Le ali di Draghi e il calore partitocratico

C’è un proverbio dialettale parmigiano che recita: “Al primm cavagn al vôl bruzä”. Forse rischiamo invece di bruciare non il primo, ma l’ultimo cesto in cui riporre le residue speranze di un serio futuro per la società italiana. Perché scrivo questo? Perché a mio modestissimo parere in pochi giorni Mario Draghi è purtroppo riuscito a commettere o a dare l’idea di commettere tutti gli errori possibili e immaginabili in materia politica. Forse, considerando la politica stessa una malattia, l’ha voluta provare fino in fondo, per poi magari sentirsene guarito e immunizzato. Pensavamo di evitare le complicanze di una cronica infezione partitocratica, invece da cronica l’infezione è diventata ancor più aggressiva e debilitante. Ma vado con ordine e con la “morte nel cuore”, consapevole di fare un provocatorio processo alle intenzioni, dettato dalla paura che possa fallire sostanzialmente un tentativo molto importante e ammirevole di cavarci le castagne dal fuoco.

Doveva essere un governo al di fuori della mischia: doveva solo presentarsi, con un serio programma e una altrettanto seria compagine ministeriale, davanti alle Camere per ottenerne o meno la fiducia. Il presidente della Repubblica aveva dato due indicazioni: un governo di alto profilo e un pressante invito ai gruppi parlamentari per sostenerlo.  Il cerino acceso doveva quindi essere posto nelle mani parlamentari, invece il presidente incaricato si è tuffato nella palude, rischiando di rimanere prigioniero delle sabbie mobili. Si è lasciato trascinare nel tritacarne delle trattative fra i partiti, dove è successo di tutto, tra finti irrigidimenti e opportunistici, quanto repentini e paradossali, cambiamenti di opinione, tra generici paraventi programmatici e conclamati appetiti ministeriali, tra panegirici e dissacrazioni smentite nel giro di pochi minuti: si è detto tutto e il contrario di tutto. Il problema non è saltarne fuori: in un modo o nell’altro Draghi ci riuscirà. Il dramma è come uscire da questo bailamme in cui lo hanno incastrato: comunque ci sarà la spada di Damocle dei partiti, pronti a far saltare il banco alla prima occasione. “Draghi, stai sereno”, sembrano dire tutti i partiti, mentre si riservano di farlo cadere se non righerà diritto. Si dirà: l’Italia è una repubblica parlamentare…D’accordo: una cosa è però fare i conti col dibattito parlamentare, un conto è invischiarsi nella più bieca logica partitocratica. La litigiosità si scaricherà sul governo e, per evitarla, occorrerà striminzire il programma ai pochi punti in comune, commissariare i ministri depotenziando l’azione di governo, sventolare lo spauracchio delle elezioni anticipate, ricattare i partiti minacciandone lo sputtanamento ulteriore, evitare accuratamente la tagliola parlamentare violando la Costituzione ben più di quanto abbia fatto il tanto vituperato Giuseppe Conte.

Sul fronte mediatico, tramite un silenzio più altezzoso e presuntuoso che rispettoso, il presidente incaricato ha lasciato campo ad un teatro letteralmente impazzito. È pur vero che “il più bel tacer non fu mai scritto”, ma non si può accettare di andare a teatro per poi rifugiarsi in un retropalco.   O si sta a casa e allora il silenzio ha un senso, oppure se si va allo spettacolo bisogna vederlo, ascoltarlo, criticarlo, fischiarlo e finanche rifiutarlo. Abbiamo assistito ad una kermesse mediatica da cui Mario Draghi non esce affatto bene: dopo tutto, le poche-grandi certezze nutrite sul suo conto escono ridimensionate se non addirittura azzerate.

Sul fronte emergenziale, è stato sprecato parecchio tempo nonostante il ritornello recitato universalmente sulla gravità e urgenza della situazione. Ne è uscita l’immagine non di un agognato decisionista, ma di un abile temporeggiatore. E il fattore tempo non riguarderà solo la costituzione del governo, ma anche la sua azione, inevitabilmente condizionata dalla natura compromissoria del governo stesso: il compromesso in politica è normale, ma deve essere portato ai livelli più alti, mentre invece ci accontentiamo di un pateracchio coordinato e continuativo.

Sul piano istituzionale il governo potrebbe finire col ributtare, seppure involontariamente, le proprie bollenti castagne nelle mani di un Mattarella depotenziato e screditato. Il capolavoro intravisto si sta trasformando in un quadretto di pessima scuola. Oltre tutto, dopo un eventuale sciagurato fallimento dell’operazione, c’è il diluvio e temo che Mattarella abbia terminato il suo armamentario difensivo. Noè è rimasto senza arca.

Per scappare dal labirinto partitocratico, Mattarella costruì delle ali con delle penne e le attaccò al corpo suo e del figlio adottivo Draghi, con la cera della capacità tecnica. Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo alto, Draghi si fece prendere dall’ebbrezza del volo e si avvicinò troppo ai partiti: il calore della politica politicante fuse la cera della tecnica, facendolo cadere nel mare dell’inconcludenza, dove morì. Il padre arrivò sano e salvo alla fine del mandato presidenziale e costruì un tempio dedicato a Grillo e Berlusconi, in memoria dell’Italia. All’ingresso una scritta in grande evidenza: “Errare draghianum est”.

 

L’amaro stil vecchio

Quando una cosa la si desidera a lungo, si finisce con l’idealizzarla, rischiando di estraniarla dalla realtà. Da tanto tempo ipotizzavo un governo diverso con un premier diverso per una situazione diversissima. A prima vista sembra che i miei ingenui auspici si siano realizzati con il nascituro governo presieduto da Mario Draghi e voluto da Sergio Mattarella (anche se c’è qualcuno che ci vuol mettere sopra il cappello di paglia di Firenze).

Nei miei pensieri doveva essere un governo che metteva in campo la politica vera, lasciando in panchina quella politicante. Proseguendo nei soliti triti paragoni calcistici, in casa Atalanta il premier Gian Piero Gasperini è riuscito a sbarazzarsi del piantagrane Papu Gomez, mentre in casa Roma il premier Paulo Fonseca ha dovuto ingoiare la pillola di Edin Džeko trovando un precario compromesso a livello di spogliatoio. Draghi, alla fine dell’opera, assomiglierà più a Gasperini o a Fonseca? Mi risulta che sia un tifoso della Roma, ma speriamo non si faccia scrupoli.

Fuor di metafora, mi auguravo che il governo Draghi riuscisse a dare una chiara e inequivocabile impronta tecnica alla politica in disperata ricerca di competenze, professionalità ed esperienza da mettere al servizio della comunità nazionale, provata da una drammatica emergenza che si sta cronicizzando. Invece lo vedo purtroppo risucchiato nelle logiche politiche della peggior specie, nei tira e molla degli organigrammi “cencellinati”, nei ricatti reciproci, nelle corse a salire sul treno pretendendo posti in prima classe, nella gara a tirare fuori dai cassetti i libri dei sogni, nei tentativi di coprire le rughe con la cipria dell’esteta di turno.

C’era solo un modo per difendersi da questi coinvolgenti attacchi: fare in fretta, lasciarli fuori tutti dalla compagine governativa, pretendere dai partiti e dai gruppi parlamentari un deciso passo indietro e la concessione di una fiducia non al buio, ma al chiaro di chi può mettere in campo ciò che purtroppo manca alla classe politica. Invece si sta retrocedendo verso i soliti riti alla ricerca di combinazioni ibride o addirittura incestuose: un po’ di tecnici, andandoli magari a cercare nelle diverse aree politiche, un po’ di politici andandoli a cercare fra quelli che hanno qualche esperienza amministrativa, un po’ di leader andandoli a scovare nelle incasinate strutture interne di partito, un po’ di ministri provenienti dal governo precedente nel segno della continuità. Attenzione a non concepire in provetta un mostro che durerà poco o durerà molto, ma comunque durerà malissimo.

Si continua a fare paragoni con esperienze governative passate: non hanno senso alcuno, perché la situazione attuale è completamente diversa e assai più grave, con la classe politica inadeguata e ridotta al lumicino. Pericoloso definirlo governo dei migliori, perché immediatamente scatta la gara al meno peggio. Anche le altre definizioni lasciano tutte a desiderare: governo di unità nazionale, quando l’unità dovrebbe essere la regola quotidiana; governo di salute pubblica, quando tutti vogliono essere i medici degli altri e mai di se stessi; governo tecnico, quando la tecnica dovrebbe essere il normale supporto del nostro vivere civile.

Il presidente della Repubblica, nel proporlo, lo ha definito “governo di alto profilo” e quindi accettiamo questa definizione, che tutti possono capire senza bisogno di rispolverare formule e alchimie del passato e senza cercare un marchio di fabbrica prima di avere la fabbrica. Al momento in cui scrivo queste brevi e preoccupate riflessioni, non so come andrà a finire. Temo si vada verso un pateracchio di profilo tutto da scoprire. Sarebbe un vero peccato neutralizzare un onesto tentativo verso il “nuovo” per ripiegare irrimediabilmente verso il “vecchio”.

Leccaculisti alla riscossa

C’è un disgustoso chiacchiericcio intorno al clima pseudo-politico concomitante alle consultazioni di Mario Draghi per la formazione del nuovo governo di salvezza nazionale. Ne volete un esempio di stampo nostalgico: si parla della differenza fra il famigerato “predellino” da cui Silvio Berlusconi lanciò il progetto del Partito delle libertà e il tavolino di fronte al quale Giuseppe Conte ha disegnato il suo futuro politico a breve e medio-termine, vale a dire leader del M5S e punto di riferimento della continuità dell’alleanza fra pentastellati, partito democratico e Leu.

Ebbene l’esponente di Forza Italia, l’onorevole Giorgio Mulè, tornando improvvisamente al “leccaculismo” di un tempo, ha invitato a non mischiare il sacro col profano. Penso che nel caso il santo fosse Berlusconi e il peccatore fosse Conte. Come viatico per l’ingresso di Forza Italia nella maggioranza parlamentare a favore del governo Draghi, non c’è male. A questo punto, visto quanto al riguardo ha aggiunto Vittorio Feltri, che ha collocato Berlusconi sull’altare e Conte nella polvere e che ha dichiarato di non parlare male del cavaliere nemmeno sotto tortura, non rimane che aspettare lo scioglimento del sangue di San Gennaro per varare definitivamente il governo ipotizzato da Mattarella, il quale dovrebbe mostrare al popolo italiano l’ampolla col ripristinato miracolo avvenuto per intercessione di San Silvio Berlusconi.

Consiglierei a Berlusconi di stare molto attento a questi leccaculisti da strapazzo, i quali potrebbero ributtarlo nel tristissimo passato, togliendogli l’effetto sorpresa che si è indubbiamente conquistato. Quanto a Conte, personaggio di cui non sono mai stato entusiasta pur riconoscendogli notevoli qualità e pur avendone per tempo visto il logorio dovuto anche, non dimentichiamolo, ad una situazione pazzesca da governare, non accetto le sbrigative squalifiche a vita partite, oltre tutto, da gente con una capacità critica vergognosa e insulsa.

I tifosi fanno male al calcio, figuriamoci se possono far bene alla politica. Mario Draghi, per sua e nostra fortuna, è persona che sa sicuramente smarcarsi da questo clima assurdo che lo sta circondando un po’ da tutte le parti. Qualcuno lo sta catalogando come filo-berlusconiano, altri come anti-contiano, altri ancora come amico del giaguaro, altri come marionetta scelta da Matteo Renzi messa nelle mani di Sergio Mattarella, altri come prestigiatore dell’alta finanza, altri come sdoganatore leghista, altri come becchino pentastellato, altri come costrittore piddino e via discorrendo…Forse lui si starà divertendo, pensando alla fregatura che darà a tutti coloro che gli stanno tirando la giacca. Io non mi diverto affatto, perché “ucci, ucci, sento odor di politicucci”.

La grossa trappola che gli stanno preparando è l’amletico dubbio fra governo tecnico e governo politico: lui saprà sicuramente avvertire i pericoli e uscirne alla grande (almeno lo spero). Gli consigliano una pericolosa ricetta: un po’ di preparazione scientifica, un po’ di esperienza amministrativa, un pizzico di prezzemolato partitismo, una spruzzata di amaro leaderismo politico e la torta sarebbe pronta. Cucinata da Draghi, mentre a Mattarella spetterebbe il compito di metterla in forno, al Parlamento di assaggiarla e a noi di mangiarla. Senonché…

Una volta il simpatico amico di mio padre, Renato, un brillante palchettista del Regio, la fece grossa. Volle architettare una presa per i fondelli per tutti gli ospiti del palco, in particolare per le eleganti signore snob presenti ad una importante serata di gala. Comprò una pattona e la fece guarnire da un amico pasticciere in modo tale che sembrasse una perfetta e invitante torta inzuppata con tanto di crema e panna. Durante l’intervallo la scartò e la offrì ai presenti che l’accolsero con esclamazioni di gradimento. La fece tagliare a fette dal solito chirurgo senza camice e cominciò a distribuirla su eleganti piattini con i relativi cucchiaini. Passarono pochi istanti, il tempo di assaggiare e si cominciò a sentire qualche signora che diceva all’amica: «Ma questa è pattona…». «Fammi assaggiare…, sì, questa è pattona…». Molti fecero finta di niente e mangiarono la pattona, altri la lasciarono nel piatto, chi conosceva bene Renato capì l’antifona e nel corridoio della quarta fila dei palchi si rise di gusto per tutta la serata…e anche per quelle successive.

 

 

Il fattore T

Il grande giornalista e saggista Alberto Ronchey aveva inventato il fattore K dal russo Kommunizm (comunismo) – utilizzato per la prima volta in un editoriale del Corriere della Sera del 30 marzo 1979 – per spiegare il mancato ricambio delle forze politiche governative nei primi cinquant’anni dell’Italia repubblicana. In primo luogo, al partito comunista era interdetta la partecipazione al governo a causa dello stretto legame con l’Unione Sovietica. In secondo luogo, in Italia il PCI era la seconda forza politica in Parlamento: ciò impediva ai socialisti o ai socialdemocratici di raggiungere un numero di consensi sufficienti per rappresentare l’alternativa.

La storia a volte si ripete a parti capovolte. Mi sembra infatti all’orizzonte la nascita del fattore T (trumpismo) che dovrebbe significare d’ora in poi la preclusione al potere dei populisti dopo la triste esperienza trumpiana funzionante da vaccino contro il virus nazional-populista-sovranista. Se questo vaccino comincia veramente a fare effetto i nostrani destrorsi si dovranno mettere il cuore in pace perché al governo in Italia, con Biden presidente Usa, non ci andranno mai e poi mai. Me ne rallegro, anche se a precludere l’avventurismo di destra dovrebbero pensarci non tanto gli equilibri di potere a livello internazionale, ma la coscienza democratica globale.

Giorgia Meloni può continuare a sbraitare in Parlamento, ma a Palazzo Chigi non si scherza col fuoco e, a regola di briscola, non ci dovrebbe mettere piede. Lo stesso discorso vale per Matteo Salvini. Non amo le interferenze americane, ma se questo deve essere il prezzo per difendersi dall’onda populista, ben vengano. Steve Bannon, lo stratega trumpiano, amico e consigliere di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, è finito maluccio e si è salvato con un condono varato in fretta e furia dal suo capo. Non credo che i sovranisti nostrani troveranno appoggi nella nuova amministrazione americana, ma forse riusciranno a riciclarsi in qualche modo all’ombra della pur sacrosanta nostrana unità nazionale.

Il centro-destra a guida estremista sembra puntare alle elezioni per sfondare a livello di consensi, ma sa benissimo di rischiare di affondare per sempre nell’irrilevanza post-fascista. Gli americani hanno fatto da cavie e ci stanno risparmiando tristi esperienze. Affidiamoci a Joe Biden e speriamo bene. Diamoci però una mossa e sfruttiamo l’aria nuova per governare meglio e rimetterci in carreggiata. La globalizzazione politica fa sentire la sua influenza e se da una parte ci rattrista la certezza di far tacere il nostro agonizzante patriottismo, dall’altra ci consola la prospettiva di un mondo più democratico e più giusto.

La rondine Biden non fa primavera, ma comunque il gelo invernale del trumpismo sembra superato. A Giuseppe Conte, schiacciato da una maggioranza rissosa e inconcludente, traballante per la propria fragile e debole costituzione, condizionato da una situazione incredibilmente difficile e drammatica, non è bastato incassare le flebo europee e statunitensi per continuare a vivere, per tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia. Con il governo Draghi verranno tentate robuste cure ricostituenti a livello socio-economico, verranno incassati i fondi europei, verrà guadagnato tempo anche perché di tempo da perdere ce n’è poco. Staremo a vedere se lo lasceranno nascere e vivere.

Si può dire che Draghi ha la stima e avrà l’appoggio di tutta la comunità internazionale? Meglio sorvolare, perché lo si darebbe in pasto ai “cretini”, che lo considerano l’uomo delle élite, delle banche, dei poteri forti. È una storia vecchia…quando non si hanno argomenti per attaccare un personaggio politico si ricorre al complotto “demo-pluto-giudaico-massonico”.  E di simili cazzate Giorgia Meloni se ne intende e Matteo Salvini le sta dietro. È bastata una improvvida sviolinata confindustriale a trasformare Draghi in un affamatore del popolo.

Il grillismo non è lontano da queste porcherie ideologiche e così, se facciamo bene i conti, abbiamo un Parlamento dove, sia alla Camera che al Senato, abbiamo tre forze politiche più o meno populiste (Lega, M5S e FdI) che hanno la maggioranza assoluta. Una prova di questa strana orchestra è stata seppure parzialmente e brevemente già fatta. Potrebbe tornare d’attualità pur di sabotare Mario Draghi. Il PD sta tentando di far ragionare i pentastellati, trattenendoli nella caserma giallo-rossa senza la pericolosa possibilità di libera uscita. Staremo a vedere…anche se si sta creando una sommatoria incredibilmente robusta tra populisti, nazionalisti, opportunisti, cretinisti, malpancisti, sfascisti con o senza la “s”, etc. etc. Non sarà facile per Draghi contare su una solida e ampia maggioranza che sostenga il suo governo di alto profilo qualitativo, di ampio respiro programmatico, di agognata salvezza nazionale, di necessario ed emergenziale superamento degli schemi parlamentari.

In questi giorni raccolgo reazioni schifate ai vergognosi atteggiamenti contrari o, quanto meno, molto dubbiosi, nei confronti del nascituro governo Draghi. Mi associo. Purtroppo però voglio ricordare ai miei concittadini che la stralunata composizione politica del Parlamento l’hanno voluta loro con il voto del 2018. Forse si stanno accorgendo di avere buttato il prete nella merda ed ora finalmente cominciano a sentire la puzza di cacca, anche se c’è chi la vuol gettare addosso a Mattarella e Draghi.

 

 

 

 

Le lumache alla Sansone

Se finora il comportamento delle forze politiche era piuttosto irritante nella sua inconcludenza, con il varo dell’incarico di formare un governo di alto profilo a prescindere dalle formule politiche, l’atteggiamento dei partiti si è fatto insopportabile. Dopo il flop trattativista tutti si sono resi conto improvvisamente di essere messi in discussione e stanno cercando disperatamente di difendere a denti stretti non tanto il ruolo, che rimane scritto in Costituzione, ma il prestigio e la fiducia, che invece stanno clamorosamente scemando. Ogni partito o movimento si abbarbica alla pianta della propria storia recente pur di non mettersi in discussione.

Il movimento cinque stelle, già da tempo in crisi di consenso elettorale e di leadership gestionale, resta ancorato al suo populismo e quindi fa lo schizzinoso verso Mario Draghi, ritenendolo, a torto, un arnese delle élite dominanti, un uomo dei poteri forti, tentando di ritrovare così l’unità interna da tempo perduta tramite l’individuazione di un nemico comune (prima Renzi, adesso Draghi). Beppe Grillo, in gravissima difficoltà, dice e disdice: temo stia perdendo totalmente il senso della politica e persino quello dell’antipolitica.

La sinistra di Leu balbetta di fronte alle necessità di contribuire ad un governo, che potrebbe spiazzarne gli intenti demagogici sempre presenti in questa area politica. Il Partito democratico si trova a dover fare scelte precise dopo aver trascorso un lungo periodo di opportunistico e illusionistico “tirare a campare”: la fusione fredda da cui è nato evidenzia ancor più grosse crepe e poca voglia di ricominciare da capo un processo teoricamente valido.

Italia viva ha fatto come Pietro Micca, facendosi saltare insieme a governo ed alleati per una paradossale e incomprensibile causa: ora porta a casa il governo Draghi, ascrivendoselo farsescamente come merito. Renzi ha fatto il dispetto alla moglie, si è tagliato i coglioni e si consola con la virilità di chi arriva dopo a letto dissodato.

Il fantomatico centro-democratico rimane l’oggetto misterioso alla ricerca dell’autore (potrà essere Renzi?): una forte e credibile politica governativa non può che togliergli spazi esistenziali e vitali. Il centro-destra, che riesce a tenere unita la baracca con la colla elettorale, è obiettivamente diviso in tre: i berlusconiani muoiono da tempo dalla voglia di smarcarsi e di essere importanti negli equilibri, uscendo dallo schiacciamento sugli alleati; i leghisti, divisi fra l’ala populista (Salvini) e l’ala pragmatica (Giorgetti, Zaia), temono di perdere peso e leadership all’interno della coalizione; i Fratelli d’Italia intendono passare il più in fretta possibile alla cassa nel timore di perdere l’attimo fuggente (probabilmente già perso).

Molti sotto sotto temono le elezioni, facendo finta di puntarle, anche se sanno bene, che per loro sarebbero un disastro, ancor più probabile qualora arrivassero dopo la lucida analisi delle controindicazioni fatta da Mattarella e dopo il procurato aborto del tentativo di Draghi. Alcuni, sfoderando un becco di ferro notevole, ipotizzano o addirittura pretendono un coinvolgimento di esponenti politici nella compagine ministeriale draghiana. Le stanno tentando proprio tutte. Parecchi hanno buttato offese, calunnie e fango su Draghi e la sua azione a servizio dell’Italia e dell’Europa. Ho la sensazione che i partiti si muovano tra la sindrome di Sansone e quella della lumaca: si difendono a costo di perire tutti sotto le macerie e reagiscono stizziti a chi osa dimostrare che sono nudi.

O i partiti riescono a trovare in questo stretto passaggio politico le residuali risorse per una sana autocritica o rischiano di indebolirsi ulteriormente, mettendo a repentaglio il sistema democratico. La provocazione del duo Mattarella-Draghi è molto opportuna, forte e imbarazzante, i cittadini stanno aprendo gli occhi, la distanza dalle Istituzioni può aumentare rovinosamente, nessuno potrebbe essere in grado di interpretare il disgusto proveniente dalla società. Sarà una strada lunga e in salita: speriamo che da una parte dia frutti governativi importanti e decisivi e che dall’altra costringa la politica ad auto-emendarsi in modo profondo e positivo.

Lo spartiacque mattarelliano

Un mio carissimo e indimenticabile zio sosteneva convintamente che, tutto sommato, “si vive di soddisfazioni”. Lui si riferiva soprattutto a quelle famigliari, io oggi allargo il discorso alla politica. L’intervento perfetto di Sergio Mattarella volto alla soluzione di una penosa e sado-masochistica crisi di governo, mi ha dato tre soddisfazioni, due grandi e una piccola.

La più importante è che dovremmo avere un governo guidato dall’unica persona capace di affrontare i problemi del Paese nella situazione in cui ci troviamo: Mario Draghi, se non gli metteranno delinquenziali bastoni fra le ruote, con un governo di alto profilo tecnico ed amministrativo, ci può veramente aiutare così come ha già fatto in passato nei ruoli importantissimi che ha ricoperto. Tutto il mal (l’autentico naufragio di un’intera classe politica, salvo eccezioni che purtroppo confermano la regola) non vien per nuocere (ci libera infatti da una situazione di incertezza e ci consente qualche realistica speranza per il futuro).

La seconda soddisfazione riguarda l’orgoglio di avere un presidente della Repubblica che ci rappresenta al meglio, che rispetta rigorosamente la Costituzione, che è un punto di riferimento per tutti gli italiani, che dà dell’Italia un’immagine dignitosa e seria. Non è poco! Meno male che c’è Mattarella! Un carissimo amico, al termine della drammatica giornata politica culminata nell’intervento di cui sopra del capo dello Stato, ha così commentato: “Dopotutto, il momento più lirico della giornata è stato toccato dal discorso del Capo dello Stato”, anteponendolo persino all’opera lirica La traviata trasmessa in televisione. Un altro amico, col quale, scambiamo spesso pareri ed opinioni, mi ha inviato un messaggio liberatorio: “Finalmente! Grazie a Dio!”. Un altro ancora mi ha scritto: “Gira e rigira…siamo arrivati a Draghi”.

La terza soddisfazione, quella piccola, è di non essermi sbagliato nelle mie modestissime analisi e nei miei sinceri auspici: ho da tempo teorizzato una risposta competente ai problemi dell’Italia, intravedendola in Mario Draghi. Tutto sommato, di politica qualcosa ne capisco, grazie ad una passione innata e ad un impegno civile che sono riuscito modestamente ad esprimere lungo l’arco di tutta la mia vita.

“Ero andato, con mia madre e mia nonna a trascorrere qualche giorno di vacanza a Fabbro Ficulle (paesino in provincia di Terni), ospite del convento dove viveva mia zia, suora Orsolina. Avevo quattro o cinque anni, non ricordo con precisione. Pranzavamo in una saletta messa molto gentilmente a nostra disposizione ed in quella saletta vi era un apparecchio radio: la nonna gradiva ascoltare, durante il pasto, il giornale radio. Un giorno, al termine del notiziario politico, me ne uscii candidamente con questa espressione: «Adesso nonna chiudi pure la radio, perché a me interessa il governo». Lascio a voi immaginare le reazioni di mia madre, ma soprattutto di mia nonna, incredula e divertita, che rideva di gusto, ma forse aveva anche fatto qualche pensiero”.

Purtroppo rimane un grave e sofferto rammarico: la politica, quella con la “P” maiuscola, che mi ha sempre direttamente o indirettamente coinvolto, sta penosamente tramontando, lasciando un vuoto incolmabile. Abbiamo forse toccato il fondo e, come si dice, a volte serve per darsi una spinta verso la risalita. Che Sergio Mattarella e Mario Draghi ci aiutino, perché abbiamo tanto bisogno di politica, quella vera s’intende.

 

 

 

 

I lapsus “fascistiani”

In onore di un dipendente comunale di Napoli è stata organizzata una festa di commiato dal lavoro, culminata con il taglio di una torta su cui era impresso il volto di Benito Mussolini. A rivelare quanto accaduto – dopo aver appreso della cerimonia attraverso post e foto dei partecipanti – sono stati i presidenti della Federazione Italia Israele, Giuseppe Crimaldi, e dell’associazione Italia-Israele di Napoli, Amedeo Cortese. L’autore del dono speciale, un consigliere municipale, ha anche riservato una dedica particolare al festeggiato descrivendolo, con la scritta sulla torta, ‘un grande uomo e un grande camerata’.

Non è finita lì, perché a Cogoleto, in quel di Genova, dopo i primissimi accertamenti della Digos, sono già finiti nel registro degli indagati tre consiglieri comunali, che mentre votavano le delibere facevano il saluto romano. L’iscrizione è avvenuta dopo che gli agenti della Questura hanno raccolto le testimonianze di chi era in Consiglio Comunale proprio nel giorno della Memoria, il 27 gennaio. Gli inquirenti hanno accertato che c’erano tutti i presupposti per contestare la violazione dell’articolo 4 della legge Mancino, ovvero “la pubblica esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. Secondo il magistrato competente “deve essere chiaro che nel nostro ordinamento il razzismo e l’antisemitismo non sono opinioni, ma delitti. Quando succedono certi fatti, la reazione deve essere immediata”. A denunciare pubblicamente l’accaduto era stato il sindaco di Cogoleto che aveva condannato l’episodio attraverso la sua pagina Facebook. Gli agenti della Digos sono andati poi a Cogoleto per raccogliere le testimonianze dei consiglieri e dei dipendenti comunali presenti in aula al momento del voto e acquisire la videoregistrazione originale del consiglio comunale.

Sono episodi inqualificabili da tutti i punti di vista, penalmente rilevanti, eticamente e politicamente squallidi e vomitevoli. La mia riflessione però è molto più profonda e imbarazzante: tendo cioè a considerare, in un certo senso, questi comportamenti come “lapsus freudiani”. Si considerano come tali errori e mancanze, ritenute dai più come sinonimo di poca attenzione, che assumono un significato completamente diverso secondo la psicanalisi la quale li considera tutt’altro che casuali, ma imputabili, invece, alla presenza di contrasti interni all’individuo fra il suo volere cosciente e le sue tendenze inconsce. Non so tracciare un confine preciso fra conscio ed inconscio, ma credo che la mentalità fascista con tutto quel che ne consegue continui purtroppo a sporcare la nostra anima democratica.

Cosa voglio dire? Negli italiani nonostante tutto permane una spinta inconscia a rivalutare il fascismo. Non è stata ancora rimossa questa triste esperienza dalla coscienza individuale e collettiva. Ogni tanto appaiono punte dell’iceberg fascista. È gravissimo ed inquietante. Non si tratta di goliardate, ma di rigurgiti emblematici di una fragilità democratica che trova sfogo in episodi particolari. Se c’è qualcuno che ha voglia di scherzare su questi temi, lo vada a fare nel suo gabinetto; se c’è qualcuno che dice sul serio, vada in galera a cantare le sue nostalgie; se c’è qualcuno che nutre ancora qualche dubbio, abbia il buongusto di rileggere la storia ed ascoltare le testimonianze da essa provenienti.

Nell’intervento durante la celebrazione della Giornata della Memoria il presidente Mattarella ha dichiarato: «(…) Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma. (…) Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono infatti presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese, e l’Unione Europea, hanno gli anticorpi necessari per combatterli; ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità (…)».

 

 

 

 

 

 

I calciatori gonfiati

Si è fatto un gran parlare della disgustosa e vergognosa rissa fra Slatan Ibrahimovic e Romelo Lukaku. Gli attuali calciatori simbolo di Milan e Inter si sono scambiate offese verbali, si sono dati appuntamento al dopo partita per la resa dei conti, trattenuti a stento dai compagni e sotto gli occhi omertosi dell’arbitro intimidito e intimorito dalla triste personalità dei contendenti e dal peso “politico” delle società calcistiche di cui i litiganti fanno parte. Fosse successo su un campetto di terza categoria sarebbero partite squalifiche a vita per i giocatori e penalizzazioni esemplari per le squadre.

Pochi giorni prima un arbitro, che aveva avuto l’ardire, di consigliare allo sbraitante allenatore dell’Inter, Antonio Conte, di calmare gli ingiustificati bollenti spiriti con una iniezione di sportività (bisogna saper perdere o, nel caso, bastava saper non vincere), era stato criticato per essersi intromesso e avere ancor più incendiato il clima. Evidentemente il collega, memore del flop del suo simile, ha ritenuto di fare orecchie da mercante limitandosi a sventolare un pallido cartellino giallo ai due galli che meritavano, come minimo, di essere sbattuti fuori dal pollaio.

Tutto sommato però l’episodio dello scontro tra Ibrahimovic e Lukaku, pur nella sua gravità comportamentale, può essere catalogato come fatto di stupidità e cattiveria fra colleghi di lavoro: un litigio triviale tra colossi del pallone e nani dell’etica professionale. Lasciamo perdere i discorsi sull’impatto diseducativo per i giovani, in aggiunta agli esempi negativi provenienti da tutta la società.

Passo oltre e vado ad una notizia oltremodo clamorosa dal mondo del calcio. Secondo quanto riportato dai giornalisti spagnoli, il contratto quadriennale firmato nel 2017 con il Barcellona avrebbe garantito a Lionel Messi un ingaggio di 555.237.619 euro. Più di mezzo miliardo di euro lordi. La cifra si compone di un bonus di 115 milioni di euro “alla firma” (già incassato), un secondo bonus “fedeltà” dal valore di 80 milioni di euro e 360 milioni di euro di ingaggio tra parte fissa e parte variabile. Ossia, uno stipendio di 90 milioni di euro l’anno per quattro anni. Non so se le cifre siano esatte e quanto incidano le tasse su questo stipendio da nababbo. Una cosa la so e la dico: è uno scandalo!!!

Mentre la baruffa milanese rientra nella fesseria di un ambiente in cui professionalità fa rima con stupidità, l’ingaggio di Messi è il simbolo di un sistema malato in cui la disequità regna sovrana ben al di là delle più blasfeme regole del cosiddetto libero mercato. Tutto il mondo dello spettacolo (il calcio è ormai una sua componente di diritto, non avendo niente da spartire con lo sport) è pervaso da cachet astronomici che spesso non rispecchiano nemmeno il valore artistico delle prestazioni. Posso ammettere cifre iperboliche per un grande tenore, per un attore di grido, per un musicista di successo, faccio molta fatica a giustificare i guadagni di chi corre, seppure con abilità ed impegno, dietro un pallone.

Aveva ragione un mio carissimo e indimenticabile zio: stroncava ogni e qualsiasi velleità da tifoso, affermando che lui si sarebbe recato allo stadio solo nel caso in cui in campo ci fossero stati undici palloni che rincorrevano un uomo. Attualmente, tra l’altro, questi signori del calcio non riescono nemmeno a riempire gli stadi, non per colpa loro per la verità e non ho idea del ritorno agli spalti gremiti. C’è in atto un certo disamore verso il calcio, se è vero che anche gli incassi dalle Tv a pagamento si stanno sensibilmente riducendo. Non so fino a quando i nababbi potranno continuare a succhiare: probabilmente stanno cercando di fare il pieno fintanto che è possibile.

Il calcio mercato italiano vede una serrata trattativa tra il portiere Donnarumma e la società del Milan per il rinnovo del contratto: si fanno ipotesi milionarie. Fossi il presidente di questo storico club non esiterei a mandarlo al paese dei balocchi e a difendere la porta del Milan chiamerei il portiere di riserva o addirittura quello della squadra primavera. Alla fine la classifica non peggiorerebbe di molto, mentre migliorerebbero le casse societarie e, forse, in parecchi si darebbero una regolata.

 

 

Putost che cédor…Costitusión!!!

Il cardinale Zuppi, vescovo di Bologna, ha avuto l’originale, oserei dire geniale, idea di scrivere una lettera alla Costituzione italiana, parlando a nuora perché suocera intenda, esaltando la politica per mettere a nudo i politicanti, invocando la solidarietà per tacitare gli egoismi.

Tutti sappiamo e vediamo come qualsiasi atleta, prima di affrontare un ostacolo o lanciarsi in una corsa, faccia un passo indietro per raccogliere le forze, per trovare la concentrazione, per sintetizzare le migliori intenzioni. Questo uomo di Chiesa ci consiglia di ricorrere allo spirito della Costituzione per cercare e individuare la direzione in cui muoverci in un tempo in cui tutto sembra crollare intorno a noi.

Mi ha particolarmente colpito, nel contesto di questo profondo e analitico omaggio costituzionale, una frase molto incisiva: «Abbiamo bisogno di vero “amore politico”!». Ce la dovremmo sentire tutti addosso, più che mai in un momento in cui la politica sembra tradire i cittadini e viceversa, per tante e complesse cause, ma anche e soprattutto per colpa degli “amanti clandestini e traditori” della politica con la “P” maiuscola.

Traduco immediatamente il discorso collocandolo nell’ambito dell’avventurosa e sconvolgente crisi di governo. I politici, che stanno tradendo la politica con i loro stupidi giri di valzer, dovrebbero fare ammenda e cospargersi il capo di cenere. Come? Tacendo e facendosi da parte! Invece purtroppo continuano a sparare cazzate per giustificare la loro fuga dalle responsabilità.  Sono andati al Quirinale a ballare una sorta di squallido “bunga bunga” politico. Dal momento che Sergio Mattarella li ha messi gentilmente alla porta invitandoli a più miti consigli, si sono trasferiti a Montecitorio, riprendendo, come se nulla fosse successo, il loro balletto di assurdi e reciproci penultimatum.

Questa crisi di governo più la si gira e più puzza. Se errare è umano, perseverare nell’errore è diabolico. È quanto sta succedendo con gravissimo ed inevitabile discredito della politica tradita e umiliata. Tutti sostengono di avere a cuore le sorti del Paese e tutti dimostrano di avere a cuore i propri obiettivi particolari. Tutti auspicano un governo forte e capace e tutti lavorano per un “governo fragile degli incapaci”. Tutti chiedono tempi stretti e tutti si esercitano in lungaggini verbose e inconcludenti.

Se rimane nella classe politica attuale, le cui preesistenti carenze sono state messe impietosamente a nudo dalla pandemia, un minimo di dignità e di “amore politico”, ciò dovrebbe comportare l’inizio di un lungo digiuno quaresimale per ritrovare il bandolo della pur aggrovigliata matassa in cui siamo ingarbugliati. Invece, “putost che cédor limón”, laddove i limoni si chiamano elezioni politiche anticipate. Questa prospettiva comincia a farsi strada anche nelle analisi di autorevoli (?) opinionisti e commentatori: se proprio la palla non riesce a rotolare, ritorni ai cittadini. Senza capire che gli elettori, con una palla bucata e sgonfia, finiranno col giocare una partita truccata. Quanti cittadini non andranno a votare per timore degli assembramenti pandemici o per un attacco di vomito o diarrea da “parlamentite” acuta? Non posso andare al ristorante, non posso cenare con amici e parenti, non posso muovermi liberamente e dovrei recarmi al seggio elettorale in mezzo a centinaia di persone rischiando di contaminarmi per fare un piacere a Giorgia Meloni che crede di aumentare i propri inutili voti? Per darla vinta a Giuseppe Conte che non vuol mollare l’osso? Per darla su a Matteo Renzi che intende dare libero sfogo al suo incontenibile e insopportabile ego? Si potrebbe continuare…

Ma c’è un rischio ancor maggiore che intravedo all’orizzonte. Se finalmente il presidente della Repubblica tentasse la carta di salvare in extremis l’unione tra politica e cittadini, a costo di trasformare il matrimonio d’amore in convivenza di interessi, ci potrebbe essere il colpo di coda degli amanti traditori, i quali potrebbero fingere di accontentarsi di dormire sul divano in salotto con l’intento di sbirciare in camera da letto e guastare l’idillio coi nuovi, seppur provvisori, amanti, i tecnici prestati alla politica per salvare il salvabile. E se poi il nuovo matrimonio funzionasse troppo bene, dove finirebbero i vecchi e logori arnesi? Potrebbero finire in cantina o in solaio…in attesa di tempi migliori, in attesa cioè che rispunti il sempre giustamente agognato “amore politico”. Come?

“È proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione: cioè quella di essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento. Cercate quindi di conoscerla, di comprendere in profondità i suoi principî fondanti, e quindi di farvela amica e compagna di strada. Essa, con le revisioni possibili ed opportune, può garantirvi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragionevolmente aspirare; vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento, per qualunque cammino vogliate procedere, e per qualunque meta vi prefissiate” (Giuseppe Dossetti, Discorso tenuto all’Università di Parma, 26.IV.1995).

Quando la liturgia diventa parodia…

Il ridondante cerimoniale quirinalizio, come tutte le liturgie religiose e laiche, ha un senso? Solo se contiene un significato sostanziale al di là della stucchevole spettacolarizzazione formale. Dovrebbe cioè conferire una certa solennità ai gesti, alle formule, ai comportamenti. Durante i giorni della crisi di governo, gli occhi si sono spostati dai palazzi della politica al Quirinale e qui le procedure hanno una scansione rituale che dovrebbe imporre a tutti i protagonisti una particolare serietà di atteggiamenti: non è stato proprio così, perché purtroppo gli incontri delle delegazioni partitico-parlamentari con il presidente della Repubblica si sono trasformati in una passerella assai poco dignitosa ed attraente.

Tutti hanno timbrato il cartellino emergenziale bagnandolo con le lacrime del doveroso dispiacere, poi hanno fatto i loro “comizietti o comizioni”, che, stando alle indiscrezioni ed ai retroscena, spesso non avevano riscontro con le dichiarazioni rese al capo dello Stato. Si parte cioè subito col piede sbagliato, pagando un tributo formale alla situazione drammatica del Paese per fare un po’ di propaganda elettorale e scadere nel più bieco dei tatticismi. L’andirivieni nei sontuosi corridoi sembrava una recita messa in scena con attori più o meno bravi, ma comunque inadeguati alla parte.

Alla fine del primo atto è uscito il Presidente, che fortunatamente ha riportato il discorso alla realtà, evitando il rischio che la liturgia diventasse parodia, assumendo un tono decisamente preoccupato al limite del contrariato e lasciando intendere la volontà di non svolgere un ruolo di asettico regista, ma di protagonista ligio alle proprie prerogative istituzionali. Mi è parso di sentire un richiamo forte al clima difficile in campo sanitario, economico e sociale, una sorta di recepimento del grido di aiuto che sale dalla società civile, abbinato alla richiesta di una presa di reale responsabilità da parte dei partiti e dei loro esponenti, con, in filigrana, il lancio di un silenzioso ultimatum oltre il quale si può intravedere un intervento presidenziale atto a sbloccare la situazione di vergognoso stallo venutasi a creare.

Con poche calibrate, equilibrate e mirate parole Sergio Mattarella ha riportato il rito alla sostanza: una sorta di campanella che segna la fine della ricreazione. Fuor di metafora il presidente, secondo me, ha voluto avvertire la politica che, qualora non sia in grado di affrontare seriamente i problemi del Paese, non potrà scaricare le difficoltà sulle spalle dei cittadini-elettori, ma dovrà fare i conti con un’iniziativa governativa pilotata dal presidente stesso.

Non mi permetto di suggerire niente al Capo dello Stato. Chi sono io per farlo! Mi prendo solo la libertà di pensare che, se fossi al suo posto, sarei già passato alle estreme conseguenze varando un governo formato da persone capaci e inviandolo alle Camere, dopo averne spiegato il senso ai cittadini. Sarei curioso di vedere chi avrebbe il coraggio di votare contro un simile governo… Forse Mattarella prima di arrivare a tanto, le vuole provare tutte in tempi stretti da arbitro della politica e, se sarà necessario, diventerà protagonista così come la Costituzione gli consente.

Staremo a vedere se dall’albero di Fico cadranno i frutti sperati o se il Presidente sarà costretto a incollare i politici al muro come “pelle di fico”. Nel comportamento di certi personaggi ho notato una vera e propria presa per i fondelli del Presidente, uno scaricare su di lui le tensioni politiche: solo la sua pazienza e la sua saggezza consentono di andare avanti in una situazione sempre più paradossale. Continuo a sperare in lui, capace di garantire il rispetto del Paese finanche a chi non lo meriterebbe.