Si fa un gran parlare dell’Italia che esce dal referendum costituzionale come un Paese spaccato a metà. Mi sembra l’uovo di Colombo. Se al corpo elettorale sottoponi la soluzione ad un problema, evidentemente controverso e delicato, è normale, oserei dire democratico, che i cittadini si dividano tra il Sì e il No. Se non fosse così saremmo ai referendum farsa, da cui certi regimi attingono consenso acritico o, peggio ancora, sostegno populistico. La riforma costituzionale, inquadrabile in un contesto riformatore indubbiamente avviato dal governo Renzi, crea una spaccatura nel Paese molto diversa da quella a cui alludono i commentatori politici (con l’argomento della spaccatura e con gli effetti a livello governativo dell’esito referendario si sono garantiti fiumi d’inchiostro e fior di compensi giornalistici), quella tra conservatori e rinnovatori, tra chi è pregiudizialmente contro il nuovo per una difesa di interesse personale e/o corporativo e chi è disponibile, senza facili illusioni, a considerare il cambiamento come opportunità. È paradossale imputare alla riforma costituzionale l’avvelenamento dei pozzi della politica italiana, quando tale riforma, almeno in teoria, tenta di rendere le istituzioni più moderne e quindi più vicine ai tanti problemi del Paese. Se un cittadino pensa che questa riforma non aiuti le istituzioni o addirittura le peggiori può votare tranquillamente NO, senza nulla togliere a chi ritiene di approvare tale legge e viceversa. Dov’è il veleno? La tossicità è provocata semmai da chi ne vuol trarre strumentalmente uno specchio deformato della società, non tanto sul piano del rafforzare o mandare a casa Renzi, che tutto sommato costituisce un intento forzato ma politicamente sopportabile, ma nel senso di squalificare la riforma quale subdolo tentativo di costituzionalizzare, in senso antidemocratico, dirigistico e speculativo, i processi decisionali e gestionali. Facendo una rapida rassegna mentale delle motivazioni conclamate dei propagandisti del No, emerge questo tentativo quale collante delle pur diversificate posizioni ideologiche, politiche, economiche e sociali: il minimo comune denominatore è l’ideologizzazione del No, inteso, pur nella diversità di sfumature e sottolineature, come difesa contro l’establishment dei nemici della democrazia.I problemi del Paese sono a monte del referendum, vengono da lontano, hanno radici economiche, sociali, interne, internazionali, italiane, europee: mi sembra di poterle sintetizzare nella estrema difficoltà di coniugare il mondo nuovo (da cui non si torna indietro, checché ne pontifichino i populisti italiani, europei e americani), connotato all’apertura, alla concorrenza e alla competizione, con le sacrosante esigenze di non emarginare, trascurare e dimenticare nessuno.C’è chi tra gli elettori ed i potenziali eletti si lascia condurre dalla rabbiosa tentazione di chiudersi (nel proprio egoistico patrimonio, nella propria famiglia, nella propria categoria, nella propria nazione, nei propri problemi, nella propria azienda, nella propria regione etc.) e chi, nonostante tutto, vuole affrontare le situazioni allargando l’orizzonte oltre i propri confini mentali, umani, geografici, sociali ed economici. Sono due visioni a confronto: nei primi c’è la forte tentazione di squalificare i secondi; nei secondi c’è la storica presunzione di banalizzare i primi. Ci può scappare il veleno!Il riformatore riformatoSe ad ogni tentativo di riforma si risponde con la disfattistica e cavillosa contestazione da parte dei massimi organi di controllo, andremo ben poco lontano, anzi ci fermeremo subito con enorme sollievo di chi tifa disperatamente per la conservazione fine a se stessa. È successo con la riforma della pubblica amministrazione, per la quale la Corte Costituzionale esige una preventiva e unanime concordanza regionale; è successo con la riforma delle banche popolari, per la quale la Corte dei Conti intravede gravi violazioni tali da bloccare il tutto e mettere i punti controversi all’attenzione della Corte Costituzionale. Sembra il gioco dell’oca! Che questi altolà siano venuti ala vigilia del referendum lascia oltretutto qualche ulteriore dubbio. Forse si vuole dimostrare che gli attuali organi (parlamento e governo) non sono capaci di legiferare e non meritano alcuna attenzione e fiducia? I poteri e la struttura di questi organi di controllo non viene minimamente toccata. Meno male, altrimenti si sarebbe gridato al golpe costituzionale (fra le tante fregnacce questa non l’ho sentita). Molto tempo fa il ministro della riforma burocratica Massimo Severo Giannini, dopo qualche tentativo andato a vuoto, vista la difficoltà al limite dell’impossibilità di cambiare le cose, diede le dimissioni preannunciando di voler emigrare negli Usa. Giustamente l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo rimproverò aspramente. Avevano ragione entrambi!La società scollegataIl Censis ci offre una fotografia piuttosto scontata della società italiana, dominata da sfiducia nel futuro: della serie chi ha i soldi se li tiene ben stretti e non li investe; chi vuole arrotondare lo fa puntando a redditi sommersi derivanti da impieghi patrimoniali a livello meramente speculativo; chi non trova lavoro si rassegna al precariato, magari poco qualificato e poco produttivo; i giovani sono sempre più poveri rispetto ai loro genitori e soprattutto rispetto ai loro nonni; la società non ha fiducia nei corpi intermedi e quindi non riesce ad avere una rappresentanza; tutti, ricchi o poveri, puntano a fare da sé. Non è un quadro esaltante. Credo che si stia effettivamente alzando un muro tra le generazioni: quelle protette e quelle in cerca di futuro. Il collegamento, fin che il tempo lo consentirà, è stato pragmaticamente approntato a livello famigliare: bamboccionismo e fuga di cervelli a parte, genitori e nonni sostengono la precaria vita dei loro figli e nipoti ancorché non più in tenera età. Ma il collegamento non è stato avviato a livello politico: siamo passati da un welfare ultraprotettivo ad un sistema del si salvi chi può; dal lavoro stragarantito al lavoro straprecario; da un sistema economico fondato su imprese decotte e traballanti ad un futuro economico in potere della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica. Per passare al nuovo mondo stiamo imparando a camminare su una fune: il problema è che sotto non c’è la rete… Qualcuno se la prende con la globalizzazione, qualcun altro con gli immigrati extra-comunitari, altri con l’Europa, altri ancora con le banche, chi con la sinistra incapace di farsi carico dei problemi, chi con la politica in genere totalmente distaccata dalla realtà. Poi si esce al sabato sera e cadono i muri: a mezzanotte il traffico impazza tra movide, discoteche, ristoranti, teatri, cinema, etc. Lo chiamo mistero della crisi. E la situazione però non migliora, anzi peggiora perché forse stiamo fuggendo dalle nostre responsabilità, facciamo finta che…
I rigurgiti giudiziari
Anche se, come spesso accade, dopo aver tirato il sasso ha nascosto la mano, il presidente del tribunale di Bologna, Francesco Caruso, ha sferrato un colpo decisamente sotto la cintola durante le ultime schermaglie della campagna elettorale referendaria relativa alla riforma costituzionale rimessa al giudizio dei cittadini. Per sostenere il No il suddetto giudice ha postato sul suo blog una sparata indirizzata ai colleghi, ma in realtà allargata a tutti: «I sinceri democratici che credono al Sì riflettano. Nulla sarà come prima e voi sarete stati inesorabilmente dalla parte sbagliata, come coloro che nel ’43 scelsero male, pur in buona fede. Non avremo più una Costituzione ma un atto di forza. E chi vorrà spiegare la riforma ai ragazzi, dovrà dire che questa riforma è fondata sui valori “del clientelismo scientifico e organizzato”, del voto di scambio, della corruzione e del trasformismo, con un governo che lega le provvidenze a questo o a quello al voto referendario. Si avvera la profezia dell’ideologo leghista Gianfranco Miglio, che nel 1994 proponeva una riforma che costituzionalizzasse le mafie, approvata col 50,01%, perché la Costituzione altro non sarebbe che la legge che la maggioranza impone alla minoranza e che fa rispettare schierando la polizia nelle piazze. Temo che siamo incredibilmente vicini a quel momento».Sono dichiarazioni deliranti che segnano il top della follia scatenatasi durante la campagna referendaria. Che questo apice negativo sia raggiunto da un autorevole giudice a capo di un importante tribunale italiano fa veramente rabbrividire. Credo che un livello simile di scontro politico non sia mai stato raggiunto, considerato anche il pulpito da cui viene la predica. Se questa deve essere l’autonomia della magistratura, ben vengano allora i giudici eletti dal popolo o addirittura nominati dal potere esecutivo. Non so se verranno adottati provvedimenti disciplinari a carico di questo giudice in vena di follie, ma se mi capitasse mai di essere giudicato da lui mi tremerebbero le gambe anche se fossi innocente come una colomba. «Su Salò sono stato frainteso, non ho mai pensato di offendere» ha precisato il dottor Caruso. In effetti forse quello che più ha scandalizzato i media è il meno grave. Che colpisce è il fatto che un giudice possa considerare la Costituzione nella nuova formulazione un atto criminale o almeno criminogeno. Follia, delirio…È proprio vero che il berlusconismo, criminalizzando i giudici, finiva col legittimare le spinte più assurde e politicizzate della magistratura italiana. Tolto il tappo protettivo sta uscendo la feccia giudiziaria. Anche i toni di altri magistrati (non tutti per fortuna…) non sono stati edificanti nella loro radicalità e nello stile più da curva di stadio che da bar del tribunale. E pensare che ho sempre avuto rispetto e riguardo per la magistratura, pur vedendone i limiti. Una prova in più che Renzi, avviando una stagione riformatrice, ha intaccato tali e tanti poteri e privilegi da provocare autentici e vendicativi rigurgiti corporativi. A questo punto se mai avevo qualche dubbio su come votare, il giudice Caruso me lo ha tolto. Purtroppo però mi ha tolto anche una bella fetta di residua fiducia verso la magistratura: queste affermazioni rischiano di rimanere scritte indelebilmente, sovrapponendosi magari allo stucchevole “la legge è uguale per tutti”. Qualcuno si deve dare una regolata. Bersani, che da troppa tempo non ne azzecca una, ha dichiarato: «Non mi metto a giudicare, tantomeno a giudicare i giudici». Evidentemente si sente in colpa per avere scatenato una bagarre dove ci sta tutto e il contrario di tutto. Complimenti!Il brigatista Zagrebelsky«Guardo certi sostegni alla riforma che provengono da soggetti che non sanno nemmeno cosa sia il bicameralismo perfetto, il senato delle autonomie, la legislazione a data certa, ecc. eppure si sbracciano a favore della “stabilità”…L’alternativa, per me, è tra subire un’imposizione e un’espropriazione di sovranità a favore d’un governo che ne uscirebbe come il pulcino sotto le ali della chioccia, e affermare l’autonomia del nostro Paese, non per contestare l’apertura all’Europa o alle altre forme di cooperazione internazionale, ma al contrario per ricominciare con le nostre forze, secondo lo spirito della Costituzione». Questi alcuni passaggi di un articolo di Gustavo Zagrebelsky a margine dell’ultimo scorcio della campagna referendaria, che lo ha visto impegnato in prima linea sul fronte del No.Dalla visione, peraltro piuttosto apocalittica, dell’insigne giurista emerge un quadro drammatico della realtà: la Costituzione italiana quale novella arca di Noè nel mare tempestoso degli interessi finanziario-speculativi, che tutto hanno in mente, meno la pace e la giustizia evocate dall’articolo 11 della Carta. Una sorta di Costituzione dei buoni in balia degli attacchi concentrici dei cattivi. Non esageriamo per cortesia! La realtà è molto più articolata e complessa. Il sistema capitalistico prevede che esistano gli interessi economici e che tendano a prevaricare su quelli politici: non è una novità per nessuno. E allora? Non mi pare che la riforma costituzionale si genufletta nei suoi contenuti al potere economico, anzi, tendendo a rafforzare l’efficienza e l’efficacia delle istituzioni politiche le mette in grado di resistere meglio agli assalti dell’establishment nazionale, europeo e internazionale. Se poi si pensa che il governo di Matteo Renzi sia permeabile rispetto alla finanza internazionale e lo si vuole demonizzare, si pensi al governo Monti e ad altri governi del passato, non per consolarci del presente ma per rientrare nel solco della razionalità. Renzi sarebbe un cavallo di Troia di questi poteri forti che ci soffierebbero la Costituzione e ci toglierebbero autonomia. Siamo francamente nella fantapolitica o ancor peggio ci avviciniamo ai deliri delle Brigate Rosse e del loro Stato imperialista delle multinazionali. Ormai non ci manca più niente: tutto serve a colpire Renzi e l’equilibrio politico di cui è protagonista. E per fortuna che era lui a voler personalizzare il discorso. Buttiamolo pure a mare, poi vedremo le alternative che, dall’alto della sua onniscienza, ci proporrà Gustavo Zagrebelsky. Resto in spasmodica attesa…Il ritorno dei cervelliPer fortuna esiste chi riporta il dibattito politico alla razionalità e alla realtà togliendolo dalle iperboli giudiziarie e scientifiche. Un gruppo di studenti e ricercatori di Harvard e MIT dagli Usa sceglie un approccio pragmatico ed equilibrato rispetto alla riforma costituzionale. Sono cosiddetti cervelli in fuga che non nutrono alcuna acredine verso l’Italia e che intendono invece agevolarne il rinnovamento. Poche e chiare motivazioni:La riforma imperfetta può aiutare comunque il Paese ad adattarsi al 21esimo secolo;L’Italia nell’epoca moderna non può più permettersi l’immobilismo decisionale dettato da governi fragili e di breve durata, da maggioranze dissonanti in due Camere paritarie o da veti incrociati fra Stato e Regioni;La Costituzione o cambia aggiornandosi al contesto politico e sociale o rischia di perdere efficacia come strumento di organizzazione della vita comune;La scelta non è tra riforma in discussione e un’utopica costituzione, ma tra la prima e uno status quo difettoso;Ogni cambiamento non è perfetto e comporta dei rischi, ma apre anche a molte opportunità.Una bella lezione che ci viene da connazionali impegnati all’estero. Che siano loro ad aiutarci a ragionare è tutto dire… Grazie comunque!
Referendum è politica
In extremis è arrivato il Sì di Romano Prodi. Non ho idea dell’impatto elettorale che potrà avere un simile pronunciamento reso pubblico a pochi giorni dal referendum. Un effetto politico comunque esiste: l’isolamento ancor più marcato della sinistra dem, già senza strategia ed ora senza riferimenti autorevoli al di fuori di un D’Alema in cerca di vendetta e di un Bersani in cerca di rivincita. Gli altri personaggi sono soltanto uno sbiadito contorno alle sempre più anacronistiche radicalità di una sinistra che non vuole fare i conti con la storia passata, presente e futura.Tra le stucchevoli e scontate dichiarazioni di maniera rilasciate da Prodi, che sembrano più scuse per il ritardo che motivazioni serie per la scelta, raccolgo forse la meno originale che serve solo a prendere politicamente le distanze da Renzi, il quale a suo dire avrebbe dovuto “separare la riforma, come saggiamente da alcuni proposto fin dall’estate, dalla sorte del governo”. Tutti fanno finta di non sapere che il governo Renzi era nato con l’input delle riforme, che Napolitano aveva messo le riforme costituzionale ed elettorale quale condizione per il rinnovo del suo mandato presidenziale, che le riforme costituzionali facevano parte del programma governativo, che, come dice Riccardo Illy, la riforma era la ragione del governo stesso e che, quindi, era inevitabile che il giudizio sulla riforma venisse legato a quello sull’operato del governo.E allora facciamola finita con questa storiella della personalizzazione e contestualizziamo il referendum che ha e avrà precise e complesse ripercussioni politiche a tutti i livelli, valutiamole buttando alle ortiche il bilancino dei costituzionalisti, la clava dei populisti e la bava dei sinistrorsi, usando la capacità critica che la democrazia ci impone.Non sono d’accordo pertanto con le dotte analisi di Michele Ainis, il quale ritiene che il referendum sulla Costituzione sia altra cosa rispetto alle normali scelte politiche elettorali: è la più importante delle scelte politiche elettorali, è la scelta politica per eccellenza.
Banche e referendum
Ma cosa c’azzeccano le banche col referendum sulla riforma costituzionale? Il solo collegamento che riesco a vedere e capire è quello della speculazione: la sicura incertezza politica del prima e quella quasi certa del dopo costituiscono un perfetto assist agli speculatori sui titoli bancari.L’esposizione bancaria sui crediti inesigibili risale alla crisi economica ed ai suoi andamenti; la scarsa capitalizzazione degli istituti di credito è un dato che viene da lontano; la cattiva gestione delle banche è un altro fattore che si nutre del clientelismo, della mancanza di controlli efficaci, dei legami impropri con la politica. Tutti elementi assai consolidati nel tempo, a cui la sinistra politica non è estranea (mi riferisco in particolare a Monte Paschi Siena e ai comunisti o ex-comunisti che oggi si stracciano le vesti di fronte a Matteo Renzi) ed a cui deve essere aggiunto l’inspiegabile orgoglio dei precedenti governi italiani (anche e soprattutto dei governi tecnici che sono diventati immediatamente auspicabili solo perché i loro passati esponenti si stanno sgolando per il No) sbandierato nel non voler intervenire a sostegno delle banche, cosa peraltro fatta in passato dai partner europei rigoristi a scoppio selezionato e ritardato. In vista e dopo ogni evento politico importante si riapre il discorso delle banche: dopo Brexit, dopo Trump, dopo il referendum italiano.Non mi convince neanche la motivazione addotta dagli specialisti (?), in base alla quale siccome le banche detengono nei loro portafogli molti titoli del debito pubblico, l’instabilità politica porterebbe ad una loro svalutazione con conseguenze sulle situazioni patrimoniali bancarie già peraltro deboli e compromesse.Certo che le banche non sono un’isola e risentono come tutte le istituzioni economiche del clima politico, ma credo si stia facendo del terrorismo.Non riesco a capire se ciò possa influenzare le intenzioni di voto degli italiani: in teoria dovrebbe indurli a votare Sì per garantire stabilità e continuità al processo riformatore che renderebbe credibile lo Stato italiano agli occhi dei cosiddetti poteri forti.In pratica può darsi che invece le colpe, che in modo confuso e non convincente vengono scaricate sul governo attuale, in materia di politica bancaria si riflettano sul referendum a favore del No: è ipocrita continuare a chiedere la spersonalizzazione mentre tutti vogliono mandare a casa Renzi e pretenderebbero che lui non si difendesse.I poteri fortiPoi spunta l’Economist che auspica un governo tecnico per il dopo-referendum. E allora tutti gabbati coloro che per indurre al No vendevano le riforme come un desiderata opportunistico dell’establishment europeo o addirittura mondiale.Come si sarà sentito Beppe Grillo di fronte a questo inopinato endorsement proveniente dai diabolici detentori del potere finanziario.Che l’alta finanza abbia sempre cercato di influenzare la politica non è certo una novità, chissà perché questa ovvia caratteristica del nostro sistema viene sbandierata quando si cerca di cambiare qualcosa squalificando ogni intento rinnovatore spacciandolo per subordinazione ai piani alti dell’economia e della finanza.I governi tecnici, le urla degli ex-re, i birilli della sinistraChe differenza c’è fra un governo tecnico e un governo politico? Il secondo dovrebbe essere espressione di una precisa e ben delineata maggioranza politica con un altrettanto preciso programma politico, mentre il primo prescindendo da maggioranze parlamentari precostituite dovrebbe rispondere a situazioni di emergenza e raccogliere la fiducia in base alle proprie capacità tecniche di affrontare gravi problematiche contingenti. Il problema non è però di valutare astrattamente e teoricamente le due possibilità, ma di applicarle eventualmente alla realtà considerando che il governo tecnico dovrebbe essere l’eccezione, mentre quello politico dovrebbe rappresentare la regola. Matteo Renzi ha espresso il parere che in questo momento storico dell’Italia il ripiegamento su un governo tecnico post-referendario sarebbe un escamotage più di fuga dalla realtà che di garanzia di continuità. Apriti cielo! È insorto Lamberto Dini, schierato per il No alla riforma costituzionale, a difendere la competenza e lo spirito di servizio del suo governo e degli altri governi tecnici (Ciampi, Monti etc.) che si sono succeduti negli anni passati, attaccando Renzi e la sua mancanza di credito elettorale, lasciando capire di considerarlo un personaggio né carne né pesce, troppo politico per essere definito tecnico e troppo poco votato per essere definito politico. Ragionamenti francamente penosi. La riforma costituzionale avrà certamente parecchi difetti, ma se non altro ha il pregio di “avere denudato tutti i re” della politica italiana, i quali, indipendentemente dal pronunciarsi per il Sì o per il No, mostrano di essere, tra voltafaccia, giri di parole e contorsioni dialettiche, vittime della sindrome rancorosa del mancato riformatore che vuole cancellare o comunque sminuire chi, bene o male, è riuscito a produrre uno “straccio” di riforma costituzionale. Come scrive Corrado Augias, “gridano oggi il loro dissenso, dimenticando di non aver fatto nulla quando avrebbero potuto, disposti a confondersi in un gruppo che non sarà un’accozzaglia, ma che certamente continuerebbe a non poter fare nulla, diviso in tutto salvo che nell’avversione per il comune nemico, continuando per quarant’anni a dire che bisognerebbe aggiornare la Costituzione”. Di questo folto gruppo di contestatori globali a difesa della Costituzione, Michele Serra salva solo “i pochi e tenaci custodi della sacralità della Carta che saranno immediatamente rispediti ad occuparsi dei loro libri”, mentre gli altri li considera “figure politiche alle quali, della Carta, non importa un fico secco: la vecchia destra, convinta da sempre che la Costituzione antifascista sia roba da comunisti; la nuova destra populista, che nelle regole vede solo un noioso impiccio, una inutile mediazione tra Capo e Popolo; e i cinquestelle, che ai vecchi papiri sostituiranno, non appena ne avranno l’occasione, le loro nuove misure del mondo e che avrà qualcosa da ridire è perché è della Casta”. E i contestatori della sinistra? A mio giudizio trattasi dei soliti, inconcludenti, confusionari ed anacronistici benaltristi. Hanno fatto fuori Prodi, vogliono far fuori Renzi, si accontentano di abbattere i birilli senza capire che i veri birilli sono loro stessi.Ue: dai sorrisetti agli endorsementPuò darsi che l’atteggiamento dell’establishment europeo verso la riforma costituzionale italiana e verso il governo Renzi pecchi di strumentalità ed opportunismo, io comunque preferisco una considerazione interessata ad una irrisione conclamata (mi riferisco ai tempi di Berlusconi…).Rigoletto, il Duca di Mantova e le vestali della CostituzioneAl fine di scuotere l’elettorato e di indurlo alla responsabile scelta di partecipare al voto referendario, l’insigne editorialista Michele Ainis scomoda il “Questa o quella per me pari sono” applicandolo all’indifferenza verso la riforma costituzionale. Clamoroso è lo scivolone culturale del mettere in bocca a Rigoletto una frase che è del Duca di Mantova. Il pressappochismo dei commentatori politici si vede dal mattino! Rigoletto ha ben altro atteggiamento, quello di difendere al limite dell’ossessione l’integrità della figlia: se proprio vogliamo tirarlo in ballo vediamo semmai di assimilare la sua “tremenda vendetta” alla smania dei tenaci custodi della sacralità della Carta che, come scrive Michele Serra, l’indomani del referendum saranno immediatamente rispediti ad occuparsi dei loro libri. E la loro vendetta forse farà la fine di quella di Rigoletto: uccidere la figlia (la Carta costituzionale) per eccesso di zelo.
Populismo
Lo scrittore Martin Cruz Smith dice che, con la morte di Fidel Castro, Cuba ha perso il suo dittatore ed ora sono gli Usa ad averne uno: Donald Trump.Non sono d’accordo nel raffronto, la vicenda di Castro è un po’ più complessa, ma il messaggio è chiaro: stiamo attenti al populismo, che la storia ci ripropone in modo riveduto e scorretto.L’Europa, scrive Nicolas Baverez, giornalista di “Le Figaro”, si trova in prima linea nella resistenza al populismo, che si nutre alle mammelle dell’esclusione, dell’insicurezza e della perdita di’identità.E in Europa cosa sta avvenendo?La Germania per resistere al populismo si affida ad Angela Merkel, giunta al suo quarto eventuale mandato elettorale: una conservatrice illuminata, un’europeista di lungo corso, una governante seria. Non è poco, ma non basta.La Francia punta su Fillon: un Trump più sobrio e compassato, un opportunistico tradizionalista in campo etico-religioso, un ammiratore di Putin, un nostalgico della virilità politica e del nazionalismo, un politico capace di rompere le uova nel paniere a Marine Le Pen (Raphaël Glucksmann, scrittore).Sempre a detta di Glucksmannn la sinistra non sa come reagire, è debole, inconsistente, si accontenta di difendere lo status quo e denunciare le derive degli altri.In Italia la sinistra ha tentato e sta tentando la strada di un certo rinnovamento, ma si sta scontrando con tutti coloro che difendono appunto lo status quo, vuoi sotto le bandiere di una sinistra decrepita e passatista (D’Alema, Bersani e c. che difendono i loro fallimenti spacciandoli per trionfi), vuoi scimmiottando i populisti stranieri (la Lega Nord che guarda a Trump e Le Pen tradendo persino la sua identità nordista a favore di un nazionalismo improvvisato), vuoi cavalcando strumentalmente l’antipolitica (la foga grillina che porta alla vecchia deriva del tanto peggio tanto meglio, proponendo amministratori locali incompetenti e pasticcioni. «Se quei pasticci li avesse fatti il Pd, li avremmo massacrati» ammette Grillo nel chiuso del suo movimento a proposito dei tristi biglietti da visita di Virginia Raggi), vuoi facendo il verso a Fillon (Berlusconi che esce dal frigo per rinverdire il suo intramontabile narcisismo e/o difendere, come ha sempre fatto, i suoi interessi personali e aziendali).Probabilmente il socialista francese Manuel Valls sta facendo un pensierino al percorso renziano, ma si scontra da subito col continuismo di Francois Hollande (il nulla seduto all’Eliseo).E allora? Siamo nella cacca. Speriamo di non esserci ancora di più il 05 dicembre 2016.
Trump
Aveva promesso di punire i lobbisti e invece recluta i loro padroni. Nulla di nuovo sotto il sole. Se non che siamo nell’era del populismo, la vittoria di Trump è stata possibile solo perché qualche fascia di classe operaia bianca lo ha votato nel Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, facendo ribaltare di strettissima misura la bilancia del collegio elettorale in quegli Stati chiave. Gli operai si sentivano traditi dall’establishment e ora se lo ritrovano ben rappresentato nelle prime caselle dell’organigramma. Ma in fondo l’elettorato popolare che ha scelto Trump ha deciso di abbracciare anche la sua ricchezza e la promessa che un “imprenditore saprà gestire la nazione molto meglio dei politici e dei burocrati”.(Federico Rampini – la Repubblica del 26 novembre 2016 pag. 17)Commento: Più o meno lo stesso discorso, 25 anni or sono, degli Italiani rispetto alla discesa in campo di Silvio Berlusconi.Referendum CostituzionaleDini, De Mita, D’Alema, Berlusconi e Monti sono per il no con motivazioni false e penose.Per Dini Renzi è un premier “non eletto” e lui cosa era?Poi ha rincarato la dose: «Avete presente cosa ha detto la figlia di Cementano? Non capisco molto, ma voto No perché non mi fido di Renzi? Ecco, quello dovrebbe essere lo slogan del No».Il rottamato che non si rassegna, Massimo D’Alema spara a zero: «Il fronte del Sì è minaccioso, il clima è intimidatorio, se vince il Sì Verdini entra al governo e nasce il partito di Renzi; gli anziani votano la riforma perché non la capiscono…».Mario Monti il tecnico (?) che non capisce un cazzo di politica gioca a fare il furbetto, l’espertone, il benaltrista: tutto come da sgualcito copione.Silvio Berlusconi se ne era stato quasi zitto, ma purtroppo ha dovuto (?) timbrare il cartellino del No e allora ha snocciolato una serie di contraddittorie sciocchezze e fesserie che è veramente raro ascoltare, tale da lasciare sbigottita persino la brillante Barbara D’Urso sua imbarazzata damigella mediaset.Questi signori fanno pena! Il pensare che sono stati presidenti del consiglio e hanno determinato la politica per anni mette letteralmente i brividi!Il livello culturale e umano delle persone si rivela pienamente non quando sono nel pieno delle loro attività, ma quando le lasciano e non riescono a voltar pagina in modo dignitoso e si sentono investiti del ruolo di eminenza grigia: lì casca l’asino.Lo scrittore Antonio Pennacchi si tura il naso e vota Sì tra snobismi di basso livello, altri uomini di cultura invece pure, altri voteranno No; Cesare Romiti non si pronuncia, ma gioca a fare il Bartali della classe dirigente, il salvatore della Patria e lascia intendere un certo fastidio per l’idillio fra Renzi e Marchionne, come se non fosse sempre stata la cifra della Fiat quella di andare a braccetto col Governo: al di là del Sì o del No, che stupisce sono gli argomenti. Sembra di essere al bar-cult, una sorta di bar-sport sciacquato in Arno.Dichiarata incostituzionale la riforma della pubblica amministrazioneLa Corte Costituzionale interviene con perfetto tempismo per “sputtanare” una importante riforma promossa dal governo Renzi operando un perfetto assist alla campagna per il No all’insegna del “non sanno fare le riforme, è tutto un gran casino”. In realtà il casino è nell’attuale Costituzione che assegna enormi poteri alle Regioni rendendo ingovernabile lo Stato e la riforma costituzionale tenta proprio di ovviare a questi inconvenienti che oltretutto hanno creato un contenzioso enorme e paralizzante fra Stato e Regioni. Ma il problema sta tutto nei poteri intoccabili: i burocrati di alto bordo. Come del resto i giudici, gli operatori scolastici, gran parte del sindacato, dell’intellighentia e della politica: non vogliono saperne di rinnovamento che inevitabilmente li tocca nel vivo e nel portafoglio. I problemi di Renzi in realtà sono questi: ha contro tutti, non perché stia sbagliando tutto, ma perché sta cercando di cambiare qualcosa.La personalizzazione della campagna referendaria sulla riforma costituzionaleDi fronte alla obiettiva, ma anche deludente, prospettiva di un voto pressappochista e spannometrico, Matteo Renzi deve aver pensato che l’unico modo per orientare la propaganda fosse quello di chiedere un Sì o un No sul rinnovamento da lui avviato con stile fattivo e concreto, pur con tutti i limiti e i difetti. Molti gli hanno detto che era un errore. Non ne sono così sicuro. L’alternativa, dal momento che il “costituzionachese” risulta piuttosto indigesto per un elettorato distratto e arrabbiato, è stata la rissa politica del tutti contro Renzi (con le più assurde e svariate puntate polemiche) e del Renzi contro tutti (con le più ardite divagazioni spettacolistiche). In un clima del genere non può che vincere il No, favorito magari da un alto astensionismo. Dalla personificazione siamo scaduti nella politicizzazione da bar (di vario tipo e livello, ma sempre di bar si tratta, dove tutti danno aria ai denti). Capisco le preoccupazioni di Napolitano e di Mattarella, ma i toni tendono comunque ad alzarsi. Tutto sommato forse era meglio lasciare che Renzi giocasse fino in fondo la partita alla sua maniera. Almeno il risultato avrebbe avuto un senso e avrebbe giustamente segnato una svolta politica in un senso o nell’altro, come tutti i referendum importanti (monarchia-repubblica; divorzio; aborto etc.). Così invece il dopo referendum sarà un esercizio politicante e comunque segnerà un balzo indietro. Basta leggere le ipotesi di scenari che si prospettano: musica per le bocche dei prezzolati commentatori politici, frastuono per le orecchie dei cittadini.Il dopo-referendumSi profila l’eventualità di un governo tecnico che si appiattirà sui desiderata del rigorismo europeo, tranquillizzerà (?) i mercati e soddisferà l’establishment dell’Europa. Non c’è che dire: una escalation tecnicistica, burocratica e rigorista, ottimo risultato per Beppe Grillo. Ma forse è proprio quel che vuole – a suon di espliciti inviti a fidarsi della pancia e non più del cervello e della mente – cioè tendere i rapporti con l’Ue, con tutti, per poi cavalcare ulteriormente e trumpamente il malessere. Bel colpo per la sinistra dem! E Salvini? Farà il verso a Grillo! E Berlusconi? Finalmente andrà a casa! L’unico risultato positivo.
