Il rapporto tra la curia vaticana e i papi ha storicamente riservato contrasti, frizioni, intrighi, complotti etc. È un triste classico della Chiesa Istituzione. Sto agli ultimi papati dei quali farò, di seguito, un brevissimo excursus tutto personale e ben poco canonico .
Papa Pacelli, Pio XII, è stato l’ultimo pontefice di stretta provenienza e formazione curiale: era un raffinato, intelligentissimo e abilissimo uomo d’apparato di cui conosceva tutti i passaggi, anche i più segreti, e che riusciva pertanto a governare con relativa disinvoltura l’assetto centralistico della Chiesa dell’epoca.
Papa Roncalli, Giovanni XXIII, gradito inizialmente agli ambienti curiali che si illudevano di poterlo condizionare e manovrare, pur senza aprire drammatici contenziosi, riuscì carismaticamente a dominare le situazioni. Il gossip vaticano racconta che una volta eletto papa, ebbe uno strano colloquio con il cardinale Domenico Tardini, un suo detrattore che su alcuni fascicoli, riguardanti l’attività di questo allora collega, diplomatico e pastore, aveva riportato di suo pugno l’annotazione “è una roncallata”. Ebbene il Papa, pur sapendo di questo atteggiamento dell’alto esponente della diplomazia vaticana, non se ne fece influenzare e, di fronte alle resistenze e titubanze di Tardini, lo obbligò letteralmente ad accettare la carica di Segretario di Stato : «Si inginocchi e accetti la nomina assieme alla mia benedizione». Altro che papa bonaccione…
Papa Montini, Paolo VI, ad un certo punto della sua vita, fu allontanato dalla Curia romana a motivo delle sue vedute piuttosto avanzate in merito alla politica italiana e “confinato” a Milano quale vescovo (promoveatur ut amoveatur) e da qui spiccò il suo volo pastorale fino a raggiungere un papato caratterizzato da stratosferica intelligenza e sensibilità, ma da eccessiva e sofferta prudenza, anche proprio per i condizionamenti di stampo e carattere curiale che non riuscì a scrollarsi di dosso.
Papa Luciani, Giovanni Paolo I, nel suo breve, ingenuo ma rivoluzionario approccio al papato, fece appena in tempo a rendersi conto del marciume curiale al punto da rimanerne letteralmente stecchito.
Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, si affaccendò proficuamente in tutt’altre faccende rispetto alle beghe curiali: lui girava il mondo, arringava le folle, mentre nelle stanze vaticane i vari cardinali facevano i loro comodi. Un Papa dedito interamente alla pastorale delle masse e “menefreghisticamente” assente sul piano degli assetti istituzionali e burocratici della Chiesa.
Papa Ratzinger, Benedetto XVI, si concentrò sull’identità cristiana, parlò, scrisse, pontificò e quando si accorse di non avere in mano la situazione, peraltro carica di vicende scabrose e intrighi avvolgenti e sconvolgenti, lanciò opportunamente la spugna per favorire un rinnovamento di cui, nella sua straripante intelligenza e cultura, vedeva la necessità senza avere la forza di promuoverlo.
Arrivo al dunque che si chiama Papa Bergoglio, Francesco. La sua netta frattura con la tradizione (si racconta come al monsignore, che gli voleva far indossare gli abiti e i gingilli di lusso per la prima apparizione dalla balconata di San Pietro, disse bonariamente stizzito: «Questo roba se la metta lei…»), la sua chiara presa di distanza dall’apparato clerical-curiale (si riporta l’episodio eloquente e simpatico di questo papa che risponde così alle intemperanze anticlericali di un suo interlocutore: «Se è per quello sono anti-clericale anch’io…»), la sua sferzante critica a certi stili e metodi più volte presi di mira («Nella Chiesa vi è chi, invece di servire, di pensare agli altri, si serve della Chiesa per i propri interesse: sono gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi»), la dicono lunga sul suo rapporto difficile al limite del conflittuale con gli ambienti vaticani quali punta di diamante di una certa inconfondibile voglia di reazione.
Il noto teologo Vito Mancuso scrive: «In gioco c’è il cambio di rotta iniziato dalla Chiesa cattolica con il Vaticano II e rimasto incompiuto, volto a disegnare un cattolicesimo non più nemico del mondo moderno, come lo è stato per secoli, ma a fianco della vita degli uomini. In un mondo sempre più piccolo il compimento del processo iniziato con Giovanni XXIII è la condizione sine qua non perché la Chiesa cattolica sia fattore di pace e non di divisione. Papa Francesco lo sa e agisce di conseguenza. Molti però dentro la Chiesa o non lo sanno o non lo desiderano. Essi non esitano a unirsi ai numerosi gruppi di potere economico e politico fuori della Chiesa che hanno visto la recente enciclica sull’ecologia come una seria minaccia ai loro affari. E tra nemici interni e nemici esterni vi sono addirittura alcuni che non esitano a trasformarsi in avvoltoi e a volteggiare sinistramente sul corpo del Papa».
Le recentissime dichiarazioni di Marie Collins, componente dimissionaria della Commissione anti pedofilia voluta nel 2014 da papa Francesco ci danno l’idea di un Papa piuttosto isolato e osteggiato dal “potere curiale”. Afferma questa donna, che ha subito abusi clericali nella sua infanzia e adolescenza: «(…) Non smetto di credere nella tolleranza zero voluta da Francesco, ma altri ci boicottano (…) Esiste il fatto che spesso si sentono dichiarazioni pubbliche intorno alla profonda preoccupazione della Chiesa per le vittime di abusi, ma poi nel privato il dato è che in Vaticano c’è chi si rifiuta anche solo di riconoscere le lettere inviategli per provare a risolvere questa preoccupazione. Il dato è che le resistenze non mancano e tutto questo per me non è accettabile».
Intravedo un pericolo per papa Francesco e per la Chiesa di cui è guida innovativa: esiste il rischio di un suo confinamento nella sfera sociale, nel suo “orto pastorale” della misericordia, nel “recinto francescano” della povertà e dell’ambientalismo. Al resto ci pensano i soliti marpioni del dogmatismo facile e fasullo, della gattopardesca resistenza al nuovo evangelico in nome della continuità tradizionalistica. Una sorta di Celestino V, riveduto e corretto, che non ha fatto, almeno per il momento il gran rifiuto, ma che è subdolamente rifiutato dai troppi che ne temono lo sconvolgente messaggio pastorale.
Tuttavia, anche senza voler enfatizzare certi segnali, bisogna ammettere che l’aria è cambiata: il vento pastorale bergogliano dissipa lo “smog” della nebbia dogmatica combinata con l’aria inquinata del potere istituzionale vaticano. L’apertura delle porte di un tempio cattolico milanese alla preghiera di suffragio per Fabiano Antoniani protagonista di un suicidio assistito in Svizzera è un segnale di condivisione verso la sofferenza umana che prevarica le fredde regole del catechismo. Il fatto che qualcuno si preoccupi di chiarire la differenza tra una preghiera e una messa copre di ridicolo fariseismo i minimalizzatori di professione e i continuisti a tutti i costi. Resta una netta frattura pastorale tra il “niet ruiniano” del 2006 al funerale religioso di Piergiorgio Welby che aveva rinunciato alle cure spropositate e il “si può fare scoliano” di questi giorni per Dj Fabo che si è fatto suicidare per interrompere una sofferenza impossibile da sopportare.
Mentre non vedo differenze umane sostanziali tra i due episodi, al di sotto dei quali ci sono altre numerose persone in predicato di operare scelte per scacciare la disperazione con una dignitosa anche se pur drammatica decisione, tra i diversi atteggiamenti ecclesiali c’è di mezzo il mare della misericordia mosso da Papa Francesco.
“Eppur si muove” si potrebbe dire in riferimento alla Chiesa: con passo lento, col rischio di fare un passo avanti e due indietro, ma è sempre meglio dell’immobilità assoluta.
Resta la grande paura che alla benefica rottura di certi equilibri della Chiesa paralizzata dal dualismo istituzione-comunità, possa corrispondere una insana saldatura tra poteri laico-religiosi per mettere fine in diversi modi al rinnovamento che la vera Chiesa può operare “nel mondo” senza essere “del mondo”.
Ricordo l’inquietante battuta di un carissimo amico di fronte alle prime posizioni emergenti dal papato bergogliano: «Secondo me, lo fanno fuori…». E purtroppo ci sono tanti modi per farlo fuori. Io, quando sento i suoi insistenti inviti a pregare per lui, ho un brivido lungo la schiena, temo si senta oltremodo isolato e scoperto, solo con il suo Dio di Gesù. Su di lui veglierà il cardinal Martini suo playmaker in terra e in cielo. Ma non lasciamolo solo, pregando sì, ma facendo qualcosa in più. Non voglio introdurre una sorta di vittimismo papale da contrapporre allo strapotere curiale, ma…le lumache vaticane si sentono toccate nel vivo e stanno reagendo. Attenzione, perché ne sanno una più del diavolo.