Premetto che mi sento umanamente e cristianamente molto coinvolto dalla malattia del Papa, come se fosse uno di famiglia ed in effetti lo è come padre/fratello nella fede e nella Chiesa. Proprio per questo sono dispiaciuto che la sua sofferenza rischi di diventare segno di contraddizione per i sofferenti. Cerco di spiegarmi con il massimo della delicatezza.
La storica sera, in cui papa Francesco, appena eletto, si presentò, con atteggiamenti e simbologie rivoluzionari, sulla balconata di S. Pietro, ero davanti al video ed ero convinto che fosse successo qualcosa di grande per la Chiesa cattolica. Quella volta lo Spirito Santo era arrivato in tempo.
Pur tra qualche inevitabile tentennamento le premesse sono state ampiamente mantenute a cominciare dallo stile personale: la rinuncia a vivere nelle sacre stanze vaticane e la scelta della sobrietà di vita a partire dall’abbigliamento per arrivare persino ai mezzi di trasporto.
Come non vedere una sorta di suo sacrosanto imbarazzo all’interno delle fastose e interminabili liturgie, la distanza tra le sue parole cariche di ansia pastorale e i riti cinematografici da lui, suo malgrado, presieduti.
Arrivo all’attualità della malattia di papa Francesco col conseguente ricovero al policlinico Gemelli. Non è la prima volta che purtroppo succede. Sarò esagerato ma vedo qualche contraddizione. Un appartamento riservato, un’equipe di medici, una esagerata attenzione mediatica, bollettini medici a ripetizione che lasciano il posto addirittura a esibizionistiche conferenze stampa di supponenti medici: un esagerato complesso di attenzioni che stride con la crisi della sanità riservata ai poveri mortali. Non ho potuto evitare di scandalizzarmi al riguardo: c’è chi è costretto a rinunciare a curarsi e chi è curato in modo sfacciatamente privilegiato.
Sono sicuro che papa Francesco sarebbe d’accordo con me. E allora perché non rimanere fedeli a quello stile sobrio che è stato il filo conduttore del pontificato di Francesco? Non pretendo che il papa, come Gesù, non abbia dove posare il capo, ma auspico che abbia un trattamento come una qualsiasi persona bisognosa di cure ospedaliere.
Capisco le esigenze diplomatiche e procedurali della Chiesa-istituzione, le preoccupazioni in difesa della incolumità del papa, ma come sarebbe significativo che Francesco fosse ricoverato non dico su una barella al pronto soccorso in attesa di essere curato (come succede a troppi), ma come un qualsiasi ammalato più o meno grave, senza privilegi e senza corsie preferenziali. La semplicità nell’accompagnamento del suo precario stato di salute potrebbe giovargli anche sul piano della guarigione.
Santo Padre, perdoni la mia intransigenza, accolga tutto il bene che le voglio, le giunga la mia partecipazione alla sua sofferenza, le garantisco la mia indegna preghiera, gradisca i miei figliali auguri di pronta guarigione assieme a quelli di un ritorno alla meravigliosa sobrietà di vita. Sono sicuro che lei in cuor suo lo desidererà ardentemente alla faccia della “ragion di papa”, cercando di sentirsi vicino ai fratelli ammalati come ha sempre fatto.