Un tempo (quando ero giovane e pieno di entusiasmo) mi sarei sicuramente alzato in piena notte per seguire in diretta il dibattito televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Usa. Lo feci per molto meno, vale a dire per seguire la diretta radiofonica dello storico incontro di pugilato tra Benvenuti e Griffith.
Mi sto chiedendo se questo odierno mio forfait (non mi è passato infatti nemmeno dall’anticamera del cervello il pensiero di sacrificare due ore di sonno per visionare il duello tra Harris e Trump) sia dovuto all’inevitabile (?) logorio mentale intervenuto nella mia vita o anche e soprattutto a qualcosa d’altro.
Sono cambiato io, ma è ancor più cambiato il mondo e la politica che lo governa. Un mio amico sostiene candidamente di non ritrovarsi nel mondo attuale, di sentirsi come un pesce fuor d’acqua, di non riuscire assolutamente ad adattarsi agli schemi culturali e politici correnti.
Qualcuno dirà che si tratta di sintomi di incalzante vecchiaia: qualcosa di vero ci sarà, ma sono invecchiato io o è invecchiato il mondo al punto da non essere più seriamente vivibile?
Vengo al sodo: perché al sacrosanto schifo che mi provoca la sola visione di Donald Trump non fa riscontro una sacrosanta speranza ispirata dalla candidatura di Kamala Harris? Gli echi al duello televisivo non riescono a smuovermi da questa sorta di scetticismo globale: capisco che la vittoria di Trump sarebbe una autentica iattura, ma non trovo un po’ di fiducia nell’eventuale futuro targato Harris, se non quella di evitare il peggio.
Mi sforzo di individuare due motivi fondamentali. Il primo riguarda l’invecchiamento, speriamo non inarrestabile, della democrazia a livello di sistema: la personalizzazione esasperata della politica, che nulla ha da spartire col vero leaderismo, blocca la partecipazione critica e costruttiva ai processi decisionali. Il cittadino-elettore è diventato un corpo estraneo!
Il secondo è relativo al disordine mondiale tale da spegnere sul nascere ogni e qualsiasi luce in fondo al tunnel sintetizzabile teoricamente e concretamente nella guerra. In buona sostanza la situazione è tragica e non si vede chi possa invertirne la tendenza. Stiamo toccando il fondo e questo potrebbe essere persino un elemento positivo se si trovasse qualcuno che sapesse imprimere uno slancio di ripresa. Manca invece chi possa minimamente mobilitare le coscienze verso la rivoluzione del meglio che sconfigga lo status quo del sempre peggio.
Le penose e scontate schermaglie tra Harris e Trump non sono potenziali scintille capaci di incendiare qualcosa, ma soltanto le solite trovate mediatiche che non emozionano nessuno: una recita dal copione risaputo, ma dalle conseguenze sempre più drammatiche.
Non ho sentito una parola, non ho intravisto un concetto, non ho scovato un’idea che possa non dico convincermi, ma almeno emozionarmi. E la chiamano democrazia…
Questo scoraggiamento è ulteriormente alimentato dallo scetticismo, al limite dell’omertà, da parte dei governi occidentali cosiddetti democratici (Europa in primis): per loro sembra che questa o quello siano pari. Un cittadino qualsiasi può anche pensarlo, un governante no! Un po’ di spinta innovativa agli Usa potrebbe darla l’Europa. Ma esiste l’Europa?
“È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” (Winston Churchill, da un discorso alla Camera dei Comuni, novembre 1947).
Non mi basta la democrazia del meno peggio, anche perché il male è molto profondo e radicato nelle coscienze che dovrebbero essere nel frattempo diventate più democratiche.
E allora cosa farei se fossi un elettore statunitense. Sarei tentato di astenermi, ma non lo farei. Troppo alta la posta in palio. Mi turerei il naso alla Indro Montanelli e voterei Kamala Harris.