La scoperta del bilancio caldo

Dopo una trattativa non facile, durata mesi, la Commissione europea ha aperto all’ipotesi di adottare una clausola di salvaguardia per le spese della Difesa. Una soluzione che avuto un precedente durante l’emergenza della pandemia Covid. Questa soluzione è stata proposta in più di un’occasione dall’Italia, sia attraverso il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia tramite il ministro della Difesa Guido Crosetto.

«Dovremo aumentare ancora una volta in modo considerevole questo numero – ha detto ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in occasione della Conferenza di Monaco -. Perché passare dal 2% a oltre il 3% significa centinaia di miliardi di investimenti in più ogni anno. Quindi, abbiamo bisogno di un approccio coraggioso. Posso annunciare che proporrò di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa». La scelta di attivare la “clausola di salvaguardia” per le spese della difesa va nella direzione di quanto chiede il governo italiano, che da tempo propone di scorporare le spese della difesa dal Patto di stabilità. Il segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, ha proposto di alzare l’asticella oltre il 3%. Ma arrivare al 3% del Pil per la difesa per l’Italia significa aggiungere 33 miliardi a quello che spende allo stato attuale. L’apertura di Bruxelles rappresenta comunque un passo in avanti, una prima boccata di ossigeno.

 Il nuovo Patto di stabilità, che conserva una forte impronta tedesca ed è in vigore da meno di un anno, è infatti un po’ meno rigido del precedente ma aumentare le spese militari per gli Stati membri ad alto debito resta complicato e politicamente rischioso. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha sottolineato in più di un’occasione che le regole Ue sui conti pubblici impediscono all’Italia di spendere per la difesa come vorrebbe. Occorre dunque alzare l’asticella senza mandare in affanno i conti pubblici. Anche perché il nuovo presidente Usa Donald Trump ha chiesto di portare al 5% il contributo all’Alleanza Atlantica. (ilsole24ore.com)

Scegliete voi se chiamarlo “uovo di Colombo”, “vittoria di Pirro” o “scoperta dell’acqua calda”. Questo è comunque il modo di non governare, di non scegliere e di non prendersi le proprie responsabilità. Dentro o fuori dal patto di stabilità, le spese militari sottraggono risorse a scopi diversi e certamente più raccomandabili. Siamo ad una sorta di artifizio contabile, al nascondere la polvere sotto il tappeto.

Da punto di vista della politica economica ci mettiamo nella prospettiva di una dilatazione del debito senza copertura e foriera di costi, che si scaricheranno inevitabilmente sui soggetti deboli dal momento che i soggetti forti puntano sì alle armi ma senza accollarsene il peso e lucrandone i demoniaci benefici.

Sul piano della politica internazionale l’aumento delle spese militari è il peggior modo per puntare alla pace: siamo in pieno “si vis pacem para bellum”. La Nato con le sue esigenze viene dopo i bisogni della gente che muore di fame. Donald Trump, se vuole perseguire la folle politica del riarmo, se la faccia in autonomia: l’Europa abbia il coraggio di andare per la propria strada, che tutt’al più si chiama esercito comune, con minori spese razionalizzate e unitaria strategia nella difesa comune.

Il nuovo presidente americano ha un pregio, quello di far emergere le contraddizioni: certo non è giusto succhiare la ruota militare statunitense all’interno della Nato, anche perché è una furbizia che sta in poco posto dal momento che gli Usa questi “piaceri” li fa pagare cari agli alleati in termini di sudditanza politica e, sempre più, di compensazioni economico-finanziarie (si pensi alla vergognosa idea di farsi rimborsare dall’Ucraina gli aiuti corrisposti col meccanismo perverso delle “terre rare”).

La Nato va rivista nei suoi compiti e nei suoi indirizzi. L’Europa si deve rendere maggiormente autonoma riappropriandosi, almeno in parte, delle prerogative delegate. Se pensiamo di risolvere i problemi accodandoci a Trump, non ne usciamo vivi.

Si dice che la prospettiva di un esercito comune a livello europeo sia un’utopia. È vero in mancanza di un minimo di unità politica non necessariamente coinvolgente tutti i partner. Sono perfettamente d’accordo con chi sostiene che nelle imprese non si comincia dal fondo, ma comunque bisogna iniziare e non rinviare all’infinito.  Uniti a parole e divisi nei fatti: questa sembra essere l’incoerente e inconsistente fede europeista. Le parole riguardano il patto di stabilità e la compatibilità dei bilanci considerati sommatorie di opinioni, i fatti concernono scelte di vero sacrificio per soddisfare i bisogni della gente. Partiamo dalla dimensione sociale della Ue e operiamo di conseguenza.

«La corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti» (papa Francesco nella sua Esortazione “Evangelii Gaudium).