Il fiume carsico del maschilismo

Ogni femminicidio ha dietro di sé una specifica e tragica storia, dove l’amore diventa odio, il tradimento sfocia in vendetta, la nostalgia chiama il rancore, il rimpianto sconfina in disperazione, la sofferenza esplode in violenza. Nessuna vicenda è uguale all’altra, ognuna ha una sua tortuosa e delittuosa strada.

Di fronte a queste tragedie provo un senso di grande pena. Non mi scandalizzo, soffro pensando al dramma dei protagonisti, mi commuovo di fronte alla fine impietosa a cui vengono sottoposte le donne, al collaterale tremendo coinvolgimento dei figli, alla scia improsciugabile di sangue lasciata in queste famiglie. E gli uomini autori di queste violenze? Se si suicidano chiudono un cerchio autenticamente infernale (perso il barlume di paradiso, si buttano a capofitto all’inferno), se rimangono in vita dovranno fare i conti con un incancellabile rimorso. Siamo di fronte a fatti di sangue, che hanno qualcosa in più di negativo, perché hanno l’ardire di giustificare la trasformazione del bene in male e di mettere ordine nei sentimenti con la violenza torturatrice e mortifera.

Nei femminicidi, assieme a deformazioni e deviazioni umane particolari, troviamo la sintesi storica, culturale e persino religiosa dei mali del maschilismo: la sotterranea e generale sottovalutazione della donna trova sfoghi, così come il magma endogeno viene in superficie a livello vulcanico.  C’è quindi un’antica e diffusa responsabilità a cui molto difficilmente si riuscirà a far fronte: il vento seminato nei secoli comporta la raccolta di tempeste. Molto probabilmente il maschilismo rimaneva sotto traccia nel senso che la donna sopportava la violenza quotidiana, la prevaricazione sociale, la colpevolizzazione subdola: dal momento in cui essa si ribella ed esce dalle inaccettabili convenzioni, portando allo scoperto scontri latenti e soffocati, diventa il bersaglio contro cui si scatenano le reazioni della belva- maschio che si sente ferita.

Intendiamoci bene, la donna non è un angelo e l’uomo non è un demonio. Questo schema è stato addirittura strumentalizzato, considerando ipocritamente la donna quale “angelo del focolare”, che, come tale, se trasgredisce, diventa l’angelo ribelle, il demone da giustiziare. Fin tanto che la donna accetta supinamente il suo ruolo subordinato, merita rispetto e considerazione; quando si mette in posizione eretta diventa il nemico da combattere senza esclusione di colpi. E allora partono gli angeli vendicatori, che di angelico non hanno niente e di vendicativo hanno tutto. Addirittura può scattare una sorta di “occhio per occhio, dente per dente”: a farne le spese, chissà perché, sono soltanto gli occhi e i denti delle donne.

Non credo troppo alla socializzazione del conflitto. Ben vengano manifestazioni di protesta e solidarietà. Sono auspicabili iniziative sociali a difesa delle donne in difficoltà. È doverosa la preventiva attenzione poliziesca e giudiziaria ai drammi delle donne perseguitate da maschi inconsolabili (o soltanto violenti, perché toccati nel loro pretestuoso orgoglio). L’inversione di marcia sta però nella rifondazione culturale e sociale del nostro vivere. La rottura di una convivenza non è un fatto positivo, ma nemmeno la causa per distruggere tutto. La tanto bistrattata indissolubilità del matrimonio, giustamente criticata a livello religioso in quanto fossilizzata in un dogma penalizzante e discriminante, viene somatizzata nel privato al punto da costituire un fatto irrinunciabile, pena la morte della donna. Il divorzio, istituto giustamente salutato a livello politico come conquista di libertà e come diritto civile, non è mai entrato nella mentalità ed è tuttora vissuto come tragedia foriera di ulteriori tragedie. Siamo progressisti in casa altrui e retrogradi in casa nostra.

Il femminicidio è un male che mi sento addosso, come maschio, come uomo, come cittadino, come cristiano, come persona. C’è qualcosa di troppo che anch’io devo rimuovere, nella mia mentalità, nella mia cultura, nella mia vita. Un cammino in cui devo lasciarmi prendere per mano dalla donna. Solo lei può guarirmi. Vale per me, forse vale per tutti.

 

…e vieni al freddo e al gelo…in una nave Ong

Sea watch 3, nave di una Ong (bandiera olandese), chiede di portare in Italia 33 persone (immigrati), soccorse in prossimità delle coste libiche. La risposta del ministro Salvini è sempre la stessa: i porti italiani sono chiusi. “La Libia non è un porto sicuro, afferma la Ong. L’ultimo rapporto Onu parla di orrori inimmaginabili per i rifugiati e i migranti catturati, esortiamo i governi europei a fornire un porto”.

Alla vigilia di Natale questo atteggiamento di netta chiusura del governo italiano grida veramente vendetta al cospetto di un Dio, che è venuto nel mondo più o meno alle stesse drammatiche condizioni di questi disperati, abbandonati in mare o perseguitati in Libia. Il presidente del consiglio Conte ha fatto visita in contemporanea alle autorità libiche: avrebbe dovuto rinfacciare loro il maltrattamento che riservano ai migranti, invece, almeno apparentemente, …calorose strette di mano. Spero abbia speso una parola in tal senso. La diplomazia ha le sue regole!

I maghi venuti dall’Oriente andarono da Erode a chiedere notizie di un bambino piuttosto importante e lui se ne fece un baffo, anzi si preoccupò di farlo fuori ordinando una strage. Una Ong chiede aiuto al governo italiano per soccorrere un nutrito gruppo di naufraghi, il governo se ne frega, anzi rimanderebbe tutti in Libia dove, a quanto si dice, i migranti vengono ammassati e trattati come rifiuti. Non c’è molta differenza, la storia si ripete.

Non so come faccio io a celebrare il Natale, circondato da tanta gente in grave sofferenza, ma, a maggior ragione, non so come facciano a trascorrere le feste di Natale in serenità i governanti che alzano muri, sbarrano confini e chiudono porti in faccia a dei disgraziati, che allungano una mano per chiedere di essere salvati. Non ha molto senso la beneficenza una tantum dei vari telethon, ma almeno a Natale un gesto di accoglienza si poteva fare. Niente.

Si dirà che la politica ha le sue regole, che il buonismo delle Ong non risolve le questioni, che il problema dell’immigrazione è enorme e non si risolve a colpi di sporadica generosità, che occorrono progetti articolati e condivisi. Sì, tutto quello che si vuole, ma quei 33 migranti, che passeranno il Natale su una nave, non certo per una crociera, assomigliano troppo a quel Gesù che passa il suo primo Natale in una grotta. Lui aveva vicino i suoi genitori, due animali che lo riscaldavano, i pastori che lo soccorrevano. I migranti hanno le Ong, che vengono addirittura criminalizzate nella loro opera di salvataggio. Le situazioni tendono addirittura a peggiorare. E abbiamo il coraggio di scambiarci gli auguri di Buon Natale!?

Sarò un nostalgico, un sentimentaloide da strapazzo, un buonista incallito, un cristiano di facciata, un uomo che parla bene e razzola male, ma quei 33 migranti, assieme a tutti i poveri del mondo e in loro triste rappresentanza, mi causano non pochi rimorsi di coscienza. Se il nuovismo e il cambiamento consistono nell’essere duri di cuore e limitati di mente, auguro a tutti i cittadini italiani di accorgersi che stiamo sbandando e in mezzo al mare, oltre i barconi dei migranti, c’è anche il barcone Italia, che va alla lussuosa deriva dell’egoismo.

Ci lasceremo alla stagion dei fior

Di casini in politica ne ho visti parecchi, nessuno batte quello che si è verificato sulla manovra economica del governo giallo-verde: sono riusciti a combinare tutti i possibili guai, dai contrasti con l’Europa a quelli con le forze economiche, dalle contraddizioni sulle misure programmate agli errori nella loro formulazione, dai battibecchi fra ministri alle risse parlamentari, dal balletto delle cifre alla pantomima istituzionale. Intorno a questa legge di bilancio, con decreti annessi e connessi, si è sollevato un polverone tale da non capirci più dentro niente. Emendamento su emendamento, modifica su modifica, alla fine uscirà un testo legislativo rabberciato a più non posso, che si rivelerà inadeguato per forza di cose e creerà nel tempo equivoci e sorprese. Non mi stupirei se fra qualche mese, a livello di opinione pubblica e di categorie sociali, gli attuali favorevoli alla manovra diventassero contrari e viceversa.

Non invidio i tecnici ministeriali impegnati nella quadratura del cerchio della elaborazione di misure economico-finanziarie sparate alla viva il parroco o per meglio dire alla viva il pensionato. Passata la festa, gabbato lo santo: i pensionati, non quelli d’oro o d’argento, ma quelli di bronzo, se non addirittura di latta, si stanno già accorgendo della buffonata perpetrata alle loro spalle. Presto succederà ai potenziali fruitori del sostegno al reddito. Non sto gufando, stanno autogufandosi addosso.

Se le forze di governo escono massacrate da questa vicenda, per la verità non è che l’opposizione raccolga risultati trionfali. Basti pensare all’insistente richiamo al rispetto dei patti europei per poi, dopo il raggiungimento dell’accordo con la Commissione Ue, rinfacciare d’aver scritto la manovra sotto dettatura di Bruxelles. Ci sono poi le code di paglia accumulate in passato, che non si possono nascondere facilmente e che gettano una luce sinistra su tanti errori, clamorosamente portati all’estremo dall’attuale compagine governativa.

Verrebbe la tentazione di accantonare il regolamento di conti a dopo le feste natalizie, come se queste servissero a decantare la situazione, rendendola più semplice e più facile.  Mi ha sempre disgustato questa tattica al rinvio: forse l’unico aspetto positivo di tutta la vicenda sta proprio nel fatto di costringere i parlamentari a lavorare anche durante le feste, ma solo per ratificare o meno quanto già deciso in altro loco. A qualcuno sicuramente il cenone andrà di traverso: penso agli italiani che hanno votato per il cambiamento e si trovano sulla tavola un boomerang colossale, una brutta letterina di Natale, una sorta di Bignami della cattiva politica recitato a pappagallo dai nuovisti dei miei stivali.

Servirà la triste lezione? Non ne sarei così sicuro. La maggioranza degli italiani sarebbe favorevole al contenuto della manovra. Vorrei, prima di un simile sondaggio, poter verificare cosa essi abbiano capito di questa manovra. Fare casino spesso serve a qualcosa, a coprire o deviare la realtà. Stando ai più acuti commentatori, la manovra economica sarà l’interlocutorio approdo politico delle forze di maggioranza, dopo il quale ci sarebbe la conta elettorale europea della prossima primavera. Della serie “ci lasceremo alla stagion dei fior”, come tra Mimì e Rodolfo nella pucciniana Bohème. Per arrivare a maggio servirà comunque fare ulteriore casino per poi raccoglierne i frutti bacati.

La maggioranza rumorosa

Nel mio patetico girovagare televisivo alla ricerca di qualcosa di culturale che possa riscattarmi dall’attuale piattume, mi sono imbattuto in un fenomeno nato nel 1971 a Milano, quale movimento della media borghesia lombarda, vale a dire la cosiddetta “maggioranza silenziosa”, entrato poi storicamente nel linguaggio politico italiano (e non solo) come termine e concetto caratterizzante non pochi passaggi della vita politica a livello nazionale.

La “maggioranza silenziosa” è quella parte ritenuta maggioritaria in una data società, che non esplicita pubblicamente le proprie opinioni ed è generalmente scarsamente partecipante alla vita politica, ma che spesso la influenza in forma passiva. Pietro Nenni parlò al riguardo di “piazze piene e urne vuote”, Giuseppe Saragat di “destino cinico e baro”: espressioni che volevano fotografare la paradossale contraddizione tra l’eclatante consenso delle piazze e financo dei circoli culturali a certe idee e teorie politiche e la loro sostanziale sconfitta nella latente opinione della gente.

La storia democratica è piena di queste esperienze: spesso la maggioranza silenziosa non ha determinato il corso degli eventi, ma solo un reazionario freno alla loro evoluzione. I regimi riescono generalmente a rendere esplicito il mugugno della protesta silenziosa, trasformandolo nel grido dell’illusione popolare. L’attuale fase storica vede nel nostro Paese una notevole saldatura fra umore sommerso ed espressione anti-politica: Lega e M5S vanno a gara in questo senso e riescono a interpretare nelle urne e nelle istituzioni il sentimento di rifiuto e stanchezza rispetto ai problemi, vuoi riportandoli da una dimensione mondiale ed europea ad una logica nazionalistica, vuoi reagendo alle sfide della globalizzazione con il ritorno alle rassicuranti identità di popolo e di razza, vuoi seminando, nel campo della paziente gradualità delle soluzioni, la zizzania delle facili illusioni.

La sinistra, di fronte a questo micidiale rischio di liquidazione della politica a livello di stomachevole e fastidiosa cianfrusaglia, è tentata di reagire chiudendosi nei salotti perbene dove si pontifica teoricamente, si snobbano le ansie della gente comune e si prescinde da un rapporto reale con le persone. Mentre la maggioranza silenziosa esce dal proprio silenzio, la minoranza rumorosa entra nella propria clausura.

Il berlusconismo nel suo ventennio di fulgore era riuscito a tradurre il silenzio maggioritario in voto silente: le urne non a caso davano risultati molto diversi rispetto ai sondaggi d’opinione. Pubblicamente quasi ci si vergognava di seguire la strada tracciata da un affarista cinico e baro, ma nel segreto dell’urna si buttava il portafoglio oltre l’ostacolo. L’intruglio pentaleghista ha addirittura spazzato via ogni residua inibizione, sostituendo alla politica degli affari quella delle paure e delle illusioni. Di male in peggio. Questa situazione, se si vuole, è plasticamente rappresentata dalla rissa continua e condivisa del governo contro tutto e tutti, mentre dall’altra parte il partito democratico si rifugia sull’Aventino a guardarsi l’ombelico in tutta solitudine.

Anche durante il periodo della cosiddetta prima repubblica era evidente la distinzione tra clamore sociale e culturale, egemonizzato fino ad un certo punto dal PCI, e consenso elettorale ottenuto dalla DC.  Poi al Pci sfuggì di mano la ribellione socio-culturale e fu terrorismo rosso; la DC perse gradualmente l’etica governativa; in mezzo il PSI craxiano si (im)pose quale forza moderna (?) di proposta intermedia. Diventarono tutte minoranze rumorose o silenziose, finché un bel mattino non si svegliò Silvio Berlusconi e disse: diventerò capo del governo e tutti staranno in silenzio ad adorarmi. Non fu proprio così, ma quasi.  Ed eccoci piano piano arrivati ai giorni nostri: la stragrande maggioranza silenziosa ha preso il potere è diventata rumorosa e osa gridare senza ritegno: tutti ladri! tutti stupidi! viva Grillo, viva Salvini, viva Trump. Un tempo la minoranza più rumorosa gridava nelle piazze: viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung. Corsi e ricorsi storici?

Un Paese contrattato alle grida

Umanamente toccante e politicamente importante l’intervento di Emma Bonino nell’aula del Senato durante la striminzita e compressa discussione sulla manovra economica dopo il raggiunto accordo tra Governo italiano e Commissione europea. In tutta questa paradossale vicenda il Parlamento ha svolto un ruolo di mero appoggio al governo e di semplice ratifica delle decisioni adottate a livello governativo. La senatrice ha levato la sua voce in difesa del ruolo del Parlamento e delle Istituzioni, rimproverando la maggioranza di non avere alcun senso delle Istituzioni stesse, terminando il suo intervento, al burocratico invito del presidente di turno (in esso ho intravisto qualcosa di più di un semplice richiamo al regolamento: la voglia di zittire uno scomodo ed autorevole rimprovero), con voce rotta dalla commozione: «Termino il mio intervento, ma non il mio impegno in difesa delle Istituzioni».  Non so se erano peggio le grida di scherno indirizzate anni or sono dal centro-destra verso i senatori a vita, quando osavano esercitare il loro diritto di voto, rispetto alle insulse pantomime in svolgimento di questi tempi nelle aule parlamentari.

I cittadini del nostro Paese, un po’ per ignoranza, un po’ per distrazione, un po’ per superficialità o dabbenaggine, non si accorgono dei continui sfregi portati da una massa di esagitati, che spadroneggiano infantilmente, in nome di un mandato elettorale impropriamente enfatizzato, ed attentano al funzionamento della nostra democrazia: esistono solo Lega e M5S, il loro penoso contratto e il loro ingannevole collegamento, via web, con la (loro) gente. Tutto il resto è fuffa. Nel tradizionale scambio di auguri al Quirinale il capo dello Stato ha, ancora una volta, richiamato al rispetto dei limiti della Costituzione, dell’indipendenza dei poteri e della centralità del Parlamento.

Il nostro sistema democratico, messo nelle mani di questi improvvidi demagoghi da strapazzo, corre non pochi rischi. Non so se basterà il freno a mano costantemente tirato dal presidente della Repubblica. La piazza, sia quella reale sia quella informatica, non basta a garantire il rispetto della democrazia. Nemmeno, a stretto rigore, il ricorso alle urne, figuriamoci il continuo richiamo ad un fantomatico popolo. Le Istituzioni italiane vengono costantemente e bellamente dribblate, quelle europee vengono addirittura insultate e derise. Dopo il raggiungimento dell’accordo economico-finanziario con l’Ue, in risposta alla sacrosanta intenzione della Commissione europea di tenere monitorata la situazione per controllare il rispetto degli impegni presi, il ministro Matteo Salvini ha risposto con la sua solita arroganza che il governo italiano farà altrettanto riguardo al bilancio europeo, lasciando intendere una sfida continua al posto di dialogo e collaborazione. Siamo nelle mani di personaggi di questo calibro. Per non parlare dei cinquestelle, forse ancor più pericolosi nella loro ignoranza coperta da sfrontatezza.

È molto più importante e delicata questa partita rispetto ai contenuti della manovra, peraltro assai discutibili e contraddittori. Le manovre infatti si possono anche correggere, cambiare, invertire: anche se con danni incalcolabili, sono ribaltabili e capovolgibili. Le regole democratiche invece devono essere mantenute ferme in tutta la loro portata. A parti invertite i legastellati chissà cosa farebbero per protestare: in passato lo hanno fatto per molto meno. Ora tocca a loro e si stanno comportando molto peggio dei loro predecessori. Dove sono finite le tanto loquaci vestali della Costituzione?

 

Dai cessi di Mediaset agli altari di Forza Italia.

In questi ultimi giorni si è fatto particolarmente insistente e incalzante l’attacco di Silvio Berlusconi alla maggioranza giallo-verde, a suo dire ormai arrivata al capolinea e sul punto di implodere miseramente per lasciare campo libero ad un governo di centro-destra. Mi sono chiesto con quale ardita lente d’ingrandimento il cavaliere osservi le vicende politiche italiane. C’è una Lega in dilagante e devastante crescita, c’è Forza Italia in disperato calo di consensi (sono ormai vicini alle percentuali da prefisso telefonico), c’è un grillismo invadente ed insinuante, che non accenna a diminuire d’intensità dialettica e mediatica, c’è un patto di governo che, pur tra parecchie difficoltà e contraddizioni sembra tenere almeno sul piano dell’opportunistico equilibrio contrattuale in vista delle elezioni europee, ci sono minoranze politiche e parlamentari di destra e sinistra poco incisive e quasi rassegnate, c’è un rapporto con la Ue che si sta rasserenando seppure in una stiracchiata trattativa poco edificante.

Poi improvvisamente ho letto alcuni retroscena illuminanti nella loro paradossale e maliziosa portata. Tra i parlamentari del M5S starebbe montando un notevole malcontento: niente di strano pensando a come viene gestito dall’alto questo movimento, con inammissibilità di ogni e qualsiasi dissenso, con minacciosi avvertimenti di espulsione al primo sintomo di critica o di comportamento giudiziariamente border line, con un programma imbarazzante e confusionario, con una strategia assai poco trasparente ed una tattica zigzagante. Che stupisce è lo strano sbocco a cui penserebbe il gruppo dei dissidenti, numericamente tale da tenere sulla corda il governo Conte: starebbero pensando di confluire, seppure in modo coperto e graduale, nelle fila berlusconiane. Pioniere di questa azzardata tendenza sarebbe Matteo Dall’Osso, 40enne bolognese al secondo mandato da deputato, affetto da grave malattia, che avrebbe dato l’addio al M5S imputato di aver respinto un emendamento che potenziava il fondo per i disabili. Lasciando il gruppo grillino, ha spiegato di avere la convinzione di come “il presidente Berlusconi mi consentirà di lavorare liberamente per gli altri”. Musica per le orecchie forzitaliote, fracasso per quelle grilline.

Lo scouting di Forza Italia verso i 5stelle sarebbe iniziato tempo fa con l’operazione “adotta un grillino”. Il pressing sugli scontenti della linea dimaiana non è mai finito e il cavaliere, non a caso, va ripetendo che bisogna ascoltare il malessere che c’è nella maggioranza, soprattutto fra i grillini, consapevoli che le truppe pentastellate sono un mondo tutto da scoprire, non certo un esercito compatto. Basterebbe monitorarlo con attenzione dove si annidano i mal di pancia più forti. Della serie: chi disprezza compra, magari selezionando l’offerta. Non stupisce la tattica berlusconiana già ampiamente sperimentata con un certo successo in passato, tramite manovre al limite o al di là della legalità.  Stupisce la potenziale opzione degli scontenti grillini: finire in braccia al più acerrimo nemico, rifugiarsi sotto le ali dello psiconano, dialogare con il diavolo. Sarebbe la dimostrazione di come l’antipolitica distrugga la politica nei suoi presupposti.

Non so quanto ci possa essere di vero e di concreto in questi discorsi. Probabilmente parecchie sono le forzature dialettiche e polemiche, ma un pizzico di verità potrebbe anche esserci. Guardo con sofferenza a queste ipotetiche vicende politiche: stiamo veramente arrivando al fondo da cui sarà difficilissimo risalire. Non colpevolizzo Matteo Dall’Osso, anzi ne capisco il dramma psico-politico. Non butto la croce addosso a chi, nel movimento grillino, sta cercando di reagire ad un miserevole andazzo disciplinare di tipo stalinista. Però, consiglierei di essere attenti a non cadere dalla padella pentastellata nella brace forzitaliota. Berlusconi non è uno sprovveduto, anzi è capace di strumentalizzare la sprovvedutezza altrui: dai cessi di Mediaset agli altari di Forza Italia il passo può essere anche breve , ma sconvolgente.

Fatto l’accordo, attenti agli inganni

Sembra fatta. Tra Italia e Ue tanto tuonò che non piovve: forse i fulmini e le saette, che partivano rispettivamente da Roma e Bruxelles, si sono annullati a vicenda e il cielo sembra essersi rasserenato. La quiete dopo la tempesta o in attesa della tempesta? Chi vivrà, vedrà. Da parte mia tiro un sospiro di sollievo, non per una considerazione positiva sulla manovra economica del governo, nemmeno per una ammirazione ante litteram delle istituzioni europee e loro regole, neanche per la ritrovata calma dei mercati finanziari, pronti a ripartire in picchiata speculativa al primo stormir di fronde, men che meno per le vittorie di Pirro di pensionandi quota cento e di potenziali fruitori del cosiddetto reddito di cittadinanza: è solo per la salvaguardia di un minimo di speranza nell’evoluzione europea contro tutti i profeti di sventura, quella speranza testimoniata dal giornalista Antonio Megalizzi, morto nell’attentato di Strasburgo. Alla fine hanno prevalso la tenace convinzione europeista di Sergio Mattarella e la rassicurante professionalità di Mario Draghi. Speravo tanto in loro e sono stato sostanzialmente ripagato.

L’accordo raggiunto, indipendentemente dai contenuti, sta a dimostrare che la politica non si fa coi proclami elettoralistici, con le grida populiste o con le minacce sovraniste; la politica è confronto, dialogo e mediazione. Mi auguro non si scateni la corsa alla conquista della corona d’alloro del vincitore: sarebbe una sciocca ed inutile gara sul nulla. Non mi si dica che, se il governo italiano non avesse battuto i pugni sul tavolo, non si sarebbero ottenuti i risultati arrivati alla fine di questa serrata trattativa. Ma quali risultati? Forse che lo sforamento dei parametri è un fatto positivo? È solo la speranza dei malvestiti che faccia un buon inverno. Andiamo quindi avanti senza assurdi trionfalismi, semmai accendiamo un cero a Jean Claude Juncker e c.

Accantoniamo i trionfalismi anche perché non vorrei che finissero con l’irritare i commissari europei e spingerli in prospettiva ad un più rigido atteggiamento nei confronti dell’Italia. Sì, perché gli amici pentaleghisti o legastellati non hanno capito che in gioco non c’è il loro successo agli occhi degli elettori, ma l’avvenire degli italiani. Ricordo al riguardo una barzelletta che circolava all’indomani di una importante affermazione elettorale dell’allora Pci. Enrico Berlinguer sovrastava in aereo il territorio italiano per spiegare ad un gruppo di attenti osservatori cosa fosse successo. Mostrò fabbriche e cantieri pieni di persone intente a lavorare: questi sono i vincitori delle elezioni! Poi il volo dimostrativo arrivò sopra la costa Smeralda, zeppa di persone in vacanza continua: e questi sono i perdenti, disse Berlinguer.

A prescindere dal merito della nuova legge di bilancio, la classe governante del nostro Paese esce molto male a livello di considerazione europea, abbiamo perso dei punti a livello di stima internazionale, nonostante le fuorvianti sirene trumpiane e putiniane. Attenti perché certe illusorie vittorie si dimostrano nel tempo reali e sonore sconfitte. Non vorrei fossimo considerati dei ragazzini pretenziosi, che si mettono a tacere con una caramella: c’è un futuro da preventivare e progettare. Quando esprimevo infantili desideri un po’ capricciosi, mio padre era solito rispondermi in modo elegante e costruttivo: «Ne parliamo domani!». Mi fidavo e ribattevo: «Va bene, domani!». Sì, perché conta il domani. “Diman tristezza e noia recheran l’ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno”.

 

Un papa impolitico che sferza i politici

Durante le mie scorribande culturali mi imbatto spesso nel discorso storico dei rapporti fra Chiesa cattolica e potere politico. La faccio breve e vado alle conclusioni: la Chiesa, a livello di vertice (gerarchia centrale), ma spesso anche a livello periferico (vescovi) e di base (preti), in campo clericale, ma anche in campo laicale, non ne ha imbroccata una in senso evangelico: sempre schierata a fianco dei potenti, nella migliore delle ipotesi neutrale, alla ricerca di privilegi e favori dai detentori del potere. Poi ci sono stati i martiri, le minoranze coraggiose, i testimoni impertinenti, che hanno avuto il coraggio di schierarsi dalla parte giusta, quella degli umili, degli sfruttati, degli affamati, dei perseguitati.

La svolta epocale è stata impressa dal papato di Giovanni XXIII e dal Concilio ecumenico Vaticano II: successivamente non tutto è andato per il verso evangelico, ma comunque si sono mosse le acque. Papa Francesco ha impresso alla Chiesa un’ulteriore spinta. Proprio i questi giorni non si è sputato nelle mani, inserendo nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il prossimo primo gennaio, alcune parole forti nei confronti della politica: «Non sono sostenibili i discorsi dei politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza. Viviamo in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro, si manifesta anche a livello politico con atteggiamenti di chiusura e nazionalismi che mettono in discussione la fraternità. Le nostre società necessitano di artigiani della pace».

Come dice giustamente padre Alex Zanotelli, la Chiesa non deve avere timore di schierarsi, di prendere posizione, di intervenire a livello culturale, sociale e politico per incarnare il chiaro ed inequivocabile messaggio evangelico. La Chiesa ha fatto politica in senso deteriore, cercando compromessi coi regimi, benedicendo le armi di guerra, restando zitta di fronte a massacri, persecuzioni e stragi, preoccupandosi prima di tutto di garantirsi spazi di manovra e di azione diretta. La storia è costellata di vergognose scelte che gridano vendetta al cospetto di Dio. Lasciamo quindi che finalmente faccia politica denunciando le ingiustizie e mettendo con le spalle al muro i responsabili delle nazioni, testimoniando a parole e coi fatti la fedeltà alla parola evangelica.

Ci sono tre obiezioni che verranno sicuramente rivolte a papa Francesco. La prima è l’accusa di intromissione nelle cose politiche: la contraddizione del sostenere il discorso della laicità della politica per poi perseguire la politicizzazione della religione. Questo appunto può trovare addirittura un riscontro nelle scelte fatte da Gesù, il quale non si scagliò contro i Romani in particolare, ma contro chiunque opprime e maltratta il prossimo. La denuncia di Gesù era sì generale, ma non generica, si indirizzava verso tutti coloro che utilizzano il potere per cercare il proprio tornaconto e non per essere al servizio della comunità. Le sue parole e la sua testimonianza di vita furono talmente chiare da guadagnarsi l’ignominiosa morte in croce, stretto nella morsa tra il potere politico e quello religioso.

La seconda critica può essere quella di non comprendere come la politica abbia le sue gradualità che possono confliggere con la radicalità evangelica. Papa Francesco è fautore di una Chiesa impolitica, nel senso dell’estraneità all’opportunismo e alla convenienza, ma politica nel senso dell’interesse al bene comune. Ai detentori del potere non chiede di trasformarsi in predicatori, evangelizzatori e missionari (Dio ce ne scampi e liberi), ma soltanto di avere la giusta attenzione ai poveri ed a quanti soffrono a diverso titolo. La Chiesa, mettendosi dalla loro parte e schierandosi al loro fianco, testimonia la propria fede. Di fronte ad un mondo dove la distribuzione dei beni materiali è paradossalmente iniqua, dove le armi costituiscono la preoccupazione principale a livello di investimenti, dove le guerre si scatenano per accaparrare le ricchezze del pianeta, i cristiani possono fare gli schizzinosi e i moderati?

La terza opposizione è quella farneticante di una destra cattolica identitaria e conservatrice, se non addirittura reazionaria: il perbenismo che consente di coniugare l’acqua santa religiosa con il diavolo politico, il crocifisso nei luoghi pubblici con il respingimento dei disperati, la nascita di Gesù nel presepe con la morte in mare dei migranti. Sappiamo tutti chi siano in Italia e nel mondo gli esponenti politici di questo tipo. Bisognerà pure che i cattolici interroghino le loro coscienze e scelgano da che parte stare: con papa Francesco che li invita a guardarsi intorno e a mettersi una mano sul cuore o con i Matteo Salvini che li invitano a chiudersi in casa e a mettere una mano sul portafoglio.

La mercenaria giocoleria del calcio

Mio padre, pur amando il calcio (“al fotbal”, diceva in una versione dialettale dall’inglese) era intransigente verso le scorrettezze del pubblico, ma anche dei giocatori. Soprattutto pretendeva molto dai grandi campioni superpagati, arrivava alla paradossale esigenza del goal ad ogni tiro in porta per un fuoriclasse come Zico (“col da la ghirlanda”), incoronato re di Udine al suo arrivo nella città friulana: cose da pazzi! Ma non solo con Zico anche con altri cosiddetti fuoriclasse: mio padre non accettava gli ingaggi miliardari, ne avvertiva l’assurdità prima dell’ingiustizia, faceva finta di scandalizzarsi, ma in realtà coglieva le congenite contraddizioni di un sistema sbagliato. Per non parlare di Maradona: lo chiamava “mardona”, non ho mai capito se l’errore fosse voluto o meno, fatto sta che calzava a pennello ed era tutto un programma.

Ebbene questo sistema si è ulteriormente aggravato e “imbestialito”, basti pensare ai due personaggi in voga nelle due squadre più titolate d’Italia. Cristiano Ronaldo, il trentatreenne calciatore portoghese da quest’anno in forza alla Juventus, ha un ingaggio annuo di 31 milioni di euro netti; Mauro Icardi, il venticinquenne argentino nelle file dell’Internazionale di Milano, nel confronto ci sfigura: guadagna attualmente 4,5 milioni, ma il suo contratto sta per essere rinnovato, la società offre 6,5 milioni mentre Wanda Nara, moglie del giocatore e suo manager, ne vuole 8.

Proprio due giorni or sono Ronaldo ha segnato un gol, trasformando a fatica un calcio di rigore decisivo nel derby contro il Torino, squadra che non ha affatto meritato la sconfitta: il portiere di riserva, l’uruguaiano Salvador Ichazo (aveva sostituito, nel corso della partita, l’infortunato titolare del ruolo), ha intuito la traiettoria del tiro dagli undici metri, ha intercettato il pallone, che però è ugualmente entrato in rete, non certo per un capolavoro di Ronaldo, il quale, nella esagerata e inopportuna euforia del momento, ha compiuto un gesto di prepotente scherno verso l’avversario andandogli incontro, petto contro petto, buscandosi fra l’altro una sacrosanta ammonizione di cui ha riso con ironica soddisfazione.

In questo episodio sono sintetizzate alla perfezione le contraddizioni di uno sport approdato ai più paradossali difetti della società: scorrettezza, presunzione, arroganza.  Lo sport diventa anti-sport per eccellenza.  E i media titubanti, incerti tra celebrare il gol-partita di Cr7 e censurare il suo comportamento inqualificabile. Fare un gol su rigore non è certo un’impresa epica, farlo con un tiro affatto irresistibile dagli undici metri rende quasi ridicola la prestazione, lasciarsi andare ad una spropositata esultanza è segno di ignoranza, irridere l’avversario è segno di stupidità. Alla menata milanista di Higuain (una protesta clamorosa verso l’arbitro per una sacrosanta ammonizione subita) ha fatto seguito quella juventina di Ronaldo. Uno a uno e palla al centro.

Ma l’Inter non può essere da meno: decisamente sotto tono sul campo, è tutta presa dal rinnovo contrattuale di Icardi a suon di milioni, sulla scia di uno gol su rigore al cucchiaio contro l’Udinese (sic!). L’intervento della moglie del calciatore non ingentilisce affatto la vicenda, la rende ancora più assurda e ridicola. Che pazzesco carrozzone!  Un circo dove si esibiscono pagliacci super-pagati e dove il pubblico si diverte a contare i soldi “rubati” dai protagonisti di uno spettacolo provocatoriamente scandaloso. Ci vuole un bel po’ di pelo sullo stomaco per continuare a seguire il calcio. E pensare che sarebbe il più bel gioco del mondo…

L’infinita e sciagurata Brexit

Non ho sinceramente capito cosa ci stia dietro le difficoltà a trovare un ragionevole accordo in funzione della Brexit. O meglio, capisco il merito delle questioni, ma resto basito di fronte ai comportamenti. In Gran Bretagna sotto sotto si stanno accorgendo di avere combinato un disastro e lo vogliono coprire sbattendo la porta: ci voleva poco ad immaginare che un simile divorzio avrebbe creato problemi enormi. Qualcuno probabilmente vagheggia una separazione in casa, qualcun altro fa la voce grossa per spaventare l’Europa e costringerla a fare ponti d’oro a chi se ne va, altri ancora vorrebbero quasi quasi tornare alle urne per rimettere tutto in discussione. Tutto sommato mi sembrano come quelli che attiravano le risate ironiche di mio padre: gli ipotetici amanti che fuggono e cominciano a litigare scendendo le scale.

A livello europeo forse si è ceduto fin troppo alle insulse pretese britanniche e si sta facendo come quel tale che si fa l’iniezione antibritannica perché si è infortunato con una chiave inglese.  In caso di matrimonio di interessi, se è difficile convivere, è forse ancor più difficile separarsi. Mi sembra che la vicenda brexit possa essere una lezioncina per quanti si illudono in Italia di poter far a meno facilmente dell’Unione europea. Se ha difficoltà ad uscire dalla Ue un Paese come la Gran Bretagna, figuriamoci l’Italia.

Sarà una vicenda che si trascinerà nel tempo, lascerà parecchi cadaveri sul campo, creerà un triste precedente, complicherà maledettamente i già difficili e precari accordi all’interno della Comunità. È stata raggiunta una bozza di accordo tra governo inglese e istituzioni europee: il parlamento britannico vorrebbe tornarci sopra, mentre i massimi esponenti europei sono per un prendere o lasciare. Cosa voglia dire lasciare non l’ho capito. Una cosa l’ho capita da tempo: la presunzione inglese è inaccettabile. Già avevano sempre avuto e tenuto un piede dentro e uno fuori, adesso pretendono di uscire con calma, senza impatti traumatici, senza danni eccessivi, rimanendo buoni amici. Assurdo!

All’Italia tatticamente parlando, stanno facendo un inaspettato piacere inglesi e francesi: i primi distolgono l’attenzione dalla stretta finale nella trattativa sugli sforamenti di bilancio previsti dal governo italiano; i secondi vogliono scaricare economicamente sull’Europa il casino dei gilet gialli, finendo col legittimare le richieste di eccezioni pretese dall’Italia (della serie: se possono sforare i francesi, sforiamo anche noi e si arrangi chi non sfora). Robette di fronte alle quali i padri dell’Europa si rivolteranno nella tomba.

Quando vedo i baci e gli abbracci che si scambiano continuamente i capi di stato, i capi di governo, i ministri a livello delle riunioni Ue, mi viene un po’ da ridere: spero siano sintomo di rispetto e considerazione reciproca sul piano umano, non certo di amicizia e collaborazione fra gli stati che essi rappresentano. Troppe pacche sulle spalle, troppi sorrisi, troppi sussurri. Cerchiamo di essere seri. Mia sorella aveva vissuto una vicenda politica, che aveva compromesso anche certi rapporti umani e diceva: «È inutile e faticoso far finta di essere o rimanere amici. È meglio riconoscere che l’amicizia si è rotta e comportarsi senza cattiveria, ma anche senza ipocrisia». Semmai consiglierei i massimi esponenti europei di farsi aiutare da Donald Trump: lui sì che è amico dell’Europa e ci vuole veramente bene…