Ruffiani sì, Ruffini no

Le dimissioni di Ernesto Maria Ruffini dalla direzione dell’Agenzia delle entrate sono in un certo senso la sintesi delle contraddizioni di un sistema avviato a diventare sempre più un vero e proprio regime a cui danno fastidio i funzionari che rispondono alla propria coscienza e alla Costituzione e non agli indirizzi, peraltro sconclusionati, del governo.

Anche a prescindere dall’attuale momento politico, esiste un problema di compatibilità fra la dirigenza della pubblica amministrazione e la dirigenza governativa: difficile delineare regole e condizioni del rapporto tra chi governa e chi guida la macchina operativa dello Stato. La burocrazia tende ad essere autoreferenziale e a bypassare le fonti normative piegandole spesso alla propria continuità di vita. Il governo tende a considerare la burocrazia come terreno di conquista, come macchina da guidare a proprio uso e consumo e non nell’interesse pubblico.

Credo che Ruffini sia rimasto schiacciato in questa tenaglia esercitando un sacrosanto diritto di critica nei confronti degli indirizzi governativi in materia di lotta all’evasione, condotta a forza di condoni e tarpata da una concezione minimalista del fisco visto come elemento di disturbo della quiete pubblica e non come fattore di equità contributiva e di redistribuzione reddituale.

Resta da chiedersi il perché Ruffini sia riuscito a trovare un modus vivendi coi precedenti governi e abbia invece registrato un insopportabile cortocircuito con l’attuale compagine governativa e in particolare con i ministri di riferimento. Evidentemente è cambiata l’aria che è diventata irrespirabile per chi voglia mantenere un minimo di autonomia a livello professionale e dirigenziale. Questo clima è tipico dei regimi anti-democratici!

Male ha fatto però Ruffini ad offrire su un piatto d’argento le farisaiche motivazioni a chi lo voleva emarginare: il suo pur legittimo interesse alla politica spicciola ha scatenato un processo alle intenzioni teoricamente incompatibili col ruolo amministrativo ricoperto. Così facendo, chi aveva mille ragioni per segnare la propria autonomia di giudizio e di comportamento rischia di passare dalla parte del torto con buona pace per il governo e le sue scorribande fiscali.

Non sono per mia natura ed esperienza portato a santificare i pubblici operatori, mantenendo verso di essi un innato scetticismo, ma non posso accettare le intromissioni governative a loro carico, l’insofferenza alla loro professionalità se non condita con l’opportunismo. Di opportunismo in giro ce n’è parecchio, basti pensare alla Rai trasformata in bollettino meloniano con l’assenso dei giornalisti che legano l’asino dove vuole il padrone di turno.

Da bambino ho chiesto ripetutamente a mio padre di darmi alcuni ragguagli su cosa fosse stato il fascismo. Tra i tanti me ne diede uno molto semplice e colorito. Se c’era da scegliere una persona per ricoprire un importante incarico pubblico, prendevano anche il più analfabeta e tonto dei bottegai (con tutto il rispetto per la categoria), purché avesse in tasca la tessera del fascio e ubbidisse agli ordini del federale di turno. «N’ éra basta ch’al gaviss la tésra in sacòsa, po’ al podäva ésor ànca un stupidd, ansi s’ l’éra un stuppid, ancòrra méj…».

Per dirla con mio padre, evidentemente Ernesto Maria Ruffini non corrispondeva ai suddetti cliché e ha dovuto trarne le conseguenze. Auguro a lui un roseo futuro professionale. Quanto all’eventuale carriera politica che non gli può essere minimamente preclusa, non vorrei che diventasse la buccia di banana su cui far scivolare la sua esemplare dignità.

 

 

 

Il lagerismo all’italiana

È durissimo il giudizio del Consiglio d’Europa sui Cpr d’Italia. Non è una novità che si alzino voci di dissenso contro i Centri di permanenza per il rimpatrio ma è la prima volta che arriva un rapporto-choc dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale non Ue con sede a Strasburgo. Migranti maltrattati e sedati con psicofarmaci, l’organo anti-tortura del Consiglio d’Europa, non usa mezzi termini e afferma di «aver riscontrato diversi casi di presunti maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia». Inoltre, nel report si rileva «la pratica diffusa della somministrazione di psicofarmaci non prescritti e diluiti in acqua, come documentato nel centro di Potenza». (dal quotidiano “Avvenire” – Daniela Fassini)

Il CPT non è un organo investigativo, bensì uno strumento non giudiziario, a carattere preventivo, destinato a proteggere le persone private della libertà dalla tortura e da altre forme di maltrattamenti. Affianca e completa in tal modo le attività giudiziarie della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Questa notizia da una parte mette i brividi e ci sprofonda nella più vergognosa delle inciviltà, dall’altra parte oserei dire che risulta quasi ovvia in un sistema che sopporta in genere una situazione carceraria insostenibile che si sta addirittura tentando di peggiorare (vedi trattamento delle madri incarcerate e dei loro figli in tenera età).

In poche parole, se trattiamo male i nostri connazionali, o comunque le persone soggette alla nostra giurisdizione, detenuti nelle patrie galere, figuriamoci come potremo trattare i migranti in attesa di essere rimpatriati. Come volevasi dimostrare. Con la differenza che i migranti non sono colpevoli di reati da galera, ma solo di aver tentato di introdursi nel nostro territorio, più o meno clandestinamente, in cerca di umana sopravvivenza.

Il suddetto Comitato ammette le difficoltà nella gestione dei Cpr, ma chiede almeno che esista un organo terzo che sovrintenda e che controlli sistematicamente le situazioni. Campa cavallo che l’erba (non) cresce.

Ora partirà la difesa d’ufficio. Le colpe, come al solito, ricadranno sulla Ue che non è capace di coordinare la gestione dei migranti, sulle Ong che proditoriamente salvano i migranti e ne incoraggiano il flusso, sui buonisti che vogliono accogliere tutti indistintamente.

Mi viene spontaneo fare un parallelo fra le torture gratuite che vengono inflitte agli animali destinati al macello e quelle riservate ai migranti destinati al rientro nella loro disgraziata patria. Già azzardare tale paragone è qualcosa di inumano, ma purtroppo penso sia drammaticamente realistico. Mia madre direbbe che queste persone vengono trattate “cme i rosp al sasädi”. E in questa metafora ci sono due livelli di inciviltà: il fatto di considerare i migranti come rospi, ma non basta perché c’è il seguito della sassaiola.

Dal momento che non li possiamo accogliere il buongusto vorrebbe che almeno li trattassimo decentemente in attesa di rimpatriarli. Nossignori, li accatastiamo come rifiuti in attesa del loro smaltimento.

Poi non possiamo più stupirci di niente, non possiamo gettare pietre contro le fosse comuni, contro gli eccidi, contro le torture perpetrate in altre zone calde del pianeta. Abbiamo i nostri abbondanti peccati che ce lo impediscono.

La rana e il bue

La più chiacchierata, la più discussa, la più invidiata indubbiamente è lei, considerata personaggio dell’anno e persona più importante d’Europa dall’autorevole testata americana: “Politico” che ogni anno stila la top ten dei personaggi più influenti del mondo. Giorgia Meloni arriva sul podio. E se a livello europeo la considerazione del nostro Presidente del Consiglio acquista punti, questo lo si deve al fatto che in un decennio da ultra nazionalista che era Giorgia Meloni è diventata primo interlocutore con cui sia Europa che Usa possono fare affari. Se sul web impazza il suo bacio con Elon Musk frutto di uno scherzo montato con l’intelligenza artificiale, c’è da dire però che se si vuole interloquire con il magnate americano e consigliere chiave del presidente eletto Trump, sicuramente un buon mediatore è la Meloni. Questa è la motivazione per cui, la testata americana Politico nella sua versione europea, attribuisce il titolo di “persona più potente d’Europa” al primo ministro italiano. Se prima le sue decisioni sulla politica migratoria e i diritti gay e lesbian erano condannate, adesso sono guardate con indifferenza e persino approvazione. La testata a stelle e strisce afferma che: “La Meloni ha fatto notizia in tutto il mondo quando è diventata la prima donna Primo Ministro italiano”, ma pochi avevano previsto che sarebbe durata a lungo in carica. Gli esperti si aspettavano che le lotte intestine avrebbero inevitabilmente diviso la sua coalizione di governo composta da partiti di destra e invece è ancora lì in piedi a navigare con il vento in poppa l’intricato esecutivo nazionale. E nel biennio appena trascorso stime alla mano e volenti o nolenti la premier italiana Giorgia Meloni ha consolidato il suo governo come uno dei più stabili esistiti nell’Italia del dopoguerra. (da “Lo Speciale”)

E allora io sono la persona più debole del mondo e me ne vanto. Sì, perché se Giorgia Meloni è potente, io voglio essere debole a tutti i costi. Non ho capito se ci sono seri motivi dietro questa cavolata mediatica americana. Qualcuno sostiene che si tratti di una sorta di investitura diplomatica propedeutica allo svolgimento della funzione di problematico raccordo fra lo sbracato populismo trumpiano e l’elegante populismo meloniano: il neo-atlantismo rivisto in chiave populista.

Qualcosa di vero probabilmente ci sarà complice il potere mediatico di Elon Musk. Aggiungo una mia insinuazione fantapolitica. Vuoi vedere che il patto tra Meloni e Von der Leyen prevede questa paraculata filoamericana? Un modo, per i politicanti europei, di coprirsi le spalle contro i pericoli socio-economici di origine trumpiana.  Un modo, per Giorgia Meloni, di coprire una smaccata opportunistica svolta internazionale: le porte girevoli, si esce da stanza Biden e si entra in stanza Trump.

Preferisco scherzarci sopra anche perché tutto ha un limite. La realtà mediatica si sta da tempo distinguendo dalla realtà politica: siamo arrivati al massimo della frattura. Il pallone si sta gonfiando a dismisura e prima o poi dovrà scoppiare come successe alla rana che voleva imitare il bue. Temo che la deflagrazione però non sarà indolore. Nell’attesa conviene fingere, abbozzare, esagerare: Giorgia Meloni è la più potente di tutti i tempi!

La civiltà dell’inferno

Dieci chilometri al largo di Lampedusa. Gridava aiuto nel buio della notte, aggrappata a due camere d’aria. Una bambina di 11 anni, che dice di chiamarsi Yasmine e di provenire dalla Sierra Leone, è stata salvata alle 3:20 di mercoledì 11 dicembre a dieci miglia da Lampedusa dall’equipaggio della nave Trotamar III, dell’organizzazione non governativa tedesca Compasscollective. La piccola ha raccontato di essere sopravvissuta per tre giorni in mare dopo il naufragio del barchino su cui viaggiava con altre 44 persone, tra cui suo fratello. La carretta del mare sarebbe partita da Sfax, in Tunisia. Pare essere l’unica sopravvissuta: gli altri migranti sono, al momento, dispersi. (da wired.it)

Non indulgo a istintive ed emotive espressioni e non mi interesso all’inchiesta che vorrebbe appurare la verità sulla vicenda di questo ennesimo naufragio. Preferisco rifarmi al breve commento rilasciato da Massimo Cacciari durante la presentazione del suo libro “La passione secondo Maria” avvenuta nel programma Rai “Quante storie”: un libro che analizza in modo stimolante ed affascinante la figura di Maria madre di Gesù, lasciandosi guidare soprattutto ma non solo dal dipinto della Madonna del parto di Piero della Francesca.

Dopo aver visto la foto del drammatico salvataggio di questa bambina il noto filosofo ha dichiarato testualmente: «Da vent’anni assistiamo a queste cose e anche più, c’è un trauma, uno choc iniziale e poi non si riflette. Se questo è il nostro modo di accogliere e di donare, a quale civiltà apparteniamo? Alla civiltà emergente dalle immagini di Maria o all’inferno. Di chi siamo figli?».

Da credente mi trovo perfettamente in linea con queste ficcanti parole di un laico. Aveva ragione il cardinale Carlo Maria Martini quando affermava: «C’è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere».

Don Andrea Gallo diceva: «Io trovo del cristianesimo negli altri, trovo del cristianesimo nell’ateo… cioè la buona novella. Chi mi dà una buona notizia è un evangelista».

Quanto al merito del commento di Massimo Cacciari, vorrei sottolineare come egli abbia colto il nocciolo del problema dell’accoglienza ai migranti: una questione di civiltà. Se ci riteniamo persone civili abbiamo l’obbligo di rapportarci ai migranti in modo serio, diversamente cadiamo nell’inciviltà camuffata da realismo, da stato di necessità, da gestione dei flussi, da guerra agli scafisti, da politica europea, etc. etc. Tutte balle che stanno in poco posto. Il discorso vale per tutti, a maggior ragione per chi si considera cristiano.

Infatti «il cristiano non potrà mai accettare che carità fraterna, solidarietà, accoglienza siano variabili da sottomettere alle necessità della realpolitik» (Enzo Bianchi, Priore della comunità monastica di Bose).

 

 

 

 

Si muore anche di sanità pubblica

Non saprei come definire il sistema socio-politico americano: liberista? liberale? capitalista? consumista? tecnocratico? Di tutto un po’ in salsa populista trumpiana.

Ebbene questo tanto osannato sistema (non certo da me!) in questi giorni ha mostrato in modo paradossale i suoi limiti: il killer di un autorevole esponente della sanità privata ha sparato anche un implacabile atto d’accusa contro il contraddittorio, ingiusto, inaccettabile assetto sanitario degli Usa.

Interventi per cancro negati. Chemioterapia non rimborsata. Anziani dimessi prima del tempo e contro il parere dei medici. E rabbia, tanta rabbia. L’arresto del presunto killer del Ceo di United Healthcare, identificato come Luigi Mangione, un 26enne di origini italo-americane, incriminato per 5 reati, non ha messo un coperchio sul vulcano di frustrazione esploso dopo l’esecuzione a sangue freddo, nel centro di Manhattan, di Brian Thompson mercoledì scorso. Perché le emozioni contro le mutue private Usa sono in ebollizione da anni. (dal quotidiano “Avvenire” – Elena Molinari)

Al paradosso di uno Stato libero che uccide i suoi cittadini negandogli assistenza sanitaria risponde il paradosso di una protesta che uccide le persone simbolo del sistema sanitario. Occorre arrivare a tanto per mettere in evidenza le cose che non vanno? Se è così, c’è qualcosa che non va nella cosiddetta più grande democrazia del mondo. Non c’è alcuna garanzia che alle ingiustizie di base ci si possa opporre in modo non violento sul piano sociale e non demagogico sul piano politico? Dove stanno i diritti della persona umana? Nelle titubanze colpevoli di Biden e nelle delinquenziali fanfaronate di Trump?

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata mondiale dei Diritti Umani ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Nella vita della comunità internazionale, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta una tappa fondamentale, riconoscendo l’insopprimibile dignità della persona, principio che ispira la nostra Costituzione. Nonostante la sottoscrizione della Dichiarazione da parte degli Stati aderenti alle Nazioni Unite, i diritti umani continuano a essere minacciati e violati in diverse parti del mondo. Violenze e abusi nei confronti delle donne, dei bambini e dei soggetti più fragili sono accadimenti quotidiani, soprattutto laddove sono in corso conflitti armati. In alcuni Paesi le più elementari libertà democratiche sono brutalmente ignorate, e perfino l’esercizio del voto – cardine di ogni democrazia – è vanificato. In una congiuntura internazionale caratterizzata da crisi occorre ribadire la necessità della tutela dei diritti di ogni persona, in ogni circostanza. In occasione della Giornata che sottolinea la centralità dei diritti umani, la Repubblica riafferma il valore delle norme del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, senza le quali è illusoria ogni prospettiva di pace duratura e di sviluppo dei popoli».

Non credo che Mattarella si riferisse anche agli Usa, personalmente invece sono portato ad allargare il discorso anche a chi fa finta di difendere i diritti umani per poi metterseli bellamente sotto i piedi. Negli Usa i malati si devono arrangiare, i cittadini si devono guardare dalla tremenda invadenza delle forze di polizia, gli inermi si devono dotare di giubbotti antiproiettile contro un uso permissivo delle armi.

In materia di diritti umani, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Se poi andiamo sul terreno dei rapporti internazionali, non ne usciamo vivi. Non intendo divagare strumentalmente. Cosa voglio dire? Che la democrazia è lungi dal trovare attuazione nel sistema capitalistico occidentale di cui gli Usa sono storicamente gli antesignani.

Recentemente una persona amica mi ha definito socialista-socialista-socialista. Ebbene mi ha fatto un grande complimento. Sono socialista dal punto di vista etico (i diritti umani appunto… e accoglienza verso chi soffre), sono socialista a livello dei rapporti fra le persone (massima considerazione per i sindacati dei lavoratori e per tutte le forze intermedie della nostra società), sono socialista sul piano politico (non partitico) nel senso che credo nell’intervento dello Stato nella soluzione dei problemi sociali (disoccupazione, sicurezza nel lavoro, emancipazione femminile, etc. etc.), sono socialista finanche nel coniugare la mia fede cristiana con l’impegno a favore del mio prossimo.

A questo punto non posso esimermi dal fare riferimento all’eredità culturale proveniente da mio padre, che era a tutti gli effetti un socialista dal volto umano.

Devo dire, ad onor del vero, che mio padre non ebbe mai in tasca tessere di partito: da quanto diceva al riguardo ho dedotto che non fosse assolutamente una scelta qualunquistica, ma al contrario un modo per mantenere intatto il suo incontenibile spirito critico e per dare sfogo al suo libero pensare.

Mio padre non era fatto per il gioco di squadra, non accettava schemi precostruiti, non era un militante. Temeva (aveva quasi un complesso al riguardo) i fanatismi, forse perché ne aveva visti troppi, e quindi riteneva di non rischiare non aderendo ad alcun partito politico. Questo non gli impediva di elaborare le proprie scelte, di esprimere le proprie idee e di partecipare al voto (cosa che aveva fatto con coraggio anche con gli addomesticati referendum del regime fascista, votando regolarmente “no”). Non condivideva le scelte, di mia sorella prima e mie poi, di adesione alla Democrazia Cristiana: non andava oltre un bonario scetticismo e le solite innocue battute satiriche.

Sul presunto socialismo di mio padre, sempre ad onor del vero, non ho mai avuto alcun preciso riscontro in merito,  ho dedotto dal suo modo di pensare e dal suo comportamento che fosse un “nenniano”, vale a dire un socialista autonomista: una notevole ammirazione per Pietro Nenni era facilmente desumibile da come ne commentava i comizi (allora era quello il modo di comunicare per un politico), ma credo fosse stato assai deluso dal vizio storico dei socialisti italiani  di legarsi  acriticamente al carro comunista prima e di giocare al miglior offerente tra comunisti e democristiani poi.

Quindi era un socialista senza socialismo ed anche questo lo si deduceva da come spesso sintetizzava la storia della sinistra in Italia, recriminando nostalgicamente sulla mancanza di un convinto ed autonomo movimento socialista, che avrebbe beneficamente influenzato e semplificato la vita politica del nostro paese.

Se era sferzante verso i sistemi di stampo comunista, lo sarebbe ancor oggi altrettanto verso le incongruenze del sistema capitalistico in nome appunto della sua opzione socialista con qualche innocua e simpatica venatura anarchica.

Quindi sono figlio di mio padre e faccio molta fatica a sopportare i meccanismi del capitalismo, vale a dire della nostra società sazia (?) e disperata (!).

Sono partito dalla enorme pecca della sanità negli Usa e chiudo con quello che era fino a qualche tempo fa il fiore all’occhiello del welfare italiano (un deferente pensiero a Tina Anselmi che fu artefice a livello governativo della riforma sanitaria). Oggi in Italia la sanità pubblica sta andando a pezzi a favore della sanità privata (gli Usa purtroppo fanno scuola).  Cosa si aspetta ad intervenire prima che sia troppo tardi? In occasione della pandemia da Covid la questione era esplosa in tutta la sua gravità. Aspettiamo la prossima pandemia? Magari quella che si intravede (speriamo non sia così) dalla malattia proveniente dal Congo?

Piromani di tutto il mondo scatenatevi

Ad ogni giorno (non) basta il suo casino internazionale. Ultimo per chi batte, l’inghippo siriano, autentico caleidoscopio conflittuale in cui si intersecano i contrasti tra tutte le potenze che da tempo immemorabile soffiano su questo fuoco.

Finito il turno di Assad, sembra essere iniziato quello di una imperscrutabile (almeno per il momento) rivoluzione terroristica, ma non sarà la volta buona, i giochi resteranno aperti e su di essi si sfogheranno un po’ tutti alla ricerca dei loro sporchi interessi. Non è da escludere che in futuro si possa rimpiangere Assad: è già successo con altri dittatori.

Il disordine mondiale aumenta sempre più, impazza e sembra non lasciare scampo. A livello occidentale solo la Ue potrebbe tentare di dipanare la matassa, ma non ha la compattezza, non ha la dirigenza, non ha la lungimiranza strategica e nemmeno l’abilità tattica.

Meglio allora lasciar fare a Donald Trump: lui sì che se ne intende! Pensiamo di spegnere il fuoco con la benzina e speriamo di non scottarci. Non mi stupirei che il futuro presidente Usa, nonostante l’antiterrorismo di facciata, avesse in testa di appoggiare strumentalmente i ribelli siriani in chiave anti-Russia e anti-Iran, lasciando fare magari il lavoro sporco a Israele che muore dalla voglia di intervenire. La Turchia dovrebbe stare coi ribelli, mettendo in imbarazzo la Nato, anche se una Nato forte val bene una messa turco-siriana.

Ho dato solo alcune pennellate paradossali in una tela dove tutto può essere dipinto. Torno alla casa comune europea. Qui la padrona è, scusate la volgarità, Ursula von der Kazzen (non è mia, è di un mio simpatico ed intelligente amico che non ne ha preteso il copyright) con la sua batteria di commissari allo sbaraglio. Trump, Putin e c. questi signori se li mettono in tasca e li tirano fuori per assestare loro le botte al momento giusto. L’Europa si guarda l’ombelico, mentre i potenti (?) mostrano ben altri attributi.

Dopo l’ingresso dei ribelli jihadisti a Damasco e la caduta del regime di Assad, l’intero quadro politico e militare del Paese sembra sospeso sul caos. Cosa accadrà? La polverizzazione del regime siriano, e il ridefinirsi del puzzle delle alleanze, a cosa condurrà? Per ora c’è una sola certezza: siamo davanti a un salto nell’ignoto. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha convocato per oggi una riunione straordinaria. Il responsabile per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, durante una conferenza stampa alla vigilia della Giornata internazionale per i diritti umani ha sottolineato come “bisogna prendere tutte le misure per proteggere le minoranze siriane ed evitare rappresaglie”. (dal quotidiano “Avvenire”)

Dopo il danno anche la beffa dell’intervento a cose fatte del sempre più imbelle Onu, che fa finta di preoccuparsi delle minoranze, le quali stanno fresche se aspettano l’Onu, fanno in tempo ad essere tutte massacrate e sacrificate sullo spettacolare altare siriano.

«Parlèmma ‘d robi alégri» intimarono gli amici di mio padre alla compagnia in vena di discorsi penosi: uno di loro, accettando il perentorio invito, rispose: «Co’ costarala ‘na càsa da mòrt?». Provo a parafrasare questo dialogo: «Parlèmma ‘d päza!». «Quand scoppiarala la pròsima guéra?».

 

Il manto rituale dell’ignoranza

In questi giorni c’è stata la concomitanza di tre eventi: la riapertura della restaurata cattedrale parigina di Notre-Dame, l’inaugurazione della stagione lirica alla Scala di Milano, la celebrazione del Concistoro per l’investitura ufficiale di nuovi cardinali.

Avvenimenti diversi, a loro modo significativi, in tutti i casi interessanti. Mi è venuto spontaneo individuare un filo che li (col)legasse. L’ho trovato nelle più bieca, vuota e fuorviante delle ritualità.

A Notre-Dame si doveva celebrare la festa dell’arte ripristinata in tutto il suo splendore: è diventata la penosa passerella dei potenti (?) della terra, che facevano finta di salutarsi e scambiarsi qualche parola importante per il futuro dell’umanità.

Alla Scala di Milano si doveva partecipare ad un ragguardevole evento musicale in onore di Giuseppe Verdi e del melodramma: è stata la solita festa mondana in cui la musica e il canto erano il pretesto per ben altre disgustose ostentazioni.

Alla Basilica di San Pietro si doveva pregare per e con i nuovi cardinali: invece la solita insistente ed irritante parata liturgica vaticana (se tanto mi dà tanto, chissà cosa succederà all’apertura e durante il Giubileo…). Una piccola digressione anticlericale richiamando a proposito di cardinali una gustosa barzelletta (bisogna anche sorridere…).

“Dio Padre osserva, con attenzione venata da una punta di scetticismo, l’attivismo dei cardinali di Santa Romana Chiesa, ma non riesce a capire fino in fondo lo scopo della loro missione. Con qualche preoccupazione decide di interpellare Dio Figlio in quanto, essendosi recato in terra, dovrebbe avere maggiore dimestichezza con questi importanti personaggi a capo della Chiesa da Lui fondata. Dio Figlio però non fornisce risposte plausibili, sa che sono vestiti con tonache di colore rosso porpora a significare l’impegno alla fedeltà fino a spargere il proprio sangue, constata la loro erudizione teologica, la loro capacità diplomatica, la loro abilità dialettica, ma il tutto non risulta troppo convincente e soprattutto rispondente alle indicazioni date ai discepoli prima di salire al cielo.  Anche Dio Figlio non è convinto e quindi, di comune accordo, decidono di acquisire il parere autorevole di Dio Spirito Santo, Lui che ha proprio il compito di sovrintendere alla Chiesa.  Di fronte alla domanda precisa anche la Terza Persona dimostra di non avere le idee chiare, di stare un po’ troppo sulle sue ed allora il Padre insiste esigendo elementi precisi di valutazione, minacciando un intervento diretto piuttosto brusco e doloroso. A quel punto lo Spirito Santo si vede costretto a dire la verità ed afferma: «Se devo essere sincero, anch’io non ho capito fino in fondo cosa facciano questi signori cardinali, sono in tanti, ostentano studio, predica e preghiera. Pregano soprattutto me affinché vada in loro soccorso quando devono prendere decisioni importanti. Io li ascolto, mi precipito, ma immancabilmente, quando arrivo col mio parere, devo curiosamente constatare che hanno già deciso tutto!»”.

Torno a bomba, vale a dire alla ritualità che tutto copre col suo manto e tutto riempie col suo vuoto pneumatico. Dell’arte non frega niente a nessuno; della musica invece pure; della religione, lasciamo perdere. Hanno trionfato e trionfa la politica fine a se stessa, ha prevalso e prevale l’istinto autocelebrativo, è passata e passa l’idea di una religione avulsa dalla realtà evangelica.

Se l’arte, la musica e la religione le riduciamo a questi minimi termini, cosa sarà della politica? Forse resterà solo l’ignoranza. Mi hanno detto che su internet gira una (quasi) barzelletta in cui Trump, imbucato di lusso a Notre-Dame, si sarebbe stupito della presenza della presidentessa della Georgia, Stato europeo confuso con lo Stato Usa, e si sarebbe chiesto: “Ma cos’ha combinato Biden con la Georgia? Ha creato uno Stato nello Stato? Dovrò correre ai ripari, prima di avere una concorrente in casa…”.

A proposito di ignoranza, c’è da considerare anche quella dettata dall’opportunismo. In questi giorni, ascoltando e leggendo i pareri degli addetti ai lavori, mi è parso che, dopo l’iniziale choc per l’elezione di Donald Trump con le conseguenti perplessità e preoccupazioni, sia subentrata, da una parte, una sorta di rassegnazione al peggio a cui non c’è limite, dall’altra parte la inconfessabile speranza che fra delinquenti, tutto sommato, ci si possa intendere. Ogni riferimento a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale (o causale?).

In questi giorni mi è stato acutamente ricordato che nell’uomo il cuore è situato circa a metà strada fra cervello e pancia, lasciando intendere che occorrerebbe trovare un equilibrio virtuoso fra questi tre stadi della vita umana. Ebbene con ogni probabilità in questa fase storica prevale ( a dir poco), a livello di classe politica, la parte bassa, vale a dire la pancia.

 

La Costituzione salvavita

In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli eurounitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte» prima di agire con tagli sulla sanità. Con un inedito intervento, la Corte costituzionale entra a pieno titolo sui meccanismi che regolano il bilancio dello Stato, ribadendo l’intento prioritario di «garantire il fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione, che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket (di tasca propria, ndr)». È il succo della sentenza n. 195 resa nota ieri, emanata – su ricorso della Regione Campania – per dichiarare l’illegittimità di una norma della legge di Bilancio per il 2024, a seguito del mancato versamento dei contributi dovuti allo Stato da parte delle Regioni nell’ambito della nuova governance economica europea.

(…) 

La decisione dei giudici della Consulta è destinata così a riaccendere il mai sopito dibattito sui tagli al servizio sanitario, già al centro di una disputa dai toni accesi anche al momento del varo dell’ultima manovra, con il governo che si difendeva sostenendo il primato storico di questa voce di spesa in valori assoluti (136,48 miliardi per il 2025), mentre le opposizioni imputano al centrodestra di averla ridotta in rapporto al Prodotto interno lordo, portandola al 6.05% da oltre il 7%. (dal quotidiano “Avvenire”)

 

Contro la priorità sanitaria ragion non vale: era ora che qualcuno ai massimi livelli istituzionali ribadisse questo concetto messo tra l’altro, in grave discussione dalle scelte del governo attuale. L’assetto istituzionale italiano ha un grande merito ascrivibile ai Padri costituenti, quello di fissare una pluralità di funzioni e competenze che segnano e garantiscono i limiti democratici all’esercizio del potere.

Mai come in questo periodo storico si è sentita la necessità di porre un freno agli intenti populisti di una classe di governo presuntuosamente arroccata su un assai relativo consenso elettorale e volta a spadroneggiare più che a governare.

Tocca ai due garanti della Costituzione arginare questa insulsa alluvione decisionista. Non c’è giorno che il presidente della Repubblica, pur col garbo e l’equilibrio che lo caratterizzano, non intoni il suo contro-canto, non intervenga a precisare, controbilanciare, ridimensionare l’azione del governo sia a livello interno che internazionale. La Corte Costituzionale ha recentemente posto un alt ai bollori secessionisti (si scrive autonomia si legge secessione), partendo dal principio irrinunciabile dell’unità nazionale e ora pone una precisa priorità nella spesa pubblica, chiedendo il rigoroso rispetto del sacrosanto diritto alla salute.

La morale della favola è che prima del governo e delle sue scelte viene la Costituzione con i principi da essa sanciti. Non c’è consenso elettorale che tenga, non c’è premierato che possa metterlo in discussione. Se ne facciano una ragione. Non si illudano di poter subdolamente attaccare la Costituzione stipulando accordi pseudo-riformatori nel chiuso delle stanze interpartitiche del centro-destra: un tortone al cioccolato per Meloni (premierato), un pasticciotto alla crema per Salvini (autonomie regionali rafforzate), una scatola di caramelle alla frutta per Tajani (riforma della Giustizia). Resteranno a loro in gola e le dovranno sputare se non vogliono soffocare. A meno che gli italiani non scelgano di fare ricorso al suicidio assistito.

 

Ucci ucci sento odor di tortorucci

La procura di Brescia ha messo a segno 25 arresti contro un presunto gruppo legato alla ‘ndrangheta e tra loro c’è anche una religiosa, suor Anna Donelli. La donna sarebbe stata “a disposizione del sodalizio per garantire il collegamento con i sodali detenuti in carcere”. Nell’ordinanza del tribunale si riporta una conversazione in carcere in cui uno degli arrestati afferma che la suora, che lavora nell’istituto penitenziario “è uno dei nostri” e ancora “se ti serve qualcosa dentro è dei nostri”. (adnkronos)

Posso avere dei dubbi sull’arresto di questa suora impegnata nell’assistenza ai carcerati? I miei dubbi si sono allargati ascoltando il garbatissimo e autorevolissimo commento di don Gino Rigoldi, sacerdote impegnato da tanto tempo sulla frontiera carceraria minorile e non solo. Ha spiegato come con i carcerati si debba stare molto attenti, perché spesso a chi dà loro una mano essi prendono il braccio. Figuriamoci i soggetti mafiosi… Non potrebbe darsi che suor Anna Donelli in buona fede e ingenuamente si sia prestata a fare qualche piccolo piacere a fin di bene a carcerati pronti ad approfittarne e a considerarla per ciò stesso una dei loro?

Non ho capito su quali prove si basi il provvedimento in questione. Mi auguro che ci sia qualcosa di più rispetto al millantato coinvolgimento nel sistema mafioso emergente dalle dichiarazioni di uno degli arrestati.

Non voglio pregiudizialmente assolvere una persona in quanto suora, purtroppo anche le suore possono sbagliare. Magari però succede come raccontava mio padre che nel suo ambiente ascoltava spesso pesantissimi giudizi sulle suore impegnate nell’assistenza all’infanzia abbandonata. Di fronte a questa paradossale intransigenza a senso unico, chiedeva provocatoriamente: “Cme mäi siv acsì cativ con il sôri e an dziv niènt pr’il madri chi an abandonä chi ragas li?”.

È plausibilissimo che questa suora sia caduta nella trappola, nel qual caso la vogliamo criminalizzare? Stai a vedere che in uno Stato dove della condizione carceraria non frega niente a nessuno, dove non si contano i suicidi tra i detenuti, si fanno le pulci ad una suora che si fa il mazzo visitando i carcerati.

C’è un detto parmigiano che recita così: “A fär dal ben aj äzon as ciapa dil zbarädi”. Una suora non deve fare questi strani calcoli, anche se gli asini nella nostra società sono troppi e fanno andar via la voglia di fare del bene.

Stellantis, illuminati da quale stella?

Il segno. Stellantis, i parroci di Pomigliano davanti ai cancelli con i lavoratori. La richiesta dei lavoratori Trasnova ai sacerdoti della città delle fabbriche: «Pregate per noi». Don Tortora: «Senza risposte verremo a dire Messa qui».

Il segno è stato forte e avvertito con emozione dai lavoratori preoccupati per il proprio futuro. I parroci di Pomigliano d’Arco stamattina si sono recati dinanzi ai cancelli dello stabilimento Stellantis per solidarizzare con i lavoratori di Trasnova, giunti alla terza notte di protesta.

Don Aniello, don Leonardo, don Salvatore, don Filippo, don Pasquale, don Pietro, don Sebastiano, don Peppino, volti noti in città per la loro azione pastorale e sociale, hanno ritenuto che la loro presenza fisica valesse più di mille parole. In rappresentanza del vescovo di Nola Francesco Marino, i sacerdoti hanno offerto la piena disponibilità delle rispettive comunità parrocchiali per ogni forma di sostegno spirituale e materiale.

In realtà, l’esigenza più sentita dei lavoratori ha sorpreso anche i sacerdoti: “Pregate per noi”, hanno chiesto gli operai di Trasnova, società dell’indotto cui Stellantis ha comunicato di non voler rinnovare la commessa, in scadenza il prossimo 31 dicembre. Sono circa 370 i lavoratori coinvolti in Italia, 90 attivi nel solo stabilimento di Pomigliano per l’attività di movimentazione delle vetture. Lavoratori che definire esterni a Stellantis è poco più di un formalismo, dato che la gran parte di loro lavorano nella fabbrica di Pomigliano da anni, i più anziani da oltre 20.

“Saremo la vostra voce nella città”, ha rassicurato don Aniello Tortora, che oltre ad essere sacerdote nella parrocchia che accoglie l’aria industriale di Pomigliano è anche vicario episcopale per la giustizia e la carità. La Chiesa di Nola e le parrocchie di Pomigliano partecipano storicamente con particolare intensità alle vertenze dei lavoratori della significativa zona industriale della città. Appena poche settimane fa, il vescovo in persona, Francesco Marino, aveva scritto un’accorata lettera sull’altra vicenda che preoccupa il territorio, quella di Leonardo Aerostrutture.

É un momento di grande apprensione per i siti produttivi campani, e Pomigliano rappresenta l’epicentro della crisi. “La nostra battaglia – spiega un lavoratore – è per tutto l’indotto. Se perdiamo noi, perdono tutti. Se vinciamo, vinciamo tutti”. I sacerdoti hanno promesso che in caso di mancate risposte, che portassero i lavoratori a prolungare la loro presenza notte e giorno dinanzi allo stabilimento, verranno a celebrare Messa con loro, proprio davanti a quei cancelli che una volta erano segno di speranza e realizzazione personale. (dal quotidiano “Avvenire”)

L’evento è di quelli che fanno riflettere da tutti i punti di vista. Parto dal discorso ecclesiale. Che le comunità cristiane guidate e rappresentate dai propri parroci solidarizzino concretamente con i lavoratori in difficoltà è un segno di grande rilievo: la vita cristiana è fatta di solidarietà con chi è in difficoltà. Il Vangelo è pieno di inviti ed esempi in tal senso. Di seguito riporto due eloquenti citazioni.

«Lo so, mi hanno cercato i lavoratori della Saeco, fabbrica in crisi, e andrò sicuramente, anche se non riuscirò a passarci subito, ma quando andrò parlerò con tutti. Non voglio fare una visita formale, ma andare, capire, portare il mio contributo per quello che potrò. Non voglio deludere nessuno dei tanti che hanno aspettative nei miei confronti, ma non voglio nemmeno fermarmi ai saluti e alle parole di rito, bisogna capire per aiutare, prima di parlare» (Matteo Zuppi, vescovo di Bologna e presidente della Cei).

Giorgio La Pira, un cattolico profeticamente impegnato in politica. Ecco come si espresse nel 1955 alla segreteria nazionale della DC: «Fino a quando mi lasciate a questo posto, mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città: chiusura di fabbriche, licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente abbattibile… Il pane (e quindi il lavoro) è sacro. La casa è sacra. Non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo! Quando gli Italiani poveri saranno persuasi di essere finalmente difesi in questi due punti, la libertà sarà sempre assicurata al nostro Paese».

Aggiungo una considerazione culturale più che politica. È ora di affrontare i problemi partendo dalle persone e non dai massimi o minimi sistemi. Vale per i politici investiti di responsabilità, vale per i partiti, vale per i sindacati, vale per tutti i cittadini. In questi giorni il problema Stellantis viene affrontato in modo asettico e farisaicamente scientifico alla ricerca di soluzioni che consentano al sistema capitalistico di continuare a vivere come se niente fosse. È pur vero che, come scrisse un insigne economista, il capitalismo ha i secoli contati, ma, durante questi secoli, chi ha detto che il sistema non possa cambiare?

Chiudo, tanto per cambiare, con una malinconica nota di pessimismo, espressa con una domanda tra l’ironico e lo sconfortante.  Non è che i lavoratori si rivolgono alla Chiesa come ultima spiaggia vista la insensibilità delle istituzioni e la inconcludenza della politica? Può darsi che ci stia anche questo. Ecco perché non bisogna soltanto solidarizzare fattivamente con tutte le forme di povertà, ma impegnarsi sul piano sociale e politico per eliminarle, facendo della giustizia sociale l’imperativo irrinunciabile dell’essere cristiani.