«Ho appreso con vero sgomento quanto accaduto in via Coppino a Viareggio». Inizia così il commento dell’arcivescovo di Lucca monsignor Paolo Giulietti sul terribile omicidio consumatosi nella notte tra domenica e lunedì scorsi e costato la vita al 47enne di origine algerina Said Malkoun investito più volte da Cinzia Dal Pino imprenditrice locale 65enne. Impressionante soprattutto la dinamica dell’episodio criminale, immortalato da una telecamera di sicurezza. Vi si vede il Suv guidato da Dal Pino schiacciare l’uomo contro la vetrina di un negozio. A prima vista si sarebbe potuto trattare di un incidente dettato da imprudenza o distrazione. Subito dopo però il Suv aziona la retromarcia per investire ancora Malkoun altre tre volte fino a provocarne ferite mortali. A quel punto le telecamere inquadrano la donna scendere dalla vettura per recuperare la borsa che Malkoun le aveva rubato poco prima, per poi risalire in macchina e andarsene. Proprio lo scippo è stato alla base della reazione di Dal Pino che gestisce uno stabilimento balneare a Viareggio. «Quell’uomo mi ha minacciata con un coltello», avrebbe riferito la donna agli investigatori del commissariato di Viareggio e della squadra mobile dopo essere stata fermata con l’accusa di omicidio volontario. Ma accanto al corpo della vittima non è stata trovata alcuna arma. (dal quotidiano “Avvenire” – Riccardo Maccioni)
Davanti a questo inquietante fatto di cronaca mi è venuto spontaneo fare un azzardato collegamento con quelli riguardanti le azioni violente contro gli operatori sanitari. Il filo rosso che li collega potrebbe essere definito “quando la legittima difesa diventa legittima offesa”.
C’è una bella differenza tuttavia tra l’esasperazione di persone malate che vivono nell’indifferenza o nell’insufficienza delle strutture sanitarie pubbliche e quella di una persona che viene scippata e reagisce in modo a dir poco sconsiderato pur di recuperare il maltolto. Nei primi casi c’è in ballo l’incolumità personale messa a repentaglio da carenze sanitarie conclamate, nel secondo c’è la difesa del patrimonio dagli attacchi dei ladri.
Se, come già scritto nei giorni scorsi, mi sento di intravedere attenuanti psico-sociali riguardo alla violenza derivante dal profondo disagio delle persone quanto meno trascurate a livello sanitario, non riesco a trovarne per una violenza così brutale ammantata da legittima difesa (lascio che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza individuale scavi nel proprio intimo).
In tutti questi casi però chi governa ai vari livelli la nostra società dovrebbe fare parecchi “mea culpa”. Non si può infatti lasciare a se stessa la sanità sempre più incapace di assistere i malati, così come non si può continuare a seminare la zizzania dell’odio verso gli extracomunitari dipingendoli come potenziali delinquenti anziché sforzarsi di gestire in modo umanitariamente razionale il fenomeno migratorio.
Mi si dirà che il cittadino si sente indifeso rispetto alla delinquenza sempre più agguerrita ed aggressiva. Anch’io ad attraversare in orari serali certe zone cittadine mi sento psicologicamente in difficoltà, ma non penso che si possa reagire a questo disagio tollerando o addirittura incoraggiando la illegittima difesa o, se volete, l’eccesso doloso in legittima difesa.
Sono argomenti molto delicati che toccano la carne viva della nostra società. Stiamo bene attenti perché, così come si ipotizza e teorizza ante litteram la guerra giusta degli Stati aggrediti, si arriva a legittimare la difesa violenta di chi viene aggredito a livello sociale. Conclusione: la globalizzazione del far west.
E nessuno pensa ad impegnarsi per sgombrare almeno un po’ il campo dalle motivazioni che muovono aggressori ed aggrediti. La nostra è la società che vuole sempre risolvere a valle i problemi delle alluvioni, usando, come sosteneva mio padre, “j èrzon äd cärta suganta”.
Chiudo, tanto per alleggerire la tensione, con una barzelletta inerente la paradossale legittimazione della violenza. Un marito uccide la moglie. Al processo il giudice vuole capire il movente del delitto: «Perché avete ucciso vostra moglie con un ferro da stiro?». Al che l’imputato risponde candidamente: «Parchè l’era adrè ciapär ‘na brutta pìga…».