Grande e scriteriato cabotaggio

Era la fine di luglio e si stava profilando un difficile rapporto fra governo italiano e Unione europea. Anziché prendere in mano la matassa piuttosto aggrovigliata e tentare pazientemente di dipanarla, il premier Giuseppe Conte corre a baciare la pantofola di Trump, nemico giurato dell’Europa unita e ne incassa gli imbarazzanti complimenti in materia di immigrazione, nonché la disponibilità ad istituire una sorta di asse privilegiato Usa-Italia per la gestione dei rapporti nel Mediterraneo. E l’Europa? Può attendere!

Il 23 ottobre, dopo un antipasto a base di scaramucce economico-finanziarie, arriva il primo indigesto piatto della formale bocciatura europea della manovra economica varata dal governo italiano. Le preoccupazioni sono molte e di molti. Il premier Conte non trova di meglio che fare una capatina a Mosca, andando a baciare un’altra pantofola, quella di un nemico della Ue, che soffre per le sanzioni impostegli in conseguenze della sua politica scorretta relativamente alle questioni dell’Ucraina e della Crimea. Qualcuno sospetta che Conte sia andato a batter cassa, a chiedere da parte russa l’acquisto dei titoli del debito pubblico italiano in crescente sofferenza di collocazione sui mercati anche in vista della fine ormai prossima del “quantitative easing” da parte della Bce. Non risulta che Putin abbia molti rubli a disposizione da spendere, alle prese com’è con una crisi economica pesante e con un sistema bancario che cade a pezzi. E allora? Forse Conte intende spaventare i partner europei inaugurando la politica dei tre forni a livello internazionale (Ue, Usa, Russia). Forse vuole diversificare il suo pacchetto politico, mettendo a frutto le simpatie grilline e leghiste verso Putin ed il suo “mafioso populismo”. Forse si candida a tessere una tela di collegamento fra le due superpotenze in vena di dialogare in modo oscuro e intrigante. Forse è alla ricerca di una tribuna importante per lanciare i suoi penultimatum alla Commissione Ue. E l’Europa? Può attendere!

Qui o si sta bluffando a più non posso o si sta sovvertendo la politica internazionale italiana. Se c’era qualcosa di sicuro e consolidato per il nostro Paese era la collocazione nell’area occidentale e nell’Europa, scelte storicamente rivelatesi azzeccate da tutti i punti di vista, adottate con dignità e relativa autonomia e mai rimesse in discussione. Se ci si azzarda a contestare questo ondivago comportamento, arrivano formali rassicurazioni, immediatamente smentite dai fatti e dalle scelte concrete. Della serie: noi intendiamo rimanere in Europa, ma ce ne freghiamo dei burocrati europei; noi pensiamo di rimanere saldamente nell’euro, ma ce ne freghiamo dei richiami al rispetto dei patti monetari; noi restiamo legati all’Occidente, ma strizziamo l’occhio a Putin perché ci piace il suo incipit populista; noi desideriamo un’Europa forte, ma  siamo vicinissimi a Trump che lavora per indebolirla; noi ci sentiamo inseriti nel sistema capitalistico occidentale, ma dei mercati finanziari ce ne facciamo un baffo.

Quando c’è il terremoto si consiglia di non precipitarsi giù dalle scale, ma di stare al coperto possibilmente sotto qualche solido riparo protettivo. La situazione mondiale è piuttosto terremotata dal punto di vista economico (siamo in crisi da dieci anni), dal punto di vista geopolitico (i fenomeni migratori tendono ad aumentare, il terrorismo impazza, i rapporti internazionali esplodono), dal punto di vista climatico e dell’inquinamento atmosferico (un disastro al giorno leva la tranquillità di torno), dal punto di vista politico (il sistema democratico è soggetto ad attacchi concentrici e le istituzioni sovranazionali traballano), dal punto di vista etico (i valori e i principi sono un optional), dal punto di vista della coesistenza pacifica (la terza guerra mondiale, come sostiene papa Francesco, è all’ordine del giorno). Ebbene, in questa drammatica contingenza, il governo italiano si muove a zig zag, scherza col fuoco, recita a soggetto. Vedrete…tutto andrà a meraviglia e, se per caso avremo sbagliato, ce ne andremo. Cosa dovrà mai succedere per acclarare il fallimento?

Stiamo andando a sbattere

“Bruxelles può mandare 12 letterine, da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia, noi tiriamo dritto. Tutte le manovre passate negli anni scorsi a Bruxelles hanno fatto crescere il debito di 300 mld di euro. È un attacco all’economia italiana. Qualcuno vuole comprare le nostre aziende sottocosto. L’obiettivo è crescere il doppio di quanto abbiamo previsto. Se perdiamo la scommessa? Se gli italiani vogliono mandarci a casa, lo faranno!”. Così Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, commentando la bocciatura della manovra da parte della Commissione europea.

“I bilanci in equilibrio, l’efficienza dei servizi, i diritti garantiti ai cittadini, la sinergia tra pubblico e privato, in modo che crescano le opportunità per tutti, sono sfide a cui nessuna amministrazione può sottrarsi: il Comune e la Provincia come la Regione e lo Stato. La logica dell’equilibrio di bilancio non è quella di un astratto rigore. Occorre scongiurare che il disordine della pubblica finanza produca contraccolpi pesanti anzitutto per le fasce più deboli, per le famiglie che risparmiano e per le imprese”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando all’Anci (nuora), perché il governo (suocera) intenda.

“Noi tiriamo dritto”: non è Salvini il primo a dirlo. E mi fermo qui, sperando che l’Italia non vada a sbattere. Che l’enormità del nostro debito pubblico non sia farina del sacco del governo Conte, ma di chi ha amministrato lo Stato dal secondo dopoguerra in avanti, è verissimo, con un piccolo particolare: fare debiti a volte può anche servire, se stanno a fronte di investimenti o di spese produttive (non ho sentito nemmeno una parola convincente in tal senso). Che qualcuno voglia comprare le aziende italiane a “straccio mercato” potrebbe anche darsi, ma dopo averle comprate dovrà gestirle e non mi sembra che il clima politico, da questo punto di vista, sia incoraggiante. Che si riesca a crescere il doppio rispetto alle previsioni, già ritenute ottimisticamente campate in aria, mi sembra francamente un sogno pericoloso e fuorviante. Governare un Paese non è fare una scommessa con gli elettori, non è un gioco d’azzardo, non è un prendere o lasciare. Sulla possibilità che gli italiani mandino a casa gli attuali governanti meglio lasciar decidere a loro senza scadere nel bullismo elettorale.

E le letterine di Natale? Non mi sembra che l’Unione europea ci voglia prendere in giro seppellendoci sotto una valanga di burocratiche missive. Forse siamo noi che dobbiamo mandare la letterina di Natale alla Ue: in essa infatti si dovrebbero scrivere propositi seri e non baggianate qualsiasi. E per pensare e scrivere cose serie bisognerebbe umilmente seguire le indicazioni del Capo dello Stato.  Diversamente, tanto per rimanere in clima natalizio, c’è il timore che Babbo Natale ci deluda clamorosamente ed a qualcuno vada di traverso il panettone: non mi riferisco a Salvini e c., ma, come dice Mattarella, agli italiani più deboli, alle famiglie che risparmiano e alle imprese che producono.

I manovratori disturbati

Il ministro dell’economia Tria ha inviato la lettera di risposta alla Commissione europea, dopo la missiva ricevuta il 18 ottobre direttamente dal commissario Moscovici. La manovra “non espone a rischi la stabilità finanziaria dell’Italia né degli altri Paesi dell’Unione europea”, scrive Tria, “riteniamo infatti che il rafforzamento dell’economia italiana sia anche nell’interesse dell’intera economia europea. “Qualora i rapporti deficit/Pil e debito/Pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato, il Governo si impegna ad intervenire adottando tutte le necessarie misure”. “Per il sentiero del Saldo strutturale, il governo è cosciente di aver scelto un’impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di stabilità e crescita” si legge nella lettera del ministro Tria. “È stata una decisone difficile ma necessaria alla luce del persistente ritardo nel recuperare i livelli di Pil pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana”, aggiunge e spiega Tria.

La risposta, abile (?) nei contenuti e morbida nei toni, non ha commosso la Commissione europea forse l’ha ulteriormente indispettita, non è riuscita ad evitare una seppur non definitiva bocciatura, anche e soprattutto perché elude la questione di fondo. Conversando a ruota libera, nei giorni scorsi un amico mi sottolineava come qualsiasi manovra economica di un qualsiasi Stato non possa che comportare un deficit di bilancio. In effetti diversamente non ci sarebbe bisogno di manovrare, ma solo di utilizzare il surplus in un modo o nell’altro. Il problema sta quindi tutto nella finalizzazione del deficit e del suo contenimento a livelli compatibili con i patti europei. L’Ue non esige un bilancio alla pari, ma un disavanzo strutturale (deficit ripulito dagli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum) al di sotto dello 0.5% del Pil (prodotto interno lordo). L’Italia si era impegnata, in deroga alle regole europee, a contenere il deficit pur superando ampiamente il livello suddetto. L’attuale governo ha alzato ulteriormente di uno 0,8% il deficit previsto (un “ritocco” pari a 14 miliardi, il fabbisogno per le due novità demagogiche ed elettoralistiche, vale a dire il reddito di cittadinanza e la riforma della Legge Fornero), che arriverebbe così al 1,7% del Pil, smentendo clamorosamente lo stesso ministro dell’economia, che continuava a rassicurare le istituzioni europee (salvo fare un dietrofront assai poco dignitoso).

La motivazione politica di tale programmato sforamento è data dal fatto che l’Italia più che contenere il numeratore del suddetto rapporto deficit/Pil punta ad aumentare il denominatore, vale a dire il Pil varando una politica espansiva e di sviluppo. Il nostro Paese risponde ad una regola superandola con la scommessa che il Pil decollerà e quindi il rapporto tornerà compatibile con il contemporaneo innalzamento delle condizioni di vita dei soggetti più in difficoltà.  Così per il deficit, così per il debito.  I patti però tenevano già conto di queste necessità e concedevano una certa flessibilità, senonché l’Italia, tramite il governo Conte, vuole allargare notevolmente la forbice sperando di recuperare sul Pil, allargando cioè la domanda a livello di consumi e di investimenti e di conseguenza la produzione.

Mi pare che, sia quantitativamente che qualitativamente, il discorso non regga: troppo alto lo scostamento, troppo evanescenti e improbabili gli effetti della manovra. In poche parole vi sarebbe la certezza di nuove spese a fronte delle quali esisterebbe una assai discutibile probabilità di sviluppo. Piuttosto semplicistica appare la clausola di salvaguardia: se ci sbagliamo correggeremo la manovra. Chiediamo un atto di fede all’Europa, la quale obiettivamente fa molta fatica a concedere eccezioni così importanti, anche perché altri Stati potrebbero richiedere analoghe deroghe e salterebbe tutto il meccanismo pattizio. Poi cosa succederà a livello di debito pubblico? Qui c’è effettivamente da tremare al punto che la Bce ha già ideato una rete protettiva nei casi in cui uno Stato abbia difficoltà a finanziarsi collocando i suoi titoli.

Fortunatamente dalle offese salviniane e dalle minacce dimaiane siamo passati alle analisi triane. Meglio di niente. Sarebbe come se un condomino chiedesse di derogare al regolamento condominiale insultando l’amministratore e gli altri condomini. Forse la fase degli insulti è finita e il ministro Tria sta tirando fuori i fazzoletti con cui asciugare le lacrime da spargere per impietosire i partner.  Speriamo che, alla fine dell’iter, a fronte delle nostre artificiose lacrime non ci venga richiesto il rigoroso sangue. Morale della favola: non si può governare a colpi di clava per poi pretendere di dialogare in punta di fioretto; non ci si può rimangiare la parola; non si possono disfare di notte le riforme fatte di giorno; non si possono fare promesse impossibili in campagna elettorale e pretendere di farle bere agli altri Stati europei; non si può far credere alla Commissione europea che gli asini volano. Sul fatto che ci siano degli asini, penso che lo abbiano capito molto bene, ma sul fatto che volino penso mantengano seri dubbi.

Il titanic grillino

Sto correndo un rischio: seguendo, mio malgrado, le dichiarazioni scodellate sul piatto politico, finisco col ribattezzare la mia rubrichetta, da “I fatti del giorno” a “Le cazzate del giorno”. D’ora in poi chiederò ai miei sparuti e coraggiosi lettori: la sai l’ultima? Ma sì, l’ultima è quella di Beppe Grillo: «Dovremmo togliere poteri al capo dello Stato, riformarlo. Un capo dello Stato che presiede il Csm, è capo delle forze armate, non è più in sintonia con il nostro modo di pensare».

Non so quale sia il modo di (non) pensare di Beppe Grillo, ma lo dico subito e senza dubbio alcuno: alle sue esternazioni, a metà strada fra il comizio iniziale e la comica finale, preferisco il dettato costituzionale del 1946. Di fronte alle scorribande di questo assurdo personaggio (solo l’Italia può arrivare a tanto) sono sempre incerto: ignorarlo come uno dei tanti coglioni che sparano cazzate a salve o prenderlo sul serio come un furbacchione che maneggia armi pericolose senza averne consapevolezza, uno di quelli insomma che per stupire la gente all’ultimo dell’anno sparano a vanvera dal balcone di casa e…qualcuno ci lascia le penne.

Credo che a lui, sostanzialmente e democraticamente parlando, non interessi un tubo della Costituzione: sta galleggiando faticosamente sul mare inquinato dei suoi sproloqui, ormai è a metà del guado e non sa se tornare indietro, spaventato dalle ondate anomale dimaiane, o se proseguire facendo onde sempre più devastanti. Sulla sua problematica navigazione ha però incontrato un ostacolo, un iceberg (la Costituzione) la cui punta (Sergio Mattarella) potrebbe causare il naufragio. E allora, dal suo punto di vista, bisogna rimuoverlo, toglierlo di mezzo, perché aggirarlo non è possibile.

Migliore attestazione di stima il presidente Mattarella non poteva paradossalmente aspettarsi. Gli italiani che hanno deciso di salire sulla nave grillina lo sappiano: può naufragare disastrosamente, mentre loro ridono e scherzano con le reiterate gag di un comico prestato alla politica. Con Berlusconi l’affarismo si fece politica, con Grillo la farsa si è sostituita alla politica. Beppe Grillo non è uno stupido ed ha capito perfettamente che il suo nemico non è la sinistra (da lui considerata morta perché noiosa, mentre il mondo sta cambiando), non è la destra moderata (si sta consumando nel dilemma berlusconiano), non è la destra leghista (siamo strutturalmente diversi nel Dna, ma l’etica della politica è la lealtà e Salvini è uno che dice una cosa e la mantiene). È il presidente della Repubblica per quello che rappresenta e per quello che è.

Se è vero che, come dice Grillo, l’etica della politica è la lealtà, devo ammettere che, tutto sommato, preferisco la barricadiera e sconclusionata verve salviniana alla pelosa e subdola proposta grillina. Non so perché, ma quando ascolto le sbruffonate leghiste, in fin dei conti e sotto-sotto, riesco irresponsabilmente persino a divertirmi, ma con lo sciocchezzaio grillino mi sento aggredito dalle zanzare con lo spauracchio dello shock anafilattico. Il vero pericolo per il nostro Paese sta nel movimento cinque stelle: fino ad un certo punto ha fatto da argine sistemico alla deriva qualunquista ora se ne è impossessato, la sta alimentando e cavalcando e la sta portando fuori dal sistema democratico. È il momento di tenere duro e forse solo Mattarella effettivamente ci può aiutare.

 

Un governo alla viva il…condono

Mio padre aveva uno spiccata passione per il bel canto, ma ancor più per l’arte interpretativa. Non faceva parte della categoria dei “vociomani”, vale a dire di chi privilegia, la potenza vocale, ma voleva, anzi pretendeva, l’emozione forte, il coinvolgimento nell’opera. Tanto per esser chiari non era un patito dell’acuto per l’acuto, men che meno dell’acuto sparato alla “viva il parroco”; apprezzava certamente l’esuberanza e la sicurezza vocali, che sintetizzava in un modo di dire curioso e plastico, rivolto soprattutto ai soprani, “la va pr’aria”, ma soprattutto si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti “chi fan gnir i zgrizór”, per i cantanti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo.

Trasferendo questo discorso alla politica e facendo una similitudine si può dire: come per cantare, soprattutto per cantare bene, ci vuole la voce, ma non è sufficiente, perché occorrono anche intonazione, sensibilità, intelligenza, in estrema sintesi capacità interpretativa,  per governare è indispensabile il consenso elettorale e post-elettorale, ma non basta, bisogna anche essere capaci di gestire la cosa pubblica, è necessario possedere una cultura di governo fatta di preparazione, competenza, esperienza. Un cantante lirico deve essere un artista a livello interpretativo così come un governante deve essere un artista della politica.

Una lunga e contorta premessa per arrivare al dunque: l’attuale governo italiano, timidamente e vagamente presieduto da Giuseppe Conte, si basa su un largo consenso elettorale e su un crescente (?) consenso post-elettorale, ha quindi molta voce (anche troppa) da spendere, canta sempre e comunque a squarciagola (il rifugio tipico di chi non sa cantare e spera di coprire le proprie lacune con la voce urlante), ma quando arriva al dunque risulta spompato e stonato.

Di fronte alle obiettive difficoltà di rapporti con la Ue in merito agli indirizzi di politica economica e di bilancio (e non solo), quando cioè occorrerebbe sfoderare mezze-voci, se non addirittura la capacità di cantare in falsetto, quando sarebbe necessario modulare i suoni spostandoli dal petto alla testa, casca l’asino o meglio il canto diventa un raglio d’asino. È successo con il penoso, deviante e fuorviante spostamento di attenzione sulla questione del condono fiscale: i ministri, nella loro qualità di capi-popolo, forse per non parlare di cose serie, si sono messi a litigare, inscenando un duetto/duello in cui hanno preferito urlarsi in faccia acuti stridenti e stentati, dimenticando che in teatro si stava eseguendo un’altra opera. A volte capita di assistere ad una rappresentazione in cui gli interpreti, anche vocalmente bravi, sembrano usciti da un altro spettacolo: ricordo al riguardo una “Forza del destino” in cui il tenore sembrava cantare “Otello”, il baritono era “Rigoletto” e il soprano…lasciamo perdere.

Al commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, venuto in Italia per cantare le lamentele europee sulla manovra economica, hanno risposto intonando una rissa da cortile sul condono tributario a suon di penose accuse reciproche, finita, come era prevedibile, in “pandana” o in “pantana” come dir si voglia. Non c’è peggiore situazione di quando si chiede un’importante e delicata informazione a due persone e queste cominciano a fornire risposte diverse, finendo col litigare fra di loro, magari sfogando così tutt’altro contenzioso aperto nella loro convivenza.    All’Unione europea non stiamo solo rispondendo “picche”, ma stiamo tirando fuori un mazzo di carte diverse e giochiamo “bastoni”.

 

Anche la politica ha bisogno di…angeli custodi

La lettera della Commissione Ue è arrivata puntualmente ed il suo contenuto era ampiamente prevedibile: l’Italia non ha mantenuto gli impegni presi a giugno e sta sfondando il deficit di bilancio, che non può rimanere al 2,4% rispetto al Pil, mentre le stime di crescita non sono realistiche. Il bilancio italiano, a giudizio dell’Unione europea, mostra una deviazione senza precedenti nella storia del patto di stabilità.

Gli appunti, che si potevano prevedere senza usare troppa fantasia, sono gravi: l’accusa di non mantenere gli impegni e di violare i patti è pesantissima. Di fronte a queste contestazioni il governo balbetta e si nasconde dietro i soliti toni burrascosi del popolo leghista incitato a gran voce dal suo leader e dietro la penosa diplomazia grillina, dettata più dalla paura di essere fagocitati dallo scomodo e virulento alleato di governo che dal timore di cavalcare una battaglia insensata e rischiosissima.

Il commissario Moscovici, latore della missiva, dopo l’incontro col ministro Tria, ha precisato: «La Commissione ama l’Italia, in questa fase delicata ci sono disaccordi, ma dobbiamo restare in un clima sereno. Auspico non ci sia tensione nei toni». Moscovici è stato poi ricevuto al Quirinale dal presidente Mattarella a cui verosimilmente si sarà presentato armato di “un ferro da stiro”: perché? Avrà infatti esternato ansia e preoccupazione per una situazione che sta obiettivamente prendendo “una brutta piega”. E speriamo che la piega non diventi una piaga.

Mattarella aveva messo le mani avanti e, ricordando la figura del presidente Giovanni Gronchi, nel 40esimo della morte aveva detto che l’Unione europea “è patrimonio inestimabile di pace e benessere”, spiegando come Gronchi, interventista cattolico, distinse “tra significato e insopprimibilità dei valori patriottici e le infatuazioni di vuoti rigurgiti nazionalistici”. Ma non è tutto. In un messaggio ad Assolombarda il capo dello Stato, facendo chiaro riferimento al clima politico, ha cosi affermato: «Servono un dialogo costruttivo   e un alto senso di responsabilità da parte della politica, delle istituzioni, delle imprese, delle associazioni, della società civile per scelte consapevoli con una visione di lungo termine nell’interesse collettivo».

Non so cosa si saranno detti Mattarella e Moscovici, anche se questo colloquio ha tanto il sapore di un ricorso estremo alla “mamma” perché faccia ragionare, con le buone o con le cattive, il bambino capriccioso e bizzoso. Purtroppo però il bambino è cresciutello, non tanto nel cervello (capacità di governare) ma nel fisico (consenso elettorale), e non ne vuol sapere di stare a consiglio, ha imboccato una china da cui è difficile risalire. Mentre Moscovici ci schiaffeggia, anche se usa i guanti di velluto, noi diamo anche un triste spettacolo di scontri strumentali e puerili all’interno del governo. Peggio di così…

In queste mattine, dopo una preghierina a Dio per me tramite anche il mio angelo custode, ne faccio una per l’Italia tramite anche la fiducia e la speranza che nutro verso Mattarella e Draghi (Dio ce li ha dati, guai a chi ce li tocca…).  Papa Francesco ha invitato a pregare la vergine Maria e S. Michele arcangelo contro le insidie del male. Ebbene io, molto laicamente e senza precipitose santificazioni, contro le insidie dell’attuale politica italiana, mi affido a Mattarella e Draghi e che Dio ce la mandi buona!

I Preziosi…smi della deriva pallonara

Oggi entriamo al bar sport, non per parlare di politica, ma di calcio: si incontrano Juventus e Genoa nel campionato di serie A. Dietro questa partita ci possono stare due fatti comunque all’attenzione del pubblico: le presunte scorribande sessuali di Cristiano Ronaldo, diventato l’emblema della riscossa internazionale juventina e l’esonero da allenatore del Genoa di Davide Ballardini. Naturalmente il peso mediatico delle due vicende è molto diverso, anche se, calcisticamente parlando, ritengo molto più importante e interessante il caso Ballardini. Le accuse a Ronaldo pongono, sul piano etico, oltre l’eventuale responsabilità personale, la questione dell’utilizzo della notorietà e della “fama”: tutto è concesso e quasi perdonato ai personaggi famosi. Paradossalmente parlando, se un disgraziato immigrato tocca il sedere ad una ragazza seminuda, diventa automaticamente un abominevole delinquente da espellere dallo Stato assieme a tutti i suoi colleghi di sventura; se CR7 (con tutto il rispetto per la sua persona e con tutti i “se” del caso) stupra una ragazza è colpa della ragazza, che si è lasciata incantare dal fascino dell’uomo importante e seducente.

Ma volevo fare un altro discorso, vale a dire quello del costume nella gestione delle cose sportive: non interessa a nessuno – infatti non ho sentito e letto una parola di commento, da parte dell’esercito giornalistico sportivo – il licenziamento in tronco di Ballardini ad opera del bizzoso e strafottente presidente Preziosi. Il fatto è inspiegabile. Se stiamo ai parametri normali, la squadra stava andando bene, la classifica era assai promettente e rassicurante, si parlava di rivelazione appena prima della sconfitta interna col Parma. Poi, improvvisamente, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia del giubilamento dell’allenatore, un uomo peraltro a prima vista serio e corretto. Perché? Nessuno se lo è chiesto sinceramente e nessuno lo ha spiegato seriamente. Il presidente, uno dei tanti che vuole insegnare a tenere la penna (la bacchetta) in mano al direttore (all’allenatore), ha detto che Ballardini è scarso e non sa mettere i giocatori in campo. Ma mi faccia il piacere! La più bella dimostrazione della pretestuosità dell’esonero sta nella riammissione in carica del croato Ivan Juric, allenatore richiamato per la terza volta nelle ultime due stagioni: una buffonata!

Questo è il mondo del calcio al di là degli scarsissimi risultati della squadra nazionale, dovuti a mio modesto avviso non a carenze strutturali della federazione, ma alla scarsa qualità dei giocatori superpagati e incapaci di esprimere un livello calcistico dignitoso e competitivo. Non c’è serietà. Probabilmente Ballardini avrà rotto le scatole: sembra una persona schietta con un carattere forte e convinta delle proprie idee. Lo ritengo un episodio emblematico di un andazzo molto ben tollerato a livello mediatico e della tifoseria: i giornalisti si guardano bene dallo sputare nel piatto dove mangiano; i tifosi, lo dice il termine stesso, non ragionano, si limitano a fare il tifo e allora…

In conclusione a Ronaldo, prescindendo dalla sua colpevolezza ancora tutta da dimostrare, arrivano in chiaro e in scuro attestati di subdola e stupida comprensione; di Ballardini non frega niente a nessuno, tanto prima o poi troverà il modo di accasarsi in qualche altra squadra. Così va il mondo del pallone. Un pallone che va sempre più nel pallone.

Miracoli dal cielo legastellato

Il governo del cosiddetto cambiamento si sta rivelando, giorno dopo giorno, l’esatto contrario, vale a dire il governo di stasi, regresso, involuzione e peggioramento. Lo penso e lo scrivo con grande tristezza, perché ogni volta che la democrazia spreca un’opportunità si indebolisce. La manovra economica, in cui il governo è letteralmente incartato, ne è la dimostrazione clamorosa.

Stanno prendendo corpo tutte le anomalie tipiche nella storia di questo delicato passaggio politico: incertezze, contrasti, accuse reciproche, voltafaccia, scorrettezze, manipolazioni più o meno genetiche, bracci di ferro e inversioni di marcia. Tutta roba trita e ritrita scodellata nel segno della più bieca continuità. In questi giorni evito accuratamente di entrare nel merito dei provvedimenti in via di adozione: se ne coglie tutta la precarietà e quindi è meglio aspettare, prima di fasciarsi la testa peraltro già abbondantemente ferita. Ricordo come un illustre collega, esperto in materia fiscale, si rifiutasse categoricamente di esaminare e commentare i provvedimenti legislativi lungo l’iter della loro approvazione: «C’è già sufficiente confusione con le leggi in vigore, figuriamoci se ci aggiungiamo quelle in via di formazione…». Quindi conviene aspettare, perché tutti i giorni cambiano le carte in tavola, i ministri litigano fra di loro, i partiti di maggioranza sono divisi su parecchie materie, poi il Parlamento interverrà scatenandosi nella gara delle modifiche, degli emendamenti, delle aggiunte, poi ci sarà il vaglio presidenziale, poi arriveranno i ricorsi alla Corte Costituzionale, per non parlare della spada di Damocle dell’Unione europea, che un giorno lancia messaggi allarmanti e il giorno successivo ammicca al compromesso.

Nel merito della manovra, per la verità, si scontrano due opinioni critiche in netto contrasto fra di loro. Da una parte la motivata tendenza a svaccare i provvedimenti sul piano della compatibilità finanziaria: non ci sono le coperture, il debito pubblico verrebbe dilatato oltre misura, i conti dell’Inps rischierebbero grosso, l’erario piangerebbe, etc. etc. Dall’altra parte, da un esame approfondito, sembrerebbe emergere un sostanziale bluff, con le novità tanto sbandierate destinate a sciogliersi in un baleno interpretativo ed applicativo. Insomma c’è da chiedersi: si tratta di una manovra dilettantisticamente sconvolgente e pericolosa oppure siamo di fronte ad una manovra di mera cosmesi legislativa e di puro gattopardismo elettorale? Un dibattito pirandelliano per una manovra polivalente e confusionaria? Una manovra inconcludente per incantare i serpenti?

La verità starà nel mezzo laddove i cittadini non tarderanno ad accorgersi della solenne presa in giro e dei boomerang che arriveranno in faccia agli illusi ed ingenui popolani del cambiamento. Il difetto principale sta probabilmente proprio nell’incertezza in cui siamo sprofondati: tutti a guardare Salvini e Di Maio, mentre la situazione viaggia sul filo (a cavallo) del rasoio. Non era facile riproporre tutti i difetti della vecchia politica e ci stanno riuscendo. Non era facile confondere le idee a tutti in un pernicioso bailamme programmatico e ci stanno riuscendo. Non era facile far incazzare l’Europa, gli Stati europei più significativi, i mercati, gli imprenditori, i sindacati, gli studenti, i ricchi e i poveri, i burocrati e “i buoni samaritani”, la destra e la sinistra tradizionali, i poteri forti e quelli deboli e ci stanno riuscendo. Molti nemici, molto onore. Non era facile dare contemporaneamente l’impressione di rivoluzionare tutto per poi lasciare tutto com’era e ci stanno riuscendo. Non era facile fare ridere e piangere e ci stanno riuscendo. Non era facile promettere un cambio di marcia politico-istituzionale per poi mostrare la scena ridotta ad un rissoso cortile o ad un rumoroso pollaio e ci stanno riuscendo. Ce ne freghiamo e andiamo avanti per la nostra strada: tiriamo dritto. È veramente il governo dei miracoli!

Italiani e Ue, da fondatori a demolitori

Gli italiani e l’Unione europea: solo il 44% vorrebbe restarvi, il 24% opterebbe per l’Italexit, il 32% si dichiara indeciso. Sono i dati forniti da Eurobarometro, il servizio della Commissione europea, istituito nel 1973, che misura ed analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli stati membri e nei Paesi candidati, avvalendosi di sondaggi d’opinione e di gruppi di discussione. Questi dati risultano tuttavia in contrasto con quello del 65% degli intervistati che si dichiara favorevole all’euro. A prima vista mi sembra la fotografia schizofrenica di una popolazione disorientata e disamorata di tutto. Se avessi dovuto fare una previsione avrei immaginato esattamente il contrario, vale a dire che agli italiani fosse soprattutto indigesta la moneta unica, invece sì all’euro e no alla Ue. Chi ci capisce qualcosa è bravo…

In base a questi sondaggi l’Italia sarebbe il Paese a più bassa convinzione europeistica sui 28 membri. Infatti il 68% degli europei ritiene che il proprio Paese abbia tratto beneficio da questa appartenenza e il 62% considera positivamente l’adesione al consesso. Le statistiche vanno sempre considerate con molta cautela, ma danno l’idea di una tendenza in atto nel nostro Paese. I principali problemi, secondo la mentalità degli europei, sono l’immigrazione, la sicurezza e la disoccupazione: in Italia, ma non solo in Italia, c’è la netta sensazione che l’Ue non sappia dare risposte efficaci alle esigenze dei cittadini.

Che le popolazioni abbiano un atteggiamento critico non stupisce e non scandalizza, anzi. Che preoccupa è il clima negativo e distruttivo in cui le critiche si inseriscono e da cui provengono, vale a dire la tendenza a nazionalismo e sovranismo, vale a dire alla negazione dei presupposti fondamentali della costruzione europea. L’Europa non è certo un giocattolo da prendere a scatola chiusa, ma non è nemmeno un giocattolo da smontare spietatamente solo per il gusto di vederne masochisticamente i meccanismi che non funzionano.

È difficile valutare quanto incida sull’opinione pubblica italiana la linea politica dei due partiti vincenti alle ultime elezioni, la Lega e il M5S, nonché le linee programmatiche (?) del governo Conte e soprattutto il clima da rissa alimentato continuamente verso le istituzioni europee. L’attuale classe politica dominante e digerente (non è un refuso) punta a sfasciare il sistema in nome di un fantomatico popolo (bue), che si sta divertendo senza capire minimamente i rischi di una simile deriva. Tutto si svolge a livello di pancia o di altri organi ben lontani dal cervello. L’ignoranza la fa da padrona, l’informazione fa disinformazione, la politica fatica ad essere credibile. Vince la rissosa e goliardica antipolitica in cui sono impegnati concorrenzialmente leghisti e grillini.

Non vorrei che questo dato antieuropeista fosse una dimostrazione della perdita di coscienza democratica degli italiani: finora infatti la vocazione europea faceva parte del nostro comune sentire. Fra alcuni mesi c’è l’appuntamento elettorale europeo. Guai se consacrasse il ritorno indietro nel tempo, cestinando decenni di faticosa costruzione comunitaria, di cui siamo stati ispiratori e protagonisti. Sarebbe una vergognosa marcia a ritroso. Bisognerebbe reagire immediatamente. Come? Mettendo in campo tutte le migliori risorse umane a servizio del rilancio della politica europea basata sulle idealità e sui valori. Penso che il nostro futuro dipenda e si giochi sul tavolo europeo. Buon lavoro a chi ci crede. Io ci credo!

Umana solidarietà e razzismo politico

Stiamo superando i limiti della decenza: la “menata” del comune di Lodi con tanto di tavola separata di serie b per i bambini stranieri, le cui famiglie sarebbero ree di non aver documentato i loro redditi in patria, lascia letteralmente sbigottiti. Mi chiedo come possa un sindaco, indipendentemente dai regolamenti varati in odore di discriminazione, negare ai bambini stranieri ospitati nel suo territorio il beneficio della mensa e relegarli su un tavolo a parte dove mangiare il cibo portato da casa.

Non è la follia xenofoba di un sindaco in vena di scherzare, ma è il frutto di una mentalità razzista, che sta prendendo piede in Italia. Non faccia il furbo Matteo Salvini, che, pur elogiando la sindaca lodigiana, ha ripiegato in extremis su questa dichiarazione: «Gli stranieri devono fornire documentazione del loro paese d’origine, dove magari hanno proprietà e disponibilità economiche, ma se non è possibile il Comune si fiderà della buonafede». Simili cazzate non si sentivano da tempo: abbiamo scoperto la “delocalizzazione patrimoniale” degli immigrati e la buonafede come parametro di comportamento civico di fronte agli obblighi di legge. Non ha avuto il coraggio di ammettere che la sua amica sindaca ha fatto una solenne “cagata” da tutti i punti di vista. Punto e a capo.

Vorrei intervistare gli italiani su questa vicenda, peraltro rientrata a furor di solidarietà, con l’ammissione dei bambini a tavola in attesa di verificare la legittimità del provvedimento comunale. C’è stata una risposta solidale ammirevole, ma il problema è purtroppo politico: si è introdotta nella mentalità corrente l’idea che gli immigrati abbiano diritti speciali e che rubino risorse ai “nostri” poveri. Discorsi pazzeschi! Probabilmente troverebbe puntuale riscontro a livello di sondaggio.

Non è la prima volta, e mi auguro non sia l’ultima, che il presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico si smarca dal piattume acritico filogovernativo, per ragionare con la propria testa (questa volta ad onor del vero non è rimasto isolato all’interno del suo movimento): «Nel momento in cui si fa una delibera che in modo conscio o in modo inconscio crei delle discriminazioni così importanti si deve solamente chiedere scusa. Dopo le scuse questi bambini potranno rientrare tranquillamente nella mensa».

Chiedere scusa è sempre un ottimo comportamento: vuol dire ammettere i propri errori per cercare di rimediare. Penso che anche Roberto Fico debba chiedere parecchie scuse: quella di far parte di un movimento che non si capisce cosa voglia fare e che non è capace di fare quel che sembra dire; quella di aver formato un governo degli equivoci, che sta portando il paese fuori dalla politica per immetterlo nella demagogia; quella di fare “la foglia di Fico” per coprire le vergogne pentastellate. Non si può infatti continuare a chiedere scusa: ai migranti “imprigionati” su una nave che non li può sbarcare; ai bambini che non possono mangiare il cibo italiano; agli italiani che continuano testardamente a stare dalla parte della Costituzione; al presidente Mattarella che non tollera giustamente i “depositi di intolleranza”. Le scuse si possono accettare, ma anche respingere come fa Salvini verso la Francia. Soprattutto le scuse non devono diventare un paravento dietro cui continuare a fare cazzate.