A destra un fischio di trombona, a sinistra un sibilo di trombetta

Come da copione, è stato il Pd a fare il primo passo chiedendo a Elly Schlein di candidarsi alle europee. Mentre Giorgia Meloni e Fdi si tengono stretto il vantaggio di potersi esprimere solo quando la prima forza di opposizione, e tutti gli altri, avranno fatto la loro scelta. Ma ormai la chiave che accende il motore del corpo a corpo tra le due leader è stata girata, ed è sempre più difficile che la presidente del Consiglio, a sua volta pressata dal proprio partito, si sfili.

Il fatto del giorno, innanzitutto. Tra malumori e obiezioni eccellenti, come quella espressa da Romano Prodi in tempi non sospetti, l’ipotesi di una candidatura di Schlein alle Europee, «con diverse sfumature», è stata ufficialmente avanzata durante la riunione della segreteria dem di ieri. Le proverbiali “fonti vicine” al Pd, direttamente riferibili alla segretaria, raccontano che «tutti» i componenti dell’organismo di partito «le hanno chiesto di candidarsi». Qualcuno spingendo per la formula tradizionale, ovvero da capolista in tutte le circoscrizioni. Altri chiedendole di essere sì presente ovunque, ma guidando la lista solo nella circoscrizione Nord-orientale, e mettendosi a servizio di altri nomi forti, anche esterni al partito, negli altri territori. Più cauti gli esponenti della minoranza dem, preoccupata sia dall’eccesso di “civismo” sia dall’eventualità che la segretaria «penalizzi altre candidature femminili». Tuttavia, la leader ha «preso atto» dell’invito, precisando che «prima di esprimersi» sarà necessario avere chiaro «l’impianto generale» delle liste. (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Iasevoli e Matteo Marcelli)

Da tempo lo scontro elettorale in vista della consultazione europea è impropriamente e scriteriatamente incentrato sull’eventuale contrapposizione fra le candidature pigliatutto di Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Sono quasi sicuro che andrà a finire così: purtroppo l’aria politica che tira è questa, vale a dire la più spinta delle personalizzazioni alla faccia dei contenuti, dei programmi e persino del rispetto dei ruoli istituzionali.

Giorgia Meloni non vede l’ora di “soubrettare” in Italia per sgambettare in Europa e viceversa: fiuta l’aria a suo favore e tende a sfruttarla al massimo, vuole incassare il dividendo maturato prima che sia tardi. Nel centro-destra non ha rivali, si colloca tra “niént pighè in t’na cärta” (Antonio Tajani) e “da lu a niént da sén’na…” (Matteo Salvini). Putost che niént (i suoi alleati di governo) è mej putost (la sua bella faccia tosta).

Per dirla con Norberto Bobbio, mentre la destra può limitarsi a fare discorsi di mera convenienza rispondente alla combinazione di interessi che la sostengono, la sinistra non può prescindere dai valori di riferimento fra cui spicca la partecipazione.

Cosa voglio dire? Al potenziale elettorato di destra non importa che Giorgia Meloni svolga il ruolo di parlamentare europeo con tutto quel che ne consegue a livello di equilibri politici, gli basta che riesca a “manellare” per difendere gli interessi dell’Italia in sede europea. Tra filo-europeismo ed euro-scetticismo a destra vince la mera difesa degli interessi nazionali a prescindere dal processo di integrazione europea. Non è un caso che, a livello di propaganda elettorale, di Europa parli solo (e male) Matteo Salvini, mentre Tajani si nasconde nel Ppe e la Meloni balla un po’ con tutti, cimentandosi in tutti i balli. Del Parlamento europeo non frega niente a nessuno: meno lavorerà, meno conterà e meglio sarà. Non è un caso che Giorgia Meloni guardi agli equilibri nella Commissione europea, disposta a flirtare con tutti, e si disinteressi di quelli parlamentari, aspettando di vedere cosa succederà per infilarsi nella combinazione giusta al momento giusto.

La sinistra non può permettersi questo lusso, ha un patrimonio ideale europeista da difendere e sviluppare, deve portare validi rappresentanti in Parlamento, deve proporre una visione e garantire un’azione conseguente. Ecco perché la candidatura onnipresente e sfuggente di Elly Schlein lascia il tempo che trova e rischia addirittura di essere controproducente di fronte ad un elettorato che chiede impegno nel palazzo e non chiacchiere di facciata.

Quanto al duello tra le due donne, dico la verità, non credo che interessi più di tanto al popolo della sinistra, sensibile alla soluzione dei problemi, per dirla in gergo operistico, alla musica e al canto e non allo scontro fra primedonne (ammesso e non concesso che le siano e che non le facciano soltanto).

Consiglierei quindi molta attenzione a non cadere nella trappola dei leaderismi a confronto. Oltre tutto, mentre Giorgia Meloni è purtroppo leader indiscussa del centro-destra, Elly Schlein non può considerarsi tale da nessun punto di vista. Il fatto che stia acquisendo attenzione e consensi non significa che incarni in modo convincente le aspettative di un elettorato molto critico e scettico. Credo che mantenga un suo spessore etico e politico l’obiezione ad una candidatura fine a se stessa e sganciata dall’effettiva partecipazione in prima persona alla vita istituzionale europea. A sinistra ho sempre sentito e visto molte perplessità sulle giravolte nelle candidature: mi sembra che prevalga a tutti i livelli la concretezza di chi esige impegno nel ruolo ricoperto senza sgattaiolare su altri ruoli da ricoprire.

Sono quasi certo di non votare il partito democratico alle prossime elezioni europee (mai dire mai…), tuttavia mi interessa come questo partito approcci l’Unione europea per i prossimi anni. O Elly Schlein è in grado di farsi promotrice di proposte, impersonificandole fino in fondo, sui punti cardine della politica europea, vale a dire ecologia, migrazione, pace, lotta alle povertà, difesa dei diritti delle persone, integrazione federale, etc. etc., spostando il suo raggio d’azione dall’Italia all’Europa, rinunciando al ruolo di segretaria e di parlamentare nazionale, altrimenti meglio che voli basso  e cerchi di scegliere programmi e candidature valide per l’Europa, lasciando perdere l’inutile sfida a Giorgia Meloni.

Ricordo che Valter Veltroni era arrivato a non nominare invano il suo competitor (Silvio Berlusconi): faccia altrettanto, lasci perdere, giochi in proprio, vinca o perda con la storia e nella storia della sinistra. Meglio perdere a sinistra che vincere scopiazzando la destra.