“Bagoloni” e antipatici

Ho certi miei originali approcci psicologici assai poco canonici, ma molto ficcanti. Ad esempio preferisco di gran lunga avere a che fare con persone cattive ma intelligenti piuttosto che con soggetti buoni ma stupidi. Raramente si incontrano cattivi-stupidi e buoni-intelligenti. Dalla cattiveria infatti, seppur a fatica, ci si può anche difendere, ma con la stupidità non si può combattere, perché è tempo perso.

I politici del governo legastellato o pentaleghista (non uso la formula giallo-verde, perché il verde preferisco riservarlo alle forze ambientaliste), non sono né cattivi, né buoni (sono sentimenti troppo difficili…), men che meno sono intelligenti (siamo arrivati alla totale incapacità di discernimento). Qual è il contrario di intelligente? Stupido, idiota, lento, tardo, ottuso.   I grillini e i leghisti potrebbero chiedermi: allora tu vuoi dire che noi siamo stupidi? Risponderei: me ne guardo bene dal dirlo, quanto al pensarlo…è un altro discorso. Poi racconterei loro il breve aneddoto che amava mio padre.  Tizio dice a Caio: «Fra nuätor du a ghé un stuppid…mi n’al son miga…». Caio risentito gli risponde: «Co vrisot dir? Che mi son stuppid?». Al che Tizio si rifugia in corner: «A n’al so miga…at la dítt ti…».

La migliore definizione però la individuerei nell’aggettivo parmigiano “bagolón”, termine dal significato complesso, che mette insieme una quantità notevole di difetti, ma suscita un senso di bonario compatimento, quasi di simpatia. Infatti la traduzione italiana è “narratore di cose divertenti, ma non vere”. Insomma “bagolón”, ma “simpàtich”. Ebbene i grillini (nonostante uno dei genitori sia comico di professione), per la verità ancor più dei leghisti, alla “bagolonaggine” non riescono ad aggiungere un pizzico di simpatia, tipico dei ciarlatani alla “Dulcamara”.  Sono anche antipatici. Vogliono fare i primi della classe e già questo atteggiamento, appena sopportabile solamente in coloro che sono effettivamente tali, è alquanto irritante, soprattutto perché politicamente (e non solo…) sono ignoranti come talpe.

Queste divagazioni lessicali mi consentono di meglio giudicare una classe politica emergente su una piattaforma di menzogne a cui gli italiani credono. Quando si scopre un altarino si corre immediatamente a coprirne un altro: al cedimento sulla Tap ha fatto immediato riscontro l’irrigidimento sulla Tav, come da delibera del consiglio comunale di Torino. Prima o poi cederanno anche sulla Tav e sarà la volta del reddito di cittadinanza (sembra infatti che venga rinviato ad una seconda fase legislativa della manovra economica). Quando poi se la vedono brutta fanno le vittime, gridano al complotto dei poteri forti o all’aggressione di tutti gli altri. Se qualcuno, dall’interno del movimento ai diversi livelli, osa criticare, distinguersi, chiedere chiarimenti, viene immediatamente “smerdato” come amico del giaguaro.

C’è una via di paradossale sbocco in fondo al tunnel della “bagolonaggine”. Quando una persona racconta continuamente cose false, arriva il momento in cui non è più creduto anche quando ne dice di vere. Della serie: Chi l’ha dítt? Grillo! Oppure, Salvini! Lasämä pèrdor…

Dal “celodurismo” leghista al “viagra” pentastellato

Mentre il Presidente della Repubblica persevera nella sua meritoria moral suasion al fine di portare alla ragione il governo Conte e farlo scendere dalle assurde barricate frettolosamente e scriteriatamente innalzate nei confronti dell’Unione europea, i dati emergenti da certe indagini demoscopiche segnerebbero un netto calo di consenso nei confronti del M5S: le convincenti argomentazioni di Mattarella, invece di portare alla ragione il governo ed i partiti che lo compongono e sostengono, sembrerebbero (il condizionale è più che d’obbligo) ascoltate dalla gente, dagli elettori in vena di revisionare il consenso a distanza di qualche mese. Magari fosse così. Non ci credo!

Le motivazioni del calo di consenso ai grillini sono del tutto diverse ed assai poco promettenti: la subordinazione governativa alla Lega di Salvini, che infatti continua ad aumentare il proprio seguito; le contraddizioni programmatiche del movimento in balia delle onde ed in vena di rimangiarsi parecchie fondamentali promesse elettorali; i contrasti interni a livello di dirigenza, di rappresentanza parlamentare, di militanza movimentista e di adesione elettoralistica; le equivoche politiche pentastellata sui problemi fondamentali che stanno particolarmente a cuore alla gente.

La politica, a livello mondiale e nazionale, è ridotta ad una sorta di bar planetario con tanto di succursale italiana: in questo pubblico ed estemporaneo ritrovo chiunque può entrare e sparare cazzate a salve e può ricevere pernacchie, ma anche applausi, in un mix esplosivo funzionale a falsare la realtà, a illudere gli avventori più o meno coinvolti, a intronizzare chi la dice più grossa. In questo fantomatico bar della politica è a proprio agio la Lega salviniana, mentre il M5S appare come il bambino che per imitare il padre “scoreggione” finisce col farsela addosso.

I consensi improvvisati sulla base di promesse molto impegnative, possono improvvisamente essere perduti sulla base delle prime avvisaglie di inconcludenza e di titubanza. Se è vero che grossi, seppur localistici, serbatoi elettorali grillini erano fondati fanaticamente sulla ostilità alla Tap e alla Tav, nel momento in cui il governo pentastellato comincia a balbettare su questi punti nodali il fanatismo si sposta dal voto ultras al rogo delle schede elettorali. Se è vero che il consenso nel meridione è andato ai cinquestelle nell’attesa del cosiddetto reddito di cittadinanza, non appena questa possibilità comincia a scricchiolare, i possibili beneficiati sono presi dall’anticipata sindrome rancorosa. Allora, tutto sommato era meglio votare Salvini: almeno lui ha il coraggio di non mollare, di cantarle in musica a tutti, di interpretare fino in fondo il “celodurismo” di matrice leghista. I grillini ci provano, fanno ricorso ad un improbabile “viagra”, mostrando i loro attributi nei momenti e con gli interlocutori sbagliati (vedi l’assurdo attacco a Mario Draghi).

Ben venga questa possibile crisi identitaria purché non sfoci in un pedissequo rilancio dei propri connotati, utilizzando la chirurgia estetica dei Di Battista, la cosmesi dei Fico o addirittura il fregoliano travestimento in panni di seconda mano. Il M5S sta facendo la pessima imitazione del nostrano leghismo, non ha il retroterra culturale e storico per sposare le cause dell’ambientalismo tedesco, non ha la freddezza e la razionalità per ripiegare sul riformismo di sinistra, non ha le carte in regola per farsi trascinare dal vento pseudo-fascista, che imperversa in tutto il mondo, non è né carne né pesce. L’antipolitica regge fino a mezzogiorno, poi, quando l’appetito si fa sentire, torna in gioco la cucina della politica ed il rischio è che gli affamati cerchino di sfamarsi rivolgendosi al self-service zeppo di nostalgici e vomitevoli piatti riscaldati.

 

Le travi di Salvini e le “pagliuzzone” di Macron

Non v’è dubbio che le contestazioni del Viminale al comportamento delle forse dell’ordine francesi in materia di “caccia all’immigrato” abbiamo un carattere strumentale: una sorta di “sputtanamento” di chi vuol fare il primo o il secondo della classe a livello europeo contro un’Italia fanalino di coda e Stato piantagrane. Obiettivamente però la Francia non sta tenendo una condotta esemplare, se è vero che la polizia d’oltralpe usa maniere piuttosto spicce per ributtare gli immigrati sul nostro territorio (minorenni compresi), anche se le autorità francesi tendono a declassare questi episodi a puri errori.

Un furgone della gendarmeria francese è stato avvistato dalla polizia italiana a Claviere, sulle Alpi del Torinese al confine con la Francia, mentre scaricava migranti di origine africana in territorio italiano, così violando leggi, confini e accordi. Non è la prima volta che succedono fatti del genere e che la polizia francese viene sorpresa con le dita nella marmellata. Al di là del mancato rispetto delle norme in materia, la Francia dimostra un atteggiamento improntato all’ostilità o, quanto meno, al burocratico respingimento di soggetti in gravissime difficoltà, trattandoli come se fossero dei rifiuti di cui sbarazzarsi velocemente e di soppiatto. Non è una bella immagine e soprattutto non è una dimostrazione di civiltà.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra: è perfettamente inutile che Emmanuel Macron faccia il fenomeno, accusando l’Italia di comportamento pseudo-razzista, di populismo e di altre colpe – rimbrotti peraltro meritati – messe in rilievo da un pulpito assai poco credibile. La Francia ha codoni di paglia molto imbarazzanti nel suo passato colonialista, nella sua stupida e gravissima spinta al conflitto con la Libia e nel suo presente opportunista. Siamo in presenza del bue che non dà del cornuto all’asino, ma ad un altro bue.

Non mi piace il modo fascistoide di Salvini di reagire alle violazioni da parte di un altro Stato: esistono canali diplomatici e possibilità di chiarimento ben più democratici e civili. Ma non accetto nemmeno la supponenza con cui il presidente Macron tratta l’attuale governo italiano e respingo al mittente le lezioni di democrazia che intende impartirci. Se noi abbiamo Matteo Salvini, lui ha Marine Le Pen che non è certo da meno in fatto di populismo e sovranismo: se la Francia avesse votato col nostro sistema elettorale non so come sarebbe finita.  Se noi stiamo impostando una vergognosa campagna anti-immigrati, la Francia e gli altri Paesi europei non brillano certo per accoglienza e disponibilità a farsi carico del problema, se l’Italia ha imboccato una assurda strada di violazione delle regole comunitarie in materia economico-finanziaria, la Francia non è un esempio di correttezza ed ha fatto ripetutamente i “cazzi propri” leccando piedi e quant’altro alla Germania.

Sono perfettamente consapevole di non essere troppo complimentoso nei confronti dei cugini d’oltralpe, ma, quando ci vuole, ci vuole. Ognuno infatti ha le sue rogne da grattare o le sue gatte da pelare. Non vorrei che la presenza nel governo italiano di due disastrosi personaggi come Salvini e Di Maio, con tutto quel che ne segue, autorizzasse chiunque ad ergersi presuntuosamente a nostro maestro. Torniamo in ambito istituzionale e lì ognuno faccia la sua parte. Se la Francia ci aiuterà a liberarci dalla cappa grillo-leghista, le saremo grati. Se però insisterà con questi atteggiamenti altezzosi ed arroganti finirà col fare il loro gioco ed accentuare il nostro giogo.

Con Ulisse contro i proci governativi

Se è vero, come sosteneva Alcide De Gasperi, che gli statisti pensano alle future generazioni, mentre i politici pensano alle prossime elezioni, tutto comunque dovrebbe avere un limite segnato dal buongusto più che dall’opportunismo. Di governi ne ho visti parecchi, ma così spudoratamente e demagogicamente orientato a incantare il serpente elettorale come quello attuale, non ne ricordo. È vero che leghisti e grillini devono incassare in fretta la rendita protestataria, devono fare in fretta a cogliere l’acqua che passa, devono raccogliere ancor prima di seminare. Ogni dichiarazione, peraltro molto spesso contraddittoria, punta a lisciare il pelo a qualche categoria di elettori in cerca di autore. Abbiamo il governo del cambiamento in base al vento che tira: la scientifica strumentalizzazione di tutto, di fronte alla quale i pur maestri comunisti della prima repubblica erano mostri di obiettività culturale ed equilibrio politico.

Faccio un piccolo passo indietro per ricordare la recente sparata dimaiana contro l’apertura domenicale dei negozi: una boutade, che peraltro aveva avuto l’aperitivo in musica nella famigerata (per i pentastellati) e sconsiderata (per il quotidiano dei vescovi) intervista di Beppe Grillo ospitata da Avvenire. La liberalizzazione degli orari dei negozi, introdotta nel 2011 (il decreto “Salva Italia” del governo Monti), starebbe infatti, a detta del vangelo secondo Di Maio, distruggendo le famiglie italiane e quindi bisognerà ricominciare in fretta e furia a disciplinare orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali.  Naturalmente i sindacati dei lavoratori, specializzati, purtroppo da parecchio tempo, in facile demagogia a dispetto della difficile battaglia per il lavoro, si sono dichiarati d’accordo. E la Chiesa? Attenti al tranello in cui era caduto Avvenire qualche tempo fa.  In passato la gerarchia cattolica sapeva individuare i leccapreti giusti, non i primi che passavano davanti al Vaticano. Non vorrei che nella confusione politica regnante il clero cattolico prendesse lucciole per lanterne e si lasciasse infinocchiare dal primo grillino che la spara grossa.

In quasi tutto, dalla Tav alla Tap, Di Maio è regolarmente e prontamente smentito da Salvini alla ricerca di consenso fra le forze economiche. Così come Di Maio prontamente sconfessa Salvini in materia di magistratura d’assalto: i giudici non si toccano. La conflittualità all’interno dell’attuale governo non ha precedenti: ormai non c’è più da prestare alcuna attenzione alle dichiarazioni, che vengono regolarmente e prontamente smentite il giorno successivo. L’effetto comunque c’è stato ed è quel che conta. Fino a quando continuerà questa pantomima? La sintetica quadratura del cerchio rispetto alla litigiosità e contraddittorietà sta nella manovra economica varata all’insegna della spesa facile: si è trovato così il collante per tener insieme un governo che cade a pezzi.

Mentre la maggioranza parlamentare era invischiata nell’assurda e stupida querelle sui vaccini (prima rinvio dell’obbligo, poi ripristino dell’obbligo, poi…non ci capisco più niente), il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenendo all’apertura del meeting “Le due culture” nel centro di ricerca Biogem, ha dichiarato: «Nei confronti della scienza non possiamo esprimere indifferenza o diffidenza verso le sue affermazioni e i suoi risultati. Non sempre l’uomo interpreta bene la parte di Ulisse alla ricerca della conoscenza e nel saper distinguere il vero dal falso». Verrebbe spontaneo parafrasare Dante Alighieri: «Fatti non foste a viver come Salvinian-dimaiani, ma per seguir virtude e canoscenza».

Il paradigmatico neofascismo di Bolsonaro

Ho letto su Adnkronos un “agghiacciante” profilo politico del neo-presidente brasiliano Jair Bolsonaro: “populista di estrema destra, vincitore delle elezioni presidenziali con il 55,2% dei voti, su Fernand Haddad del partito dei lavoratori, grazie ad una retorica nazionalista, provocatoria, violenta e incendiaria con la quale ha promesso di fare piazza pulita di delinquenti e corrotti. Una retorica che si ispira al presidente americano Donald Trump, ma anche e quello filippino Rodrigo Duterte. La sua fama è legata soprattutto alla retorica aggressiva di estrema destra, con dichiarazioni choc di stampo omofobo, razzista e misogino. Nel 2008 non ha esitato a dire che l’errore della dittatura militare è stato quello di torturare e non uccidere gli oppositori, mentre un’altra volta ha liquidato una deputata di sinistra dicendo che era così brutta da non meritare di essere violentata. Quando ha approvato la destituzione della Presidente Dilma Rousseff, ha dichiarato in aula di dedicare il suo voto al soldato che la torturò quando era una giovane guerrigliera. Nell’aprile 2017 ha detto che gli afro-brasiliani non servono neanche a procreare. Sostenitore del libero mercato, presenta come sua principale proposta la liberalizzazione del possesso di armi per permettere ai cittadini di difendersi dalla criminalità. Bolsonaro ha il sostegno degli imprenditori e dei latifondisti, che apprezzano il suo orientamento liberista e la promessa di abolire il ministero dell’Ambiente, uscire dagli accordi sul clima di Parigi e lasciar mano libera allo sfruttamento economico delle zone protette dell’Amazzonia. Ma il candidato populista piace anche al ceto medio-basso impoverito dalla crisi economica e preoccupato degli alti tassi di criminalità, ad un elettorato religioso e conservatore che rifiuta il matrimonio omosessuale e l’aborto, anche sull’onda della crescente influenza delle chiese evangeliche. Hanno giocato a suo favore poi le paure del comunismo di fronte al disastro della crisi venezuelana. Bolsonaro è riuscito a conquistare anche gran parte dell’elettorato conservatore moderato che guardava alla destra nazionale, screditata dalle inchieste di corruzione che hanno colpito i principali partiti”.

Rimango quasi senza parole di fronte a questa deriva planetaria di stampo chiaramente fascista. Il fascismo infatti, checché ne dica il pur bravissimo giornalista Corrado Augias, non è un regime relegabile e confinabile nello storico ventennio, ma un modo di pensare la società e di impostare la politica. Me lo ha insegnato mio padre, il quale, prima e più che in senso politico, era un antifascista in senso culturale ed etico: non accettava imposizioni, non sopportava il sopruso, non vendeva il cervello all’ammasso, ragionava con la sua testa, era uno scettico di natura, aveva forse inconsapevolmente qualche pulsione anarchica, detestava la violenza. Ce n’è abbastanza?

Posso aggiungere solo due telegrafiche riflessioni. Il pericolo fascista è sempre in agguato: sfrutta il malessere socio-economico e le varie paure, cavalca la sfiducia e il qualunquismo, illude la gente con promesse irrealizzabili e contrarie ai principi umani e democratici. Che a livello mondiale esista un forte ripresa di queste pulsioni anti-democratiche deve preoccupare molto seriamente. C’è un filo nero, che lega certi processi in atto e sta tessendo una ragnatela in cui rischiano di cadere intere popolazioni. Nei vari Stati le svolte autoritarie assumono connotati diversi, ma sono comunque riconducibili ad un unico e globale disegno di stampo populista di estrema destra (se vogliamo proprio usare un eufemismo per evitare di evocare il fascismo).

E in Italia? Già l’esperienza berlusconiana aveva ripreso non pochi contenuti di stampo fascista: dal culto della personalità, all’anticomunismo viscerale, alla falcidie delle forze intermedie, alla difesa di mera facciata dei principi legati alla famiglia con tanto di lasciapassare delle gerarchie cattoliche, ad una certa misoginia strisciante, alla sbruffonaggine italianista. Persino certi episodi di stampo berlusconiano vengono riportati alla memoria dall’incipit di Jair Bolsonaro.

Attualmente, sulle ali della paura della criminalità e della criminalizzazione degli immigrati, sulla base della sfiducia nella politica tradizionale sporcata da inconcludenza e corruzione, stanno venendo avanti esperienze assai vicine alla deriva di cui sopra: la demagogica arroganza leghista e  la strumentale  illusorietà del nuovismo grillino, tenute insieme dal collante sovranista e populista e combinate nello sfruttamento elettoralistico del disorientamento della gente, ci stanno trasformando in volubili farfalle che scherzano col fuoco. Sull’antifascismo, proveniente dalla nostra democrazia così come impostata dalla Costituzione repubblicana, non si può sorvolare tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina: coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti perché (come direbbe mio padre) “in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär“.

 

 

Il demoniaco riciclaggio dei rifiuti

Sono consapevole di andare contro corrente (è il mio destino culturale), ma la mia lettura del fatto della ragazza vittima a Roma di un episodio sconvolgente, si allontana dalla sbrigativa criminalizzazione generalizzata degli immigrati clandestini per andare molto più a fondo e in largo. La drammatica vicenda di questa giovane, Desirée (un nome che significa “desiderata” nella traduzione italiana: un paradosso vista la sua prematura e tragica fine), è l’estrema sintesi dei mali della nostra epoca. C’è dentro un po’ di tutto: una pattumiera in cui essa è stata gettata e soffocata.

C’è il sesso ridotto a mero consumo di un corpo reso inerme  e inerte; c’è la droga promossa a stile di vita, a modo di essere e di (non) vivere; c’è la donna non solo considerata come oggetto, ma quale giocattolo con cui divertirsi, ma sfasciandolo prima e dopo l’uso con sadica indifferenza; c’è la logica del branco che diventa il grande dittatore del singolo; c’è la ricerca ossessiva ed autoreferenziale della rivalsa sul debole e il riscatto delinquenziale del debole che si fa forte nel delitto su un altro debole; c’è l’omertà sociale di chi vede, tace e si limita ad imprecare; c’è la vigliaccheria personale di chi si gira dall’altra parte o si rassegna a (non) fare i conti con la violenza; c’è la rivoluzione di chi scarica tutte le colpe sulla politica (ne ha tante, ma non tutte); c’è la reazione di chi si illude di risolvere col pugno di ferro verso tutto e tutti.

In questi giorni papa Francesco ha invitato i cristiani ad invocare la Vergine Maria e san Michele arcangelo perché ci siano di aiuto nella battaglia contro il demonio. Non sono un cristiano facilmente portato ad enfatizzare la lotta contro il male, bensì piuttosto propenso a puntare al bene quale migliore antidoto.   Davanti a questi fatti così emblematicamente demoniaci, resto però piuttosto sconcertato. Non mi rifugio nella psicologia e nella sociologia da salotto, non mi lascio ingannare dal perbenismo scandalizzato e tranciante, non credo alle soluzioni facili e immediate.  Torno a considerazioni già fatte e scritte.

L’elemento che rende più umanamente inspiegabile questi comportamenti delittuosi, non è tanto la crudeltà (un dato presente in molte vicende umane personali e collettive), non è tanto la futilità dei motivi scatenanti, né la giovane età dei protagonisti, ma l’ostentata indifferenza del dopo-delitto, che si accompagna alla mancanza di rimorso e di ravvedimento. È vero che nella coscienza di un individuo non si riesce a leggere, ma tutto lascia pensare alla mancanza di coscienza (qualcuno dice mancanza del senso di colpa). Se un uomo è senza coscienza, non è una bestia perché gli rimane l’intelligenza, è un demonio. È questo che mi induce a considerare demoniaci questi comportamenti, non in senso figurato ma in senso proprio.

La psicologia, la sociologia, la scienza medica possono trovare per questi episodi tante motivazioni sociali, familiari, ambientali, educative: le conosco, le rispetto, ma non mi convincono. Queste analisi possono servire a responsabilizzare tutti coloro che operano a contatto con i giovani e con le realtà sociali più degradate. Rimane comunque un comportamento che temo possa essere riconducibile direttamente al demonio, se la vogliamo dire in senso laico, al gusto di fare il male per il male.

Racconta Vittorino Andreoli, il noto esperto e studioso di psichiatria criminale, di avere avuto un importante e toccante incontro con papa Paolo VI, durante il quale avranno sicuramente parlato non di meteorologia, ma di rapporto tra scienza e religione nel campo della psichiatria e dello studio dei comportamenti delinquenziali. Al termine del colloquio il pontefice lo accompagnò gentilmente all’uscita, gli strinse calorosamente la mano e gli disse, con quel tono a metà tra il deciso e il delicato, tipico di questo incommensurabile papa: «Si ricordi comunque, professore, che il demonio esiste!».

 

Un movimento TAP…ino

Le balle stanno in poco posto, così recita un vecchio, ma sempre attuale, adagio. La Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che sbocca in Puglia e serve a portare in Europa il gas estratto in Arzebaigian dai giacimenti sotto il fondo del mar Caspio, potrebbe essere ridefinita DIG (Diaspora Inutile Grillina). La storia è piena di promesse elettorali non mantenute: il M5S è maestro in questa specialità, che costituisce un fondamento del suo populismo da tre soldi. Ha promesso, soprattutto nelle zone interessate ed allarmate dai lavori imponenti di questa opera infrastrutturale, che la Tap sarebbe andata nel ripostiglio delle cattedrali nel deserto, nell’archivio delle abortite cattive intenzioni. A distanza di alcuni mesi, dopo che sono stati incassati i voti anche sulla base di questa promessa, salta improvvisamente fuori il problema di una penale enorme da pagare in caso di interruzione dei lavori.

Diamo per assodato (?) questo rischio, che l’ex ministro Calenda nega con fermezza e che all’interno dello stesso Movimento grillino sta creando un certo subbuglio. Ammesso e non concesso che la scusa sia contrattualmente certa, resta comunque la superficialità, al limite della dabbenaggine, con cui è stata fatta una promessa elettorale di primaria importanza. La scusa viene così portata ad opera di Luigi Di Maio: «Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte della Tap per tre mesi e vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Sulla realizzazione della Tap non ci sono alternative».

A chi gli chiede se non era il caso di studiare preventivamente il problema prima di lanciarsi in promesse così rilevanti e impegnative, Di Maio risponde con un’ulteriore risibile scusa: «Al M5S non hanno mai fatto leggere alcunché. Quelli che erano andati a braccetto con le peggiori lobby del Paese non ci hanno mai detto che c’erano penali da pagare». Può anche essere…ma resta la clamorosa ingenuità (?) di giocarsi sul piano politico una carta simile, di cui non si conoscono bene tutti i risvolti. Della serie: noi siamo contrari, poi si vedrà. Parecchi hanno abboccato all’amo grillino ed ora restano con un palmo di naso a strappare la scheda elettorale, a chiedere le dimissioni dei parlamentari eletti nella zona, a pretendere chiarimenti, a protestare in piazza, ad esprimere amara delusione per il comportamento fatalistico di Conte e Di Maio.

Una triste sceneggiata, destinata a ripetersi con la Tav. Il tutto aveva avuto – alcuni anni or sono, agli albori del grillismo nelle stanze dei bottoni – un prologo inquietante nel voto strappato ai cittadini di Parma sull’onda del “no” all’inceneritore dei rifiuti: opera rivelatasi irreversibile e addirittura in odore di potenziamento ulteriore. Possiamo dire che le fortune dei grillini cominciarono a Parma proprio su una promessa da marinaio e continuano su questa strada. I parmigiani hanno avuto la memoria corta e hanno confermato la loro fiducia al sindaco Pizzarotti, nonostante la marcia indietro sul forno inceneritore. Alla memoria corta dei governanti fa riscontro quella altrettanto corta degli elettori. L’eco mediatica delle promesse elettorali (Berlusconi docet) dura circa sei mesi, nel bene del mantenimento e nel male del tradimento: trionfa il dimenticatoio. Sarà così anche per la TAP: dopo l’inevitabile incazzatura del momento, dopo un po’ di polvere, Di Maio e c. ritorneranno sull’altare del cambiamento.

La via Pal riveduta e (assai) scorretta

Sta succedendo a Piacenza, ma penso e temo sia purtroppo un fenomeno in atto su larga scala (in Francia in particolare): i ragazzi si mettono d’accordo sui social network, stabiliscono luogo, data e ora, si incontrano e si prendono a cazzotti. Sembrerebbe l’ultima moda in fatto di divertimento del sabato sera. Non è una questione politica, né tanto meno religiosa, di razza o di fede calcistica: questi, non pochi, giovani si picchiano per il solo gusto di farlo. Questi ragazzi, stando alle cronache locali (canale 105), trovano sempre un pretesto per prendersi a pugni, può essere qualche like in più sul profilo instagram di un’amica. Volano minacce e insulti durante la rissa, gli adolescenti si fomentano in questo modo: poi partono gli spintoni e alla fine pugni, cazzotti, calci, con il raggiungimento di livelli di violenza impressionanti. Ai margini ci stanno i tifosi che incitano i compagni, vengono girati dei filmati successivamente postati sui social e si innesca così un vero e proprio barbaro sfogatoio delle pulsioni adolescenziali.

Mia sorella, di fronte a questi clamorosi fatti di devianza minorile, andava subito alla fonte, vale a dire ai genitori ed alle famiglie: dove sono, si chiedeva, cosa fanno, possibile che non si accorgano di niente? Aveva perfettamente ragione. Capisco che esercitare il “mestiere” di genitori con questi chiari di luna non sia facile ed agevole: di qui a fregarsene altamente…C’è alla base una tremenda carenza di carattere educativo, una grave assenza di valori di riferimento, una testimonianza fallace e fuorviante a livello familiare e sociale. Non si può ridurre tutto ciò alle “solite ragazzate”, prima di tutto perché non sono ragazzate ma veri e propri preludi delinquenziali, secondariamente perché, come diceva mio padre, la pianta va drizzata fin tanto che è giovane e si è ancora in tempo.

Sappiamo come le due agenzie educative fondamentali si incolpino a vicenda: la famiglia e la scuola. Credo che in ordine di tempo e di importanza prima venga la responsabilità della famiglia, che oltretutto si ripercuote su quella scolastica con la crescente spinta a delegittimarla in modo scriteriato e talora violento.  Poi viene la tendenza a ributtare tutte le colpe sulla società malata, piena di contraddizioni, di conflitti, di spinte centrifughe verso la trasgressione, il disimpegno, l’evasione. Per non parlare della solita chiamata in causa della politica, incapace di affrontare i problemi della gioventù, prima di tutto quello della prospettiva lavorativa. Un polpettone di sociologismo spicciolo e inconcludente, che trova spesso eco mediatica negli stucchevoli dibattiti tra psicologi e sociologi.

L’adolescenza è una fase molto delicata della vita: la spinta sessuale è prorompente, la ribellione esplode, l’egoismo comincia a svilupparsi, la trasgressione fa sentire tutto il suo fascino, la vita assume una dimensione immediata quasi insopportabile. I giovanissimi hanno sempre vissuto brutte avventure, l’impatto mondano non li risparmia, ma il tempo ha trasferito queste pericolose esperienze dal “precario” al “definitivo”: non sono più episodi sperimentali di trasgressione, ma rischiano di diventare approcci esistenziali definitivi. Lo sballo è ormai fine a se stesso e costituisce regola di vita.

È questione di un attimo cadere in qualche baratro a portata di mano. Non esistono risposte pronte e ricette facili: anche la progressiva mancanza di senso religioso non è fatto secondario. Ognuno deve fare la propria parte, senza scaricare il problema sugli altri. Bisogna seminare senza avere fretta di raccogliere. Nella mia esistenza ho provato cosa voglia dire riscoprire giorno per giorno gli insegnamenti ricevuti, magari inizialmente respinti o sottovalutati. Bisogna recuperare anche quando la frittata sembra irrimediabilmente fatta. Da queste risse tra adolescenti arriva un grido disperato anche se camuffato dalla febbre goliardica del sabato sera. Apriamo occhi ed orecchie perché questi ragazzi sono in gravi difficoltà e non soffrono di disturbi provvisori superabili con l’età. Sono in bilico e possono irrimediabilmente sprofondare. Dove? Non so, ma…

 

I furbetti del governino

Me l’aspettavo e puntualmente è arrivata! Erano troppo serie, equilibrate e incoraggianti le dichiarazioni di Mario Draghi per non essere respinte con presunzione, cattiveria e ignoranza. Forse sarebbe meglio cambiare la successione: ignoranza, presunzione e cattiveria. Ma andiamo con ordine.

Durante la conferenza stampa seguita alla riunione del consiglio direttivo della Bce, Mari Draghi con la sua invidiabile calma, con altrettanta serietà di analisi e con grande e diplomatica mano tesa all’Italia si è soffermato ed ha brevemente sviluppato tre innegabili concetti. È partito da una constatazione di buon senso: “Nei Paesi ad alto debito è essenziale il pieno rispetto delle regole del Patto di stabilità e di crescita per salvaguardare i livelli di fiducia”. Tradotto volgarmente: se sei pieno di debiti, devi dare almeno l’impressione di comportarti correttamente per sperare che i creditori sperino di essere rimborsati.

In secondo luogo il presidente della Bce ha opportunamente, anche se molto cautamente, parlato dei problemi delle banche: “Su quale sia esattamente l’impatto degli aumenti dei tassi delle emissioni pubbliche italiane sulle banche non ho la sfera di cristallo. Si parla di 200 o 300 miliardi di euro in portafoglio. Certamente sono nei bilanci e se si svalutano pesano sui livelli patrimoniali. Inoltre gli aumenti dei tassi di interesse sui titoli di Stato dell’Italia automaticamente riducono i margini espansivi del bilancio”. Tradotto in parole povere: la svalutazione dei titoli pubblici italiani conseguente alla reazione sfiduciata dei mercati influisce sul bilancio delle banche che li hanno in portafoglio e gli istituti di credito dovranno compensare queste minusvalenze con misure che tenderanno a restringere i prestiti alla clientela e/o li renderanno più redditizi per le banche stesse, ma più onerosi per famiglie e imprese. Quanto al maggior onere che lo Stato dovrà sostenere per finanziarsi, questo peserà sul bilancio e quindi andrà a ridurre ulteriormente le possibilità di manovra a livello di crescita e sviluppo.

Da ultimo, in punta di forchetta, ha lanciato un messaggio ed un consiglio ai governanti italiani: “Sono fiducioso che un accordo verrà trovato. Bisogna abbassare i toni, non mettere in discussione l’esistenza dell’Euro e poi fare politiche che abbassino lo spread”. Della serie: non tutto è perduto, basta usare un po’ di diplomazia, non sparare a vanvera e dare segnali tranquillizzanti ai mercati.

Ho subito pensato ad alta voce: meno male che c’è Draghi! Ci sta parando qualche colpo e ci sta dando una bella mano, come del resto ha fatto in questi anni. Vuoi vedere che lo rimbeccheranno in malo modo?! Pensato e immediatamente confermato dai fatti. Luigi Di Maio ha reagito così: “Secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta così ad avvelenare il clima ulteriormente.  Draghi può dire quello che vuole, ma è singolare che vedo più rispetto da alcuni ministri tedeschi”. Non ha capito niente di niente oppure, se ha capito, è in mala fede. In precedenza Matteo Salvini si era già espresso sulle dichiarazioni di Draghi: “Anch’io sono per un accordo, ma sulle nostre posizioni”.  Ha capito tutto, ma preferisce fare il furbetto del governino. Ma chi credono di essere? Non so, so soltanto cosa sono…

Scoprire gli altarini dell’antieuropeismo

Viene spontaneo chiedersi: perché le attuali forze di governo puntano con tanta cocciutaggine ad un contenzioso con l’Europa in materia economica e non solo? Dovrebbe essere chiaro che ci stiamo infilando in un tunnel senza via d’uscita e non appare plausibile una tattica mirante a chiedere 100 per ottenere 10. La spiegazione non va cercata nel contrasto sul merito delle questioni o nell’ostilità sul metodo delle istituzioni comunitarie: Lega e M5S sanno benissimo di essere dalla parte del torto per quanto concerne gli indirizzi di politica economica “sbruffonescamente” varati e penosamente difesi; sono perfettamente consapevoli che una riforma istituzionale a livello europeo non si fa con il disfattismo sovranista o con la demagogia populista; si rendono conto che alzare continuamente il tono dello scontro può portare a sciagurate rotture. L’intelligenza politica degli attuali governanti non è eccelsa, ma per arrivare a quanto sopra non occorre essere dei Macchiavelli in salsa giallo-verde. E allora?

La tattica politica, completamente sganciata da qualsiasi barlume di strategia, riguarda solo ed esclusivamente il raschiamento del barile elettorale in vista della prossima consultazione europea, che con ogni probabilità si giocherà sul (quasi) ideologico scontro tra europeismo ed euroscetticismo. La Lega con il suo storico astio deve quindi tenere caldo l’umore degli italiani disamorati rispetto alla prospettiva europea, mentre il M5S non può lasciare ai leghisti questo enorme bacino e tenta di prosciugarlo con le pompe della sburocratizzazione istituzionale più che della contrarietà internazionale. Non so chi la spunterà in questa battaglia casalinga di retroguardia: la sfrontatezza antieuropea dei Salvini o il subdolo euroscetticismo dei Di Maio? La dichiarata crociata anti-immigrati di stampo nazionalista o il falso perbenismo dell’accoglienza sì-ma… di impronta grillina?

Su questo terreno la sinistra, i verdi e le altre forze di cultura europeista avrebbero molto da dire e potrebbero guastare la festa alle forze antieuropeiste e quindi in Italia si verrebbe a creare uno scontro radicale tale da scuotere le coscienze intorpidite e le menti obnubilate: una sorta di elettrochoc politico che metterebbe in discussione la “cotta” per grillini e leghisti, relegati a fidanzati di serie b, candidati ad un matrimonio elettorale ancora tutto da celebrare. Ecco spiegato il perché sia necessario mantenere così alto il livello dello scontro con l’Ue: per mettere gli elettori di fronte ad un bivio quasi definitivo e giocarseli sul piano emozionale dell’essere padroni a casa propria.

La sinistra deve darsi una mossa e uscire dal piatto anonimato della politica politicante per mettersi in gioco chiedendo agli elettori di scegliere fra la storia e la geografia, fra la politica e l’antipolitica, fra il futuro e il passato. Ce la farà? La paura grillo-leghista, che arriva fino a colpire, discorso peraltro in atto da tempo, il presidente Mattarella quale inciampo di lusso a questa deriva, la dice lunga. Guai se qualcuno riesce autorevolmente a riportare il discorso sul corretto e obiettivo piano politico ed istituzionale: questi è il vero nemico, si chiami Mattarella, Draghi o, purtroppo, come pochi altri.  Bisogna insistere: prima o poi potrebbe succedere qualcosa di strano, ma soprattutto potrebbe cadere il velo dagli occhi della gente. Provarci almeno!