La contea di sinistra e il marchesato del Grillo

Stretta nella morsa di Giuseppe Conte, Elly Schlein vola a Bari decisa a reagire in prima persona all’attacco del leader di M5S. Il programma prevedeva il comizio a sostegno di Vito Leccese, che avrebbe dovuto contendersi con le primarie la candidatura a sindaco con Michele Laforgia (sostenuto dai pentastellati) e la segretaria del Pd non si lascia cambiare l’agenda. Un segnale chiaro all’ex premier: «Siamo qui a confermarti la nostra fiducia e il nostro supporto», dice a Leccese dal palco, al fianco del governatore Emiliano, di Angelo Bonelli e Antonio Decaro.

La leader del Pd nasconde la rabbia ma non la delusione. Non rinnega di aver lavorato «sempre per l’unità» che «altri hanno rotto» e anche stavolta avrebbe optato per una soluzione terza, che Conte ha respinto. La decisione dell’ex premier di sfilarsi dalle primarie insinuando sospetti sui dem comunque non le va giù. E lei è disposta a tollerare attacchi alla sua persona, «ma non alla nostra comunità». E ancora più chiara: «Forse chi ha iniziato a far politica direttamente da Palazzo Chigi non ha dimestichezza con il lavoro e lo sforzo collettivo della comunità, ma si deve avere rispetto, e far saltare le primarie a tre giorni dal voto è una sberla a chi si stava preparando per queste primarie, alle persone perbene che volevano andare a votare. Non è accettabile» anche perché «aiuta la destra», dice Schlein, che ringrazia Emiliano e Decaro per il loro lavoro in Puglia. (dal quotidiano “Avvenire” – Roberta D’Angelo)

È decisamente insopportabile questo continuo tira e molla tra PD e M5S. Non voglio fare l’equidistante a tutti i costi, ma vorrei evidenziare come questo stucchevole duello parta da presupposti sbagliati.

Comincio dal partito democratico, perché è un partito: ha una storia, ha, o dovrebbe avere, una sua identità, una sua base sociale di riferimento, dei presupposti culturali abbastanza precisi. Ragion per cui dovrebbe finalmente scegliere fra due atteggiamenti evangelici (apparentemente in contrasto far di loro), quello del “chi non è contro di me è con me” e quello del “chi non è con me è contro di me”.

A volte sembra prevalere l’uno, a volte l’altro. Non si può fare! O il PD ritiene che il M5S, nonostante tutto, sia un interlocutore valido e allora porta pazienza ad oltranza, perché una coalizione non è una “cotta” pregiudiziale e infinita, ma un rapporto di collaborazione tutto da costruire giorno per giorno, partendo da una base comune di valori, oppure considera i pentastellati un alleato tattico da prendere o lasciare a seconda dei casi e delle situazioni. Emerge invece un miscuglio di atteggiamenti con una continua drammatizzazione delle emergenze, una sorta di amore-odio, che non è bello proprio perché è “litigarello”, che disorienta gli elettori potenzialmente di sinistra e li spinge all’astensione.

Ma come succede in tutte le umane convivenze, i torti e le ragioni si intersecano e sono spesso ascrivibili a entrambe le parti. Vengo quindi al M5S, che non è un partito, che ha un leader piuttosto improvvisato, che pesca negli “anti” che stanno in poco posto e durano l’espace d’un matin. I pentastellati hanno la innata vocazione a rubare voti a destra e manca, ma finiscono purtroppo per rubarli solo a sinistra (soprattutto al PD) e per perderli in casa (?) propria. Sprecano intuizioni e posizioni interessanti (in materia di disarmo, di lotta alla povertà, di anti-corruzione etc.) sull’altare di un’ impossibile e improponibile egemonia pseudo-culturale che assomiglia molto a faziosità elettorale.

Ci sono i valori comuni da cui iniziare il discorso? A sinistra occorrono, pena il naufragio. A volte sembra di sì, a volte sembra di no. Se non si parte da questa ricerca non si va da nessuna parte. Ha perfettamente ragione Elly Schlein ad imputare ai cinque stelle una leadership proveniente da un’esperienza ondivaga di governo, peraltro molto discutibile nei presupposti e nei risultati. Dovrebbe però avere il coraggio di ammettere che anche la sua leadership non è molto radicata, preparata e storicizzata.

Da una parte il PD veda di rispondere alle provocazioni politico-programmatiche provenienti dal M5S e dall’altra parte il M5S veda di rispettare la comunità piddina dal punto di vista culturale, storico e territoriale. Su tutto incombe un certo non so che di precario e posticcio.

Siamo nel pieno di una competizione elettorale proporzionale, che sembra fatta apposta per spingere le forze politiche all’isolamento, oscillante fra la strumentalità propagandistica e la spinta alla finta identità. Il discorso europeo dovrebbe fare da collante invece finisce col fare da specchietto per le allodole.

Ci si divide bellamente sul territorio, laddove il PD si sente più forte (e lo è veramente) e il M5S soffre un evidente complesso di inferiorità sfogato a casaccio e spesso pretestuosamente.

Il partito democratico purtroppo si intende di fusione a freddo. Il M5S è specialista nella pesca di granchi politici.  Non vorrei che l’accordo finisse in una raffazzonata e litigiosa combinazione tiepida vomitata dagli elettori.