Ma fateli tacere!

Se vedo un personaggio equivoco che si aggira nei miei paraggi con tanto di fucile, telefono alla redazione di un giornale o alla polizia? Non avrei alcun dubbio e penso che nessun soggetto ragionevole ne avrebbe. L’ho presa su un po’ larga per arrivare al dunque delle esternazioni dei virologi peraltro in contatto con alti livelli della pubblica amministrazione. È dall’inizio della pandemia che questi signori continuano a gridare al lupo, ad elargire analisi e consigli nelle sedi sbagliate, in contraddizione fra di loro e senza un minimo di riservatezza ed equilibrio, creando allarmismo e difendendosi accusando i pubblici poteri di conoscere i rischi devastanti che stiamo correndo e di tacerli per non creare allarmismo.

Il presidente Draghi ha invitato i ministri a parlare coi fatti e a impostare la comunicazione all’insegna della sobrietà. Forse sarebbe opportuno che estendesse l’invito anche agli scienziati, quelli che hanno qualche tipo di rapporto con i pubblici poteri. Certi atteggiamenti da primadonna non li sopportavo nelle primedonne vere e proprie, quando bazzicavo i teatri d’opera, figuriamoci se posso ammetterli per uomini e donne di scienza alle prese con una materia delicatissima come il Covid.

Allargando il discorso, è ora di finirla col seminare zizzania, col dire e disdire, col cambiare le decisioni all’ultimo minuto, col fare casino nel casino. Si abbia il coraggio di prendere una linea di indirizzo e di andare avanti in base a quella, smettendola di creare incertezza e confusione nella gente già sufficientemente angosciata per ragioni sanitarie ed economiche.

Il governo Conte bis aveva adottato una (non) linea di intervento, preferendo rincorrere gli effetti del virus piuttosto che prevenirli, scegliendo, dopo una prima fase iniziale, un atteggiamento morbido per salvare capra e cavoli. Non biasimo, ma non credo sia la cosa migliore da fare. Il decisionista Draghi ci porti su un altro terreno, magari molto più aggressivo ed invasivo, ma volto ad ottenere qualche risultato concreto che ci consenta di respirare. Il discorso vale per le restrizioni comportamentali e per il piano vaccinale. Siamo nel caos totale ed è assolutamente necessario mettere ordine.

Lungi da me tentare di interpretare “dietrologicamente” le scelte operate da Mattarella e Draghi nella formazione del nuovo governo. Tuttavia mi viene spontaneo chiedermi: come mai proprio il ministero più teoricamente vocato alla tecnica ed alla scienza, vale a dire quello della sanità, è rimasto nell’area squisitamente politica? Non credo si sia voluto dare un contentino a Leu sulla pelle degli italiani, non voglio pensare che si sia inteso fare un piacere a Roberto Speranza togliendo speranza alla gente, non posso immaginare che si sia voluto sacrificare un ministero così importante sull’altare della continuità, né tanto meno evitare di ammettere errori ed omissioni del passato proseguendo nel solco tracciato dal precedente governo. Ritengo piuttosto che ci sia stata e ci sia l’intenzione di riaffermare il principio della titolarità delle decisioni spettanti alla politica, che quindi non può appiattirsi sulla tecnica, abdicare nei confronti della scienza e deve governare sintetizzando la complessità delle questioni da decidere. È curioso che un governo a valenza prevalentemente tecnica abbia fatto questa scelta in apparente contraddizione con la propria natura. Anche questa è una decisione sicuramente meditata e soppesata, che risponde all’esigenza di ridimensionare il ruolo di Cts e simili, costringendoli a chiacchierare e spadroneggiare meno e a lavorare di più.

Non voglio criminalizzare i tecnici addetti allo studio del fenomeno pandemico, ma chiedere loro discrezione, sobrietà, riservatezza e rispetto dei confini mi pare alquanto opportuno. Ormai credo che tutti abbiano capito la gravità della situazione, perciò non c’è bisogno di messaggi e dati choccanti, ma di consigli utili e praticabili.

E i media devono smettere di vomitare in continuazione opinioni in libertà: non è questo il loro mestiere. Non fanno altro che confondere le idee a tutti, inoculando in tutti la sensazione di impotenza e di catastrofe. La pandemia è diventata l’occasione per dare libero sfogo alle chiacchiere, una sorta di macabro gossip collettivo. Basta!!!

Uno statista in mezzo ai politicanti

Finalmente! Ho ascoltato con grande interesse e soddisfazione il discorso programmatico di Mario Draghi alle Camere. Mi è venuto immediatamente spontaneo considerarlo e definirlo come una lezione, non per astrattezza teorica, ma per il rigore etico-culturale che lo ha contraddistinto. Ha posto tutte le premesse per governare al meglio sulla scia degli insegnamenti provenienti dalla storia, con occhio attento alla drammatica situazione presente e con sguardo lungimirante proiettato verso il futuro.

Mi ha colpito la capacità di mixare passato, presente e futuro, senza snobbare le regole della politica, ma collocandosi una spanna al di sopra delle beghe che la stanno connotando. Non ha letto il libro dei sogni, ma ci ha fornito intenzioni concrete per poter sognare. James Freeman Clark, predicatore e teologo statunitense sosteneva provocatoriamente: “un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione; un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese”.

In questi giorni ho ascoltato piccate reazioni da parte di personaggi politici di lungo corso, irritati per la sottovalutazione del ruolo della politica, che la nascita del governo Draghi presupporrebbe. Il problema non è il ruolo della politica, il problema sono gli attuali politici, il cui livello qualitativo è a dir poco disarmante.  Ben venga quindi una scossa benefica alla classe dirigente dei vari partiti affinché ritrovino il bandolo della matassa.

Non ho trovato alcuna presunzione, ma tanta convinzione di agire per l’interesse supremo del Paese. Ha fissato i paletti, di merito e di metodo, del perimetro entro cui il governo si muoverà, tappando la bocca preventivamente alle polemiche di chi teme di perdere identità. Non ha invitato la politica a fare un passo indietro (lo ha già fatto per proprio conto in senso negativo), ma a fare un passo avanti nell’interesse di tutta la società.

Con rara capacità di sintesi ha toccato tutti i punti caldi dell’emergenza, della ripartenza e del riformismo, dando l’impressione di averli ben presenti, di avere l’intenzione di affrontarli e di avere in testa importanti linee di intervento. Prevedo che i ministri non potranno sgattaiolare e tergiversare: lo lascia sperare il loro livello qualitativo, ma anche il piglio decisionista e “controllista” del premier. Penso che il governo si confronterà col Parlamento, rispettandone scrupolosamente il ruolo istituzionale, ma senza dibattiti al buio e senza sottoporre ad esso provvedimenti raffazzonati ed incompleti.

I partiti, da parte loro, dimostrano tutto l’imbarazzo e, anziché riflettere ed impegnarsi in spirito di servizio, sono preoccupati di ricollocarsi nello schieramento politico e di conquistare e/o mantenere il consenso a livello elettorale. Le attuali mosse, a destra, sinistra e centro, risentono di questa ansia, che per la verità risulta oltre modo assurda se confrontata con l’ansia dei cittadini. Come si sa, sono i gatti che hanno la tendenza a segnare il loro territorio di competenza, lasciando dietro di sé uno sgradevole odore. Che non avvenga così per i partiti. Caso mai ci penserà la volpe-Draghi a scombinare i loro istintivi piani, anche perché non vedo cacciatori in grado di mandarla in pellicceria.

Durante il dibattito parlamentare sulla fiducia (di livello molto basso e preoccupante) abbiamo assistito ad una sorta di parziale parodia partitica alle spalle di Draghi: il M5S da una parte a fare il panegirico del governo Conte, Fratelli d’Italia dall’altra a fare risalire tutti i disastri possibili e immaginabili al governo Conte, i renziani dall’altra ancora a fare i draghiani più di Draghi; per i grillini il governo Draghi sarebbe troppo discontinuo rispetto al Conte bis, per i meloniani è in perfetta continuità con lo spregevole passato, per Italia viva è tutto merito di Renzi. Mah!

Credo che la gente, ragionando con la propria testa, abbia apprezzato l’incedere autorevole, impegnato, programmatico e sobrio di Mario Draghi. Se si fa confusione, la gente va in confusione, se si fa chiarezza, la gente comprende e segue con senso di responsabilità. Paolo VI sosteneva che la Chiesa non ha tanto bisogno di predicatori, ma di testimoni. Lungi da me l’intenzione di proclamare Draghi “santo subito”, ma anche la società civile è stanca di parole e desidera fatti da chi ha dimostrato di saperli fare.

 

I tecnici crescono…i partiti invecchiano

In prossimità del traguardo draghiano le forze politiche si sono scatenate in un balletto trasformistico per farsi trovare pronte all’appuntamento con l’esigente, imprevisto e distaccato sposo, il quale ha fatto buon viso a cattiva sorte, facendo finta di sposarsele tutte per un motivo o per l’altro.

Celebrato il finto matrimonio, con gli anelli nuziali consistenti in qualche ministero sganciato qua e là, con le promesse del recepimento di qualche novità risaputa, siamo arrivati al viaggio di nozze e le spose, dovendosi mostrare in tutte le loro bellezze, hanno cominciato a svestirsi e sono apparse invece e immediatamente le loro rughe deformanti.

È bastata una spiacevole ordinanza del ministro Speranza, che ha bloccato, improvvisamente ma giustificatamente, la riapertura degli impianti sciistici per scatenare la verve protestataria della Lega in nome degli interessi economici di cui si è fatta da tempo portavoce ante litteram. Ed è stato proprio il leghista ministro del turismo del governo Draghi a innescare la miccia e a fare fuoco, seppure indirettamente, contro la compagine di cui è parte integrante. Della serie al governo e all’opposizione, nel palazzo e in piazza, a favore e contro.

È bastata una stucchevole sbandierata femminista a mandare in crisi il partito democratico, reo di non avere piazzato donne nella sua quota ministeriale. Una buccia di banana? Direi proprio di sì, anche perché i problemi di questo partito sono ben più antichi e profondi. Rimedieranno con le sottosegretarie: xe pezo el tacon del sbrego.

È bastato il solito richiamo della foresta demagogica per spaccare in due Leu: da una parte libertà, dall’altra uguaglianza. In mezzo Roberto Speranza, ministro della salute, che ai mille grattacapi governativi dovrà aggiungere anche la spina nel fianco degli irriducibili sinistrorsi del caso.

È bastato un po’ di dieta ministeriale per mettere in crisi il M5S e far emergere l’inconcludenza grillina, nascosta sotto la farsa della piattaforma Rousseau. Vogliono rivotare on line, vogliono astenersi, vogliono votare contro. Ma facciano pure: da lôr a niént da sén’na…

È bastato il sacrosanto sgarbo al traballante Antonio Tajani, che, dopo aver fatto da penosa stampella a Salvini e Meloni, si è visto giustamente emarginato in un governo dove peraltro avrebbe potuto fare solo il ventriloquo di Draghi nei consessi europei, per creare imbarazzo e qualche mal di pancia in Forza Italia. Ebbene, qualche opportunista ha fiutato l’aria e, anziché riconoscere l’abilità di Silvio Berlusconi e Gianni Letta, ha pensato bene di passare armi e bagagli con gli scissionisti del gruppuscolo “Cambiamo”. Il cavaliere mi sta diventando sempre più simpatico…

Sono alcuni esempi della confusione in cui sono caduti i partiti nel dopo Draghi. È solo l’inizio! Sembrava scoppiata la pace. Quanto durerà la tregua? Il tempo di toccare con mano il bollente coacervo dei problemi veri e di smarcarsi conseguentemente per evitare scottature. Fosse per me, con una tale classe politica, Draghi diventerebbe premier a vita. Invece magari fra un annetto lo faranno presidente della Repubblica: promoveatur ut amoveatur. Dopo di che potranno riprendere le loro squallide manovre partitocratiche. A meno che Sergio Mattarella non resti al suo posto (chi avrà il coraggio di non rinnovargli l’incarico) e ci consenta di divertirci ancora un po’…

 

 

Il disperato pianto dei bimbi pentastellati

La solita questione dell’uovo e della gallina: è nata prima la crisi dei partiti che, per questa volta, sembra aver portato bene, cioè ha favorito il governo Draghi, oppure è nato prima il governo Draghi che ha messo a nudo la crisi dei partiti. È una domanda oziosa: una cosa è certa, vale a dire che i partiti sono, chi più chi meno, nella cacca. Non lo dico con piacere, anzi lo constato con grande preoccupazione e nostalgia, anche perché i tecnici non si potranno sostituire ai politici per sempre: sarà bene che i politici siano tecnicamente più preparati, ma dovrebbero avere un respiro ed una missione diversa.

L’esempio più clamoroso di questo cortocircuito sta nella crisi esistenziale del M5S: sono rimasti senza leader, senza strategia, senza tattica, senza voti, senza bussola. Nudi come Grillo li prese. L’antipolitica li ha letteralmente divorati e rovinati. Ne hanno politicamente combinate di tutti i colori, ma non è bastato a dare un senso alla loro azione. Hanno sposato cause giuste, ma le hanno mescolate nel torbido della loro impreparazione e inesperienza. Costretti ad abbandonare a malincuore la protesta, si sono disperatamente aggrappati al primo personaggio in grado di farli maturare sul piano della cultura di governo: dalla scuola materna all’università, da Grillo a Conte il passo è stato troppo lungo e, quando Conte è andato in buca, è rispuntato Grillo, ma forse era tardi perché oltre tutto c’era Casaleggio a complicare le cose.

Non è detto che l’inventore di una macchina sappia poi farla funzionare bene e utilizzarla al meglio. Beppe Grillo ha letteralmente inventato il M5S, lo ha continuato a guardare da vicino, poi si è un po’ allontanato e, quando è tornato a casa, il cordone ombelicale era stato reciso e non sono bastate due o tre comparsate, due o tre furbate a ripristinare il collegamento.

Mio padre fu costretto ad una lunga trasferta in Sardegna, poco dopo la mia nascita, per affrescare una chiesa in quel di Oristano, che gli consentì una esperienza, oltre che professionale, anche umana, molto interessante. Al suo ritorno però trovo una sorpresa: non lo riconoscevo più, lo rifiutavo e ci volle del bello e del buono a riprendere il rapporto padre-figlio. Grillo è tornato, ma se tornando non ha salvato il suo partito-creatura, “a niuno in terra salvarlo è dato” (Traviata, quarto atto).

Draghi lo ha capito, si è sforzato di sopportare le “magate” grilline, le ha addirittura recepite per quanto possibile, ha concesso un minimo di continuità e dignità alla presenza governativa pentastellata, ha pazientemente atteso che svolgessero i loro riti mediatici: non è stato sufficiente. I mal di pancia da tempo esistenti si stanno trasformando in una colica intestinale devastante: non so se si chiamerà scissione, certamente profonda crisi identitaria.

In un solo colpo sono venute meno la leadership, la strategia e la tattica. In questi casi ci si attacca alla storia, ma il grillismo non ne ha; ai valori, ma i pentastellati hanno solo dei contro-valori; al proprio glorioso passato, ma il M5S punta al futuro guardando le stelle. A questo punto non rimane altro che litigare, fare e disfare, votare e rivotare, buttarla in caciara. Non mi aspettavo che Grillo perdesse così in fretta il controllo della situazione. Mi ero accorto subito che tutto questo partito era Grillo e solo Grillo, ma pensavo che i bambini accettassero di stare attaccati al papà per un tempo più lungo, invece…

Effettivamente non hanno tutti i torti: Draghi li ha asfaltati. Cosa volete che faccia Luigi Di Maio, quale ministro degli Esteri? Il reggicoda di Draghi! E Federico D’Incà (Ministro per i rapporti col Parlamento), Fabiana Dadone (alle politiche giovanili), Stefano Patuanelli (Agricoltura)? I comprimari in un governo di primedonne! Quattro noci che fanno poco rumore nel sacco.

Sono arrivati al dunque. Quando non ce n’è, non se ne può spendere. Berlusconi voleva assumerli per fare le pulizie a Mediaset. Draghi è stato molto più elegante: li ha messi in fila, disposto a trascinarseli dietro. Non potevano sperare di più. Non ci si improvvisa: i grillini non hanno alcuna preparazione politica, non hanno esperienza professionale. Non basta gridare contro i poteri forti della politica e della tecnica. Tutto sommato, senza alcun gusto sadico, sono curioso di vedere come andrà a finire in Parlamento e nelle urne.

I ministri alla Baggio

Durante la seduta governativa di insediamento il presidente Mario Draghi ha rivolto un appropriato e pressante invito ai ministri: “Ora facciamo parlare i fatti”. Ciò risponde, a quanto pare, alla sua mentalità di cui sentivamo sinceramente molto il bisogno. Ottima partenza che dovrebbe inaugurare uno stile di governo sobrio e costruttivo.

Probabilmente presi dall’entusiasmo e dall’emozione del “primo giorno di scuola”, complici le sollecitazioni mediatiche, alcuni neo-ministri tecnici hanno immediatamente cominciato a parlare, rilasciando dichiarazioni, peraltro interessanti ed impegnative, che smentivano però sul nascere il desiderio del premier.

Il neo-ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha confermato la volontà del nuovo governo: “Tutti sui banchi e didattica sempre in presenza”. Bellissimo, ma sarà possibile con le arie che tirano a livello pandemico? Non credo che il precedente governo si divertisse a chiudere le scuole e/o ad incasinarle con il mix delle lezioni in presenza e al computer, quindi…lasciamo parlare i fatti.

Il nuovo ministro dell’Economia non ha voluto essere da meno affermando: “Per crescere servirà un nuovo fisco”. D’accordissimo, ma tutti i governi, più o meno, hanno programmato la riforma fiscale, salvo non farla o farla poco e spesso male. Meglio quindi…lasciar parlare i fatti.

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia ha detto: “Credo in una giustizia dal volto umano. Prescrizione? No ai processi infiniti”.  E chi crede in una giustizia dal volto bestiale? Forse chi rimpiange la pena di morte e vuole mettere i colpevoli in galera, come si suol dire, gettando via la chiave della cella. E chi preferisce processi lunghi, quasi interminabili? I colpevoli che puntano alla prescrizione dei loro reati e gli innocenti che non si fidano dei giudici e preferiscono evitarne il giudizio. Meglio quindi…lasciar parlare i fatti.

Mi sia consentito riportare un piccolo episodio con protagonista, come spesso mi succede, mio padre, davanti al video, alle prese con una delle solite vuote interviste propinate ai fanatici del pallone. Parlava il nuovo allenatore di una squadra, non ricordo e non ha importanza quale, che ottenne subito una vittoria ribaltando i risultati fin lì raggiunti. L’intervistatore chiese il segreto di questo repentino e positivo cambiamento e l’allenatore rispose: “Sa, negli spogliatoi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo vincere”. Non ci voleva altro per scatenare la furia ironica di mio padre che, scoppiando a ridere, soggiunse: “A s’ capìssa, l’alenadór äd prìmma, inveci, ai zugadór al ghe dzäva äd perdor”.  Tutto chiaro sul ruolo dell’allenatore? Mi sembra proprio di sì. I trainer padre eterni sono serviti, i meno fortunati sono risollevati. Il discorso però si può tranquillamente allargare anche ai nuovi ministri, pur senza troppo scetticismo nei confronti del loro sacro ardore iniziale e sperando che, come dice il famoso proverbio, “il buon giorno si veda dal mattino”.

Così mentre, stando alle cronache, i ministri politici hanno tenuto piuttosto chiusa la bocca, i ministri tecnici non hanno resistito alla tentazione, nonostante il richiamo del premier di attenersi ai fatti. Auguro loro di non cadere nella tentazione in cui cadde Roberto Baggio alle prime apparizioni nella nazionale di calcio? Ogni volta che entrava in possesso del pallone si sentiva in obbligo di effettuare una giocata straordinaria (un colpo di tacco, una acrobatica rovesciata, un palleggio insistito, etc.), che nell’economia della squadra rendeva poco. Il grande e meritatissimo consenso che si è creato attorno ai tecnici prestati alla politica non vorrei che li costringesse psicologicamente alla profezia continua (che non è più profezia).  E chi sono io per criticare i nuovi ministri? Aspettiamo i fatti…

 

 

 

 

 

Premiata forneria Mattarella-Draghi

Nel baseball ci sono le battute che buttano la pesante pallina fuori dal campo, facendo incetta di punti, e ci sono le battute di sacrificio, vale a dire quelle che, pur eliminando il battitore, consentono alla squadra di fare qualche passo avanti e magari mettere a segno un punticino.

Formando il nuovo governo, Mari Draghi ha agito su due piani: quello economico finanziario, giocato all’attacco sul piano tecnico e piazzato direttamente e rigorosamente sotto il suo controllo; quello squisitamente politico, giocato in difesa, lasciato ai rappresentanti dei partiti, senza dimenticarne il peso parlamentare, ma anche senza troppa fiducia nella loro capacità di intervento.

Abbiamo tutti presente quanto succedeva in famiglia allorché si dovevano discutere importanti questioni. Gli adulti, coloro che avevano voce in capitolo, si isolavano in una stanza per non essere disturbati e i bambini si mandavano a giocare in cortile con la raccomandazione di non fare confusione e soprattutto di non litigare. Mattarella e Draghi hanno agito così con i politici: non è il massimo dei risultati ottenibili, ma, tutto sommato, è la migliore soluzione realistica, un autentico capolavoro inattaccabile da tutti i punti di vista.

Confesso di essere rimasto parzialmente deluso: avrei desiderato la luna draghiana, mentre mi si è presentata la nuda terra in cui dobbiamo cercare di vivere al meglio. Forse il presidente Mattarella, se avessi la possibilità di parlargli, mi taciterebbe con la stessa battuta detta a Massimo Giannini, direttore de La stampa: “Io faccio il pane con la farina che mi forniscono gli elettori italiani”. In effetti i cittadini italiani alle elezioni del 2018 hanno combinato un casino pazzesco, creando una situazione senza vie d’uscita e mettendola nelle mani di Mattarella. Della serie: “Va’ avanti ti ch’am scapa da ridor”. Lui ha fatto i miracoli, ma più di tanto non ha potuto fare. La politica italiana, e non solo italiana, è quella che è e bisogna prenderne atto con sano realismo, senza fare ulteriori danni.

Mattarella e Draghi hanno optato per una battuta di sacrificio, sperando nei fuori campo dei tecnici: hanno registrato la presenza dei partiti, li hanno formalmente accontentati, spartendo fra di loro, con grande e quasi sadica abilità, il misero bottino ministeriale a loro rimasto, tacitandoli nelle loro assurde pretese, senza pretendere di metterli alla porta. I partiti capiranno la lezione? Ho i miei dubbi. Avrei preferito che fossero messi dietro la lavagna, invece li hanno messi nei primi banchi a imparare la lezione dai tecnici collocati in cattedra.

Evidentemente si è ritenuto che lasciare la politica completamente fuori dalla porta potesse essere rischioso per la democrazia e per il governo. Ne prendo atto con una punta di delusione, ma con tanto rispetto per chi ha deciso così. Non mi piacciono le cose poco chiare, perché temo che alla lunga non reggano e creino equivoci e difficoltà ulteriori. Forse però, a ben pensarci, si tratta del compromesso ai più alti livelli possibili nella situazione attuale. Draghi avrà sotto il suo diretto controllo tutto il discorso del rilancio economico-sociale del Paese in aderenza al discorso europeo e si limiterà a indirizzare il resto.

I partiti sono stati coinvolti, ma non troppo; i loro rappresentanti a livello ministeriale sono stati scelti nel segno dell’europeismo, di un minimo di continuismo e di protagonismo e di un massimo di disponibilità alla collaborazione. Sarà bastato? Basterà? Vedremo.

Nel frattempo buon lavoro a tutti. In primis a Draghi ed ai “suoi tecnici” e, perché no, anche ai politici affinché sappiano svolgere al meglio il loro ruolo a livello ministeriale e parlamentare. Un grazie di cuore al “fornaio di lusso”, che ancora una volta è riuscito nell’impossibile impresa di fare il pane con una farina politica piuttosto balorda. L’impegno di tutti è a coltivare frumento di migliore qualità per raccogliere del buon grano, evitando possibilmente che, dai e poi dai, la farina vada in crusca.

 

Il sentiero politico dei passi perduti

L’art. 49 della Costituzione Italiana dice che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.  Nel nostro Paese, quindi, lo strumento politico per eccellenza è costituito dai partiti, altre scorciatoie non sono previste e consentite.

Alcuni commentatori affermano drasticamente che il nascente governo Draghi certifica un vero e proprio default del sistema partitico. Sarei cauto per il suddetto motivo risalente al dettato costituzionale, ma anche perché abbiamo vissuto altri momenti in cui la politica ha sofferto gravi crisi di credibilità (si pensi a tangentopoli: sembrava che tutto dovesse crollare all’infuori della Magistratura e della Chiesa).

La politica sta vivendo un periodo di grave carenza a livello di classe dirigente: la fine della cosiddetta prima Repubblica ha segnato il tramonto della classe dirigente sostanzialmente nata dalla Resistenza e formata nonché selezionata dalle due scuole fondamentali, vale a dire la Chiesa cattolica (l’Azione cattolica in particolare) e il partito comunista. Da allora, eravamo all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, non si è riusciti ad effettuare un vero e proprio ricambio: l’avvocato Gianni Agnelli disse che sarebbero occorsi trent’anni per rifare una classe dirigente. I trent’anni sono passati, ma la politica è tuttora orfana di dirigenza all’altezza del compito. Ci sono stati alcuni tentativi miseramente falliti. Mi riferisco ai fenomeni personalistici e leaderistici di berlusconismo, dipietrismo, leghismo, renzismo e grillismo. Non hanno portato a niente di conclusivo e definitivo. La situazione è addirittura progressivamente peggiorata, accentuando il senso di inadeguatezza dei politici di fronte alle reiterate crisi economico-sociali fino ad arrivare all’esplosione dell’emergenza pandemica.

Il nascituro governo ideato da Sergio Mattarella e presieduto da Mario Draghi, si basa sull’ultimo dei giusti della scuola buona della prima Repubblica e sul migliore esponente dell’attuale dirigenza a livello civile. Da una parte, in un certo senso, viviamo dei migliori ricordi, dall’altra andiamo a prestito dalla scuola viva proposta dalla società. Il presidente della Repubblica appare come l’ultimo baluardo istituzionale, l’ex governatore della Bce rappresenta la premessa per il futuro europeista del Paese. Meno male che i due personaggi si sono incontrati e ci stanno aiutando a rimetterci in sesto.

Se non è default partitico, è certamente crisi grave e profonda del sistema politico. E i partiti? Hanno due strade davanti: quella della ricerca o del recupero di una identità valoriale, dell’avvio di un processo di formazione e selezione della loro classe dirigente, dell’elaborazione di risposte compiute ai problemi della società in grave sofferenza; in alternativa c’è la strada del tirare a campare, facendo i pesci in barile, convertendosi strumentalmente al nuovo che avanza, vivacchiando sul niente o rifiutando tutto. Le prime avvisaglie non sono molto confortanti: i partiti hanno nei confronti del governo Draghi un atteggiamento superficiale, difensivo, rinunciatario, attendista. Lo vivono come una sorta di breve pausa alla fine della quale si potrà tornare a fare i propri comodi: guai se tutto finisse con la salita al Quirinale di Draghi, con la ripresa della bassa politica, col ritorno ad occupare gli spazi momentaneamente ricoperti dai migliori esponenti della società civile costretti a rientrare frettolosamente nei ranghi.

Si è visto però qualcosa di peggio, vale a dire strumentali, opportunistiche e sorprendenti “capriole” ideologiche e politiche, un circo del peggior trasformismo buttato in faccia alla gente tanto per sopravvivere e stare al passo coi tempi: chi più (vedi l’europeismo d’accatto della Lega), chi meno (vedi i valzer degli accordi politici fatti dal M5S), chi in chiave dorotea del mantenimento del potere (vedi il PD in ascolto perenne dei richiami provenienti dalla propria disastrata foresta), chi in chiave meramente elettoralistica (vedi l’isolazionismo patriottico dei Fratelli d’Italia).  Sono alcuni impietosi esempi di una classe politica appiattita su se stessa in posizione ostruzionisticamente difensiva. Tutti guardano e giudicano le pagliuzze negli occhi degli altri e trascurano le proprie grosse travi.

Al di là dei ministeri ricoperti da tecnici puri e duri, da tecnici di area, da politici di primo piano, da politici più o meno esperti, resta la necessità che la politica faccia un passo indietro, piuttosto deciso e lungo (per il tempo necessario a revisionare la macchina se non a sostituirla), non per uscire dal campo (mancherebbe altro…), ma per prendere la rincorsa verso un rientro riveduto e corretto. Una bella pausa di riflessione, coperta degnamente da chi non fa politica per mestiere, ma è capace di fare il proprio mestiere.

Movide e clochard

Non è un discorso nuovo e non è un episodio isolato. I clochard, dappertutto ma soprattutto nelle vie del centro, danno fastidio. Puzzano, sporcano, importunano i passanti, compromettono il decoro delle città. E non è la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima in cui solerti vigili urbani li rimuovono. A Torino si è trovata la scusa della loro falsa povertà. C’è sempre una scusa per voltarsi dall’altra parte, per far finta che i problemi non esistano, per creare un alibi alla nostra indifferenza.

In questo periodo poi abbiamo altro a cui pensare per abbassarci a considerare queste persone, costrette per necessità o indirizzate per scelta alla vita randagia. Ebbene, Voglio proprio restare in tema di pandemia, prima di toccare questioni di carattere ideologico o  infilarmi in diatribe di ordine sociale.

Sono più nocivi, dannosi, ingombranti e pericolosi i puzzolenti clochard o i profumati giovani delle movide? Non sarebbe meglio distogliere i vigili urbani dalla “lotta” ai poveracci per utilizzarli nella sorveglianza contro gli assembramenti giovanili da maniacale e stupida movida? E non mi si venga a dire che i giovani hanno bisogno di socializzare e quindi è meglio lasciarli sfogare in queste innocue manifestazioni? Non la si butti in sociologia spicciola e datata, tirando fuori l’argomento della mancanza di punti di riferimento per i giovani a livello famigliare e sociale. Non facciamo del giovanilismo compensativo rispetto ai veri problemi che riguardano le nuove generazioni a livello scolastico e lavorativo. Se proprio qualcuno deve essere sloggiato dalle vie del centro, propendo per l’eliminazione delle movide piuttosto che per la rimozione dei “barboni”.

Mi rammento dell’intenzione manifestata parecchi anni or sono dall’allora ministro degli Interni, il socialista Giuliano Amato: voleva fare la guerra agli accattoni…con tanto di decreto ad hoc. L’acuto ed implacabile giornalista Marco Travaglio gli ricordò come forse fossero più gravi i suoi trascorsi craxiani, a servizio dell’accattonaggio tangentaro del socialismo italiano. Amato incassò e lasciò perdere.

In certe città il regolamento di polizia urbana, nella foga di ripulire la città e di abbellirne il volto, finisce col fare di ogni rifiuto un fascio, mettendo all’indice mozziconi di sigaretta, sacchetti di spazzatura, affissioni e volantini abusivi, deiezioni, latrati e guaiti canini, accattoni, parcheggiatori abusivi e potenziali clienti di prostitute su strada. Già in partenza non accetto che vengano messi rifiuti, animali e persone sullo stesso piano regolamentare e sanzionatorio. Suona velleitario, irrazionale e cinico il divieto per gli accattoni di sdraiarsi, sedersi, mangiare, bere o dormire in forma palesemente indecente, occupando con sacchetti, cartoni o altro il suolo pubblico. Attenzione, non stiamo parlando di rifiuti e nemmeno di animali: chi chiede l’elemosina è una persona che, fino a prova contraria merita rispetto e manifesta il bisogno di sopravvivere: ci saranno sicuramente tanti tipi di accattoni, dai disperati ai fannulloni, dai clochard ai rom, dagli immigrati ai disoccupati, ma dobbiamo vincere ogni senso di repulsione e sforzarci di vedere in essi una persona. Qualcuno non li vorrebbe vedere, qualcuno li vorrebbe espellere, qualcun altro li vorrebbe mettere in galera: li consideriamo come la vergognosa sporcizia da mettere sotto il tappeto, senza accorgerci che vergognosi siamo noi.

Mi sovviene un tratto follemente borghese e benpensante nel comportamento di una zia paterna: era gente povera ma voleva tener su le carte. Quando bussavano alla porta correva a nascondere la polenta: se era un ospite sconosciuto, il piatto rimaneva sigillato in dispensa, se si trattava di una persona nota e amica, la polenta poteva tornare tranquillamente in tavola con sollievo di tutti. Le apparenze erano salve! Non c’è da ridere, ci sarebbe da piangere. Con gli accattoni il discorso è analogo: la nostra società non li vuol mettere in mostra, li vorrebbe nascondere. La differenza sta nel fatto che mentre la polenta non grida e non gridava vendetta, i poveracci sì. Quindi danno fastidio, anche agli amministratori pubblici. Anche a certi preti. Ho visto monaci scacciare in malo modo accattoni appollaiati all’ingresso di una chiesa, ho visto preti altolocati gettare una monetina come si getta un osso a un cane, ho visto tanta indifferenza verso “i poveri cristi” da parte di chi in essi dovrebbe vedere Cristo. Ma lasciamo perdere…

Avevo premesso di non fare polemiche ideologiche e ci sono caduto. Resta comunque valido il discorso del raffronto tra movide giovanili e movide clochardiane. Non arrivo ai lanciafiamme ipotizzati dal governatore campano De Luca contro le stupide feste di laurea, ma non mi piacciono le maniere spicce verso gli accattoni e preferisco puntare sui giovani borghesi sfaccendati. Sono vecchio, lo so e non ho bisogno che qualcuno me lo ricordi!

 

Se Draghi gioca in casa…può vincere

Come volevasi dimostrare: se si supera la paradossale tempesta degli equilibrismi partitici e si comincia a parlare di problemi veri, ecco che il sereno rompe là dove la montagna dei problemi si staglia imponente. Finalmente sembra che Draghi abbia cambiato registro e, anziché ascoltare le sirene dei partiti, abbia messo la cera delle sue ali nelle orecchie per cominciare a fissare le priorità programmatiche del suo governo: fisco, giustizia e pubblica amministrazione. In esse vengono esaurientemente sintetizzati gli handicap della sua corsa e i difetti storici e cronici della situazione italiana, vale a dire, evasione fiscale, corruzione e mafia, inefficienza burocratica.

Inizio dalla burocrazia, autentica palla al piede nella vita del nostro Paese.  Come ho già più volte ricordato – il ripetersi è purtroppo un inequivocabile sintomo di vecchiaia, ma, a volte può essere utile – molto tempo fa il ministro della riforma burocratica Massimo Severo Giannini, un tecnico di alto livello prestato alla politica, dopo qualche tentativo andato a vuoto, vista la difficoltà al limite dell’impossibilità di cambiare le cose, diede le dimissioni preannunciando di voler emigrare negli Usa. Giustamente l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo rimproverò aspramente. Avevano ragione entrambi?! Il primo si arrendeva di fronte alla forza delle procedure e degli apparati burocratici, il secondo strigliava la politica incapace di superare gli apparati. È fuori di ogni dubbio che sul nostro Paese incomba una cappa burocratica che neutralizza e condiziona i legislatori, i governanti e i governati. Durante la mia vita professionale ho avuto frequenti rapporti con la pubblica amministrazione e purtroppo ne ho misurato tutta la lentezza al limite della pigrizia e tutta la resistenza conservativa al limite della difesa dei propri privilegi. Mario Draghi avrà il suo bel daffare, anche se conosce molto bene la montagna da scalare e dovrebbe saper individuare i giusti percorsi di aggiramento e di superamento.

Altro nodo è quello della giustizia: altre caste, altre inefficienze, altre incongruenze, altre contraddizioni. Toccare nel vivo della carne del sistema giudiziario non è facile, anche perché il discorso tende a bloccarsi su pregiudiziali ideologiche come lo scontro fra giustizialismo e garantismo. La lentezza della macchina giudiziaria è sicuramente una palla al piede. Mai come in questo campo però bisogna fare presto, ma anche bene. Un sistema giudiziario moderno e intraprendente è certamente uno strumento efficace, non l’unico, per la lotta alla corruzione e alla delinquenza organizzata. Quanto alla corruzione nella pubblica amministrazione amo ricordare la spietata e colorita analisi che del fenomeno faceva mio padre, il quale amaramente affermava, generalizzando provocatoriamente il discorso e fermandosi al livello territoriale più vicino: “Sic guardìsson déntor dabón, i van in galéra tùtti, dal sindich al comèss”.

Arriviamo al problema dell’evasione fiscale. Proseguo con mio padre, il quale non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Non era nemmeno un qualunquista e, politicamente parlando, aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Rifletteva ad alta voce di fronte alle furbizie varie contro le casse pubbliche: «Se tutti i paghison e i fisson col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…».  Forse l’evasione fiscale è il problema dei problemi ed è purtroppo una bruttissima caratteristica della nostra società, che si tarpa le ali da sola, pregiudicando alla fonte ogni e qualsiasi programmazione socio-economica.

Ho fatto soltanto rapidi e superficiali cenni per significare che questa è l’attesa verso Mario Draghi. Vada avanti per la sua strada: troverà difficoltà a tutti i livelli, ma riuscirà a riformare la nostra società, per lo meno ad avviare quelle riforme che dovrebbero consentirci di uscire dalle emergenze. Sono partito definendo il percorso di Draghi come una corsa ad handicap, termino ricordandone i vantaggi dovuti all’esperienza e alla competenza. La partita è quindi apertissima, ma va giocata sul terreno adatto, non quello, in trasferta, dei desiderata partitocratici, ma quello, in casa, del tessuto civile del Paese. Mentre ho temuto di vederlo soccombere rispetto alle velleità politicanti scatenatesi sulle pregiudiziali di metodo, ho fiducia di vederlo, nel merito dei problemi, sicuro e combattivo davanti alle barriere conservative, corporative e regressive che spunteranno ad ogni stormir di riforma.

 

 

 

 

Dai veti ai voti incrociati

Matteo Salvini che apre all’asse del Nord Giorgetti-Zaia. Evoca un governo «di tutti» e rilancia: «Non facciamo le cose a metà». La Lega se dirà sì vuole entrarci con suoi ministri, insomma: «Se ci siamo ci siamo, altrimenti diamo una mano dall’opposizione come nell’ultimo anno e mezzo».

Il nodo diventa questo. Draghi, dopo aver agganciato il M5S (Di Battista e piattaforma Rousseau permettendo) con Conte, Grillo e Di Maio cerca il dialogo anche con il partito-guida delle regioni più produttive, che governa in 14 Regioni. Operazione complicata, perché le politiche sovraniste di Salvini (che di suo non pone veti e non ne accetta) e anche le proposte fiscali e sull’immigrazione della Lega creano agitazione a sinistra. La delegazione di Leu pone a Draghi un problema di incompatibilità che, dopo le parole di Zingaretti di giovedì, il Pd rinuncia a porre esplicitamente. Tuttavia è Graziano Delrio a rimarcare ancora, dopo l’incontro: «Abbiamo dato un sì convinto a Draghi, ma è chiaro che un programma antieuropeista o con contenuti non coerenti con i nostri principi per noi sarebbe un problema».

Tuttavia di veti veri e propri nessuno ne pone più. Era stato Pierferdinando Casini a giudicare «ridicolo» che lo facesse il Pd, e ora che, per Leu, hanno riproposto la pregiudiziale i capigruppo Federico Fornaro e Loredana De Petris, è Stefano Fassina a definire un «grave errore» tenere fuori non solo la Lega, ma anche Fdi. «Se a destra fossero costretti a rivedere le loro posizioni per abbracciare l’europeismo di Draghi sarebbe una grande operazione», dice Bruno Tabacci, legato da antico rapporto con l’ex presidente della Bce.

Così commenta Angelo Picariello su Avvenire osservando come si stia passando dai veti ai voti incrociati. Un autentico miracolo draghiano o l’ennesima operazione trasformistica addosso a Draghi? Propendo per la seconda ipotesi. Avevo un’amica, la quale, ogni volta che la incontravo, a distanza di poco tempo mi confessava di avere cambiato religione: era una bravissima persona, ma le sue conversioni erano purtroppo solo operazioni psicologicamente utilitaristiche, che dimostravano la sua fragilità e la sua ricerca affannosa di ancoraggi esistenziali.

La conversione di Matteo Salvini sulla strada di Bruxelles mi fa sorridere del folcloristico personaggio e mi induce ad una grande pena per chi lo ha votato e probabilmente lo continuerà a votare. “Matteo, Matteo, perché mi perseguiti?” così avrebbe risuonato l’invito irresistibile di Draghi al leader leghista. E Matteo sarebbe caduto da cavallo e, dopo gli opportuni riti di iniziazione guidati dai padrini Giorgetti e Zaia, starebbe entrando a pieno titolo nella comunità europea, un tempo tanto perseguitata. Ma fatemi il piacere…

Tutto ha un limite. Avevo da tempo previsto che l’eventuale discesa in campo di Mario Draghi avrebbe potuto trovare il paradossale appoggio di un “ignobile connubio” tra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, anch’essi convertiti, uno ai propri affari economici e l’altro a quelli della propria immagine. Non potevo arrivare a pensare a Salvini, che pur di rimanere a galla, rinnega l’antieuropeismo spinto, che lo ha sempre caratterizzato, per diventare apostolo delle genti europee.

Capisco lo sbigottimento del partito democratico (o almeno di alcuni suoi esponenti, probabilmente i più seri e coerenti) nel vedere un simile gioco delle parti, che trasforma la politica da divertente circo a teatro dell’assurdo. A questo punto Mario Draghi dovrebbe andarci fino in fondo con la nomina di ben tre vice-presidenti del Consiglio: Silvio Berlusconi con delega alla lotta contro mafia e corruzione, Beppe Grillo con delega al rilancio culturale del Paese, Matteo Salvini con delega agli affari europei. Finora avevamo scherzato, adesso cominciamo a fare sul serio. È la politica, stupido!