Papa Francesco, nell’ambito di una intervista rilasciata a “Scarp de’ tenis”, mensile di strada milanese, ha dichiarato riguardo agli immigrati: «Quelli che arrivano in Europa scappano dalla guerra o dalla fame. E noi siamo in qualche modo colpevoli perché sfruttiamo le loro terre, ma non facciamo alcun tipo di investimento affinché loro possano trarre beneficio. Hanno il diritto di emigrare e hanno diritto ad essere accolti e aiutati».
Angela Merkel, la cancelliera tedesca alla spasmodica ricerca di credibilità e di consenso sul delicato e complesso tema dell’immigrazione in vista delle prossime elezioni in cui si è ricandidata, lo ha preso in parola (si fa per dire) e, dopo essersi sbilanciata, qualche tempo fa, in aperture significative e coraggiose verso i disperati provenienti soprattutto dal martoriato territorio siriano, ha tirato il freno a mano, prima facendo sborsare alla UE un’enorme cifra alla Turchia in cambio di un impegno a contenere il flusso e a tamponare in qualche modo l’emorragia migratoria, attualmente andando in giro per l’Africa, offrendo, questa volta in proprio (le casse tedesche), a Egitto e Tunisia cospicui fondi (in totale sarebbero 750 milioni di euro) per ottenerne l’impegno a combattere gli scafisti, a collaborare ai rimpatri ed ai respingimenti.
Da paladina del diritto all’accoglienza si è trasformata in elemosiniera del “purché stiano a casa loro”. Mi sovviene una battuta che sparava spesso un mio carissimo e simpatico zio allorquando salutava un amico: «Veh, quand at me vôl gnir a catär…sta a ca tòvva».
Non si è investito per tempo in aiuti seri ai Paesi in via di sviluppo ed ora si cerca di correre ai ripari elargendo aiuti a Paesi, in certi casi di provata prassi anti-democratica, disposti a non andare tanto per il sottile con i potenziali migranti pur di incassare fondi che non si sa dove vadano a finire. In poche parole si appalta il lavoro sporco, mettendo formalmente a tacere la propria coscienza. Credo che papa Francesco intendesse qualcosa di diverso.
Una volta arrivati in Europa (almeno così succede spesso in Italia, altrove non so) gli immigrati vengono spesso ammassati in veri e propri ghetti a disposizione del caporalato che li sfrutta e li umilia. Poi quando diventano troppo ingombranti si incendiano le baracche in cui dormono, si procede a frettolosi e agghiaccianti sgomberi mettendo in azione le ruspe. E abbiamo persino il becco di ferro di sostenere che vengono a rubarci il pane e il lavoro. Se non è razzismo, cos’è?
Il razzismo rientra nel pacchetto dei peggiori istinti dell’uomo e lo stadio è un luogo dove si sfogano tali istinti, tra questi in primis l’odio razziale. Fino a qualche tempo fa i penosi governanti del mondo calcistico, che di sport non ha più nulla, mentre ha tutti i difetti possibili e immaginabili della società in cui è perfettamente inquadrato, avevano dichiarato nominalmente guerra allo sfogatoio razzista degli stadi, più minacciando più che comminando sanzioni piuttosto pesanti ai club ed ai protagonisti di episodi inqualificabili.
Ebbene, le multe sono state ultimamente molto alleggerite, la tolleranza si è alzata ben sopra lo zero: nel momento in cui le società calcistiche si sono rese conto del danno ricavabile e del rischio di svuotare ulteriormente gli stadi, hanno ottenuto una spiccata marcia indietro dagli organi federali. Sembra che la nuova logica sia quella del permissivismo: gridate, ma non troppo; offendete, ma fino ad un certo punto; odiatevi, ma con un tocco di ironia. Staremo a vedere se il confermato presidente Tavecchio, libero dai condizionamenti della ricerca del consenso, saprà affrancarsi anche dalle preoccupazioni dei suoi schizofrenici elettori: se vuotiamo gli stadi, chiudiamo le curve, scontentiamo gli ultras, cosa succede?
Le curve degli stadi sono molto importanti nella strategia calcistica. Mi scappa detto che siano più apprezzate, vezzeggiate ed ammirate delle curve delle belle donne. Un tempo, vado al periodo in cui le frequentavo da ragazzino assieme a mio padre (le curve, non le belle donne…), erano i contenitori del pubblico povero ma pulito (come il loggione a teatro), dove si stava in piedi e ci si bagnava, dove si vedeva sì e no metà partita ma la si soffriva tutta, senza gridare perché l’urlo non arrivava a destinazione, dove ci si conosceva e si scherzava. Poi sono diventate il luogo del tifo organizzato, della tentazione violenta, della contestazione cattiva. Oggi sono le padrone dello stadio, dentro e fuori di esso; condizionano le società e le squadre, con scioperi del tifo, striscioni provocatori, contestazioni pacifiche o violente; influenzano l’andamento delle partite imponendo persino scelte tecniche; dialogano con i giocatori da cui ricevono scuse e riconoscimenti; sembra che siano la sede del bagarinaggio di biglietti e abbonamenti; qualcuno le ipotizza come interlocutrici della ’ndrangheta; sono la spina nel fianco, la croce e la delizia dei patron, da cui sono peraltro spesso foraggiate; vengono ricevuti in pompa magna dagli stati maggiori delle società; sono il campo di battaglia per “guerre” che col calcio non hanno nulla a che vedere, lo sfogatoio criminale di un mondo giovanile deviato, il luogo accogliente e dimostrativo per i peggiori istinti socio-politici, dal razzismo al fascismo, dall’omofobia al nazismo. Tutti conoscono queste anomalie, però ci vanno cauti: i media condannano la violenza, ma poi finiscono indirettamente con l’incitarla tramite le loro assurde menate; i presidenti delle società hanno lì, bene o male, il loro retroterra popolare e un loro interesse economico; i giocatori trovano lì i loro assurdi ed esagerati momenti di gloria (pagati a caro prezzo nel momento della sconfitta); gli allenatori hanno il loro destino che dipende anche dagli ultras e quindi…; gli arbitri non si permetterebbero mai di sospendere una partita facendo un dispetto alla curva, semmai sarà la curva che imporrà la sospensione della partita all’arbitro (è già successo).
Sul razzismo possono andare in crisi i governi, ma il calcio no. Lasciateci godere in pace il pallone. Tutt’al più possiamo scandalizzarci e arrabbiarci per i soliti arbitraggi ad usum Delphini (che fa rima con Juventini) e per le classifiche bugiarde. Davanti alla corruzione e al malaffare vigente nel calcio non sappiamo far altro che alzare le spalle. Di fronte alle urla e agli striscioni razzisti facciamo finta di essere sordi e ciechi. Forse li siamo veramente. Che società di merda!