La rialfabetizzazione senza alfabeto

Elena Granata è docente di Analisi della città e del territorio e di Geografia urbana al Politecnico di Milano. Le trasformazioni territoriali, sociali ed economiche sono da anni al centro della sua ricerca.

“Siamo vivi. Qui a Trieste, nei rispettivi territori. Abbiamo avvertito la brezza dello Spirito, abbiamo compreso, insieme, che occorre partecipare”. Elena Granata, Vicepresidente del Comitato scientifico, interviene all’assemblea dei delegati della Settimana sociale, per individuare alcune “prospettive”. Indica la necessità di non dimenticare “ciò che abbiamo fatto qui”, perché c’è “il rischio” di ritenere che “sia stato tutto un sogno”. “Si tratta di continuare ad attenerci alla dinamica partecipativa che abbiamo sperimentato in questi giorni”. Occorre del resto “rialfabetizzarsi alla democrazia, e questo vale per ogni generazione”. Aggiunge: “L’elaborazione politica, l’agire pensante chiede un linguaggio nuovo, un pensiero che sta nella complessità, sviluppando competenze”. Partecipazione e democrazia chiamano in causa i “luoghi, perché non si può mai essere estranei rispetto ai luoghi in cui viviamo”. “Oggi a Trieste ci sentiamo spinti dalla ‘Fratelli tutti’. E non vorremmo che Papa Francesco debba scrivere una ‘Fratelli tutti 2’ perché non abbiamo messo in pratica la prima”. La professoressa Granata ricorda che i delegati hanno “sperimentato alcune formule”. Anzitutto “le piazze della democrazia, per mostrare come la democrazia deve tornare nelle piazze delle città”. Quindi segnala i “dialoghi tra le buone pratiche, spazi nuovi di messa in rete”, domandandosi “cosa possiamo fare per essere utili e sfidanti per la politica”. Cita infine la possibilità di “promuovere luoghi di confronto e discernimento” tra persone impegnate in politica. (AgenSir)

Ebbene, sono rimasto molto colpito dalle frettolose dichiarazioni rese dalla suddetta professoressa (a cui va tutta la mia stima ed ammirazione) nell’intervento fatto al recente convegno milanese di ‘Comunità democratica’ sul ruolo dei cattolici in politica: ” Creare legami, guarire la democrazia, un impegno dopo la settimana sociale dei cattolici”.

Cito (quasi) testualmente): «…Non possiamo usare le parole di Sturzo e di Moro e pensare di cavarcela e sentirci a casa, perché quel mondo è finito e i giovani hanno bisogno di sentire parole nuove…».

Cara professoressa, se non prendiamo la rincorsa sfruttando la virtuosa scia dei testimoni del passato non andiamo da nessuna parte ed è proprio quello che sta succedendo. O abbiamo il coraggio di riscoprire e rilanciare i messaggi di impegno democratico e civile provenienti da personaggi come Moro, Dossetti, La Pira, Bachelet, Mattarella e altri o ci avventuriamo e impantaniamo in una sorta di improvvisazione di un futuro pseudo-democratico e pseudo-partecipativo. La rialfabetizzazione alla politica non si fa senza alfabeto…

Le consiglio di leggere alcune recenti dichiarazioni di Rosy Bindi nell’ambito di un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire”.

Domanda: «Lei era al fianco di Vittorio Bachelet al momento dell’agguato. Nel film lei lo definisce, al pari di Aldo Moro e Piersanti Mattarella, un martire della Repubblica».

Risposta: «Fu il cardinale Martini a definire l’assassinio di Vittorio Bachelet “martirio laico”, sottolineando che era stato «ucciso non in ragione della propria fede ma del proprio impegno civile». Sono convinta che lo stesso si debba dire per Aldo Moro e Piersanti Mattarella, uccisi brutalmente perché incarnavano la politica come speranza, come forma esigente di carità, secondo la bella definizione di San Paolo VI. Erano tutti e tre impegnati a ricucire le lacerazioni della società italiana di quegli anni. Moro sul fronte della politica nazionale, con il progetto di democrazia dell’alternanza. Mattarella a Palermo con quella Sicilia dalle carte in regola, in aperta discontinuità nel rapporto con i poteri occulti e criminali. Bachelet per l’equilibrio con cui esercitava il suo ruolo nel Csm, favorendo il dialogo tra magistratura e politica. Tutti uccisi per il loro servizio alla comunità».

Nell’attuale pur interessantissima e ammirevole elaborazione socio-culturale dei cattolici ritrovo gli storici limiti e difetti riconducibili ad una certa presunzione, che nell’analisi della professoressa Granata rischia di assumere i contorni di un sia pur comprensibile ansioso nuovismo. È necessaria tanta umiltà che discende dalla considerazione di un passato ricco di attualissima, prospettica e coraggiosa testimonianza.

Se ci illudiamo di affrontare il futuro girando pagina e inventando parole nuove, tradiamo le pagine e le parole della Costituzione. L’alfabeto è quello e gli insegnanti sono coloro che hanno dato la vita per rimanervi fedeli.

Penso che la professoressa Granata sarà d’accordo. In conclusione la mia non vuole essere una critica. Come direbbe mio padre: “A t’ capirè se mi a m’ permetriss äd criticär ‘na profesôrèssa”. Il mio è semplicemente un timido, anche se convinto, invito: mi permetto solo di consigliarle uno sforzo di completezza nella visuale storica. So benissimo che non è facile coniugare la radicata tradizione del cattolicesimo democratico col volatile nuovismo della cultura modernista, ma sarebbe un errore trascurare, sottovalutare o anche solo relegare nel pantheon le fulgide testimonianze del passato, autentico oro colato per affrontare le sfide del presente e del futuro.