I finti gol nella rete bucata dal coronavirus

«La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli». Marx si sbagliava di grosso. Io però, in piena era Covid, provo a parafrasarlo in questo modo: “Il calcio è il grido di chi pretende a tutti i costi il ritorno alla normalità, di chi muore dalla voglia di giocare con la realtà. È il vaccino degli illusi”.

Dopo la presa d’atto di una diffusa positività tra giocatori e staff del Genoa, i casi sono due. Leggiamo di seguito cosa dice l’esperto in materia. “Quello che sta accadendo al Genoa potrebbe rappresentare la Waterloo dei tamponi”. Lo scrive su Fb il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova: “Dopo poche ore dall’esito di tamponi negativi per tutta la squadra si è assistito a numerose positività con probabili conseguenze importanti sul futuro del campionato di serie A. I tamponi possono dare, da una parte una falsa patente di negatività e di liberi tutti e dall’altra produrre un esercito di positivi asintomatici. Rischiamo di far circolare soggetti negativi al tampone ma in fase di incubazione che trasmettono il virus e chiudere in casa altri con tampone positivo che non trasmettono a nessuno. Occorre rimettere al centro la clinica fatta di segni e sintomi, che unita alla virologia, rimane lo strumento migliore per la gestione della pandemia”. Parlando all’Adn Kronos il professor Bassetti ha poi spiegato: “Il Genoa Calcio ha rispettato il protocollo, sono stati fatti i tamponi nel giorno della partita e, visto che erano negativi, si è disputato il match. Ma l’esame con i tamponi è tutto tranne che perfetto, si può essere negativi, ma dopo poche ore si può essere positivi. Il tampone deve essere governato dalla clinica perché altrimenti si danno ‘patenti’ di negatività troppo facilmente. Il mondo del calcio oggi ci sta dando l’esempio dei limiti dello screening con il tampone, abbiamo a disposizione una ‘palestra’ importane di test sugli asintomatici mai avuta prima, è importante quindi che si analizzi quanto accaduto e si arrivi alle conclusioni”. Prima ipotesi quindi, seppure indirettamente argomentata in modo canonico: rimettere in discussione protocolli, tamponi e via discorrendo e continuare a giocare in attesa di tempi peggiori.

Se, invece, si prende per buono quanto emerge dalle analisi e dalla prudenza dettata dal buon senso, non si dovrebbe avere dubbi: sospendere il campionato sine die, dopo averlo ricominciato con estrema leggerezza (basta vedere quanto succede sui campi di gioco, tra abbracci, saluti e baci) e con idee confuse (un protocollo gruviera). Ma come noto, chi tocca il calcio muore anche a costo di far morire chi col calcio non ha nulla da spartire. Le squadre entrano separatamente in campo e poi tutto va avanti come se niente fosse. È come fanno certi diabetici, che dopo aver mangiato e bevuto a volontà, dopo avere ingoiato una maxi-fetta di torta, giunti al momento del caffè, tirano fuori dalla tasca la saccarina in pillole. E addirittura fino a qualche giorno fa si ipotizzava una riapertura, seppure parziale, degli stadi per la gioia (?) dei tifosi assetati di pallone, ma soprattutto per ristorare le finanze delle società calcistiche testardamente affamate di affari campati in aria. Assistiamo, accompagnati da tanta sciocca e prezzolata enfasi giornalistica, ad un mercato virtuale dove le cifre rischiano di ballare per una sola stagione. Se questo non è oppio del popolo, cos’è?

Per la verità un po’ tutta la lotta al coronavirus sta assumendo sempre più il carattere del “facciamo finta che…”: la gente è stanca e comincia a preferire il voltarsi dall’altra parte, spinta in questo dai quotidiani balletti mediatici, dalle continue kermesse degli scienziati in cerca d’aria per i loro denti, dalle alluvioni di cifre sparate alla viva il parroco, dall’incertezza e dalla precarietà, che regnano sovrane nella testa di chi ci dovrebbe governare. L’economia è l’alibi per fingere di sopravvivere, il mondo della scuola sta diventando lo sfogatoio problematico delle difficoltà, mentre il mondo del calcio continua ad essere il castello in aria con tutti gli illusori ponti levatoi in difesa dell’indifendibile.

 

 

Acqua fetida al mulino dell’inequità

Quando si scherza si scherza. In certi casi però non si può continuare a scherzare. Riporto di seguito una choccante corrispondenza dagli Usa di Francesco Giambertone del Corriere della Sera.

“Mentre 50 milioni di americani in questi sette mesi hanno perso il lavoro a causa della crisidel coronavirus, i super ricchi negli Usa sono diventati ancora più ricchi. I 643 multimiliardari che vivono negli Stati Uniti hanno aumentato le loro fortune del 29% dal 18 marzo, mentre in mezzo mondo scattavano i lockdown e milioni di aziende fermavano le proprie attività.

Secondo un report dell’Institute for Policy Studies, un think thank progressista, il patrimonio complessivo di queste 643 persone è cresciuto di 845 miliardi di dollari, passando da 2.950 miliardi a 3.800: cioè quasi 5 miliardi di dollari in più al giorno.
L’uomo più ricco del pianeta ha fatto un altro salto in avanti: Jeff Bezos, fondatore e capo di Amazon – la piattaforma diventata per milioni di persone quasi l’unica possibilità di fare acquisti durante la chiusura – è passato dal possedere 73 miliardi ad averne 186.
Elon Musk ha praticamente quadruplicato il suo patrimonio, arrivando a 92 miliardi di dollari, e Mark Zuckerberg l’ha quasi raddoppiato, raggiungendo i 100 miliardi.

La notizia ha (prevedibilmente) suscitato scalpore e indignazione, e riportato in auge una proposta dei democratici Bernie Sanders e Ilhan Omar – entrambi dell’ala più radicale del partito – che chiede di istituire un’imposta una tantum per gli ultraricchi del tech: il «Make Billionaires Pay Act» tasserebbe al 60% i loro guadagni. Se passasse, Bezos e Musk verserebbero in due circa 70 miliardi di dollari di tasse (utili a coprire i costi sanitari degli americani). Alcuni Stati ci stanno già provando: il New Jersey, come annunciato ieri dal governatore dem Philip D. Murphy, è diventato uno dei primi ad aumentare le tasse sui redditi superiori al milione di dollari, alzando l’aliquota di quasi 2 punti percentuali (ora la tassazione è al 10,75%).

In questa misura «compensatoria» lo Stato punta a dare un aiuto da 500 dollari alle famiglie in difficoltà per la pandemia. Ma i Repubblicani avvertono che il provvedimento potrebbe portare alla fuga di migliaia di cittadini più abbienti. «Non abbiamo nessun rancore verso chi ha successo nella vita – ha risposto il governatore Murphy – ma in questi tempi senza precedenti è arrivato il momento del sacrificio anche per i più benestanti di noi»”.

So benissimo quali possono essere le motivazioni in difesa dello status quo: la fuga dei capitali, il disamore per gli investimenti produttivi, un freno ai meccanismi economici di sviluppo. Devo essere sincero? Non me ne frega niente! Scappino pure, si seggano a contare i loro soldi, si blocchino a contemplare l’economia. Non si può continuare a portare acqua fetida al mulino dell’inequità. Molte cose devono cambiare nel nostro sistema economico. Non è possibile che pochi ricconi la facciano da padroni del mondo.

Gesù, quando ha preso a bastonate i mercanti nel tempio buttandoli fuori e distruggendo i loro beni, non si è preoccupato del sistema economico di Israele né. tanto meno, della sopravvivenza economica della Chiesa di allora. Si è scatenato. E io, che mi dico cattolico, dovrei sottilizzare di fronte ai dati di cui sopra? Non so quale possa essere il punto d’attacco, ma ci deve pur essere. Basta! E se posso apparire comunista di ritorno, pazienza.

Dice papa Francesco in risposta a chi l’accusa di essere comunista e pauperista: «Parlare sempre dei poveri non è comunismo, è la bandiera del Vangelo. I comunisti ci hanno rubato questa bandiera, ma i poveri sono al centro del Vangelo». Qualcuno dirà che sono diventato un integralista: anche di questa accusa non me ne può fregar di meno. Questo cambiamento s’ha da fare!

Maria Maddalena alla riscossa

Secondo il ben informato vaticanista de La Repubblica la gestione dei fondi del Vaticano sarà sottratta all’ufficio del Sostituto alla Segreteria di Stato e affidata all’Apsa di monsignor Galantino sotto il controllo di un gesuita. Il progetto sarebbe stato definitivamente avviato circa dieci giorni fa: papa Francesco, in seguito allo scandalo del palazzo di Londra e alla destituzione del cardinale Angelo Becciu dai suoi incarichi, avrebbe deciso di togliere qualsiasi risorsa economica alla Segreteria di Stato, compreso il fondo che fino a ora era a disposizione del Sostituto e nel quale confluivano anche parte dei soldi dell’Obolo di San Pietro.

Cos’è l’Apsa? L’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica è l’organismo della Santa Sede che si occupa della gestione del suo patrimonio economico. Il suo presidente è attualmente il vescovo monsignor Nunzio Galantino. Con questa mossa il papa riconduce tutto il patrimonio ad un unico ente di gestione, tentando di evitare interferenze ed usi impropri da parte della politica vaticana di cui è responsabile la Segreteria di Stato e di cui Angelo Becciu è stato per diverso tempo sostituto, vale a dire un esponente di altissimo livello.

La Segreteria di Stato della Santa Sede è il dicastero della Curia romana che collabora più da vicino con il Papa nella guida della Chiesa cattolica, sia coordinando i vari uffici della Santa Sede sia curando i rapporti con gli Stati e gli organismi internazionali. Attualmente il segretario è il cardinale Pietro Parolin.

Ho la netta impressione che il papa stia un po’ giocando ai bussolotti e non abbia la capacità (il coraggio?) di cambiare veramente certe impostazioni: è in atto solo una sorta di palleggiamento di competenze all’interno della Curia, una razionalizzazione alla ricerca di qualche ulteriore garanzia di correttezza e lealtà. Non è questione di ristrutturazione degli uffici: se lo sporco c’è, così facendo, non si fa altro che nasconderlo sotto il tappeto, sperando che non esca, non inquini o addirittura che si volatilizzi per opera dello Spirito Santo.

Non è nemmeno questione di scelta oculata a livello di “porpore” più o meno fedeli al papa: l’esperienza insegna che la fiducia molto spesso non viene ripagata e certi personaggi sfuggono al controllo papale. Forse non si è stati sufficientemente attenti nelle scelte, forse qualcuno ha tradito e si è smarcato, forse la burocrazia vaticana, come del resto tutte le burocrazie, è talmente potente da lavorare in proprio.

Papa Francesco è stato eletto pontefice sulla base di un input abbastanza chiaro da parte dei signori cardinali stranamente orientati al cambiamento (una mossa dettata dallo Spirito Santo!): mettere ordine, ripulire e riformare la Curia. Fino ad ora non c’è riuscito. Ha fatto molte altre cose forse più importanti, ha portato una ventata di aria evangelica nella Chiesa come comunità, ma non è riuscito a trasferire quest’aria nuova a livello istituzionale, rimanendo impastoiato nei tremendi meccanismi curiali.

Si ha la sensazione e il timore che l’intenzione dei grandi elettori fosse quella di cambiare la facciata impresentabile, ma lasciando le cose sostanzialmente immutate, mandando il papa addirittura allo sbaraglio con il retropensiero del “vai avanti tu che a me scappa da ridere”.

Giunti a questo punto del pontificato o papa Francesco comincia veramente a usare il bisturi o non ne esce vivo. Il bisturi, a mio avviso, si chiama responsabilizzazione dei laici e valorizzazione delle donne. Avverto i deboli di cuore che adesso le sparerò grosse ed assai provocatorie. Uso delle metafore: è tempo che Maria di Magdala, una donna vera, bella, sensuale, affascinante e coraggiosa, assuma un ruolo decisivo nella Chiesa, correndo il rischio financo di risvegliare gli appetiti sessuali dei curiali maschi (meglio questi sani appetiti di quelli insani…). Traditore per traditore, è tempo che Giuda Iscariota torni in pista per soddisfare il suo appetito di potere anticlericale, correndo il rischio di buttare all’aria diverse certezze nelle istituzioni ecclesiali: non bastano i sinodi, ma occorrono democrazia e partecipazione allargate. Bisogna cioè reinterpretare e aggiornare il concetto di chiesa gerarchica e apostolica, sovvertendo certe gerarchie e allargando significativamente l’area apostolica.

Se Gesù aveva il coraggio di dire “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”, papa Francesco potrà avere il coraggio di dire “i laici e le donne devono essere protagonisti in Vaticano e nella gestione della Chiesa, mettendo un po’ in disparte i signori cardinali e, perché no, anche i signori vescovi e i signori preti”?

Termino con una stupenda provocazione di don Andrea Gallo: «Voi sapete che nella nostra Santa Madre Chiesa, uno dei dogmi più importanti è la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore e la comunione vanno in tutto il mondo, e si espandono. Lo Spirito Santo dice: “Andiamo a farci un giro. Io sono affascinato dall’Africa”.  Il Padre risponde: “Be’, io andrò a vedere il paradiso delle Seychelles. Perché non capisco come mai i miei figli e figlie hanno il paradiso in terra”. Gesù ascolta e non risponde. Allora gli altri due: “Tu non vai?” Gesù: “Io ci son già stato duemila anni fa”. “Non ci farai mica far la figura che noi andiamo e tu rimani”, gli dicono in coro il Padre e lo Spirito Santo. “Va be’, allora vado anch’io”. “Dove vai?” “A Roma”. “Sì, ma a Roma dove vai?” “Vado in Vaticano”. “In Vaticano?”, dicono increduli il Padre e lo Spirito Santo. Gesù risponde: “Eh sì, non ci sono mai stato”».

 

 

 

 

Tridico e tridisdico

Non sono iscritto al partito “della forbice” perché non credo che i problemi si risolvano tagliando sic et simpliciter a destra e manca. Questo approccio pseudo-politico è riconducibile alla propaganda, vale a dire ad azioni intese a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse. Spesso il termine propaganda può polemicamente alludere a grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati, diffuse nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica.

È successo grosso modo così con il taglio dei parlamentari e la gente, più o meno ingenuamente e/o qualunquisticamente, ha abboccato, aiutata anche dall’assenteismo di deputati e senatori, dalla loro inconcludenza e dalla loro incoerenza. Gli elettori hanno sempre ragione anche se potrebbero essere un po’ meno disponibili ad assorbire le panzane populiste: al partito “forbice” fa riscontro l’elettorato “spugna”. Non torno nel merito del discorso oggetto dell’ultimo referendum: è andata in un certo modo e occorre prenderne atto.

C’è pero una strana coda del serpente populista che sta emergendo. Tutti si sono scandalizzati del cospicuo aumento del compenso al presidente dell’Inps Pasquale Tridico: da 60 a 150 mila euro annui. Non sono in grado di valutare la professionalità, la quantità e qualità dell’impegno, l’attenzione e l’esperienza richieste a chi ricopre una simile carica. Stupisce comunque il clamoroso balzo in avanti oltretutto disposto nel momento meno adatto per una simile decisione, che effettivamente suona beffarda davanti all’opinione pubblica alle prese con preoccupazioni e sacrifici di vario genere.

Ma la stranezza che mi ha colpito maggiormente è stata la reazione del grillino (?) Luigi Di Maio e del leghista (?) Matteo Salvini. Il primo ha dichiarato in perfetto politichese: «L’aumento dello stipendio del presidente dell’Inps? Su questo chiederò chiarimenti nelle prossime ore». Il secondo ha sputato un po’ di veleno come sempre fa: «Tridico prima paghi la cassa integrazione alle migliaia di lavoratori che la aspettano poi si dimetta». Lasciamo stare il solito giochetto al rinvio adottato da Di Maio, il quale sembra aver assorbito alla perfezione tutte le peggiori cattive abitudini dei politici di vecchio stampo senza tuttavia averne assimilato le poche o tante buone qualità. Lasciamo stare che sembra quasi che Tridico debba pagare la cassa integrazione coi suoi soldi: più demagogia di così! Che lascia interdetti è il fatto burocraticamente provato che gli stipendi di oggi dei vertici di Inps, ma anche di Inail, sono frutto di un patto Lega-M5S siglato all’interno del governo giallo-verde fra l’allora ministro del lavoro e vice-presidente Luigi Di Maio e l’altro vice-presidente Matteo Salvini, con l’avallo del premier Conte. Oggi questi signori non possono far finta di niente, perché c’erano e non credo potessero dormire su partite così delicate.

E allora come la mettiamo? Molto semplicemente in quel momento a loro stava opportunisticamente bene così. Oggi, a distanza di pochi mesi, non sta loro più bene e se ne lavano le mani. Sicuramente allora stava bene per motivi di puro potere, mentre adesso non sta più bene per motivi di puro, deteriore e tardivo populismo.

Appare goffa e penosa la reazione del diretto interessato: «Non l’ho deciso io e non prenderò gli arretrati». Anche Giuseppe Conte non scherza quanto a dribbling politico: «Non posso prendere un impegno: ho chiesto un approfondimento. Fatemi fare una verifica». Non insisto perché questi personaggi mi fanno quasi tenerezza tanta è la loro insipienza. L’Inps non andrà in fallimento per il compenso del suo presidente, può anche darsi che l’aumento sia meritato e che quindi sia inutile stracciarsi le vesti. Però la cosa che mi dà veramente fastidio è l’incoerenza dei populisti a corrente alternata. Già il populismo non lo digerisco, figuriamoci se condito in salsa pentaleghista scaduta.

Di Maio spieghi perché sia sta fautore dell’auto-taglio di stipendio dei parlamentari grillini e poi sia andato a scivolare sulla buccia di banana del compenso ad un alto esponente della casta (uso questo termine non per disprezzare il signor Tridico che non conosco e non so di preciso che cavolo faccia, ma per sbugiardare i sedicenti anti-casta). Salvini spieghi perché Tridico andasse bene quando al governo c’era lui e adesso invece debba dimettersi. E questi personaggi sarebbero il nuovo della politica italiana? Se è così, torniamo pure in tutta fretta al vecchio.

 

Quando l’odore dei soldi copre quello delle pecore

Forse papa Francesco si sta stufando di essere, suo malgrado, coinvolto in affari poco trasparenti e soprattutto poco evangelici. La cronaca lo lascia intendere, anche se è presto per salutare finalmente un’entrata papale a gamba tesa nella curia vaticana. Mi verrebbe spontaneo pensare: era ora! Cosa è successo?

Le cronache riportano che, con un bollettino, il Vaticano ha fatto sapere che il cardinale Angelo Becciu ha rinunciato ai diritti del cardinalato (rimanendo tuttavia cardinale) e si è dimesso dall’incarico di prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, importante dicastero della Curia romana. «Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia alla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu», si legge nella nota. Siamo alle prese con le solite paroline “blizgose” di stampo squisitamente clericale, che dicono tutto e niente e che permettono di navigare nell’equivoco.

Scrive Salvatore Cernuzio su La stampa: “Non si conoscono attualmente le cause di questa decisione definita da molti scioccante, essendo stato Becciu, dopo una lunga esperienza come nunzio, il Sostituto della Segreteria di Stato vaticana per circa otto anni (2011-2018), quindi il numero tre del Vaticano. Stretto collaboratore di Francesco, molto stimato dal Pontefice argentino che infatti lo ha voluto creare cardinale e gli ha affidato anche l’incarico di delegato speciale presso l’Ordine di Malta reduce da una bufera interna e quindi sottoposto ad un commissariamento, il prelato nato a Pattada, in Sardegna, è stato per anni un personaggio molto in vista sia tra le mura Vaticane che presso l’opinione pubblica.

Nel Dicastero dei Santi, alla cui guida il Papa lo aveva posto nel maggio 2018, nessuno era a conoscenza di questa decisione improvvisa. I più stretti collaboratori del cardinale – apprende Vatican Insider – erano stati informati soltanto del fatto che Becciu sarebbe stato ricevuto nel pomeriggio di oggi in udienza da Papa Francesco nel Palazzo Apostolico per firmare i decreti di alcune beatificazioni. È probabile, quindi, che qualcosa sia accaduto durante l’udienza. Secondo le ricostruzioni di alcune agenzie, Becciu avrebbe appreso la decisione del Papa poche ore prima che venisse comunicata.

L’ipotesi più accreditata al momento è che dietro la mossa del Pontefice ci sia l’affaire del Palazzo di Londra, l’immobile acquistato dalla Segreteria di Stato per circa 160 milioni di euro negli anni in cui Becciu era sostituto, finito al centro di un’indagine della magistratura vaticana tuttora in corso che ha portato anche alla sospensione di cinque funzionari vaticani, tra cui monsignor Mauro Carlino, segretario personale dello stesso Becciu. 

Una inchiesta de L’Espresso afferma che il porporato sardo avrebbe dirottato denaro delle offerte dell’Obolo di San Pietro, un collettore di elemosine e donazioni per le azioni sociali della Chiesa, verso fondi speculativi e favori alla famiglia. Becciu ha invece sempre dichiarato l’estrema correttezza della trattativa, definita tuttavia «opaca» dal Segretario di Stato, Pietro Parolin: «L’investimento era regolare e registrato a norma di legge», ha affermato pubblicamente in diverse occasioni, definendo anche «infanganti» le accuse che la Santa Sede abbia usato i soldi dei poveri per acquistare il lussuoso palazzo di Sloane Avenue.

Da parte del cardinale non è giunta alcuna dichiarazione. Alle persone più vicine ha detto di voler mantenere per ora «il silenzio». Becciu continuerà a mantenere «il titolo cardinalizio» (il comunicato di questa sera della Sala Stampa vaticana riporta infatti la dicitura «Sua Eminenza»), svuotato però di ogni suo contenuto e di fatto ridotto ad un titolo meramente onorifico. I diritti legati al cardinalato ai quali Becciu rinuncia sono quelli espressi nei canoni 349, 353 e 356 del Codice di Diritto Canonico. Questi si riferiscono al «peculiare collegio» degli elettori del Papa, che partecipano ai Concistori, collaborano con il Pontefice e sono tenuti a venire a Roma ogni volta che sono convocati. Becciu perde inoltre la possibilità di partecipare ad un eventuale futuro Conclave per l’elezione del Papa”.

La questione, peraltro ancora tutta da chiarire a monte e a valle, merita qualche breve riflessione senza (s)cadere nella tentazione di fare del giustizialismo religioso. Non vivo su una sorta di luna evangelica e quindi non pretendo una totale avversione della Chiesa verso gli affari: anch’essa, come istituzione, ha bisogno del vile danaro per sopravvivere e sostenere le sue strutture e le sue iniziative. Di qui a brigare, speculare, lucrare su operazioni finanziarie border line il passo è però molto lungo. È pur vero che l’appetito vien mangiando e che “mammona” è sempre in agguato, ma…  In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.  Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?  E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?  E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.  Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.  Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?  Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?».  Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.  Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 

Seconda riflessione. Non sarebbe almeno opportuno che la cura degli affari e dell’economia venissero affidate ai laici? Resto affezionato ad una mia sconsolata e paradossale previsione riguardante la vita della Chiesa: sarà più facile che un laico celebri la messa piuttosto che abbia responsabilità decisive di carattere economico-finanziario. «In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani». Il problema potrebbe ripresentarsi in capo ai laici investiti di responsabilità economiche, Intanto però “i sottanoni” curiali sarebbero costretti a smettere di guardare dal buco della serratura delle camere da letto dei cristiani e di confabulare con i banchieri e ad occuparsi di altre questioni e magari, perché no, di attività in mezzo al gregge per essere finalmente pastori con l’odore delle pecore e non con l’odore dei soldi.

Terza e ultima riflessione. Se e quando qualcuno nella Chiesa, che semper reformanda est e che deve continuamente riesaminare sé stessa, per mantenersi sempre fedele, nell’azione e nella dottrina, al messaggio evangelico, sbaglia, dovrebbe farsi da parte o essere messo da parte, senza però far pagare ad esso il prezzo di strutture ed impostazioni sbagliate. No ai capri espiatori! Spero quindi che l’esonero del cardinale Becciu non diventi l’esempio di un inaccettabile e inutile tiro al bersaglio, ma che semmai sia l’inizio di un rinnovato stile di comportamento nell’auspicabile bene e nell’(in)evitabile male nella vita della Chiesa. Secondo papa Francesco la Chiesa o è «in uscita» oppure si «ammala». E si ammala di quei «mali» che si traducono in vizi e scandali che allontanano i fedeli. E se nel suo uscire, finisce coinvolta in qualche incidente, ben venga: «Meglio una Chiesa incidentata, che ammalata di chiusura». Ha perfettamente ed evangelicamente ragione, però bisogna intendersi su cosa significhi “in uscita”: non certo in “libera uscita” alla ricerca di affari più o meno puliti o sporchi.

 

 

Le boiate di BoJo e i sussurri di Mattarella

Faccio ancora una volta riferimento al criterio sbrigativo suggerito dal grande giornalista Indro Montanelli per giudicare le persone: “guardategli la faccia…”. Si attaglia perfettamente a quella di Boris Johnson, il premier britannico. Mia sorella non ha fatto in tempo a visionarlo, ma sono sicuro che, se fosse ancora in vita, non esiterebbe a sentenziare: «Che facia da stuppid!». Siccome, se e quando uno è stupido, lo è sempre, l’altro giorno Johnson si è lasciato sfuggire l’ennesima stupidata.

Ma vado con ordine e mi faccio aiutare dal quirinalista de La stampa, Ugo Magri, che prende la mira partendo dalla sponda italiana e scrive: “Con una battuta detta in privato, che però è diventata di pubblico dominio, Sergio Mattarella ha pareggiato i conti con il primo ministro britannico. Due giorni fa Boris Johnson s’era concesso giudizi poco lusinghieri sul nostro attaccamento ai valori di libertà. E subito il presidente gli ha risposto che «anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore pure la serietà». Il riferimento è alla lotta al Covid nella quale, dopo essere stati colti di sorpresa, ora stiamo ottenendo risultati migliori del Regno Unito. Questo perlomeno ha rinfacciato a Johnson il deputato laburista Ben Bradshaw, profittando di un question time alla Camera dei comuni: «Come mai Germania e Italia stanno facendo meglio?». Punto nel vivo, «BoJo» s’è lanciato sul terreno dell’antropologia politica, collegando le misure anti-Covid ai tratti distintivi delle nazioni, che per la gran parte corrispondono a luoghi comuni. «C’è un’importante differenza fra noi e molti altri Paesi nel mondo», ha detto in sintesi, «perché il nostro ama da sempre la libertà», dunque impossibile chiedere al popolo britannico di rinunciarvi per combattere l’epidemia. Sottinteso: se tedeschi e italiani si mettono in riga, magari è conseguenza della loro storia. Mattarella ieri era a Sassari per commemorare Francesco Cossiga a dieci anni dalla scomparsa. Dopo la cerimonia qualcuno gli ha chiesto di Johnson, e in quel contesto informale, senza microfoni né telecamere ma con qualche orecchio indiscreto, ha ribadito in fondo lo stesso concetto espresso già a fine luglio, quando aveva chiarito che «la libertà non è il diritto di far ammalare gli altri». Questione di serietà, appunto”. 

In politica, come del resto in tutti i campi dell’esistenza umana, è il tempo delle parole e delle frasi sparate alla viva il parroco. Dorian Gray mette in bocca ad un suo straordinario personaggio la seguente frase: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about”. Come spesso accade con le traduzioni, non rendono fino in fondo il significato della frase. In questo caso meglio restare letterali: “C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”. Le altre traduzioni, più diffuse, introducono arbitrariamente il concetto di “bene” e “male”: “Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli.” o “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”.  

I protagonisti principali della scena politica internazionale sembrano osservare scrupolosamente questa paradossale ed ironica indicazione, parlando a sproposito, sparando cazzate in libertà, dicendo e disdicendo in continuazione: l’importante è avere l’attenzione mediatica e il consenso viscerale del momento. Il resto mancia. Per fortuna abbiamo un presidente della Repubblica che si comporta in modo contrario a questo penoso andazzo: parla poco, anzi pochissimo, e, quando parla, sa quel che dice. Nel caso di cui sopra non ha nemmeno parlato, ha solo sussurrato una reazione perfetta ad una gigantesca cavolata, l’ennesima per la verità, di Boris Johnson. Non c’è bisogno di gridare, basta anche bisbigliare la frase giusta al momento giusto.  Il presidente Sandro Pertini la diceva in altro modo per arrivare alle stesse conclusioni di Mattarella: “Il popolo italiano non è né primo né secondo agli altri popoli”.

Ebbene la politica italiana nel dopoguerra, tra i pregi e i difetti che è riuscita ad evidenziare, può vantare un grande merito: aver saputo offrire dei presidenti della Repubblica sempre all’altezza del loro compito. Non è un caso infatti che Mattarella abbia inserito il suo misurato spunto orgoglioso verso lo sboccato premier inglese nel contesto di una commemorazione di Francesco Cossiga. Come scrive Ugo Magri, “le parole che Mattarella gli ha dedicato nel suo discorso all’Università di Sassari, hanno ricollocato l’ex Picconatore finalmente al posto che gli spetta, nel Pantheon democratico, risarcendone in parte la memoria fin troppo bistrattata. Del suo predecessore, Mattarella ha valorizzato alcuni tratti che pure oggi conservano un significato. Per esempio il ferreo atlantismo, rimasto «un punto fermo anche nel suo tenace europeismo». Che sia un richiamo a non smarrire la rotta nelle relazioni internazionali?”.

 

 

I cavilli che diventano cavalli

Disturbo del metabolismo e del trasporto dei carboidrati. È questo il nome della malattia rara da cui è affetta una bambina calabrese di dieci anni. Una patologia importante e delicata che la porta a bruciare subito gli zuccheri e ad andare in ipoglicemia. Il rischio è il coma. Dopo anni a combattere per capire che cosa la piccola potesse avere, dal Bambin Gesù arriva la diagnosi e il piano terapeutico da seguire fatto, tra l’altro, da integratori che costano centinaia di euro al mese, ma possono rallentare il metabolismo degli zuccheri.

L’Asp di Catanzaro ha trovato un cavillo dopo l’altro, richiedendo addirittura che venisse cambiata l’intestazione del piano redatto su carta dell’Asp laziale. Ogni volta che un nodo veniva sciolto ne spuntava un altro. Il tutto mentre da Roma assistono sbigottiti e la piccola vive precariamente. La bambina deve, infatti, cibarsi di frequente, notte compresa, per ostacolare l’abbassamento dei livelli glicemici. Non sono ammesse distrazioni, l’organismo brucia velocemente gli zuccheri e il rischio del coma non è lontano. Tra l’altro la piccola non reagisce ad un farmaco salvavita utilizzato di solito in queste evenienze.

Ad un certo punto si deve riunire una commissione per decidere se la piccola abbia diritto o meno al piano terapeutico. «Non chiedo una pensione di invalidità, ma di potere curare mia figlia», dice il papà della bambina. Nel frattempo la vicenda è approdata in Procura, il padre esasperato ha scelto la strada della magistratura: «Chiedo semplicemente di avere accesso al piano terapeutico. È un nostro diritto», dice. Non ne sono sicuro, ma mi pare, dalle scarse notizie trapelate, che alla fine la vicenda si sia sbloccata, dopo un tira e molla a dir poco vergognoso.

Una sessione “ad hoc”. È una delle accuse formulate nell’ordinanza firmata dal capo della procura della Repubblica di Perugia, Raffaele Cantone, che ha portato ai cinque indagati dell’Università per stranieri. In pratica, un esame fatto apposta per consentire a Luis Suarez di ottenere il famoso livello B1 propedeutico alla cittadinanza italiana, in quel momento necessaria per giocare nella Juve (invece l’uruguaiano è passato poi all’Atletico Madrid). Per sostenere l’esame, il calciatore trentatreenne, era volato da Barcellona su un aereo privato, per approdare all’ateneo perugino e uscirne appena mezz’ora dopo. Prova superata, ma per la Procura solo grazie al trucco di domande e risposte concordate preventivamente e quindi in maniera illecita, con un punteggio stabilito ancora prima che l’esame iniziasse.

Al di là delle responsabilità che verranno accertate da chi ne ha il compito, emergono clamorosamente due pesi e due misure: la burocrazia tremenda e spietata per una bambina che rischia la vita, rapida e compiacente per un ricco calciatore che intende accasarsi in una nuova squadra a suon di milioni di euro. È lo specchio fedele di una società assurda, che funziona ad uso e consumo dei forti e rischia di scartare i deboli. Storia vecchia, si dirà. Fa però sempre un certo effetto apprendere che l’ingiustizia è dietro l’angolo. Sarà solo questione di burocrazia pesante, pedante, parziale e discriminatoria o ci sarà qualcosa di più? Fossi ministro della salute o della funzione pubblica proverei a chiedermelo. Da sessantottino incallito casco regolarmente nel tranello di buttarla in politica. Lo so, ma non mi convincono l’alzata di spalle, lo scuotimento del capo, l’allargamento delle braccia, il rassegnato inchino alla burocrazia criminalmente plenipotenziaria. Forse si potrebbe fare qualcosa. Forse si dovrebbe fare qualcosa!

 

 

 

Il canonico Samaritano

“Il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico. Così come non si può accettare che un altro uomo sia nostro schiavo, qualora anche ce lo chiedesse, parimenti non si può scegliere direttamente di attentare contro la vita di un essere umano, anche se questi lo richiede. Pertanto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita nella vita teologale. Di più, si decide al posto di Dio il momento della morte. Per questo, «l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore»”.

Siamo al solito dogmatismo clericale interpretato alla perfezione dalla recentissima lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Non accetto queste visioni dottrinarie, teoriche e radicali, che finiscono col creare assurde ed inaccettabili generalizzazioni. Quando in classe qualcuno faceva casino e non si riusciva bene a distinguerlo si finiva col punire tutti indistintamente mettendo tutti dietro la lavagna dei cattivi. Che dietro la lavagna ci finiscano i moribondi costretti a vivere non lo posso nemmeno pensare.

“Alcuni fattori oggigiorno limitano la capacità di cogliere il valore profondo e intrinseco di ogni vita umana: il primo è il riferimento a un uso equivoco del concetto di “morte degna” in rapporto con quello di “qualità della vita”. Emerge qui una prospettiva antropologica utilitaristica, che viene «legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza».[30] In virtù di questo principio, la vita viene considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità, secondo il giudizio del soggetto stesso o di terzi, in ordine alla presenza-assenza di determinate funzioni psichiche o fisiche, o spesso identificata anche con la sola presenza di un disagio psicologico. Secondo questo approccio, quando la qualità della vita appare povera, essa non merita di essere proseguita. Così, però, non si riconosce più che la vita umana ha un valore in sé stessa”.

Mi chiedo: cosa c’entra con questo aulico ed accademico discorso un povero cristo (sic!) che, sottoposto a sofferenze inenarrabili, ritenga di non riuscire più a sopportarle sul piano fisico e psicologico e chieda di mettere fine alla propria esistenza terrena, uscendo di scena silenziosamente e in punta di piedi. Questo sarebbe egoismo? Individualismo? Disprezzo per la vita? Ma fatemi il piacere… L’alimentazione forzata, le cure palliative, gli antidolorifici sono la foglia di fico dietro cui si nasconde un caricare gli uomini di pesi insopportabili, toccando quei pesi solo col dito della finta solidarietà, più parolaia che teorica. Mi viene spontaneo fare un parallelismo farisaico con l’ammissibilità del metodo anticoncezionale Ogino-Knaus: l’importante è salvare la forma, il principio astratto, la regola religiosa. Il discorso, entro certi limiti, vale anche per l’aborto.

Riguardo al vizio della regolamentazione religiosa ritengo opportuno rifarmi a quanto diceva don Andrea Gallo: «Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini del messaggio evangelico? La nozione di vita deve essere alta, ricca, personale più di quanto non sia una nozione di organismo, oggetto della scienza. Dov’è l’amore? Dov’è il rispetto del primato della coscienza personale? Dov’è la pietà? C’è un vuoto d’amore in questa crociata cattolica e avanza un pesante fondamentalismo. Esistono regole come la libertà di cura e il divieto di accanimento terapeutico anche nel catechismo. Mi sembra che si voglia respingere un principio sancito dalla legge, come la libertà di non accettare cure. A Piergiorgio Welby, per sua volontà, mentre ascoltava la musica di Bob Dylan, dopo essere stato sedato, è stato staccato il sondino ed è spirato: era come un malato di tumore con metastasi, sapeva che l’operazione non sarebbe servita a nulla e l’ha rifiutata. Si può accettare un’esistenza dolorosa in un letto, completamente immobile? Per Welby era un inferno. Chi aveva il diritto di decidere per lui?».

Non si dovrà, come disse in una stupenda battuta polemica Pier Luigi Bersani, accettare che a decidere modi e tempi della nostra morte sia il senatore Gaetano Quagliariello, preoccupato solo di compiacere i cattolici dotati di dogmatici paraocchi: penso di avere il sacrosanto diritto a decidere in proprio, dal momento che la vita è stata donata a me ed io ne devo e ne dovrò rispondere. Ho fatto esperienze tali da convincermi che non solo il testamento biologico sia sacrosanto, ma anche la prospettiva di una seria legislazione in materia di eutanasia non sia assolutamente da scartare a priori dal punto di vista etico e civile. Quindi non concedo nemmeno ad un gruppo di soloni chiusi nelle stanze vaticane di sindacare e speculare sulla mia vita e sulla mia morte.

Sono sicurissimo che il Padre Eterno non giudicherà chi ha deciso di mettere fine alle proprie sofferenze, richiamandosi alla lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, subdolamente intitolata “Samaritanus bonus”, ma lo abbraccerà piangendo e sussurrando: “Finalmente sei arrivato a casa, era proprio ora…”.

Per finire una parolina nell’orecchio a papa Francesco: ho l’impressione che dia persa la battaglia contro il dogmatismo curiale e si tenga in disparte da esso pur controfirmando i documenti ufficiali della Congregazione della fede. Un atteggiamento del genere io me lo posso permettere, lui (forse) no. Non può razzolare bene (gliene do atto) e predicare male (in certe topiche occasioni). Cerchi almeno di smorzare i sacri ardori e i reiterati rigurgiti della “scomunichite cronica”. Ho la presunzione di pregare perché il Signore gli dia questa forza.

 

Il vangelo secondo Trump

Il termine “temporale” indica il governo degli uomini. L’espressione potere temporale si usa però di solito in riferimento al periodo storico in cui il Papa, oltre ad essere sommo pontefice della Chiesa cattolica, è stato anche sovrano dello Stato Pontificio. In quel periodo ne sono successe di tutti i colori: la Chiesa ha perso il pelo, ma non il vizio dell’intromissione, che è durato nel tempo, seppure con alti e bassi, e non è mai completamente scomparso.

Ebbene gli Usa di Trump riescono a peggiorare le situazioni persino quelle concernenti i rapporti fra Stato e Chiesa, capovolgendo il discorso delle interferenze: non più la Chiesa che si intromette, ma l’America che si permette di parlare nella mano del papa e dei suoi collaboratori. Riprendo di seguito quanto scrive il quotidiano La Stampa. Il segretario di Stato americano punta il dito sugli accordi tra la Santa Sede e Pechino per la difesa dei cattolici. Pompeo si schiera apertamente contro il Vaticano: non rinnovi accordo con la Cina, metterebbe in pericolo sua autorità morale. Innanzitutto Trump si dovrebbe preoccupare della propria autorità morale che ha raggiunto infimi livelli da tutti i punti di vista.

Il governo degli Stati Uniti lancia una sonora bordata contro la politica di avvicinamento della Santa Sede alla Cina, e in particolare contro lo storico accordo tra il Vaticano e il governo di Pechino sulle nomine dei vescovi che, a due anni dalla firma, è ora in via di rinnovo. É in particolare il segretario di Stato Mike Pompeo ad affermare via Twitter che «due anni fa la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il partito Comunista Cinese nella speranza di aiutare i cattolici in Cina. Ma l’abuso del Partito Comunista Cinese sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe in pericolo la sua autorità morale se rinnovasse l’accordo».

Pompeo va oltre e sottolinea che «il Dipartimento di Stato è una voce forte per la libertà religiosa in Cina e nel mondo. Continueremo a farlo e a essere a fianco dei cattolici cinesi. Chiediamo al Vaticano di unirsi a noi». «I cattolici sono fra le voci più forti a Hong Kong per i diritti umani, inclusi Martin Lee e Jilly Lai. Pechino li ha arrestati, li ha spiati per il ‘reato’ di promuovere la libertà. Il Vaticano dovrebbe stare con i cattolici e il popolo di Hong Kong», aggiunge il segretario di Stato Usa in una serie di tre tweet, ai quali allega anche un suo editoriale per First Things, rivista religiosa e conservatrice. Un editoriale nel quale afferma che la «storia ci insegna che i regimi totalitari possono solo sopravvivere nel buio e nel silenzio. Se il Partito Comunista Cinese» riuscisse ad «assoggettare la Chiesa Cattolica e le comunità di altre religioni, allora i regimi che disdegnano i diritti umani saranno rafforzati, e il costo per resistere alla tirannia da parte dei credenti salirà».

Da Oltretevere, al momento, non si hanno ancora reazioni ufficiali alle affermazioni provenienti dall’amministrazione Trump. Meno di una settimana fa era stato il primo collaboratore del Papa, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a dichiarare che l’accordo sulla nomina dei vescovi, tra il Vaticano e la Cina, scadrà “ad ottobre” ma le intenzioni comuni sono di proseguire con il suo rinnovamento. «L’accordo non è ancora spirato – ha spiegato Parolin -, lo sarà nel mese di ottobre, scadranno i due anni dal momento in cui è entrato in vigore ed è stato firmato, quindi non si è ancora, compiuto».

Alla domanda se ci siano buone prospettive per il rinnovo, ha aggiunto: «Sì, io credo proprio di sì, la nostra intenzione è che sia prolungato, che si continui ad adottarlo ‘ad experimentum’. Se c’è la stessa intenzione anche da parte loro? Penso e spero di sì, anche se questi primi risultati» non sono stati particolarmente entusiasmanti «ma mi pare che si sia segnata una direzione che vale la pena di continuare poi si vedrà, rimane aperto però il discorso della collaborazione, va applicato in ogni epoca storica, anche nei confronti di questo grande Paese». Da Pechino, quasi in contemporanea, sono giunte assicurazioni sul fatto che l’intesa provvisoria del 2018 «è stata attuata con successo negli ultimi due anni grazie agli sforzi congiunti» e sulla volontà di «continuare a mantenere uno stretto contatto per migliorare ulteriormente le relazioni bilaterali» (tra Cina e Santa sede le relazioni diplomatiche si sono interrotte nel 1951).

Un processo che va avanti – l’attuale “ostpolitik” del Vaticano di papa Bergoglio – che evidentemente non va giù all’amministrazione Usa, impegnata in un duro scontro con Pechino su questioni come, tra le altre, il 5G, le guerre commerciali, la raccolta di informazioni, e anche la situazione di Hong Kong. Nei giorni scorsi era stato proprio il quotidiano dell’ex-colonia britannica, il South China Morning Post, a scrivere dell’imminente arrivo del capo della diplomazia Usa in Italia e in Vaticano, con incontri istituzionali e con i vertici d’Oltretevere, sottolineando che Pompeo cercherà di scoraggiare l’Italia dall’accettare investimenti cinesi in strutture portuali e farà pressione sulla Santa Sede proprio mentre essa sta curando con particolare attenzione le sue relazioni con la Cina Popolare.

In buona sostanza, agli Usa non interessa niente dei diritti umani in generale, dei diritti dei cattolici in Cina in particolare, a loro stanno a cuore gli interessi commerciali e gli equilibri internazionali. Nell’attuale politica americana è difficile capirci qualcosa: pensano di fare e disfare a loro piacimento, facendo un gran casino e poco più.

Non so come reagirà papa Francesco. Il rapporto fra Stato cinese e Chiesa cattolica è molto delicato: temo che l’ostpolitik vaticana possa sacrificare in parte la libertà dei credenti sacrificandola sull’altare dei buoni rapporti al vertice. Si tratta di una partita molto complessa che tuttavia non si può certo affrontare con l’accetta trumpiana.

“Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”: con questa lapidaria battuta Gesù diede una soluzione radicale al problema dei rapporti tra fede e potere civile. Certo non piacerebbero a Lui le alte acrobazie diplomatiche vaticane, i compromessi con i regimi, la ricerca di appoggi politici, anche se la Chiesa, come ogni cristiano, non deve essere del mondo, ma nel mondo. E nel mondo c’è la Cina con la sua storia. Non mi sento in grado di entrare nel merito, seguo con trepidazione e preoccupazione la sorte dei cattolici in Cina, un regime pericolosissimo perché riesce a mettere insieme il peggio del capitalismo e del comunismo. Figuriamoci cosa può uscire di buono da questo cocktail, per tutti e in primis per i cinesi e in particolare per i cattolici cinesi.

Una cosa però è certa: Gesù non ha risposto a chi lo voleva intortare coinvolgendolo nelle discussioni sui rapporti tra la fede e la politica, invitandolo a chiedere consiglio a Erode. Quindi non deve essere certo Trump (un attuale Erode di lusso) a dettare l’agenda politica al Vaticano. Tra i vangeli apocrifi non mi risulta che ce ne sia uno secondo Trump. Michael Richard Pompeo, detto Mike, è un politico e imprenditore statunitense, Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 26 aprile 2018, sotto la presidenza Trump: non ce lo vedo nelle vesti di precursore alla Giovanni Battista, che chiede al Vaticano di convertirsi. Vada pertanto a farsi benedire o battezzare prima di pontificare.

 

Un voto contro gli “sborroni” di turno

Come al solito hanno vinto tutti. Il M5S si accontenta di aver dato una sforbiciata al numero dei parlamentari e di avere accarezzato la pancia populista del suo elettorato, che però si è assottigliato in modo clamoroso (giudicati molto bravi a dire dei no, molto bravi a tagliare, piuttosto penosi a governare).

Matteo Salvini si accontenta di aver messo un po’ di strizza al sedere del PD: quando però si passa dalle pagliacciate mediatiche alle urne, le cose cambiano e la Lega di Salvini cade regolarmente sull’asticella posta troppo in alto (vedi Toscana dopo Emilia-Romagna). Il risultato elettorale netto del Veneto non è farina del sacco salviniano, ma del suo principale contendente interno, vale a dire Luca Zaia.

Giorgia Meloni si consola con la conquista del governatore delle Marche e ridimensiona però le sue assurde e sconvolgenti pretese dopo aver prefigurato uno sfracello alluvionale contro il governo e l’attuale maggioranza. Il centro-destra incassa una secchiata sui suoi facili e velleitari entusiasmi.

Il Partito Democratico tiene con una certa disinvoltura le tre regioni chiave, Toscana, Puglia e Campania, di questa tornata elettorale anche senza l’appoggio dei pentastellati: l’elettorato, nonostante tutto riconosce al Pd un ruolo fondamentale nel Paese e sul territorio. Rimane la grossa difficoltà di questo partito che, come sostiene il sindaco di Scandicci, tiene, ma vince solo dove si sta meglio e perde dove c’è malessere e che quindi è da rifondare alla ricerca di una nuova identità non con occhio nostalgico al passato ma con attenzione al mondo che cambia e lascia indietro troppa gente.

Il governo Conte esce rafforzato, si salva bene dal punto di vista politico e tattico, conferma una certa qual strisciante seppure brontolante fiducia dei cittadini, ma deve trovare la forza per trovare equilibri programmatici più convincenti, per governare molto meglio a livello di competenza, di capacità e di coerenza, non accontentandosi della comprovata mancanza di alternative agibili.

Come al solito hanno perso i profeti di sventura che prevedevano un flop organizzativo dei seggi e di affluenza alle urne. I cittadini hanno espresso un voto molto pragmatico e dimostrato più senso democratico e più saggezza di quanto pensassi (anche se hanno accettato populisticamente e tout court un ridimensionamento parlamentare, ma hanno penalizzato le forze politiche populiste che lo sbandieravano), mettendo a tacere gli “sborroni” capaci di tutto e buoni a nulla.

Qualcuno sostiene che sia necessario andare a votare per nominare un nuovo Parlamento ridimensionato dopo l’esito del referendum, ritenendo l’attuale delegittimato a continuare e soprattutto ad eleggere il futuro presidente della Repubblica. Quella che doveva essere una spallata si è trasformata in un solletico strumentale: tutto andrà avanti dal punto di vista istituzionale senza grossi scossoni.

Adesso spostiamo l’attenzione su come governare più seriamente la ripresa, su come utilizzare bene e alla svelta i fondi europei, su come ridare slancio al Paese con occhio a coloro che vivono e rischiano grosse sofferenze. I disfattisti hanno preso la loro botta e me ne compiaccio vivamente. Guai però se tutto finisse con lo scorno salviniano e/o con il ridimensionamento meloniano. La politica è molto di più e merita di più.