La pseudo-pace anti-femminista

Il mondo, dicevamo, ha altro a cui pensare e la realpolitik suggerisce che bisogna sacrificare molta verità e molta giustizia se si vuole continuare a dialogare, perfino con i tiranni, per evitare guai peggiori. Accade con i taleban, perché non si può stare a guardare mentre si affacciano nuove fruttuose alleanze con Cina e Russia per lo sfruttamento delle miniere, e dunque si organizzano incontri sotto l’egida dell’Onu (Doha, 30 giugno) eliminando sia la presenza di donne sia la discussione dei dossier sul rispetto dei loro diritti. Cancellate.

Accade con l’Iran, e non da oggi. Le diplomazie stanno lavorando incessantemente per convincere gli ayatollah a soprassedere ai propositi di vendetta contro Israele per l’uccisione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sul loro territorio il 31 luglio. Giusto dialogare, ma come? E dimenticando cosa? Intanto il regime ha mano libera all’interno: così non desta il giusto scandalo il fatto che Narges Mohammadi, eroina della resistenza, premio Nobel per la pace 2023, nei giorni scorsi sia stata picchiata nel carcere di Evin, che non possa incontrare i suoi avvocati e che abbia iniziato uno sciopero della fame che ne mette a repentaglio la sopravvivenza. Né suscita orrore così come dovrebbe la triste vicenda di Arezou Badri, 31enne madre di due bambini, che dal 22 luglio giace in un letto d’ospedale, paralizzata a causa dei colpi d’arma da fuoco che l’hanno bersagliata mentre guidava, a capo scoperto, la sua auto nel nord del Paese.

E accade anche in Medio Oriente dove gli stupri feroci compiuti dai terroristi di Hamas nell’attacco del 7 ottobre 2023 sulle donne israeliane hanno fatto il paio con le atroci sofferenze inflitte a centinaia di migliaia di mogli, madri, sorelle, figlie di Gaza; dolore innocente, presto dimenticato, superato da nuove emergenze, da nuove diplomazie, da nuovi tentativi di mettere a tacere gli orrori.

La Guerra cancella le guerre ingaggiate contro le donne in molti Paesi del mondo. Nell’indifferenza di tutti gli altri. (dal quotidiano “Avvenire” – Antonella Mariani)

La donna è sempre stata discriminata a tutti i livelli e in tutti i sensi: su questo punto si sono sempre trovati tutti d’accordo, Regimi, Stati, Chiese, etc. etc.

È molto intelligente l’analisi di cui sopra: persino la ricerca della pace diventa un pretesto per trascurare i diritti delle donne. Come volevasi dimostrare: non si sta cercando la pace, ma un suo surrogato che resisterà fino al prossimo sternuto del dittatore di turno.

La pace senza giustizia non esiste e, se il prezzo per raggiungere una tregua qualsiasi è quello di accantonare i diritti, stiamo creando i presupposti per nuove guerre rivedute e scorrette. Respiriamo a fatica in una stanza angusta dove scarseggia l’ossigeno (richiesto dai diritti) e ci illudiamo di resistere rinunciando ed espellendo certi diritti anziché aprire la finestra per farli entrare.

L’obiezione che viene portata a questi inconfutabili ragionamenti è la cosiddetta realpolitik. In cosa consiste? Nel fatto che certi diritti sono più diritti di altri, che il compromesso non si può cercare fra i diritti (sarebbe una contraddizione in termini), ma fra gli interessi e che quindi alcuni diritti possano essere sacrificati sull’altare degli interessi forti.

Temo che questa impostazione di infimo profilo possa trovare ulteriore spinta nella presidenza di Donald Trump: un accordicchio con Putin non mancherà (tra simili ci si intende…), un equilibrio che andrà bene a Russia e Usa, con il peloso assenso cinese e con l’omertoso placet europeo; ad una guerra tra Russia e Nato sulla pelle degli ucraini non può che seguire una finta pace, che soddisferà un po’ tutti meno gli ucraini malamente governati da un irresponsabile Zelensky.

La potentissima lobby ebrea non mancherà di presentare il conto a Trump. Quindi, in medio-oriente carta bianca a Israele per portare a termine la pulizia e poi si vedrà: un accordicchio con i Paesi arabi si troverà (tra magnati ci si intende…). Solo il Papa avrà qualcosa da ridire. Parlando della crisi mediorientale Francesco ha evidenziato che «a detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se si inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali». Israele si è infuriato; i Paesi occidentali stanno a guardare e piangono tuttalpiù lacrime di coccodrillo; bisogna reprimere senza pietà chi protesta a favore del popolo palestinese; chi osa parlar male degli ebrei è un antisemita.

È storico l’aneddoto del padrone e del garzone. Il primo assaggia una bottiglia di vino e sentenzia che non va bene per il suo giovane aiutante: troppo brusco e forte! Ed accompagna questa lapidaria sentenza con un eloquente “brrr”. Il giovanotto non accetta la situazione e furbescamente risponde: «Cal spéta un minud…parchè a voi fär “brrr” ànca mi».

Le donne, rappresentanti emblematiche dei soggetti a rischio guerra/pace, in diverse parti del mondo stanno provando a fare “brrr”, ma la stanno pagando molto cara nell’indifferenza ideologica di troppi e addirittura nella pragmatica rassegnazione di tutti. L’aspetto paradossale sta nel fatto che per uno straccio di pace si stracciano le donne.

 

 

 

 

 

I sogni nella stiva

L’accordo su Fitto e Ribera come vicepresidenti della Commissione europea. Dopo giorni di veti incrociati sui candidati commissari di Italia e Spagna, si è trovata l’intesa tra Ppe, S&D e Renew, che verrà formalizzata alla plenaria del Parlamento europeo del 27 novembre. Alla fine l’accordo è arrivato in tarda serata. Dopo giorni di veti incrociati, popolari e socialisti si sono accordati per approvare la prossima Commissione europea. La commissione Affari regionali del Parlamento europeo ha dato il via libera alla nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione con delega alla coesione, mentre le commissioni Affari Economici, Industria e Ambiente hanno dato l’ok alla socialista Teresa Ribera come vicepresidente con deleghe alla concorrenza e al clima. Il via libera è arrivato anche per gli altri vicepresidenti esecutivi, Kaja Kallas, Roxana Mînzatu, Stéphane Séjourné, così come per il commissario ungherese con delega alla Salute e al Benessere animale, Olivér Várhelyi, seppure con le deleghe ridotte. (da Linkiesta)

Nella formazione della Commissione europea hanno giocato fattori di equilibrio geografico e fattori di equilibrio politico. Difficile garantire agli Stati membri una rappresentanza a prescindere dall’indirizzo politico dei loro governi; altrettanto difficile far prevalere l’indirizzo politico europeista sulle pretese degli Stati a vedersi comunque rappresentati; assai arduo tenere in vita un’alleanza tra socialisti e popolari di cui Ursula von der Leyen dovrebbe essere il perno, evitando il rischio che ella tiri a campare a tutti i costi andando per la tangente al fine di non tirare le cuoia.

Ursula ha bisogno di Giorgia quale terza gamba (di riserva) per sostenere una grande coalizione vieppiù scricchiolante; Giorgia ha bisogno di Ursula per rimanere nei giochi europei e internazionali che le consentono di coprire i propri enormi buchi a livello nazionale. É penoso che la politica europea si riduca a questi compromessi di bassa macelleria. Sì, perché le impuntature socialiste contro l’italiano Fitto e popolari contro la spagnola Ribera altro non sono che un paravento dietro cui trovare equilibri di mero potere fra Stati che di europeismo hanno ormai ben poco e fra partiti che di idealità e valori hanno solo un vago odore. Non scandalizziamoci poi se la Ue rimane nelle salde mani di uno sterminato esercito di burocrati, che non fanno gli interessi di Stati e partiti ma solo di loro stessi dandola inevitabilmente e politicamente su ai più forti.

Se i parlamentari europei, freschi di nomina, avessero un minimo di dignità dovrebbero far saltare gli accordi che si stanno delineando, ma anche loro terranno famiglia politica e lauto stipendio. Non vorrei essere, per certi versi, nei loro panni, condannati istituzionalmente all’irrilevanza, portati politicamente ad aderire a famiglie degeneri, costretti ad alzare la mano per non regalare anzitempo l’Europa al barbaro invasore Donald Trump.

Se fossi un parlamentare europeo voterei contro la Commissione nella sua interezza e non mi accontenterei di votare contro Raffaele Fitto che non rappresenta né l’Italia europeista né l’Europa unita. Sarebbe giusto che i cittadini europei tornassero alle urne per eleggere un Parlamento capace di avviare un processo in linea con gli interessi dei Paesi europei e con le aspettative di un mondo che si sta crogiolando nel disordine totale.

Non ho idea se questa eventualità possa essere ammessa e praticata. Sarebbe troppo pericoloso per Macron e Scholz, ai quali tutto sommato va bene così (fino a quando?), per Orban e c., che possono continuare a stare con il piede economico dentro e quello politico fuori, per Giorgia Meloni, che rischierebbe di trovarsi isolata, troppo euroscettica per i Paesi trainanti, troppo europeista per i Paesi sovranisti.

Il sogno europeo, l’unico sogno sognabile, sta diventando giorno dopo giorno una triste realtà. Mi resta soltanto l’orgoglio di aver votato, alle recenti elezioni europee, fuori dagli schemi, sprecando il voto sull’altare dell’europeismo, del pacifismo e dell’ecologismo. Lasciatemi almeno la libertà di sognare, costa poco e fa bene all’anima e al corpo.

 

La strategia della pescivendola

Netanyahu spacca l’Occidente. E il governo italiano si divide sul mandato d’arresto. Corto circuito dopo l’accusa spiccata contro il premier israeliano. Salvini accende la polemica: qui è benvenuto. Tajani: «La linea la decidiamo io e la presidente». L’irritazione di Meloni per le uscite dei ministri. (dal quotidiano “La Stampa” – Francesco Olivo)

La politica estera che doveva essere il punto debole di Giorgia Meloni, sulle ali di tatticismi filoeuropei (i complici sorrisi con Ursula von der Leyen), filoamericani (i bacetti di Joe Biden), filoucraini (gli ostentati abbracci con Zelensky), era diventata apparentemente il suo punto di forza, l’antidoto alle continue disgrazie governative interne.

La situazione internazionale però si è fatta molto complicata: in Medioriente i massacri continuano, in Ucraina non si vedono spiragli di tregua, negli Usa c’è l’incognita Trump, l’Unione europea viaggia sull’orlo del baratro dell’irrilevanza. Il gioco è molto difficile per tutti, immaginiamoci per il governo Meloni.

Israele è entrato nell’occhio del ciclone ed emerge inevitabilmente una doppia visione occidentale: da una parte quella del “qui comando io” (Netanyahu compreso), dall’altra quella trattativista, che, come sostiene Massimo Cacciari, è l’unica possibilità per la ricerca di un nuovo ordine internazionale guidata dall’Europa.

Di fronte a questo bivio strategico i nodi italiani vengono al pettine: Salvini straparla in favore di Israele nonostante il mandato d’arresto e gli attacchi ai militari italiani in missione Onu, Tajani si gonfia nella sua penosa ministerialità del nulla, Meloni non sa da che parte stare e che pesci pigliare (continua a catturare pesci nel mare del consenso più popolano che popolare).

Questa triplice versione governativa si profila anche nei rapporti con Donald Trump e di conseguenza con Ucraina e Russia: trattare o non trattare questo è il problema, difficile per chi non saprebbe comunque trattare e ha soltanto la forza dell’armiamoci e partite. Non vedo all’orizzonte bacetti trumpiani e intravedo magari il fantasma putiniano, ringalluzzito dalla subdola amicizia col suo omologo americano, che verrebbe a sporcare ulteriormente nella casa governativa italiana.

E che dire della guerra dei dazi che si sta profilando tra Usa ed Europa? Applausi comunque a Trump sotto gli occhi attoniti dell’imprenditoria italiana o neoatlantismo riveduto e corretto in favore degli interessi italiani ed europei?

Resta la girandola dei viaggi all’estero della premier italiana in cerca più di visibilità che di alleanze. Tajani dice che la linea la decide lui assieme al Presidente del Consiglio (sembra quel marito che rivendicava la propria autorità da sotto il letto). E il Presidente della Repubblica che non gira a vuota come Giorgia Meloni, ma muove passi di notevole intelligenza diplomatica (vedi recente viaggio in Cina)?

Netanyahu non spacca solo l’Occidente, ma anche il governo italiano e forse anche l’opinione pubblica del nostro Paese. Soprattutto però spacca le palle a chi vorrebbe qualche prospettiva di pace e di ordine in un mondo alla deriva.

 

 

 

 

Un papa impiccione, che tocca nel vivo

Dopo più di un anno di guerra e 44 mila morti tra i palestinesi, la Corte penale internazionale ha spiccato i suoi primi mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia e in Israele dopo il 7 ottobre 2023.

Nel mirino dei giudici della Camera preliminare sono finiti – su richiesta del procuratore capo Karim Khan – il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant (poi cacciato dallo stesso primo ministro), nonché il capo militare di Hamas, Deif, che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza. 

Immediata è stata la reazione indignata e irritata di Israele, a partire da quella dei due leader chiamati in causa: dall’Aja “una decisione antisemita” degna di “un nuovo processo Dreyfus”, ha tuonato Netanyahu attraverso il suo ufficio, mentre per Gallant la Corte “mette sullo stesso piano Israele e Hamas, incoraggiando il terrorismo”. Senza citare Deif, la fazione palestinese ha invece apprezzato “il passo importante verso la giustizia”. (ANSA.it)

Parlando della crisi mediorientale papa Francesco ha evidenziato che «a detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se si inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali». La risposta di cui sopra non ha tardato a farsi sentire. Era ora!

Quante sono le divisioni del papa? È questa la domanda sarcastica che si dice abbia fatto Stalin durante i colloqui di Yalta a chi gli suggeriva di tener conto anche delle opinioni del papa nel definire gli assetti geostrategici del dopoguerra.

Aggiorniamo l’episodio. Probabilmente Benyamin Netanyahu alle parole di papa Francesco sugli eventuali crimini israeliani a Gaza, avrà chiesto: «Quale potere giurisdizionale ha il papa?». Nessuno, gli avranno risposto. Poi è arrivata la Corte penale internazionale…Sarà un caso, forse solo una interessante coincidenza, forse solo il coraggio di formalizzare un’accusa che da tempo bolle nella pur “realpolitica” pentola mondiale, che Israele, con tutto il potere che ha, non è riuscito a tenere coperchiata.

Senza esagerare ricordiamoci che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Papa Francesco, in modo felpato ma incisivo, ha voluto forse esprimere questo elementare e popolare concetto. Chissà che, al di là delle stizzite reazioni, la posizione della Corte penale internazionale non serva a indurre Israele a più miti consigli. Biden e, più o meno, tutti i governanti occidentali ci hanno provato. Il papa ha parlato a nuora perché suocera intenda: la nuora (Corte penale internazionale) ha colto il richiamo; la suocera si è incazzata, ricorrendo al solito vittimismo antipalestinese, perché la verità fa male e la vendetta non porta da nessuna parte. E poi, non è stato spiccato mandato di arresto anche per il capo militare di Hamas? Ma Israele sostiene di essersi già fatta giustizia uccidendolo in un raid. Allora adesso è il turno dei capi di Israele…

Magari questa tosta suocera, che brontola a suon di bombardamenti a tappeto, ricorrerà al consuocero Trump: cosa sortirà da questo connubio? Il papa avrà di che impicciarsi!

 

 

 

Gli altaroni della nostra inciviltà

Terremoto nel carcere Pietro Cerulli di Trapani. Venticinque agenti penitenziari – accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti e falso ideologico – sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 sono finiti agli arresti domiciliari e 14 sono stati sospesi dal servizio. L’operazione, scattata martedì sera, ha portato anche a una serie di perquisizioni: in totale gli indagati sono 46. Le indagini, partite nel 2021, sono state portate avanti dal nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria di Palermo, con l’ausilio di alcuni reparti territoriali coordinati dal nucleo investigativo centrale. Durante la conferenza stampa organizzata dalla Procura di Trapani, che ha coordinato l’inchiesta, sono emersi episodi che, se confermati, sarebbero molto gravi.

«Nel reparto blu, oggi chiuso per carenze igienico sanitarie, venivano portati i detenuti in isolamento, con problemi psichiatrici o psicologici, e che subivano violenze e torture – ha spiegato il procuratore capo Gabriele Paci -. Alcuni agenti agivano con violenza non episodica ma con una sorta di metodo per garantire l’ordine». Un modus operandi in cui il gip Giancarlo Caruso, in alcuni casi, ha ravvisato gli estremi del reato di tortura. Particolarmente odioso il “trattamento” messo in atto in alcune occasioni. «A volte i detenuti venivano fatti spogliare – ha continuato Paci -, investiti da lanci d’acqua mista a urina e praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile».

Sono circa venti i casi di abusi scoperti dagli investigatori. Per descrivere meglio quello che accadeva al Cerulli, in quel reparto dove «non vi erano telecamere», il procuratore ricorre alla letteratura: «In questa sorta di girone dantesco sembra di leggere parti dei Miserabili di Victor Hugo». L’indagine si sviluppa dal 2021 dal 2023 sulla base delle dichiarazioni dei detenuti, approfondite e verificate. Il nucleo investigativo di Palermo ha seguito le indagini e installato le telecamere nascoste dalle quali emergerebbero le presunte torture. Nel delineare lo scenario, Il procuratore ha parlato anche dello stato di degrado dell’istituto e dello stress generale accusato dal personale di polizia penitenziaria, precisando però che «questo non legittima assolutamente le violenze». (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Birolini)

A questo punto viene spontaneo, oserei dire persino doveroso, chiedere al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro se prova intima gioia all’idea di far saper ai cittadini come vengono trattati i detenuti in certe carceri italiane. Lui che gioisce nell’incalzarli e non lasciarli respirare.

Voltaire, nel diciottesimo secolo, affermava: «Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri». Altro che gioire, c’è da vergognarsi nel vedere come è messo la torta carceraria italiana con tanto di macabra ciliegiona consistente nei suicidi tentati e riusciti che avvengono sistematicamente.

Giorgia Meloni ha così sgattaiolato: «Delmastro gode nel vedere non respirare la mafia, se questo vi scandalizza, ne prendo atto». Dalle cronache non sembrava che le parole del sottosegretario fossero riferite ai detenuti di stampo mafioso, ma, se anche così fosse, non sarebbero comunque accettabili.

Grave che un membro del governo si lasci andare a simili dichiarazioni puntualmente “aggravate” dai fatti riguardanti il trattamento riservato ai carcerati; gravissimo che il capo del governo non abbia almeno il buongusto di dissociarsi da simili idiozie etiche prima che politiche; ancor più grave che molti italiani si riconoscano in una disumana mentalità che giustifica torture e suicidi nelle carceri con la scusa di combattere la delinquenza (il fine non giustifica i mezzi…).

Aspettiamo cosà dirà il ministro Nordio, che, come minimo, da ex magistrato, avrebbe dovuto chiedere le dimissioni al suo sottosegretario e che ci dovrebbe dire cosa pensa e cosa intende fare di fronte a un vergognoso sistema carcerario come quello italiano.

Il discorso vale anche per tutti i precedenti capi del governo, per tutti i precedenti ministri della giustizia e per tutti i precedenti sottosegretari a questo dicastero. Qual è però la differenza? Che l’attuale esecutivo non tace, ma addirittura acconsente apertamente, cercando in tal modo di accarezzare la pancia dei cittadini “perbene”, dimostrando che purtroppo gli italiani, sotto-sotto e quando se ne presenta l’occasione, sono rimasti fascisti.

 

 

L’estrat äd confuzion

Interni ed esteri si accavallano, in un punto stampa di appena 15 minuti. Dall’Italia giunge anche la polemica sulle parole del ministro Valditara su immigrazione e violenza sulle donne. Meloni gira al largo ma in sostanza non critica pubblicamente il ministro leghista dell’Istruzione, anzi tende a “giustificarlo”. La premier rimarca l’«incidenza significativa dell’immigrazione illegale di massa» sul fenomeno, ma per aggiustare il tiro ammette che la questione è più ampia, «ci sono anche delle ragioni culturali, aumenta la violenza proprio mentre le donne acquisiscono più spazio», e quindi l’azione del governo è «a 360 gradi».

Molto più decisa la “difesa” del sottosegretario alla Giustizia Delmastro Delle Vedove sui detenuti che lo Stato non fa «respirare» dietro i vetri oscuri dei mezzi della Penitenziaria. La premier è gelida: «Delmastro gode nel vedere non respirare la mafia, questo ha detto, se questo vi scandalizza ne prendo atto». La difesa della premier si fonda sul contesto in cui il sottosegretario ha pronunciato la frase.

C’è modo anche per tornare sul caso-Musk, sulle parole del magnate e ormai membro del futuro governo Usa contro i giudici italiani. Meloni sta con Mattarella “ma anche” con il suo amico imprenditore. «Le parole del presidente della Repubblica sono state importanti – dice la premier a proposito della difesa della sovranità nazionale a opera del Colle -. Sono sempre contenta quando si difende la sovranità nazionale. Mi fa sorridere la sinistra che si straccia le vesti dopo essere andata a Scholz di dire chi votare in Italia e a chiedere all’Ue di aprire una procedura d’infrazione contro il Paese. Tra le tante imprese che Elon Musk ha portato a casa c’è anche quella di aver costretto la sinistra a rivendicare la sovranità nazionale, è più difficile che andare su Marte». (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Iasevoli)

Se non erro esiste una simpatica commedia dialettale parmigiana che si intitola “L’estrat äd confuzion”. Giorgia Meloni ne fa e ne dà un’interpretazione politico-romanesca. Il ministro Valditara ha ragione (come si fa a non colpevolizzare l’immigrazione illegale su tutto il fronte delle malefatte?), ma ha anche torto (come si fa a negare che la violenza sulle donne avvenga soprattutto in ambito famigliare?). Il sottosegretario Delmastro invece deve essere contestualizzato. Vi ricordate la contestualizzazione delle bestemmie di Berlusconi? Ora abbiamo la contestualizzazione in chiave antimafia delle cazzate di Delmastro.

Dulcis in fundo, il presidente Mattarella ha trovato un’interpretazione autentica delle sue parole: Mattarella difende la sovranità nazionale, ma Elon Musk non ha tutti i torti in quanto indirettamente costringe la sinistra a schierarsi con Mattarella e a convertirsi al patriottismo.

Simili contorsioni mentali sono degne della peggior politica politicante possibile e immaginabile. Alcuni miei conoscenti sostengono che Giorgia Meloni sia intelligente. Alla mia motivata contestazione ripiegano sul fatto che la premier sarebbe furba (forse furbastra rende meglio l’idea). Secondo un detto popolare, la furbizia è l’intelligenza degli stupidi.

Falstaff giustifica le goffe sconfitte, incassate con le sue ardite ma innocue avventure, con un “Son io che vi fa scaltri. L’arguzia mia crea l’arguzia degli altri”. Avrà Giorgia Meloni l’ironica umanità per adattare questa giustificazione al proprio comportamento politico? Difficile, anche perché l’arguzia degli altri (intendo i cittadini elettori) è tutta da verificare nel tempo e nello spazio. Per ora sembra più un rassegnato compatimento per una pericolosa furbacchiona.

 

Il brodo di cattura della sinistra

Passeranno alla storia come le elezioni che più astensioniste di così non si può, mentre commentatori, vincitori e vinti si guardano l’ombelico della loro politichetta di turno. Mi riferisco alle elezioni regionali in Emilia Romagna e in Umbria, che hanno visto il (quasi) trionfo (?) del centro-sinistra.

Attenzione però perché l’anagramma di “trionfo” è “tronfio”: il Pd non si illuda di avere trovato la quadra e la squadra della sua linea politica, non tanto per l’incognita delle alleanze future, ma per il carente approfondimento della propria identità e del proprio legame con il popolo della sinistra.

Mi sembra che il voto somministri un brodo abbastanza nutriente all’ammalato, ma è pur sempre un brodo in cui bisognerà far cuocere qualcosa di ben più consistente. Non si tratterà di chiedersi con chi sedere a tavola, ma occorrerà trovare gli alimenti genuini e nutrienti da mettere in tavola. A mia madre che si preoccupava in modo maniacale della pulizia della tovaglia, mio padre consigliava di puntare l’attenzione su quanto mettere sopra la tovaglia.

Non credo che il potenziale elettore di sinistra sia interessato al mix gestionale del ristorante, ma al menù da poter consultare. Per proseguire nella metafora, non avrà grande importanza se in cucina ci saranno o meno cuochi o sguatteri pentastellati, ma l’importante sarà che arrivino in tavola piatti invitanti e gustosi; non sarà di rilievo la presenza di gastronomi centristi che dissertino sui condimenti più o meno moderati e sugli impiattamenti più o meno tradizionali. L’appetito andrà innanzitutto stuzzicato e poi soprattutto soddisfatto con proposte culinarie semplici che non creino difficoltà digestive.

Nelle cucine dei ristoranti comanda lo chef e mi sembra che gli elettori, nonostante tutto, lo abbiano individuato nel partito democratico, che quindi si dovrà far su le maniche, lavorare sodo e smetterla di dissertare sui minimi sistemi.

L’aumento percentuale dei voti piddini non deriva però da scelte convinte da parte degli elettori: è in atto una sorta di cannibalismo strisciante ai danni del M5S, esperienza politica finita, complice la diatriba tra il doroteismo contiano e il velleitarismo grillino; il Pd sta rubando nelle cassette delle elemosine delle chiesette pentastellate, mentre dovrebbe frequentare le impegnative cattedrali dell’astensionismo. La politica deve recuperare la propria mission e non la ritrova nelle scaramucce all’interno del cosiddetto campo largo del centro-sinistra, ma nel rilancio di valori e di idealità in linea con la storia e la tradizione popolare di sinistra.

In un gioco di cerchi concentrici che parte da una situazione mondiale segnata dalla catastrofe delle guerre, dell’ambiente impazzito, da una democrazia messa a dura prova nel fortino americano che dal secondo dopoguerra ha garantito la pace nell’Occidente e ora assiste allo sconcertante risiko di nomi che Donald Trump ed Elon Musk spostano con disinvoltura sul loro scacchiere, passa per un’Europa che non decolla e arriva in un’Italia segnata da un clima di tensione che si sperava archiviato, i risultati delle elezioni regionali di Emilia Romagna e Umbria appaiono come un puntino. (dal quotidiano “Avvenire” – Roberta D’Angelo)

Trovo ridicolo preoccuparsi dei pruriti renziani, delle caldane contiane e delle velleità ipocondriache calendiane, siamo seri… Cosa propone il Pd in ordine alla povertà crescente, al territorio in sfacelo, alla sanità malata, all’istruzione trasandata, alla guerra rassegnata, e via discorrendo?

L’astensionismo in spaventosa crescita grida queste domande. Sembra che la politica italiana in fin dei conti dica paradossalmente: molti astenuti, molti voti. I partiti, Pd compreso, puntano a spartirsi le spoglie della democrazia? Si esercitano nel saccheggio ai danni degli aficionados del voto?  Si accontentano di predicare nel deserto dei tartari cioè di illudere a parole quanti si aspettano dalla politica eventi straordinari che possano darle un senso?

Buon lavoro ai presidenti De Pascale e Proietti: dovrebbero tradurre in concrete pillole regionali la politica che la gente sotto-sotto si aspetta anche se non ha più nemmeno il coraggio di sperare. Ogni cittadino tolto alla pessimistica ma giustificata sfiducia e riportato alla critica ma costruttiva partecipazione sarà un bel passo avanti per dare speranza a un Paese e ad un mondo disperati.

 

 

La guerra dei bottoni nel villaggio occidentale

«Non c’è alcun dubbio che la presidenza Trump farà grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa. Non necessariamente tutto in senso negativo, ma certamente noi dovremo prenderne atto. Mi auguro che ritroveremo uno spirito unitario con cui riusciremo a, come dire, trovare il meglio da questi grandi cambiamenti. Andare in ordine sparso? Siamo troppo piccoli, non si va da nessuna parte. L’Ue è pronta a una eventuale guerra commerciale con gli Stati Uniti? Ho appena detto che bisogna negoziare con l’alleato americano, in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei». Mario Draghi osserva anche che le indicazioni del Rapporto sulla competitività in Europa, «già urgenti, data la situazione economica in cui siamo oggi», ora «sono diventate ancora più urgenti dopo le elezioni negli Stati Uniti, perché, avverte «non c’è alcun dubbio che la presidenza Trump farà grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa». «Non necessariamente – osserva l’ex presidente del Consiglio – tutto in senso negativo, ma certamente noi dovremmo prenderne atto. Dal punto di vista della prospettiva del Rapporto, quindi del rilancio della competizione in Europa, un paio di cose che vengono in mente sono che questa amministrazione sicuramente darà grande impulso ulteriore al settore tecnologico, al cosiddetto high tech, dove noi siamo già molto indietro e questo è il settore trainante della produttività». «Già ora – ricorda Draghi – la differenza della produttività tra gli Stati Uniti e l’Europa è molto ampia, quindi noi dovremmo in un certo senso agire e gran parte delle indicazioni del Rapporto vanno proprio solo su questo tema». «L’altro esempio – rileva – è che sicuramente si sa poco cose di quello che succederà esattamente, ma una sembra più sicura delle altre, e cioè che Trump tanto impulso lo darà nei settori innovativi e tanto proteggerà le industrie tradizionali, che sono proprio le industrie dove noi esportiamo di piu’ negli Stati Uniti». «Quindi – è la via indicata da Draghi – lì dovremo negoziare con l’alleato americano, con uno spirito unitario in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei». (dal quotidiano “Avvenire”)

Gradirei che Mario Draghi mi spiegasse quali possano essere le conseguenze positive per l’Europa derivanti dalla presidenza Trump. Solo un pragmatico filoamericano come lui le può vedere e magari anche coltivare. Io vedo nero! Mia sorella voleva far bere agli arabi il petrolio con cui ci ricattano dal punto di vista politico-commerciale, ma la nostra economia dipende dal petrolio quindi… Ora bisognerebbe poter reagire con altrettanti dazi a quelli prevedibili sulla sponda americana: la guerra dei dazi. In questo ha perfettamente ragione Draghi quando sostiene che non c’è alternativa al negoziato con l’alleato (?) americano.

Bisognerebbe però presentarsi a queste trattative non in europeo ordine sparso, ma con una Ue unita se non addirittura compatta. Qui viene il bello. D’altra parte Trump non ha forse patrocinato la brexit e non lascia intendere di patrocinare subdolamente gli intendimenti divisivi dei sovranisti europei?

Ogni simile ama il suo simile! Effettivamente l’unica conseguenza positiva che vedo, peraltro solo in teoria, è quella di una spinta al rilancio unitario della Ue. Teniamo conto poi che anche Trump non potrà andare contro tutti e tutto, avrà pur bisogno di qualche alleato sulla scena internazionale. Saranno pronti gli europei a smettere le serenate occidentali almeno per parlare di affari con gli Usa.

Mi sembra che la missione in Cina del presidente Mattarella abbia avuto proprio il significato di rompere l’eventuale accerchiamento doganale da cui l’Europa e l’Italia potrebbero essere condizionati. Occorrerebbe un grande livello della classe politica europea, cosa che non vedo nel modo più assoluto. Il governo italiano traccheggia, i suoi esponenti più ignoranti stanno cercando di salire sul carro del vincitore, non abbiamo politica estera da tempo, in Europa non contiamo niente e giochiamo a nascondino. Peggio di così. Sulla già insipida e poco appetitosa torta europea mancava solo la ciliegiona Trump…

 

Il libro (Del)mastro della destra-destra

Il sottosegretario Delmastro: “Non lasciamo respirare chi sta sull’auto della polizia penitenziaria”. Le parole del sottosegretario alla Giustizia nel corso della presentazione della nuova auto della Polizia: “L’idea di far sapere ai cittadini come noi trattiamo chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi incalziamo chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato, è per il sottoscritto una intima gioia”.

 

Ddl Sicurezza, Manconi: “Parole di Delmastro meritano analisi clinica non politica”. Durante un evento all’Università La Sapienza incentrato sui Ddl sicurezza, Luigi Manconi ha espresso una dura critica nei confronti delle dichiarazioni del sottosegretario Andrea Delmastro, affermando: “Io non penso che meritino un’analisi politica, ma un’analisi clinica. Utilizzando strumenti provenienti dalla letteratura scientifica in materia di psicopatologia, sociopatia e parafalia del disturbo del sadismo.” Manconi ha poi sottolineato l’importanza di conoscere a fondo i decreti sicurezza, invitando i partecipanti a valutarne attentamente le conseguenze: “Per tutta la giornata parlerete dei decreti sicurezza. È fondamentale conoscerli bene, saperli indagare, valutarne le conseguenze e contestarli. Questi decreti si inseriscono in un clima culturale che riguarda tutti noi.”

 

Sono a dir poco indignato di fronte ad un componente del governo che esterna certi sentimenti, considerando la giustizia come una sadica vendetta. Ancor più grave è il fatto che gran parte della gente possa condividere queste impostazioni di stampo fascista.

E poi, come si fa a mettere d’accordo tanta spietata smania vendicativa col garantismo praticato nei confronti di certi governanti: dietro i vetri oscurati delle macchine della polizia ci potrebbe stare anche la collega di Delmastro, quella Daniela Santanchè, che resta imperterrita al suo posto nonostante i capi d’accusa che pendono sulla sua testa. Sia chiaro, personalmente non avrei alcun gusto o retrogusto vedendo Santanchè in manette. Quando mi capita di vedere simili immagini provo un senso di umana compassione e di politico desiderio verso il recupero di chi sbaglia. Voglio solo mettere in evidenza contraddizioni insanabili.

Il giudizio sulla classe politica che va per la maggiore è: “Sono tutti uguali…”. Non è vero! Stando al caso in questione non mi sembra proprio che Andrea Delmastro e Luigi Manconi siano uguali. Mia sorella sosteneva che questo generico giudizio, sbrigativamente lanciato contro i politici, altro non è che l’alibi per chi vota a destra e, vergognandosene, tira in ballo giustificazioni inaccettabili.

Un conto è la sofferta, critica e ragionata astensione dal voto, un conto è lo svaccamento totale della politica che prelude all’egoismo fatto voto a destra: negli Usa è successo così, in Italia sta succedendo più o meno così.

Non cadiamo nell’errore di assimilare l’astensionismo dal voto col mero qualunquismo di cui sopra: faremmo un ulteriore favore alla destra che, pur essendo minoranza della minoranza degli italiani, si erge a depositaria del consenso ante litteram.

In questo momento storico chi è convintamente di destra vota a destra, non ha bisogni di astenersi. Chi non è di destra o dubita che questa destra sia una cosa seria può anche arrivare all’astensione. Auspico che aumenti la quota di chi si rende conto dello scempio in atto da parte della destra (i figli prodighi che tornano a casa) e che si cerchi da parte della sinistra di recuperare un po’ della credibilità e dei voti perduti.

Su tutto ciò grava un macigno storico-culturale, sintetizzabile nella impietosa analisi che faceva mia sorella Lucia delle magagne del popolo italiano. Lo diceva con la sua solita schiettezza e in modo poco aulico ed elegante, ma molto efficace: «Gli italiani sono rimasti fascisti».

E purtroppo andava anche oltre i confini nazionali: lasciava perdere gli schemi politici tradizionali, che, a livello europeo, servono a coprire una sostanziale e generalizzata conservazione o addirittura un’opzione reazionaria. Quando mia sorella andò, in rappresentanza del movimento femminile della Democrazia Cristiana, in visita alle istituzioni europee, tornò a casa estremamente delusa e, col suo solito atteggiamento tranchant, disse fuori dai denti: “Sono tutti dei mezzi fascisti!”. Credo che un po’ di ragione ce l’avesse. Penso volesse dire che non credevano in un’Europa aperta, solidale, progressista e partecipata, ma erano chiusi in una concezione conservatrice se non addirittura reazionaria. Può darsi che da allora la situazione sia addirittura peggiorata. Chissà cosa direbbe oggi alla luce del trumpismo, del populismo e del sovranismo. Lo immagino e non mi azzardo a scriverlo per non esagerare alle sue spalle.  A livello europeo lo scricchiolante accordo su cui si basa Ursula von der Leyen non è forse la ricerca del male minore, vale a dire un accordo fra chi dice di essere meno conservatore, meno reazionario, meno fascista: il compromesso ipotizzabile ai livelli più bassi.

 

 

Incostituzionale, ma solo un pochettino

Autonomia, non così. E di certo non accentrando la scelta più importante, quella dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni per i diritti sociali e civili, nelle esclusive mani del governo. La Consulta dichiara incostituzionali norme centrali della legge Calderoli, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge posta da quattro Regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania).  (dal quotidiano “Avvenire”)

Anche la Corte Costituzionale ce l’ha col governo? Un altro nemico contro cui combattere? Anche se la sentenza della Consulta assomiglia molto a quella della madre premurosa e perbenista, citata in un aneddoto ricordato dal grande Enzo Biagi, la quale, di fronte alla giovanissima e nubile figlia incinta, ammetteva con la gente: “Sì, è incinta, ma solo un pochettino…”.

Incostituzionale, ma solo un pochettino. Il governo vede il bicchiere mezzo pieno e dichiara di volere comunque andare avanti con questo provvedimento; le regioni ricorrenti e le opposizioni vedono il bicchiere mezzo vuoto e incassano l’altolà della Corte come un relativo successo politico.

Prescindendo dal merito di questa raffazzonata novità legislativa, bisogna considerare che è stata mercanteggiata tra Meloni, Salvini e Tajani: della serie una a te (il premierato), una a te (l’autonomia regionale rafforzata), una a te (la riforma della giustizia). Tre indizi che fanno la prova di un governo a dir poco pasticcione e anti-democratico.

Tre attacchi sconsiderati alla Costituzione. L’unica consolazione sta nel constatare il pressapochismo con cui il governo affronta questa delicatissima materia ed è molto probabile che alla fine si debba fermare per non cadere sotto i colpi referendari. Riformare la Costituzione non è un divertimento innocuo per governanti scemi.

Il dato emergente è quello di un governo meramente mediatico (altra subdola riforma quella della Rai): non so fino a quando potrà durare questa menata del consenso sondaggistico ed elettorale. Forse li aiuterà il genio di Elon Musk.

Quando Silvio Berlusconi pensò di scendere in politica, gli esperti gli consigliarono di puntare su due o tre questioni sensibili quanto inconsistenti, una delle quali era l’anticomunismo (è detto tutto…). Aggiunsero però che dopo qualche mese gli elettori si sarebbero svegliati e il giochino sarebbe stato scoperto. In parte, solo in parte purtroppo, andò così, per merito di Umberto Bossi e non tanto per la ritrovata lucidità popolare. Berlusconi aggiustò il tiro e andò avanti per parecchio tempo e anche ai giorni nostri la sua “lezione” funziona.

Però non c’è più Berlusconi, non c’è più Bossi e non c’è più Fini e quindi aumenta la speranza. In effetti c’è una bella differenza fra il trio Berlusconi-Bossi-Fini (c’era di mezzo anche Casini) e l’attuale trio Meloni-Salvini-Tajani (c’è di mezzo anche Lupi). È pur vero che è meglio avere a che fare con personaggi intelligenti e scomodi piuttosto che con personaggi sciocchi e quindi furbastri ed apparentemente innocui. Verso i primi si può ipotizzare una difesa, verso i secondi solo la fuga (ed è quello che sta succedendo, nelle urne e nel disimpegno politico-sociale).

Anche allora i magistrati erano nel mirino perché ce l’avevano con Berlusconi. Ci fu Giorgio Napolitano che fece un capolavoro. Oggi c’è ancora la Magistratura e c’è Sergio Mattarella. La gente non si rende conto oppure finge di non capire oppure se ne frega altamente. Nel primo caso si potrebbe prevedere prima o poi un risveglio; nel secondo caso si potrebbe ipotizzare un razionale cambio di miglior offerente a cui vendere cervello e coscienza; nel terzo caso, il più grave e irreversibile, il menefreghismo alla lunga ci potrebbe portare al disastro (come sta già avvenendo).