Ho la quasi certezza che la stella cometa di Beppe Grillo non diventerà stella cadente per effetto delle sbruffonate di Federico Pizzarotti, l’odiato sindaco di Parma, né per i pasticci combinati da Virginia Raggi, la tollerata sindaca di Roma, ma soffrirà qualche annebbiamento a causa dei fumi neri sprigionatisi dalle risposte assurde alle detonazioni del terrorismo islamico e soprattutto a causa dell’atteggiamento che, una forza politica o antipolitica che sia, dovrà pur tenere nei confronti del fenomeno migratorio.Finora il M5S ha trovato non poche difficoltà nel calare le proprie carte sui tavoli delle amministrazioni comunali, creando confusione, dissensi, delusioni che per ora non sembrano aver intaccato la marcia elettorale trionfale (staremo comunque a vedere fin dove si spingerà l’affaire Raggi e c. e fino a quando resisterà la pazienza dell’elettorato grillino).Fin che si scherza si scherza, ma col nervo scoperto di immigrazione e terrorismo non è consentito giochicchiare allo scaricabarile. Le contraddizioni in materia sono già ripetutamente emerse: oltre agli ignobili connubi con i partiti xenofobi e razzisti a livello europeo (giustificati dalla necessità di fare gruppo in qualche modo a livello del parlamento di Strasburgo), ci fu nel 2014 la proposta grillina dell’abolizione del reato di immigrazione clandestina; non se ne fece nulla in quanto Grillo e Casaleggio senior si opposero con argomentazioni molto prosaiche, sostenendo cioè che se il M5S avesse insistito su quella proposta avrebbe ottenuto, a livello di riscontro elettorale, percentuali da zero virgola.Poi arrivò un post mandato in rete per chiedere le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco della capitale: paventava una Roma sommersa da “topi, spazzatura e clandestini”, sfornando un elenco che la diceva lunga sulla considerazione grillina verso gli immigrati.Il 23 dicembre scorso, sull’onda emotiva dell’attentato al mercatino di Berlino, della conseguente straziante morte di una nostra connazionale, della sparatoria a Sesto San Giovanni tra due agenti di polizia e il terrorista tunisino ricercato, è apparso sul blog di Beppe Grillo un post in cui si chiedeva il rimpatrio immediato di tutti gli immigrati irregolari e la sospensione del trattato di Schengen con la chiusura delle frontiere in caso di attentati in Europa.Frasi demenziali ad effetto che accarezzano la pancia dei cittadini e che fanno cadere la maschera davanti alla quale ci si chiede se i cinque stelle siano di destra o di sinistra, antipolitici o populisti, e via discorrendo. Sembra si sia scatenata una certa dissidenza sul Grillo anti-migranti, ma non mi faccio soverchie illusioni: il M5S è Grillo, il resto è pura tappezzeria di contorno.Sarei invece curioso di valutare a caldo la reazione dei cittadini-elettori, ma anche qui non mi illudo, perché le opinioni istintive della gente sono facilmente immaginabili: la politica però non le dovrebbe assecondare o addirittura istigare, ma dovrebbe contenerle e tradurle almeno in scelte razionali, possibili ed eticamente ammissibili.La discussione sui problemi dell’immigrazione continua ad essere fondata su dati falsi: non è vero che l’Europa e l’Italia rischino di essere invasi da una marea di disgraziati (siamo a livello di percentuali da prefisso telefonico calcolate sulla popolazione totale); i rimpatri immediati e totali, oltre che ingiusti, non sono possibili per difficoltà obiettive interne all’Italia, all’Europa e nei confronti dei Paesi da cui provengono gli immigrati stessi; non è vero che la presenza sul nostro territorio di questi lavoratori comporti un danno erariale (il saldo è positivo); è destituito di fondamento pensare che gli immigrati rubino il posto di lavoro agli italiani (si inseriscono su fasce lavorative scoperte e guai se non ci fossero queste persone disposte a lavori umili, a parte il fatto che spesso vengono mal remunerate se non addirittura sfruttate e trattate come bestie); è vomitevole ritenere che i diritti di queste persone debbano essere inferiori ai nostri (chi l’ha detto, dove è scritto… Diritto alla casa… Ma se li facciamo dormire ammassati in locali affittati loro a prezzi speculativi e spesso in condizioni malsane!?); è una fandonia, smentita dai dati statistici, quella di collegare la recrudescenza delinquenziale alla presenza sul nostro territorio degli immigrati (siamo abbastanza delinquenti noi e non abbiamo niente da invidiare a nessuno); la facile equazione immigrati uguale terroristi è la solita e storica menata che ha coperto la xenofobia ed il razzismo di tutti i tempi.Il M5S si guarda bene dallo scoprire questi altarini, non gli conviene, è meglio puntare tutto sul vomito elettorale. Attenzione però, perché in tutte gli andamenti c’è un punto di rottura.Dare la colpa delle disgrazie capitoline di Virginia Raggi a Matteo Renzi, il quale avrebbe scatenato un attacco mediatico contro i grillini? A parte l’assurda pretesa di essere trattati con i guanti, di avere carezze a fronte di ceffoni, mi sembra un discorso infantile, come Adamo ed Eva, bravi e buoni, che danno la colpa dei loro errori al serpente, malizioso e cattivo. Certo l’elettore medio è meno acuto di Dio, ma qualcosa dovrà pur capire…Andare a braccetto con Matteo Salvini inserendosi a pieno titolo nell’onda populista? Mi pare una scelta azzardata, una rincorsa a chi la spara più grossa, una bolla scopertamente demagogica che, prima o poi, è destinata a scoppiare. È stuzzicante salire su una mongolfiera, si gode un panorama stupendo, ma prima o poi bisogna scendere…Se non ci fossero di mezzo l’Europa che annaspa nei problemi, le vittime del terrorismo che non si contano, gli immigrati che vivono e muoiono disperati, i romani che non sanno più a chi rivolgersi, ci sarebbe solo da mettersi sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere di Di Maio, Di Battista, Fico e c.Grillo no, manderà tutti tempestivamente affanculo.
Parole, parole, parole…
È brutto e doloroso doverlo ammettere proprio durante i giorni natalizi grondanti pace, ma le dichiarazioni dei musulmani cosiddetti moderati suonano stucchevoli e poco credibili. La loro asserita distinzione rispetto alla violenza terroristica appare reiteratamente scontata ma inefficace. Eppure anche loro piangono innumerevoli vittime, davanti alle quali magari noi sorvoliamo egoisticamente. Tuttavia rimane l’impressione di una presa di distanza insoddisfacente, di un taglio tutto sommato relativo, del permanere di una riserva mentale, una sorta di “fratelli che sbagliano, ma…”, forse una inclinazione a “comprendere” le ragioni dei terroristi.Facendo un ardito parallelo con il fenomeno del brigatismo rosso e con l’atteggiamento di equidistanza assunto da intellettuali e militanti di sinistra nei confronti di esso, sarebbe una vera sciagura se in campo musulmano si arrivasse a parafrasare l’ambigua formula adottata nei confronti delle Brigate Rosse, trasformandola in un “né con la società occidentale né con i terroristi islamici”. Troppa comprensione arriva alla giustificazione, dice un proverbio francese: non si può negare il rischio che gli islamici moderati comprendano troppo bene i loro correligionari fanatici arrivando a giustificare tacitamente e indirettamente coloro che terrorizzano il mondo atteggiandosi magari ad angeli vendicatori di un passato di sfruttamento coloniale e di un presente dissacrante dei costumi individuali e sociali.Francamente non sono in grado di stabilire se l’album di famiglia (leggi Corano) sia sgombro da ogni e qualsiasi richiamo equivoco. Prendo per buono quanto molti teologi e studiosi di religione affermano, vale a dire che nel Corano ci sarebbe, come nei “libri” delle altre religioni, solo qualche possibilità di equivoco superabile in una visione del messaggio emergente dal testo complessivamente considerato (è utile al riguardo, senza rivendicare primazie e senza dimenticare errori enormi commessi dai cristiani e dalle loro Chiese, ricordare che il dato caratteristico della fede cristiana è quello di non essere fondata sul “libro”, ma su una persona, Gesù, Dio fatto carne, che non ha scritto regole, non ha fatto proclami, ha semplicemente vissuto da uomo-Dio e i Vangeli raccontano proprio in modo asciutto questa esistenza a cui fare riferimento).Allora la palla passa a coloro che sono deputati all’interpretazione ufficiale delle scritture islamiche: gli Imam. Qui, mi spiace dirlo, casca l’asino. Il loro comportamento non è certamente inattaccabile: parecchi sono i casi di Imam in odore di favoreggiamento o almeno di comportamento omertoso. Intorno alle moschee tira un’aria piuttosto equivoca, per non parlare delle carceri che si dimostrano autentiche palestre di avviamento alla lotta terroristica con la tacita compiacenza di Imam che sembrano giocare col fuoco dell’indottrinamento. Per stessa ammissione dei musulmani praticanti ci sarebbero degli Imam inneggianti alla violenza, che (bontà loro) le comunità islamiche presenti sul territorio sarebbero pronte a denunciare. Lo facciano in fretta e a tappeto, altrimenti perdono credibilità la loro buona fede e la loro volontà di distinguersi drasticamente.Nel giorno della festa di Santo Stefano, protomartire della fede cristiana, viene spontaneo auspicare che, una volta per tutte, si cessi di equivocare sul concetto di martirio: non è martire chi è disposto a sacrificare la propria vita per toglierla agli altri, ma chi è disposto a morire per garantire la vita agli altri. Non si può transigere, non è possibile tentennare, non è ammissibile alcuna giustificazione (né storica, né sociologica, né economica, né religiosa) per il terrorismo di qualsiasi matrice sedicente religiosa, non è consentito confondere il fanatismo religioso con la testimonianza della propria fede.Ma c’è qualcosa di più che andrebbe fatto. Occorre che la prassi religiosa islamica superi certi tabù, si apra alla società moderna, al dialogo: in estrema sintesi bisogna che i musulmani capiscano che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, si carichino dell’enorme responsabilità che grava su di loro, abbandonino veramente e non a parole l’integralismo religioso e puntino ad integrarsi nella cultura della società che li ospita, cogliendo le opportunità che vengono loro offerte senza rinchiudersi nei recinti dove può regnare la confusione tra chi vuole (giustamente) solo difendere il diritto alla propria specificità di fede e chi vuole (fanaticamente) combattere la fede altrui.Nel giorno in cui si sono celebrati a Sulmona i funerali di Fabrizia Di Lorenzo, vittima dell’attentato al mercatino di Berlino, letteralmente maciullata dal camion lanciato a tutta velocità sulla gente da un pazzo scatenato in nome del dio della morte, una giovane donna oltretutto con mentalità aperta verso gli immigrati, senza alcuna prevenzione verso i musulmani, bisogna che tutti disinfettiamo le coscienze: se, cristianamente parlando, anche di fronte agli atti barbarici di terrorismo islamico devo porgere l’altra guancia, se devo chiedere perdono per tanti comportamenti sbagliati passati e presenti riconducibili a chi professa la religione cristiana, sul piano umano, civile e religioso devo pretendere che nessuno resti inerte di fronte ai macellai di sedicente ispirazione islamica.Non dobbiamo cadere nella trappola degli opposti radicalismi, della reciprocità per cui al dente dell’attentato si debba rispondere con il dente dell’espulsione generalizzata o della chiusura ermetica, della logica della decimazione riveduta e (s)corretta. Sarebbe il disastro totale e finale a cui puntano i terroristi islamici. Davanti a tante vittime innocenti forse viene spontaneo provare a livello di subconscio un senso di repulsione, un desiderio di vendetta. Dobbiamo togliere dalle nostre menti questi assurdi pensieri, non dobbiamo dare il minimo ascolto a questi insani propositi, ma possiamo chiedere ai nostri fratelli di fede musulmana (uso volutamente il termine fede e non quello di religione) che alle parole di condanna facciano seguire i fatti, prima che i fatti smentiscano le parole e la Parola.
La più grande provocazione della storia
Cerco di stare in linea con il messaggio natalizio che va controcorrente (cosa c’è più controcorrente di un Dio che si fa uomo) e voglio di seguito sviluppare, parafrasare e, in un certo senso, politicizzare la riflessione che ho inviato ad alcuni amici.Il Natale se non è profondo è solo un’occasione per intristirci e demoralizzarci.In esso si scontra la grandezza di Dio che si fa piccolezza con la nostra piccolezza (direi nullità…) che vuol farsi grandezza (che becco di ferro abbiamo!): un incrocio pericoloso da cui si esce solo rinunciando alle nostre mire, altrimenti è veramente triste vivere un Natale che rischia di sprofondarci e lasciarci nel nostro nulla (da cui emergono rimpianti, rimorsi, ricordi: tutto pieno di tristezza).Una bella provocazione per tutti, ma soprattutto per i potenti della terra (si ritengano o siano ritenuti tali). In particolare vorrei indirizzarla a due personaggi inquietanti sullo scenario mondiale: Trump e Putin, i due contemporanei, emblematici Re di ingiustizia e di guerra. Sulla loro sanguinosa scia camminano e si lasciano trascinare in molti, tutti coloro che, a livello di vertice ma anche di base, amano il percorso facile del potere a tutti i costi.Coloro che hanno accolto Gesù hanno saputo fare un percorso diverso, a rovescio.Giovanni Battista nella sua radicalità ha capito e si è fatto da parte.Imparino da lui tutti gli integralisti religiosi (islamici, ma non solo islamici) che pensano di dar lode a Dio imponendo i dogmi e le regole, mettendoli prima delle persone umane e caricandoli sulle loro spalle, quanti giudicano in base alle loro bigotte classifiche, quanti obiettano più per proprio comodo religioso che per umana solidarietà .Lui, dopo aver pagato di persona, si è eclissato lasciando la parola e la testimonianza a chi la sapeva molto più lunga; troppi pontificano, squalificano, condannano ritenendo di avere la verità in tasca.Maria ha accettato di “sputtanarsi” pur di partorire questo bambino speciale.Penso sia il più moderno appello alla maternità e paternità responsabili, al rispetto della vita partendo dalla coscienza delle persone e non prevaricandola con assurdi, freddi e rigidi precetti. Maria non ha fatto chiacchiere inutili, si è rimboccata le maniche, ha pedalato, alla faccia di quanti si riempiono continuamente e chiccamente la bocca di famiglia, pensando di difenderla con i proclami e i divieti.Elisabetta si è fidata di una gravidanza sui generis e di una cuginetta che diceva cose grandi.Da queste due donne e madri tutte speciali viene un perentorio invito al rispetto della dignità e del ruolo femminili in tutte le Chiese e le società. Da queste due coraggiose protagoniste (non spettatrici) della venuta di Gesù in terra si ricava la convinzione che le religioni e gli ordinamenti statuali saranno sempre carenti e deficitari se non sapranno aprirsi e conformarsi alla ricchezza dei valori della donna. Violenza, terrorismo, guerre, cattiverie varie aspettano di essere redente anche e soprattutto dal contributo delle donne.Giuseppe ha rinunciato al suo maschilismo pur di far parte di questa strana famiglia di Nazaret.Un eloquente messaggio a tutti gli uomini che si sentono padroni delle donne, a tutti coloro che abusano, sfruttano, strumentalizzano, disprezzano, discriminano sessualmente altre persone.I pastori sono usciti dalle loro tane fatte di sporcizia, isolamento e condanna pur di curiosare su cosa stava accadendo.Il loro gioioso coinvolgimento è un monito contro ogni e qualsiasi emarginazione operata sulla base di etnia, razza, religione, condizione sociale.I Magi hanno messo la loro fantascienza a servizio di un Dio lontano mille miglia dalla loro impostazione.Un segno di forte riconciliazione con tutti gli estranei alle nostre culture, ai nostri schemi, ai nostri modelli, al nostro modo di vivere.Anna e Simeone si sono accontentati di provare il brivido della salvezza agognata.Una piena e totale riabilitazione per le persone anziane che riescono a coniugare una fervida speranza sulla base dei loro collaudati valori con il sano realismo frutto della loro esperienza.Poi alla fine della vicenda umana di Gesù sarà più o meno la stessa cosa: al posto di Elisabetta ci sarà Maria Maddalena che si fiderà di un uomo talmente straordinario nei confronti delle donne da non poter essere che Dio; al posto dei pastori il ladrone capace di accettare la sua punizione e di metterla nelle mani di un Innocente, di affidarsi alla pazienza infinita di uno che sa morire in silenzio senza curarsi dei vomitevoli oltraggi di chi non sa quel che fa; al posto di Erode un centurione romano che sa stupirsi di fronte a quanto sta avvenendo e lo ammette candidamente a costo di fare la figura del credulone.Come si può facilmente arguire, Natale e Pasqua sono le due facce della stessa medaglia cristiana. In mezzo ci stanno i pastori (lerci soggetti), i lebbrosi (gli impuri), le prostitute (donnacce da disprezzare), i pubblicani (squallidi ladri in doppiopetto di allora), l’adultera (una donna da lapidare), la samaritana (una irregolare per antonomasia), i ciechi (tenuti ai margini della società), i poveracci, gli scartati, gli ultimi della pista, i ruderi dell’umanità.Poi c’erano gli scribi, i farisei, i leviti, le brave persone. Gesù si è schierato apertamente fregandosene altamente della Chiesa di allora.In mezzo ci sta la Chiesa di oggi con le sue contraddizioni (non me ne scandalizzo), con la presunzione di salvare gli uomini a suon di regole e precetti (mi danno molto fastidio). Faccio una “faziosa” ma significativa esemplificazione: niente pillole del giorno dopo (per la verità nemmeno quelle del giorno prima), niente aborto volontario nemmeno nei casi più estremi di violenza subita, niente eutanasia nemmeno nei casi di malati terminali con le loro sofferenze atroci. Gesù non era uno scienziato, non era un teologo, non era un prete e su questi temi eticamente sensibili, su questi argomenti caldi, sui cosiddetti principi irrinunciabili (quante rinunce alla carità ha fatto la Chiesa nei secoli…) non ha detto niente.In compenso ha narrato la parabola del Padre misericordioso, la più eloquente sull’atteggiamento divino nei confronti della creatura umana. Provo a mettere al posto del figlio prodigo un malato terminale (il caso più clamoroso che in un certo senso li riassume tutti). Non ce la fa più a sopportare il dolore, è disperato, non trova più la forza di vivere e dice fra sé: «Voglio tornare da mio padre, perché non riesco più ad andare avanti così…». Il padre commosso lo accoglierà a braccia aperte e gli dirà: «Ti aspettavo, ho visto che non riuscivi più a reggere la situazione e hai fatto bene a tornare, è tutto finito, ora sei con me e voglio che tu sia felice con me, non ci lasceremo più…». Ci sarà anche il figlio rompicoglioni che insorgerà e protesterà: «Ma tu non ci hai insegnato che la vita è sacra e che solo tu ce la puoi dare e togliere…». E allora il padre ribatterà: « Tu hai fatto tutto quel che potevi per alleviare le sofferenze di questo tuo fratello? Questo era il tuo compito. Tocca a me giudicare se questo tuo fratello non riusciva più umanamente a vivere, solo io posso capirlo perché ho sofferto con lui e per lui e ora lo prendo con me nella vita eterna che gli ho conquistato sulla Croce». E si farà festa…Urge schierarsi intanto che siamo ancora in tempo e non è detto che si debba stare sempre dalla parte del manico ecclesiale (io preferisco farmi male con la lama evangelica).Non sono sicuro di riuscirci, non so se fare riferimento ai pastori per uscire dalle schifezze della mia vita; se pensare a Giuseppe per capire che il sesso è qualcosa di molto grande; se guardare ai Magi per ridimensionare le mie spinte pseudoculturali; se affidarmi a Maria per smettere di voler sapere e capire tutto perché basta e avanza credere a Dio; se consolarmi come il ladrone nell’ultima fase della mia vita.Certamente non voglio fare la parte del figlio benpensante e voglio mettermi accanto a tutti quei personaggi evangelici che ho citato e che hanno capito che quell’uomo nato in una stalla e morto sulla croce era Dio. Il resto viene (dovrebbe) venire da sé.
L’angelico diesel del Senato
Il clima politico italiano è molto avvelenato: alle obiettive difficoltà, alle drammatiche contingenze, alle notevoli incertezze e alle discutibili e censurabili vicende si aggiunge una gratuita cattiveria dovuta all’assedio giuridico al limite della barbarie, all’accanimento dei media al limite della calunnia, alla macchina del fango che sta colpendo ad alzo zero con effetto boomerang sugli stessi promotori delle iniziative più spregiudicate. Tutto ciò ha poco a che fare con lo scontro politico: sulla mancanza di laurea di una ministra si imbastisce una assurda telenovela; dalla frase oltre le righe di un ministro si arriva alle minacce di morte per suo figlio; vengono sbattuti in prima pagina gli avvisi di garanzia notificati a mezzo stampa; le insinuazioni si sprecano; gli attacchi, in un crescendo rossiniano, spargono malignità un giorno sì e l’altro pure. Se questo, come sembra, è anche uno dei risultati del No al referendum (non del referendum in sé), sono sempre più contento di aver votato Sì.Questo marasma oltretutto rischia di fare il gioco dei veri colpevoli di gravi comportamenti, che alla fine riescono a nascondersi agevolmente in questa nebbiosa atmosfera da caccia alle streghe.A maggior ragione ho letto quindi con interesse un dossier giornalistico in materia politica, per la precisione in materia di “chi lavora nelle Camere”: pur con qualche inevitabile accentuazione polemica e provocatoria, viene riportato il clima al giudizio sui parlamentari nel loro effettivo modo di lavorare. Quasi una boccata d’ossigeno nel rovinoso dibattito: c’è chi ne esce bene e chi ne esce male o addirittura malissimo, ma il tutto almeno su dati obiettivi riguardanti il funzionamento delle nostre istituzioni.Quando mi capita di pensare al duro lavoro di Parlamentare (ho avuto l’opportunità di conoscere alcune persone che hanno svolto o svolgono questo ruolo), so di viaggiare in controtendenza, considerando con grande rispetto questo importante servizio che Paolo VI considerava la più alta forma di carità cristiana, mentre molti pensano (e non sempre purtroppo sbagliano…) ad un esercito di opportunisti, profittatori, sanguisughe, alla ricerca di benefici economici spropositati o almeno sproporzionati rispetto al lavoro svolto.L’ultimo affondo qualunquista arriva a prevedere che la durata della legislatura, messa in forse dal trambusto post-referendario, dalle smanie populiste di molti e dalla giustificata, comprensibile ma forse esagerata smania di rivincita di Matteo Renzi, arriverà almeno fino a settembre 2017, non tanto per la “cocciutaggine” istituzionale di Sergio Mattarella, né per la sovrapposizione di continue emergenze europee e mondiali, ma per l’ostruzionistica manovra dilatoria che mirerebbe a questo termine minimo per far scattare in capo ai parlamentari novelli il diritto al minimo della pensione. Non voglio credere a questi miseri calcoli di bottega, ho troppo rispetto per l’istituzione parlamentare e per chi in essa opera per lasciarmi coinvolgere in queste insinuazioni.Per quanto riguarda il numero dei parlamentari ho anch’io da tempo il forte dubbio che sia eccessivo: la dimensione quantitativa delle due Camere era stata concepita in un momento storico, diverso dall’attuale, in cui prevaleva il bisogno di ripristinare la democrazia e quindi di capillarizzare e rinsaldare i legami tra elettori ed eletti. Oggi la rappresentanza, la conoscenza e la comunicazione avvengono con altri criteri, gli schemi lavorativi sono cambiati, i rapporti, almeno in teoria, sono resi più facili e alla portata di tutti.Nella mia mentalità non ho mai dato troppa importanza al trattamento economico riservato a deputati e senatori, ritenendo che debba essere dignitosamente adeguato alle loro responsabilità ed al loro impegno. Per tutti coloro che rivestono cariche pubbliche deve valere il presupposto di poter contare su un corrispettivo che, senza scadere nel privilegio, li metta al riparo dalle inevitabili tentazioni a livello di concussione, di comportamenti clientelari, dell’affarismo in genere. Non credo che qualitativamente e quantitativamente la lotta agli sprechi trovi il suo punto decisivo nei costi della politica, anche se il buon esempio non guasta mai e la trasparenza e la correttezza dovrebbero mettere in grado i cittadini di effettuare un sano calcolo di costi/benefici anche per il funzionamento delle istituzioni democratiche senza indulgere a pericolose e fuorvianti generalizzazioni.Ecco perché, pur nella relativa attendibilità dei parametri utilizzabili, ma nella forte valenza delle elaborazioni peraltro abbastanza sofisticate e credibili (fare il deputato o il senatore non è come lavorare ad una catena di montaggio), è da considerare seriamente il dossier che il settimanale “L’ Espresso” ha pubblicato sulla produttività dei parlamentari.Al di là della scontata ma eloquente contrapposizione tra politici e politicanti, al di là dei numeri che in certi casi assumono un rilievo sconvolgente (si pensi all’assenteismo piuttosto pesante ed esteso che viaggia su percentuali vergognose per arrivare ad un caso limite dello 0,84 per cento di presenze), al di là del fatto che non basti la pura presenza in aula e/o in commissione e nemmeno l’intervento diretto nel dibattito, leggendo magari un asettico compitino, per misurare la produttività di un parlamentare (non è sufficiente quindi timbrare il cartellino), dall’inchiesta di cui sopra emergono dati interessanti ottenuti in base ad un mix di parametri che finalmente arriva a premiare chi svolge realmente la funzione legislativa (non si deve dimenticare infatti che il prodotto principale, ancorché non esclusivo, della “fabbrica parlamentare” sono le leggi) con riguardo soprattutto alla funzione di relatore dei provvedimenti di legge (in particolare quelli di emanazione governativa che rappresentano l’80 per cento dell’intera produzione legislativa).Mi sono sempre chiesto se forse i parlamentari non facciano di tutto meno che preoccuparsi di fare buone leggi (riunioni infinite di partito, viaggi, missioni, etc. etc.). Questa indagine riporta finalmente il lavoro parlamentare alla propria essenza istituzionale e lo misura sulla base dei risultati legislativi ottenuti.In queste articolate e diversificate classifiche emerge, oserei dire giganteggia, la figura di un senatore di prima nomina (un peone quindi), il quale, pur ricoprendo un solo incarico presidenziale a livello di commissioni (Commissione Contenziosa, un organo di garanzia che non offre le opportunità politiche delle commissioni di merito), sbaraglia tutto il campo, anche dei potenti (quelli che parlano a raffica nelle televisioni e si atteggiano a protagonisti della vita politica), potendo vantare di partecipare a ben sei commissioni, di essere stato relatore a ventidue provvedimenti, di essere stato firmatario di sedici proposte di legge e cofirmatario di altre duecento, senza peraltro dimenticare di essere un parmigiano verace e quindi riuscendo a far approvare da Palazzo Madama il disegno di legge che finanzia annualmente il Festival Verdi, di essere stato un punto di riferimento importante e concreto dell’attività di governo senza farne parte direttamente.Si tratta del senatore Giorgio Pagliari, docente di diritto amministrativo all’Università di Parma, avvocato, amministratore di importanti enti pubblici, ex consigliere comunale ed ex assessore provinciale in quel di Parma, dove solo la miopia e la burocrazia dei bersaniani di turno lo ha stoppato nella trionfale scalata come sindaco al comune di Parma compiendo il “capolavoro” di spianare, nell’ormai lontano 2012, la strada al grillismo regalando un insperato successo al tanto discusso Federico Pizzarotti.Non so fino a qual punto Pagliari sia catalogabile come catto-renziano della prima ora (così lo definisce, peraltro bonariamente, Susanna Turco su L’Espresso): questa definizione nasce probabilmente dal contributo dato sul tema delle unioni civili, in cui è stato l’ala “laica” dei cattolici; non è un renziano della prima ora, né come tale ha mai cercato di accreditarsi. Forse in Senato è considerato così perché, condividendo il merito, è stato chiamato più volte a difendere in aula la riforma costituzionale e la “buona scuola”, nonché a gestire la riforma della Pubblica Amministrazione. Una cosa è certa: che nelle commissioni importanti non è finito perché renziano, ma per le qualifiche professionali.Conosco e apprezzo la sua ispirazione cristiana temperata da un concetto laico della politica nel solco della tradizione dei migliori esponenti del cattolicesimo democratico; più volte ho ragionato con lui del significato culturale e della portata politica del cosiddetto renzismo di cui apprezza e condivide spinta innovatrice e concreta capacità di governo pur non sottovalutando limiti e difetti di questa nuova impostazione politica riscontrabili nella limitatezza quantitativa e qualitativa del gruppo dirigente ruotante attorno all’indiscutibile e carismatico leader e, quale causa/effetto di ciò, nell’insufficiente radicamento territoriale a livello di partito. Credo non sia possibile farlo rientrare nel cosiddetto “giglio magico”: non è nel suo stile aderire acriticamente ad un gruppo e quindi mi sembra che, pur alla luce delle precisazioni di cui sopra, la definizione di “renziano” gli possa stare un po’ stretta anche se affibbiata in contrapposizione a coloro che tardivamente sono saliti sul carro per avere benefici più che per portare contributi.Nel caso di Pagliari ciò che lo qualifica non è tanto l’appartenenza o meno ad un gruppo o ad una corrente di partito, ma il fatto che sia stato capace di tenere produttivi rapporti tra governo e parlamento in una benefica osmosi e in un periodo in cui sembra essere premiante la vuota e triviale polemica tra le stesse istituzioni.Giorgio Pagliari fa parte dei parlamentari che conosco e quindi non posso che testimoniare a suo favore a conferma degli eloquenti numeri della sua classifica. Una soddisfazione per lui, per il suo partito (Pd), per la sua città (Parma), per i suoi elettori ed estimatori (tanti), per chi crede nella politica alta (ha avuto maestri indimenticabili), per chi esige che in Parlamento trovino posto preparazione, professionalità, esperienza, sensibilità e forti legami col territorio.Va di moda parlar male dei politici, ci si diverte a trovarli in castagna, li si considera, nel migliore dei casi, un male necessario: non mi associo a questo rosario denigratorio, anche se non sono solito risparmiare critiche (a volte molto dure) a nessuno. Forse in buona parte dipende dall’esempio (a me ben noto prescindendo da “L’Espresso” talent scout) di questo senatore diesel, di questo secchione, di questo peone, che batte due a zero i potenti, i mestieranti, i capaci di tutto che finiscono per non essere buoni a nulla: mi consola e mi “costringe” alla fiducia verso la Politica (con la “p” maiuscola) .
Dimissionite sub-acuta
Che in Italia stia montando un clima giudiziario da caccia alle streghe penso sia un dato oggettivamente fuori discussione. La Magistratura sta cavalcando la situazione di vuoto politico finendo, volontariamente o involontariamente, per colmarlo con la squalifica della classe politica: dopo di che avremo un deserto senza oasi, senza cammelli, senza cammellieri, in cui rischieremo di morire di sete.La nostra politica è indubbiamente malata di incapacità, di incoerenza e di corruzione, ma stiamo attenti a buttare a mare tutto, perché, come diceva Gianni Agnelli, a rifare una classe dirigente occorrono vent’anni. Sono passati dalla prima tangentopoli e non si è rifatto un bel niente: il renzismo, checché se ne dica, era un seppur pallido tentativo in tal senso ed è stato (per la verità non ancora completamente) buttato a mare proprio perché in molti hanno capito che l’aria stava cambiando pericolosamente e c’era il rischio di rimanere sepolti sotto le macerie. Meglio quindi difendere i ruderi.In questa battaglia la magistratura svolge un ruolo schizofrenico dando sistematicamente colpi anticorruzione al sistema e nello stesso tempo difendendolo corporativamente: non credo ci sia un disegno se non quello di mandare a dire che il sistema va cambiato, ma la magistratura non si tocca. Chi fa discorsi settari di questo genere mi fa paura…La politica però deve trovare un rigurgito di vitalità e di onestà intellettuale rispondendo per le rime. Come? Mi sembra superfluo dire che si deve smettere di rubare e di combinare casini: è il minimo. Ma occorre anche rispondere in modo adeguato ai provvedimenti giudiziari.Il garantismo è un punto imprescindibile, ma in questi ultimi giorni abbiamo avuto tre fatti che connotano in modo assai diversificato i rapporti tra politica e magistratura.Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, di fronte ad una indagine che si riapre a suo carico, si autosospende in quello che molti hanno giudicato (me compreso) un eccesso di zelo o una excusatio non petita. Ha voluto innanzitutto sottolineare come bisogna farla finita con gli avvisi di garanzia a mezzo stampa; poi ha voluto capire su cosa fosse fondata questa nuova indagine e su quali ipotesi di reato. Fatte queste verifiche ha ritenuto in coscienza di ritornare al suo posto.La sindaca di Roma Virginia Raggi, sepolta sotto una valanga di vicende legalmente poco chiare e di personaggi chiacchierati e indagati (addirittura uno è stato arrestato), non ha ritenuto al momento di fare un passo indietro, è rimasta al suo posto nonostante il fuoco politico amico, nonostante le giornaliere complicazioni amministrative e legali, nonostante a suo carico si profilino all’orizzonte sviluppi poco simpatici.Il senatore Roberto Formigoni viene condannato dal tribunale di Milano (quindi in primo grado) a sei anni di reclusione e altrettanti di interdizione dai pubblici uffici per concorso in corruzione nel periodo in cui era presidente della Regione Lombardia. Gli vengono confiscati inoltre beni (case, denaro, auto e villa) per 6,6 milioni di euro. Decide di rimanere sul suo scranno di senatore e presidente di una commissione senatoriale.Non intendo sfrugugliare nella coscienza di questi personaggi, né ergermi a paladino dell’onestà altrui, voglio prescindere anche dalle mie simpatie personali e politiche. Mi sembra tuttavia che esista una gamma un po’ troppo diversificata in questi atteggiamenti: andiamo dalla miglior difesa che sarebbe l’attacco, al puro gioco di rimessa, al catenaccio difensivo. Tre tattiche molto diverse per tre situazioni diverse. Sarebbe forse il caso di trovare, più a livello di etica che di norme di legge, comportamenti omogenei che tengano conto comunque delle diverse situazioni.Non trovo nessuna soddisfazione nel vedere i politici sul banco degli imputati, ancor meno se rischiano seriamente il carcere. Del male altrui mi dispiaccio, non giudico e non condanno nessuno. Tuttavia un po’ più di dignità non guasterebbe: non si tratta di ammissione di colpa, ma di rispetto degli elettori e della fiducia che essi hanno espresso col voto. Il garantismo non si discute, non sono affetto da dimissionite acuta, resta tuttavia un serio e grave discorso di opportunità politica a salvaguardia della politica stessa.È stato chiesto a Roberto Formigoni come vivrà dopo i sequestri. Ha risposto con inutile sarcasmo: «Con poco, visto che da gennaio per un’altra vicenda mi hanno confiscato anche metà dello stipendio da senatore. Oltre ai cinque appartamenti a Lecco ereditati dai miei genitori nei quali vivono mia sorella e mio fratello. Vivrò con poco. Del resto, ho sempre fatto una vita morigerata».Non aggiungo commento!
Angeli e demoni
“Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Queste sono le parole sui giovani italiani andati a lavorare all’estero, pronunciate dal ministro del lavoro Giuliano Poletti, che hanno scatenato una tempesta a livello mediatico, culminata in una mozione di sfiducia presentata da alcune forze di opposizione a livello parlamentare, accompagnata dal solito ricattino della sinistra dem (pronta a sfruttare l’occasione per la solita battaglia di retroguardia, questa volta sulla riforma del mercato del lavoro) e da una certa piccata reazione da parte dei giovani del partito democratico, forza politica a cui aderisce il ministro sotto pressione.Sarei curioso di capire bene cosa intendesse dire il ministro, il quale non ha spiegato i motivi di questa sparata, ma si è precipitato ad autosmentirsi e a scusarsi. Una semplice gaffe? La cosa non mi convince: tutti possiamo sbagliare ed esagerare nei nostri giudizi. A me capita spesso di esprimermi in modo provocatorio, finalizzato soprattutto a far emergere ed esplodere il dibattito su un problema reale che magari tende a rimanere sotto traccia. Da un ministro si pretenderebbe un certo senso di responsabilità, anche se su questo argomento non è il primo uomo di governo che interviene con espressioni piuttosto pesanti: dai “bamboccioni” di Tommaso Padoa Schioppa e Mario Monti agli “schizzinosi” di Elsa Fornero per finire coi “pistola” di Giuliano Poletti. Ho sempre pensato che in queste irridenti definizioni ci fosse una abbondante cucchiaiata di cattiveria senile, ma anche una punta di verità sociale. Sarebbe ora di rientrare dalle continue ed insistenti scorribande verbali di un linguaggio e di uno stile politici da caserma, ma certe puntate provocatorie non sono necessariamente da censurare, considerato il fatto che nel caso specifico chi finge di scandalizzarsi ne spara a raffica di tutti i colori.Giuliano Poletti prima di essere uomo di governo è uomo che conosce direttamente il mercato del lavoro per averlo vissuto sul fronte imprenditoriale di Legacoop, non è quindi uno sprovveduto e non mi sembra un vuoto fanfarone alla ricerca di effettacci mediatici.Desumo che volesse, seppur polemicamente e provocatoriamente, lanciare alcuni messaggi. Azzardo ipotesi.Forse intendeva dire che molti giovani latitano nelle università senza studiare e facendo spendere inutilmente un sacco di quattrini ai loro genitori? È vero, ho l’occasione di osservarli nelle loro abitudini goliardiche e sono portato a stupirmi dello spirito di sopportazione dei loro genitori (mio padre e mia madre se avessi menato il can per l’aia mi avrebbero immediatamente tagliato i viveri e costretto a cambiare registro).Forse intendeva dire che i giovani, anziché ripiegare sulle facili ricette dell’antipolitica e sui semplicistici No, sarebbe meglio che si impegnassero politicamente e costruttivamente, non per tornare al ’68 ma nemmeno per portare acqua al mulino populista.Forse intendeva dire che parecchi giovani non hanno alcuna capacità di adattamento al mercato del lavoro e rifuggono da certe mansioni di basso livello, non si adattano a profili professionali lontani dai loro titoli di studio, non accettano modalità, tempi e procedure di grande sacrificio, si adagiano sull’aiuto di genitori e nonni illudendosi e illudendoli sull’avvento di tempi migliori, non hanno la mentalità del lavoro che spesso occupa un posto secondario nella loro scala di valori, si intestardiscono su scelte scolastiche campate in aria preludio a sicure e scontate disoccupazioni intellettuali.Forse pensava che i giovani emigranti in cerca di lavoro non sono necessariamente migliori di quanti scelgono di rimanere in Italia, non sono tutti stacanovisti o vittime sacrificali o cervelli sopraffini, ma anche personaggi in cerca di fortuna, di lavoro leggero e di guadagno facile.Forse pensava che nell’era della globalizzazione dobbiamo rassegnarci a considerare normale una certa mobilità che vada al di là dei confini nazionali.Forse pensava che le generazioni passate (che oggi vengono considerate come privilegiate nelle loro certezze (?) pensionistiche), per arrivare a certi risultati sul piano professionale ed economico, si sono fatte “il mazzo”, hanno sgobbato ben più di quanto siano disposti a fare certi giovani d’oggi.Forse pensava che la nostra scuola (corporativamente impermeabile ad ogni e qualsiasi tentativo di riforma) e la nostra università (imprigionata in logiche baronali e massoniche) non riescono ad aprirsi a validi giovani docenti e ricercatori e non si raccordano col mercato del lavoro e i suoi andamenti, sfornando figure professionali senza possibilità di domanda, privilegiando profili didattici antiquati, selezionando gli allievi in modo sbrigativo e superficiale.Forse pensava che la crisi occupazionale non ha confini, è problema mondiale che risale alla crisi economica e alla necessità di lunghe e faticose conversioni produttive, che risente delle ristrettezze della finanza pubblica e dell’allungamento dell’età pensionistica, che soffre della messa in discussione a tutti i livelli del welfare, che dipende da enormi ritardi culturali e politici.Forse pensava che un ministro del lavoro non ha la bacchetta magica per creare nuovi posti di lavoro e che molto se non tutto dipende da nuovi investimenti produttivi a livello privato e pubblico e che il governo Renzi, che, pur con tutti i limiti, si stava impegnando in tal senso, è stato mandato a casa e chi l’ha mandato a casa soffia sul fuoco del malcontento giovanile.Forse pensava che i sindacati dei lavoratori dovrebbero fare la scelta dei giovani e non dei pensionati o degli occupati come, tutto sommato, dimostra l’insistenza nella difesa di certi totem del passato (vedi referendum per cancellare sostanzialmente gran parte dell’avviata riforma del lavoro, un ritorno al passato che non aiuterebbe minimamente i giovani in cerca di occupazione).Forse pensava che i problemi del lavoro non si risolvono cancellando i voucher e facendo gli schizzinosi sui diritti dei lavoratori, finendo col difendere chi il lavoro ce l’ha e ostacolando chi non ce l’ha.Forse pensava che in questo Paese bisogna smetterla di fare demagogia per affrontare concretamente i problemi, rimuovendo l’inefficienza e la clientela dalla pubblica amministrazione, promuovendo meccanismi di selezione e di carriera che premino il merito.In conclusione non credo che Giuliano Poletti sia il demone politico (affamatore del popolo giovanile) che si scontra con gli angeli (i giovani puri e belli cerca di lavoro) e che meriti di essere precipitato negli inferi da improvvisati redentori di facili costumi.Tuttavia, se voleva esprimere tutti questi legittimi dubbi e queste pertinenti opinioni, doveva essere più chiaro e trasparente a costo di dare le dimissioni o di avere la sfiducia del Parlamento, non su una frase più o meno maliziosa, ma su un discorso complessivo. A volte è meglio andare a casa nella chiarezza che rimanere in carica nell’equivoco ingoiando rospi assurdi.
Il nazismo dietro l’angolo
Se è vero che “a far del bene agli asini si resta fottuti”, è altrettanto vero che “non si può fare di ogni erba un fascio” e non si deve tarare il comportamento sulle disgrazie che possono succedere. Sarebbe come se non si uscisse di casa per evitare di essere investiti sulle strisce pedonali, non si salisse su un treno per paura di un deragliamento o su un aereo per timore che possa cadere. Quando assumiamo regole comportamentali sull’onda di avvenimenti paurosi o spaventosi interni o esterni alla nostra volontà esistenziale, siamo destinati a sbagliare tutto.Questo vale a maggior ragione per le scelte da assumere a livello comunitario e quindi anche a livello politico. Far discendere dagli attacchi terroristici islamici un indirizzo di criminalizzazione generalizzata degli immigrati e di chiusura verso i profughi e i rifugiati da tenere ben lontani è un esercizio irrazionale oltre che eticamente riprovevole e politicamente settario. Che la colpa, come sostengono strumentalmente, cavalcando lo sgomento e la rabbia, certi personaggi italiani e stranieri, per l’attentato al mercato di Berlino sia di Angela Merkel perché ha aperto le porte della Germania ai rifugiati di religione islamica, è una forzatura strumentale, populista, demagogica e sostanzialmente nazi-fascista.Non si può affrontare il problema dell’immigrazione sull’onda psicologica dell’orrore provocato dagli attentati. Al limite dovremmo emarginare e respingere tutti coloro che creano problemi alla nostra convivenza, dai migranti il discorso si potrebbe allargare ai rom, ai tossicodipendenti, agli accattoni, financo ai malati ed ai poveri in genere (qualcuno ci ha aggiunto e ci aggiungerebbe gli omosessuali). Questo atteggiamento è pericolosissimo e foriero di discriminazioni a non finire che ci riportano agli anni bui del nazismo e del fascismo.Fortunatamente Berlino, città a cui hanno sporcato di sangue il Natale, ha reagito con dignità e senso di responsabilità. Sembra infatti che per i Berlinesi non esista il pericolo che l’attacco possa suscitare nuova intolleranza. Mi hanno colpito i messaggi contenuti nei fogli esposti sul luogo della strage: un mercato nel cuore della città dove un camion è stato lanciato tra la folla da terroristi islamici che hanno falciato decine di persone. Un Berlinese scrive: «No, signor Trump, il mondo civilizzato non deve cambiare il suo modo di pensare dopo quello che è successo. Anzi, dobbiamo difenderlo!». Un altro invita: «Non lasciamoci traviare dalla disumanità». Un altro ancora chiarisce in modo perfetto: «Non otterrete il nostro odio».Lo scrittore Peter Schneider sostiene che Berlino è una città che sa difendere la sua libertà e ricorda l’episodio famoso del controllore del tram che, violando le leggi razziali in pieno periodo nazista, offrì un posto a sedere a un’ebrea con la stella gialla sul cappotto, e, quando passeggeri fedeli al regime protestarono, rispose con il proverbiale muso duro dei berlinesi: «Signori, è affar mio disporre sul mio culo».I nazionalisti e populisti però si sono buttati sui cadaveri come avvoltoi sostenendo che Angela Merkel sarebbe colpevole per questi morti per aver importato irresponsabilmente i terroristi. La premier tedesca però invita alla calma con nobili parole: «Non dobbiamo farci paralizzare dalla paura: troveremo la forza di essere uniti, aperti, liberi».Ma è opportuno fare riferimento ancora a quanto scrive Peter Schneider: «L’ondata nazionalpopulista, da Trump a Le Pen a Salvini, la paura dei migranti, la nostalgia di una vita nell’ordine, investono anche la Germania e la mia città: il partito xenofobo Afd qui è al 14-15 per cento. E sentiamo il fiato caldo della Russia di Putin, per cui la nostra libertà è decadente e negativa. Confido che anche a queste sfide i berlinesi sapranno resistere. Pronti a difendere il loro spirito di libertà».Ci deve riempire d’orgoglio quanto riportano i colleghi su Fabrizia Di Lorenzo, un Italiana quasi certamente vittima del massacro, la quale viveva da alcuni anni a Berlino dove aveva terminato il suo curriculum scolastico e dove lavorava: «Voleva scrivere di politica internazionale, conosceva il tema dei fenomeni migratori e credeva che il terrorismo si sconfiggesse con l’inclusione». E a (s)proposito di giovani arrabbiati, è interessante sottolineare quanto, dopo il referendum costituzionale, citando il film “La meglio gioventù”, Fabrizia avrebbe scritto a @matteorenzi: «Invece qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri! Peccato presidente!» (alla faccia dei sociologi che basano le loro teorie sui dati statistici più che sulle idde e dei politici alla Massimo D’Alema che dovrebbero riflettere e darsi un morso alla lingua).Qualcuno dei populisti alla moda in tema di recrudescenza terroristica arriva ad incolpare persino il Papa, reo di affermare che il terrorismo non ha nulla a che vedere con la religione islamica. Qui il discorso si complica.Noi occidentali quando affrontiamo il discorso della violenza religiosa non pensiamo agli orrendi crimini delle crociate, delle guerre di religione, dell’inquisizione.Sul fatto che le religioni abbiano contenuto pacifico sempre e comunque, ho qualche dubbio. Solo sul Vangelo non ci possono essere equivoci, nonostante i cristiani, come detto, ne abbiano combinate di tutti i colori.Come sostiene Corrado Augias, probabilmente, mentre le altre religioni hanno esaurito la loro carica di violenza e discriminazione, l’islam fa molta più fatica, perché mentre la cultura che sta sotto le altre religioni è evoluta, quella che sottende l’islam è ferma al medio evo.Basterà ai musulmani scendere in piazza per dissociarsi da tutte le manifestazioni di intolleranza verso le altre religioni? Sarà sufficiente recarsi umilmente a pregare nelle chiese cattoliche? I servizi giornalistici televisivi mostrano i musulmani che pregano per le vittime del terrorismo. spesso mancano totalmente le donne! Se l’Islam non supera questa sessuofobia può essere inutile anche il pregare e persino il pregare assieme ai cattolici…Se non arrivano a comprendere che la fede va oltre le regole e diventa vita vissuta, possono gridare a squarciagola tutto il loro disappunto per la violenza, ma resta il rischio del ripiegamento fanatico sul dogmatismo, che è sempre equivoco nella sua rigidità “cadaverica”.Tuttavia noi, di fronte ai crimini dei giorni nostri, siamo portati ad avere la memoria corta. Inorridiamo giustamente di fronte ai fatti riconducibili al terrorismo islamico, ma dimentichiamo un passato coloniale che ha insanguinato la storia, usiamo due pesi nel valutare i morti: un europeo vale cento o forse mille afghani o curdi o tunisini o siriani…Non ricordiamo che i rifugiati, verso cui facciamo gli schizzinosi, sono , come scrive Alberto Melloni, l’esito di una catastrofe nella quale tutti hanno dato il peggio: la superficialità europea, la volubilità americana, le estemporaneità russe, il cinismo arabo, l’ambiguità wahabita. Il peggio l’ha dato anche un cattolicesimo fiacco sul piano intellettuale e spirituale, pago di conservatorismi antiquari e di conformismi ideologici di destra.Papa Francesco ha scelto il silenzio e la preghiera davanti ai crimini della storia passata; predica e pratica dialogo e solidarietà di fronte ai crimini attuali. Non c’è altro da fare!Ricordiamo, vangeli alla mano, come è avvenuto l’arresto di Gesù. Pietro ha estratto la spada e ha tagliato un orecchio ad uno dei servi del sommo sacerdote, venuti per catturare il Maestro (il cruento inizio, da entrambe le parti, della guerra di religione?). Gesù ha fermato bruscamente Pietro e addirittura ha compiuto il suo ultimo miracolo rimettendo a posto quell’orecchio mozzato. Più chiaro di così!
Le erbacce del vicino sono meno verdi
Se allarghiamo lo sguardo sul mondo e i suoi drammi, le nostre polemiche politiche a livello nazionale prendono senza dubbio una bella ridimensionata.È ben piccola cosa la telenovela capitolina di Virginia Raggi rispetto alla telenovela appena cominciata di Donald Trump: cosa volete che siano le cazzate che ha fatto la sindaca di Roma nella scelta di collaboratori ed assessori a confronto con le delinquenziali trattative portate avanti dal presidente statunitense eletto per scegliere i suoi ministri ed i suoi consiglieri. La Raggi ha messo come assessore all’ambiente una indagata per reati ambientali…Trump consegna gli accordi mondiali sulla salvaguardia ambientale e naturale (da cui dipende il futuro del pianeta) ad un grande petroliere…Lo sfogo sacrosanto di Roberto Giachetti, contro i penosi minoritari padreterni dem, scompare a fronte dell’arroganza putiniana (esser puoi sanguinario e feroce nessun nato di donna ti nuoce), che troverà motivo di esplodere appieno dopo l’attentato contro l’ambasciatore russo in Turchia, potendo contare sulla insensata sponda trumpiana e sulla progressiva debolezza europea consacrata dai ripetuti fiaschi dei summit dell’Unione.La mancanza di laurea della ministra dell’istruzione, Valeria Fedeli, assume il carattere di stupido diversivo (lo era già di per sé) di fronte alla laurea in terrorismo islamico honoris causa per gli attentatori che insanguinano l’occidente (attentato al mercatino di Berlino).La presunta gaffe del ministro Poletti sui cervelli in fuga dall’Italia, che strumentalmente viene sbandierata come una stecca che meriterebbe l’uscita di scena di questo ministro preso di mira dalla falsa intellighenzia referendaria e post-referendaria, è un’assurda quisquiglia rispetto alla fuga di milioni di persone dalla guerra, dalla fame, dalla miseria, dalla violenza, alla cui morte in mare abbiamo fatto l’abitudine.Il dibattito sulla legge elettorale italiana, che sembra il problema dei problemi, la madre di tutte le battaglie politiche possibili e immaginabili, una questione di vita o di morte del nostro Paese, diventa un preziosismo parlamentare, se guardiamo al disastro elettorale statunitense dove una legge canaglia consente ad un pazzo, con quasi tre milioni di voti in meno della sua competitor, di insediarsi alla Casa Bianca e di insidiare la storia del mondo intero.Voglio riflettere per un attimo sull’ultimo atto dell’elezione di Trump. I grandi elettori si sono rivelati piccoli e hanno pedissequamente ribaltato sul tycoon i voti dei loro Stati. Perché non è possibile rivedere il voto alla luce delle novità intervenute? Una campagna elettorale falsata da intromissioni straniere, una catena interminabile di contraddizioni rispetto alle promesse elettorali e al senso comune istituzionale, l’insorgenza clamorosa e sfrontata di enormi conflitti di interesse, la chiara evidenziazione di un imbroglio politico-culturale ai danni dell’elettorato: non avrebbero potuto essere motivi sufficienti per rimettere in discussione il voto dei grandi elettori? Ha vinto il notaio. Un grande Paese democratico si sta trasformando nell’anticamera di un manicomio internazionale.Se l’indagine per avere retrodatato la data sull’atto di nomina della commissione aggiudicatrice di un appalto è bastata al sindaco di Milano per fare un passo indietro e rimettersi in discussione, il responso della Cia in merito alle intromissioni russe atte a danneggiare Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca non avrebbe dovuto comportare un passo indietro di Donald Trump, almeno una sospensione della sua nomina in attesa di ulteriori indagini o almeno un ripensamento provvisorio da parte dei grandi elettori americani? Non ci resta che sperare in una commissione d’inchiesta del senato americano che possa costringere Trump a farsi da parte: c’era ben meno nel famoso scandalo Water gate che mise fuori gioco Richard Nixon.E gli Usa sarebbero una democrazia solida, mentre l’Italia sarebbe una democrazia fragile?Mi tengo strette le nostre istituzioni, le nostre leggi elettorali, i nostri magistrati, i nostri giornalisti, i nostri burocrati. Massimo Severo Giannini, ministro per la riforma burocratica, abbandonò l’incarico dichiarando di voler emigrare negli Usa. Mi dispiace, ma io preferisco rimanere, nonostante tutto, in Italia. Il problema però sta nel fatto che Trump, gli americani ce lo hanno messo sul groppone anche a noi.Grazie!
Le facce e i culi
Con pannelliana schiettezza Roberto Giachetti ha apostrofato il galletto irrequieto del pollaio della sinistra dem, dicendo a Roberto Speranza ed ai suoi amici ciò che molti pensano e nessuno ha il coraggio di dire: «Hai (avete) la faccia come un culo”.Si parlava, all’assemblea del Pd, di riforma elettorale, con la proposta di Renzi di ripartire nel dibattito parlamentare dal cosiddetto “Mattarellum”, un virtuoso mix di sistema maggioritario e proporzionale, già sperimentato e che aveva dato risultati non disprezzabili. La sinistra interna si è detta d’accordo, ma Giachetti non si è potuto trattenere e, in modo più colorito che scurrile, ha rammentato l’atteggiamento dell’allora capo-gruppo alla Camera contrario al Mattarellum: alla faccia della coerenza.Penso che Giachetti abbia colto la ghiotta occasione per sciacquarsi la bocca. Il vero affondo politico l’ha fatto però bollando come inaccettabile l’atteggiamento di chi, aderente alla sinistra dem, concede al governo Gentiloni una fiducia con la condizionale, tutta da verificare valutando i singoli provvedimenti: un comportamento che configura di fatto una scissione tra un partito che appoggia Gentiloni e un partito che lo giudicherà strada facendo.Tutto sommato direi che ha fatto bene, anche se ha rischiato di rovinare quel minimo di dialogo avviato all’interno del partito, ma la verità non dovrebbe offendere e quindi…Tornando alla legge elettorale, bisogna ammettere che è, per tutte le parti politiche, la ghiotta occasione per tirare l’acqua al proprio mulino e su di essa quindi si scatenano le più bieche partigianerie ed incoerenze.Proviamo a passarle in rassegna.Cominciamo dallo sfilacciato e divaricato centro-destra: sono gli autori del cosiddetto “Porcellum”, una porcheria cucinata solo ed esclusivamente al fine di rendere impossibile la vittoria dell’avversario, creando i presupposti per l’ingovernabilità e la disarmonia fra i due rami del parlamento. Dovrebbero starsene zitti, invece pontificano: gli uni (forzitalioti) alla ricerca di un proporzionale che li rimetta miracolosamente ed autonomamente in gioco, che li difenda dal comportamento di Salvini ben più ostile di quello di Bollorè; gli altri (leghisti) in corsa verso le elezioni purchessia, convinti di incassare il loro frettoloso dividendo populista con l’esposizione dell’album di famiglia in cui Trump, Putin e Le Pen hanno preso il posto di Bossi, Miglio e Pivetti; gli altri ancora (fratelli d’Italia) tornati nelle loro fogne nazionaliste da cui pensano di avere ancora qualcosa da vomitare; da ultimi abbiamo i riposizionati (Ncd e Udc), Alfano e c., teneramente preoccupati di difendere il loro modesto gruzzolo elettorale a prova di soglia e ancor più a prova di premio di maggioranza.Andiamo al secondo polo: il movimento cinque stelle. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Il tanto bistrattato Italicum li avrebbe favoriti, ma loro, pur di dare un senso al no preconcetto e totale, proponevano strumentalmente un ritorno al proporzionale puro. Ora che il proporzionale sta riprendendo quota, sarebbero disposti ad andare alle urne con l’Italicum sia alla Camera che al Senato. Forse hanno capito in ritardo che a loro converrebbe: l’importante comunque, anche per i grillini, è votare al più presto per incassare l’altro sostanzioso dividendo dell’antipolitica (Raggi permettendo).L’extra-sinistra non la prendo in considerazione perché tra diverse sigle, partiti, partitini, gruppi, gruppetti, non riesco a cogliere uno scampolo di strategia e nemmeno di tattica che vadano al di là dell’antirenzismo viscerale.Arriviamo al Pd e al suo sbandamento post-referendario: Renzi, come al solito, accetta il rischio di fare la prima mossa all’interno del suo partito e nei confronti degli altri partiti. Il tatticismo non è il suo mestiere, anche se rischia il tatticismo dell’antitatticismo. Abbandonato l’Italicum, un abito cucito addosso ad un sistema istituzionale uscito straperdente dal referendum, prima di andare dal sarto ha aperto l’armadio e ha notato che c’è un altro abito (il Mattarellum) ancora in discreto stato e che non è totalmente passato di moda: vale la pena provare a renderlo utilizzabile previa qualche piccola modifica, senza aspettare la sartoria della Corte costituzionale da cui si rischia di uscire con gli abiti ridotti a brandelli (vedi consultellum e probabile italichellum).La sinistra dem, contraria all’italicum, dietro cui ha nascosto la mano che tirava il sasso alla riforma costituzionale, dietro cui, a sua volta, si nascondevano le mani che tiravano i sassi a Renzi, dovrebbe accogliere benevolmente il ritorno al mattarellum anche se lo aveva frettolosamente relegato nell’armadio della soffitta: Giachetti lo ha ricordato e loro si sono incazzati, perché sono costretti a togliere le mani dal nascondiglio dopo averle usate a brindare vigliaccamente alla sconfitta del loro partito.Così solo per il momento (ne vedremo delle belle…) si chiude il cerchio della grande discussione sulla legge elettorale, ma non si chiude il discorso delle facce da culo nella politica italiana.Matteo Renzi sul referendum ha messo la propria faccia e forse l’ha persa: meglio perderla che conservarla a forma di culo.A Roberto Giachetti il merito di avercelo ricordato: grazie!Marra, Morra, Murra e…MuraroIn uno spettacolo di rivista periferico di quarant’anni fa il comico di turno racconta la barzelletta sui politici, giocata su alcuni nomi piuttosto imbarazzanti: Piccoli, Storti e Malfatti. Dal fondo della sala si sente un grido di commento: «Sì e Finocchiaro dove lo mettiamo?». Era, se non erro, l’allora esponente socialdemocratico Beniamino Finocchiaro, presidente della Rai, che non c’entrava proprio niente con gli altri tre nomi giocati sul doppio senso irridente, se non per un cognome piuttosto originale che allora, in pieno clima omofono, poteva suonare oltremodo ridicolo.Oggi la politica ha un suo strano tris di nomi scioglilingua provenienti dalle vicende grilline in Campidoglio: Marra, Morra, Murra. Sì e Muraro dove la mettiamo?Raffaele Marra è l’uomo forte di Virginia Raggi, capace di rimanere a galla da un’amministrazione comunale all’altra (Alemanno, Marino, Raggi), difendendo il proprio potere burocratico, ottenendo, almeno sembra, qualche “regalino” di troppo dai palazzinari e costruendo un suo piccolo impero economico le cui propaggini famigliari arriverebbero fino all’isola di Malta (il fratello Renato promosso a responsabile del servizio turistico, l’altro fratello Catello strano faccendiere in quel di La Valletta). Questo signore sarebbe riuscito ad infiltrarsi nella nascente ondata pentastellare capitolina, ad incantare Virginia Raggi nel cui gruppo ristretto sarebbe entrato a pieno titolo, ad abbindolare Luigi di Maio durante le sue omertose peregrinazioni tra Camera dei Deputati e Campidoglio, a resistere agli sconclusionati attacchi del direttorio del movimento, a tenere in scacco Beppe Grillo, a passare con estrema disinvoltura da vice-capo gabinetto del sindaco a capo del personale, a far fuori un capo di gabinetto facendosi blindare dalla sindaca di cui si diceva fosse diventato il braccio destro. C’è voluta un’entrata a gamba tesa della Procura della Repubblica per retrocederlo a comune mortale e ad impiegato semplice, facendolo rientrare nelle truppe dell’esercito comunale dei 23mila dipendenti (la sindaca, autopromossa a novella Cornelia, poteva risparmiare a se stessa, a Marra, ai cittadini di Roma e a tutti, la penosa battuta: “il mio braccio destro è il popolo romano…”).Nicola Morra è un senatore grillino che, dopo l’arresto di Marra, ha onestamente ammesso che il movimento non poteva far finta di niente e che chi rigorosamente esige onestà e pulizia dagli altri, deve dare il buon esempio. Mi piacerebbe risentirlo dopo che la vicenda ha preso una piega da presa in giro nel tira e molla scandaloso del “fatti più in là”, con la sindaca che non molla e reagisce colpo su colpo, con un valzer di poltrone che dura da sei mesi, con Grillo che sta a guardare la sfida tra il comune di Roma e l’azienda Casaleggio (proprio ai funerali di Gianroberto Casaleggio fu coniato il grido “onesta!, onestà!) e si fa dettare l’agenda dal guru-figlio Davide che ha preso il posto del guru padre (Berlusconi sta a Gonfalonieri come Grillo sta a Casaleggio). Cosa ne dice il senatore Morra di questa pantomima?Poi abbiamo Rodolfo Murra, un galantuomo e profondo conoscitore della macchina amministrativa comunale romana quale capo dell’Avvocatura capitolina: la Raggi, come scrive Carlo Bonini su la Repubblica, a difesa del suo cerchio magico decise di rompere con lui, con il più stimato e riconoscibile dei suoi assessori (Minenna al Bilancio) e con un competente e qualificato capo di gabinetto (Carla Raineri). Restano veramente tutti da scoprire i motivi di questo “innamoramento politico” della Raggi verso personaggi piuttosto opachi o addirittura squallidi (Daniele Frongia, Salvatore Romeo, Raffaele Marra, Paola Muraro): solo ingenuità e buona fede? Evidentemente esisteva ed esiste, come minimo, un clima poco pulito all’interno e all’esterno della macchina amministrativa romana, fatto di protezioni, clientele, scambi di piaceri etc. a cui i cinque stelle si sono adeguati senza fiatare. Vedo grandi responsabilità politiche. Per gli aspetti legali mi rimetto alla magistratura anche se la sua azione non finisce di crearmi dubbi e perplessità visti nei giorni passati.“Sì e la Muraro dove la mettiamo?”, chiederebbe quel tale dal fondo della sala. Questa volta la domanda sarebbe pertinente.
La politica per gioco
Ricordo la maliziosa reazione di Indro Montanelli alla liberazione di una donna (di cui non ho presente né il nome né il profilo umano e professionale), vittima di un sequestro di persona su cui aleggiavano seri dubbi di connivenza e/o di complicità tra sequestrata e sequestratori: «Guardatela, non sembra reduce da un sequestro di persona, ma tutt’al più da una vacanza alla Bermude…».Mi viene spontaneo parafrasare il grande giornalista a proposito dei “drammi politici” in cui è coinvolta la sindaca di Roma Virginia Raggi: «Guardatela, non sembra preoccupata e sofferente per il casino pazzesco in cui vive Roma, ma pare che si stia divertendo in mezzo al clamore mediatico in cui può atteggiarsi a diva, a stella dei cinque stelle…».I bambini, nella loro ingenuità ma anche nella loro smania di crescere, sono soliti giocare a fare i grandi: perdono così tutta la loro carica di infantile credibilità e di simpatica spontaneità e possono fare autentici disastri se pretendono di usare gli stessi attrezzi degli adulti.I grillini assomigliano molto ai bambini, sono un po’ i bambini della politica, giocano a fare i politici, perdono così tutta la loro credibilità e simpatia e diventano pericolosi nella loro clamorosa irresponsabilità.Guardateli bene e ve ne convincerete.Cominciamo dall’alto: Beppe Grillo gioca a fare il leader, se ne compiace vanitosamente, cerca l’incidente a tutti i costi, spara le battute con la consumata abilità di un mestierante del palcoscenico, si sente importante, tende a comandare facendo il simpaticone, arringa la folla strappandole la risata con la quale tutti pensano di seppellire il potere.Davide Casaleggio gioca a fare lo stratega finendo con l’accreditarsi come burattinaio da sagra di paese.I Di Maio, i Di Battista, i Fico giocano a fare i candidati premier: si sono scopertamente montati la testa, non si tengono più, vivono il loro momento di gloria senza ritegno.Gli esponenti più in vista del movimento giocano a fare le correnti: scimmiottano gli altri partiti nei loro peggiori difetti, si contendono il proscenio, vivono sui social il loro finto parlamentarismo e pretendono di replicarlo nelle vere Camere di cui dovrebbero far parte.Virginia Raggi gioca a fare la sindaca, si sente al centro dell’attenzione, si diverte con il marchingegno delle porte girevoli, si rassegna a governare per interposta persona, si accontenta di ricoprire il ruolo affidandosi a strutture parallele, prima sottostando agli ordini di personaggi di infima categoria morale ma di indubbia capacità manovriera (quelli che giocano sporco, gli ingombranti suggeritori provenienti dall’ambiente neofascista romano sempre più padroni del gioco), poi lasciandosi commissariare dai maggiorenti del movimento, i quali a loro volta giocano a comandare, con improbabile virata dal gioco sporco a quello legalizzato (eliminando o ridimensionando alcuni bari ancora seduti al tavolo).In mezzo ci sono quelli che non sono stati al gioco, scelti forse solo per arricchire bocconianamente l’immagine piuttosto squallida della compagine o per dare ad essa una certa autorevolezza tecnica: sono stati immediatamente considerati corpi estranei, isolati e messi in condizione di abbandonare il campo di gioco a difesa del loro onore e della loro storia. Non l’hanno però bevuta da botte, creando non piccoli fastidi alla cricca.Gli aderenti al movimento cinque stelle giocano nelle piazze e sui social illudendosi di decidere o quanto meno di sfogarsi. Marco Pannella, a suo modo un profeta, aveva tanti anni fa aperto i microfoni di Radio Radicale a chiunque volesse dare aria ai propri denti: ne uscì una litania di robaccia che, a giudizio del leader radicale, era sempre meglio venisse alla luce del sole piuttosto che covasse odio sotto la cenere. Grillo ha istituzionalizzato e politicizzato questo metodo e tutti si sentono protagonisti del gioco in un crescendo di ingiurie urlate a piena gola o scritte a pieno computer.In questa sarabanda ludico-goliardica trovano spiegazione tutte le contraddizioni e i controsensi grillini. Grillo sa benissimo che la Raggi non vale un accidente, ma non può rimuoverla, perché interromperebbe irrimediabilmente il gioco che si è spinto troppo avanti, cerca di ridimensionarla e di metterla a cuccia, ma rischia di peggiorare la situazione innescando un gioco nuovo, quello del tiro alla fune con la forte probabilità di finire tutti a culo per terra. Le nuove elezioni potrebbero trasferire la commedia dalla sala giochi al salone delle cerimonie.La Raggi non può dimettersi perché, sempre più compresa nella sua parte, perderebbe la faccia e comprometterebbe la recita, almeno fin che non sarà disperatamente scovato uno straccio di sostituto: non è tipo da rassegnarsi facilmente ad abbandonare la roulette del casinò di lusso per tornare alle macchinette mangiasoldi nelle anonime bettole di periferia. Tutti si sostengono a vicenda: se cade qualcuno, rischiano di cadere tutti. Federico Pizzarotti da Parma ha fatto la fine dell’unico vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro.È inutile quindi dedicare attenzione politica ai comportamenti dei cinque stelle: sarebbe come voler capire l’aria che tira in una problematica convivenza famigliare partendo dalla stanzetta dei giochi dei bimbi: al massimo capiremmo se ci sono dei figli piccoli e se sono più o meno (mal)educati.Questo gioco potrebbe essere quasi innocuo se riguardasse una scorporabile e marginale parte della società, diventa devastante se sovrapposto alla capitale d’Italia per i cui drammatici problemi rischia di rappresentare un macabro diversivo. Con la conquista di Roma il movimento cinque stelle infatti è passato dalla folcloristica velleità alla triste pantomima: il filo del passaggio è la politica ridotta a gioco, non per sdrammatizzare ma per comicizzare.Infine c’è chi gioca a guardare i giocatori. Molti sono rimasti ammirati se non coinvolti. Dal momento che il gioco si sta facendo duro cominciano però a storcere il naso. Qualcuno non vuole restare spiazzato e rivendica di avere visto e riconosciuto per tempo la rovinosa deriva ludica grillina, aggiungendo una punta di maschilismo e di antifemminismo alle già gravissime carenze di Virginia Raggi. Bisogna riconoscerlo, nella squalifica di questa sindaca c’è un pizzico di cattiveria che guasta ancor più perché, sotto sotto, si gode nel parlar male di una donna impegnata in politica. Non è il mio caso: a volte corro addirittura il rischio contrario.Poi arriva Mario Calabresi, che gioca a fare il direttore de la Repubblica stretto in una poco dignitosa morsa da parte degli ex-direttori e della schiera di editorialisti che gli fanno corona (di spine), vuole fare l’originale, il fenomeno e traccia uno stiracchiato e assurdo parallelo tra Virginia Raggi e Maria Elena Boschi. La ritrosia di entrambe all’autocritica ed al passo indietro sarebbe, a suo giudizio, un segno dei tempi. Marco Damilano, vicedirettore de L’Espresso, altro fenomenale commentatore politico, fa risalire l’inizio della fine di Renzi (per ora solo un suo desiderio) al pretestuoso e inconsistente impeachment della Boschi in merito alle vicende di Banca Etruria. Quanta cattiveria verso questa giovane donna, che viene tirata in ballo a sproposito. Forse è troppo bella e molto brava e finisce col dare fastidio: un tempo avrebbe innervosito le donne, oggi è presa di mira dagli uomini. È proprio vero che gli uomini capiscono poco… Infatti certi commentatori (per la verità tutto è partito dalla crociata del bigotto Adinolfi) se la prendono con un’altra donna, Valeria Fedeli: nuova ministra senza diploma di laurea e di maturità, una semplice maestra d’infanzia con buona esperienza sindacale. Apriti cielo! Uno schiaffo al mondo della scuola e dell’università. Un controsenso: chi non è fornito del titolo minimo per accedere all’insegnamento dovrebbe disciplinarlo e governarlo, definirne regole e prospettive. Un grave danno alla credibilità delle istituzioni. Un affronto ai cervelli italiani e stranieri che dovrebbero essere attratti dal nostro Paese. Una grave contraddizione per l’Italia che vanta un patrimonio artistico e culturale di primissimo ordine. Alla fine di questo lungo articolo di Roberto Esposito mi sono chiesto se si trattasse di ironiche e paradossali considerazioni. Ho riletto con calma. No, si diceva sul serio. Preferisco continuare a credere che si trattasse di uno scherzo, di un gioco…anche se i giocatori cominciano a essere un po’ troppi.Buon divertimento a tutti e…auguri di cuore a Valeria Fedeli che non avrà certo tempo e voglia di giocare.