelte piuttosto equivoche.

Mancava solo l’azzimato padre Georg Gänswein, allontanato giustamente da papa Francesco per i suoi comportamenti assai poco sinceri e leali. Non entro nel merito, perché mi riferisco a un discorso complessivo di cui l’eventuale riavvicinamento col segretario di papa Ratzinger non è che un piccolo elemento.

Si tratta infatti di un rosario di segnali in netta controtendenza, prontamente colti da certa stampa anti-bergogliana o comunque filo-prevostiana. Mi si dirà che sono piccoli fatti, magari strumentalizzati, da non sopravvalutare: d’accordo, ma…

Temo la normalizzazione vaticana con un ritorno al tradizionalismo, che vuol dire quieto vivere in nome di una finta ma comoda unità.  Si sta componendo un furbo e articolato mosaico “indietrista”.

Se è vero, come è vero, che io non ho ancora elaborato il lutto, v’è chi lo ha superato con molta velocità e quasi con sollievo. Mi sono ripromesso di individuare testardamente tutte le mosse contrarie all’eredità bergogliana, così, tanto per (non) divertirmi a ritornare nelle ristrettezze del mio (non) sentirmi Chiesa. Sarò pronto a ricredermi, a fare ammenda, a chiedere scusa, persino a gridare evviva papa Leone.

 

 

Dalla padella degli ayatollah alla brace di Netanyahu

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rivolto un appello agli iraniani, invitandoli a unirsi contro il loro regime, dichiarando che Israele ha lanciato in Iran “una delle più grandi operazioni militari della storia”.

“Stasera, desidero parlare con voi: orgoglioso popolo dell’Iran. Siamo nel mezzo di una delle più grandi operazioni militari della storia, l’operazione ‘Rising Lion’. Il regime islamico, che vi ha oppresso per quasi 50 anni, minaccia di distruggere il mio Paese, lo Stato di Israele. L’obiettivo dell’operazione militare israeliana è quello di rimuovere questa minaccia, sia quella nucleare che quella missilistica”, ha dichiarato Netanyahu.

“Ed è giunto il momento per voi di unirvi attorno alla vostra bandiera e alla vostra eredità storica, LOTTANDO per la vostra libertà contro un regime malvagio e oppressivo. Non è mai stato così debole. Questa è la vostra opportunità DI ALZARVI e far sentire la vostra voce. Donna, vita, libertà. Zan, Zendegi, Azadi”. (da askanews)

Mia sorella Lucia, quando si immedesimava nelle lotte per la democrazia condotte in tanti Paesi con particolare riferimento alla condizione femminile, concludeva con un’affermazione a metà strada fra la disperazione e l’orgoglio: «Se vivessi in certi Paesi, mi sarei già fatta ammazzare non so quante volte, dal momento che non so stare zitta di fronte alla prepotenza e al sopruso perpetrati da un regime». Lo diceva anche e soprattutto per le donne i cui diritti vengono calpestati, come succede in Iran.

Un mio amico più volte mi ha espresso la sua fiduciosa speranza che i regimi arabi possano cadere sotto i colpi non violenti delle donne: sono perfettamente d’accordo, perché le donne hanno una forza d’urto culturale ben più importante delle armi.

Mi sono messo presuntuosamente nei panni degli iraniani e in particolare delle iraniane contrari al regime che li opprime: come reagirei di fronte alle pretestuose avance israeliane miranti ad esportare in Iran la democrazia delle bombe?

Accantonerei la realpolitik di Netanyahu e mi concentrerei su ben altre strategie e tattiche di opposizione non violenta. Come può essere attendibile un soggetto che mi propone di fare un salto nel buio? Avrei il timore di passare, come si suole dire, dalla padella alla brace.

Oltre tutto simili appelli avranno sicuramente ed esattamente l’effetto contrario, vale a dire quello di compattare, in difesa degli ayatollah, le fila degli iraniani convinti o incerti e quello di mettere in ulteriore rischiosissimo imbarazzo gli oppositori al regime.

Quale credibilità democratica può avere un governo che sta letteralmente massacrando il popolo palestinese e tentando di eliminare tutti i Paesi concorrenti al fine di poter spadroneggiare sui territori confinanti, già peraltro parzialmente e illegittimamente occupati.

Netanyahu sta tendendo trappole opportunistiche all’intero Occidente, sta tendendo mani sporche di sangue ai pur oppressi iraniani, ergendosi a salvatore della sua Patria cancellando quella altrui.

Credo che l’unico linguaggio ammissibile per solidarizzare con i popoli mediorientali, iraniani compresi, sconvolti dalle guerre, oppressi da regimi antidemocratici, fuorviati dalle scorciatoie terroristiche e ingannati dalle sirene israeliane, sia quello emergente dalla marcia della Pace Marzabotto-Monte Sole, vale a dire un appello perché le donne e gli uomini delle istituzioni, in Italia e in Europa, ricostruiscano una politica di pace e agiscano per fermare l’escalation, salvare e proteggere gli innocenti. Tra le richieste rivolte al nostro governo e alla Ue ci sono: la sospensione di ogni cooperazione militare e dell’Accordo di Associazione Ue-Israele, il ripristino del sostegno a Unrwa per i profughi palestinesi, il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina, la convocazione di una Conferenza di Pace sotto l’egida Onu. (dal quotidiano “Avvenire”)

 

 

 

 

Per fare la guerra tutti i pretesti sono validi

Venti anni fa, il 5 febbraio 2003, il Segretario di Stato degli Stati Uniti Colin Powell si presentava al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con in mano una provetta contenente borotalco, ma fece credere a tutti che invece contenesse antrace sviluppata dall’allora nemico numero uno della Casa Bianca Saddam Hussein. Quella sceneggiata permise, nonostante il Consiglio di Sicurezza non avesse dato il suo benestare, agli Stati Uniti di iniziare la seconda guerra del golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein che causò centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile. 

Oggi il premier israeliano Netanyahu ci dice che l’Iran sta preparando la bomba atomica e che quindi occorre intervenire per impedirglielo in difesa del quieto vivere nucleare. Non esistono prove, da tempo si dice, ma non v’è alcuna certezza al riguardo. Ragion per cui molto probabilmente le ragioni della guerra all’Iran sono altre: la voglia di abbattere un regime detestabile e pericoloso, togliere o almeno ridimensionare una presenza inquietante e imprevedibile nel contesto internazionale mediorientale, l’invadente e incontenibile strategia israeliana che non ammette freni di sorta.

Per fare guerre tutti i motivi vanno bene: per annientare la Palestina vale il pretesto della presenza terroristica di Hamas, per la Siria e per il Libano la presenza di Hezbollah, per l’Iran la presenza degli ayatollah e delle loro mire nucleari.

Peraltro sono guerre subite dagli Usa che non riescono a tenere a freno le smanie israeliane: Trump aveva garantito un veloce ritorno alla pace in Palestina, stava trattando con l’Iran. Tutto sbagliato, tutto da rifare, perché Israele non vuole. Forse gli Usa bluffano, fatto sta che la situazione si sta incasinando all’inverosimile.

L’Europa disunita balbetta anche perché tra i Paesi europei c’è chi è dotato di bomba atomica, Francia e Inghilterra, chi addirittura punterebbe ad averla, chi è o fa finta di essere amico giurato di Israele, chi strizza l’occhio petrolifero agli arabi, chi, come l’Italia, aspetta di vedere le mosse statunitensi per accodarsi acriticamente ad esse.

Faccio un ragionamento terra terra. Il clima di guerra totale è tale da essere preoccupati per un qualche coinvolgimento europeo: la globalizzazione bellica!

Per il nostro Paese l’unica speranza viene dal passato, da una storica e giusta posizione dialogica verso il mondo arabo, fatta di interessi reciproci, ma anche di scelte diplomaticamente intelligenti: l’Italia non è nemica degli arabi e questo, lasciatemelo dire è merito dei Fanfani, dei Moro, dei Mattei, degli Andreotti, dei Craxi, insomma di chi ci ha governato con la testa.

Un ultimo malizioso interrogativo: chi ha detto che la bomba atomica debba essere un privilegio di pochi e che sul nucleare chi ha avuto ha avuto? Certo il pensare ad armi nucleari nelle mani degli ayatollah mette i brividi. Ma, come già scritto, non è che in mano a Netanyahu e a tutti gli altri componenti del club dell’atomica mi ispirino tranquillità.

Se poi penso a Donald Trump che un giorno dice una cosa e il giorno dopo l’esatto contrario, che tratta su tutti i tavoli, che come unica preoccupazione ha quella di arricchirsi a livello famigliare e personale, che sotto sotto è amico di Putin e punta spudoratamente ad accordi con la Cina fregandosene altamente degli alleati, che sta istituzionalizzando la legge del più forte, vengo preso da autentica ansia generalizzata e paralizzante. Ho perso anche l’unico credibile e forte riferimento etico-culturale in materia di pace, vale a dire papa Francesco. Mi rimane soltanto Sergio Mattarella: che Dio ce lo conservi a lungo, almeno fino alla scadenza del suo secondo mandato presidenziale. Meno male che sono vecchio…

Concludo intingendo presuntuosamente la penna nel mio calamaio, riproponendo di seguito la riflessione religiosa, che parte dal Vangelo e che proprio oggi ho pubblicato su questo sito nell’apposita sezione.

Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno»”. Il nostro modo di parlare e di fare è spesso ambiguo. Nella nostra società è degno di ammirazione chi riesce a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Vale anche nei riguardi della guerra di fronte alla quale non abbiamo il coraggio di schierarci apertamente per il “no”. Troviamo mille giustificazioni per il “si”. No, ma in certi casi… Abbiamo paura di essere pacifisti: è paradossalmente quasi un’offesa. «Da uomo di Chiesa dico, come insegna la dottrina e il Santo Padre, che al male della guerra si risponde pregando il Dio della pace. Per il resto, di fronte ad atti che rappresentano la negazione dell’umanità, mi sento impotente ed incapace di dare risposte. Provo lo stesso sentimento di smarrimento espresso una decina d’anni fa dal compianto cardinale Carlo Maria Martini che, ad una domanda su come difenderci dai pericoli di attentati di estremisti islamici, rispose con disarmante umana sincerità: “Noi, che facciamo tante prediche e innumerevoli sermoni, per questi tragici eventi non abbiamo risposte adeguate, siamo come impotenti”. Oggi mi sento come il cardinale Martini» (cardinale Paul Poupard).

 

 

 

Il peggior club esclusivo a prova di…bomba atomica

È guerra tra Israele e Iran. Non più i raid circoscritti degli ultimi due anni. Per il regime degli ayatollah è una prova esistenziale. Dopo la prima ondata di raid notturni decine di droni Shahed – gli stessi forniti a Putin per attaccare l’Ucraina – sono stati lanciati contro Israele.

L’operazione “Leone nascente” è diretta contro il programma nucleare iraniano. L’intelligence israeliana sostiene che l’Iran ha attualmente abbastanza uranio arricchito per costruire 15 bombe nucleari. E anche l’Agenzia Onu per il nucleare nei giorni scorsi per la prima volta aveva segnalato attività iraniane incompatibili con il processo di produzione di centrali al solo scopo civile. Almeno 200 caccia, oltre a missili e droni hanno colpito fabbriche di missili balistici e altri centri militari. “Il regime iraniano lavora da decenni per ottenere un’arma nucleare. Il mondo ha tentato ogni possibile via diplomatica per fermarlo, ma il regime si è rifiutato di fermarsi”, ha dichiarato l’esercito israeliano.

Per Teheran è un colpo al cuore del regime, i cui vertici sono stati più volte decapitati da operazioni mirate israeliane. Anche negli attacchi delle ultime ore sono segnalati agenti operativi israeliani sul terreno, da dove hanno potuto dirigere il fuoco su obiettivi specifici e circoscritti. “Possiamo ora confermare che il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, il Comandante delle Guardie della Rivoluzione islamica e il Comandante del Comando di Emergenza dell’Iran sono stati tutti eliminati durante gli attacchi israeliani in Iran da parte di oltre 200 aerei da combattimento”. Lo ha comunicato una nota dell’Idf, le forze di difesa israeliane, riferendosi all’uccisione negli attacchi in Iran di Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, Hossein Salami, comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana e Ghulam Ali Rashid, comandante del comando iraniano Hatem al-Anbiya. “Questi sono tre spietati assassini di massa con le mani sporche di sangue internazionale. Il mondo è un posto migliore senza di loro”, commenta nel post l’esercito israeliano, celebrando il successo dell’operazione.

Il presidente Donald Trump, informato dell’attacco a inizio settimana, ha ribadito che gli Stati Uniti restano impegnati a risolvere la questione del nucleare iraniano attraverso la diplomazia, ma ha aggiunto che la Repubblica islamica deve prima rinunciare alla speranza di costruire un’arma nucleare. “Potrebbero diventare un grande Paese, ma prima devono rinunciare completamente alla speranza di ottenere un’arma nucleare”, ha aggiunto il tycoon. (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)

È proprio vero che le guerre sono come le ciliegie: una tira l’altra. A quella contro Hamas (meglio sarebbe dire contro i palestinesi) Israele ne aggiunge una contro l’Iran. Trump sta a guardare e ha tutta l’aria di usare Israele come cane d’assalto per poi ammansire gli ayatollah.

Il motivo ufficiale di questo attacco israeliano sarebbe (il condizionale è più che mai d’obbligo) il rischio di avere la bomba atomica in mano agli iraniani. La bomba atomica mi dà fastidio in mano a qualunque Paese, l’Iran non fa certo eccezione, tuttavia, lo dico paradossalmente e provocatoriamente, non so se essere più preoccupato del certo nucleare israeliano o di quello eventuale iraniano. Se gli equilibri internazionali si basano sulla forza, potrebbe scattare persino la pia illusione è che i “forzuti” possano annullarsi fra di loro come in certi procedimenti algebrici.

Il disarmo nucleare, che per tanto tempo ha rappresentato un obiettivo intermedio rispetto al raggiungimento di una vera e propria coesistenza pacifica, è diventato un optional per chi la bomba atomica ce l’ha da tempo e un obbligo per chi non ce l’ha. E allora giù guerre per evitare altre guerre: un gatto che si morde la coda.

I Paesi dotati di armi nucleari sono Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti: il peggior club possibile e immaginabile, che vuole essere esclusivo a prova di…bomba.

Qualcuno, a livello demenziale, sostiene che sarebbe una gran bella cosa che anche l’Italia ne fosse dotata. Con le atomiche non si scherza…

E in Europa? Il motivo per cui Francia e Inghilterra fanno la voce grossa è la loro dotazione nucleare: si fa sentire non chi ha migliori idee di pace, ma chi ha più forza di guerra. Così va il mondo.

Ho una residua speranza, vale a dire che la nuova guerra intentata da Netanyahu sia una dimostrazione di debolezza e di velleitario strapotere: le guerre sono spesso finite così, perché qualcuno ha fatto indigestione. Nel frattempo gli si sta consentendo di mangiare a crepapelle. La realpolitik non ha limiti!