Nel primo giorno di tregua tra Israele e Hamas, ieri sono stati rilasciati i primi 13 ostaggi (4 bambini e 9 donne) e 39 detenuti palestinesi, nell’ambito degli accordi sul cessate il fuoco, che durerà 4 giorni. Oggi saranno rilasciati altre 13 persone, tra cui otto bambini. L’ospedale che ha accolto ieri gli ostaggi ha riferito che sono in buone condizioni di salute. Intanto Israele ha fatto sapere che ieri a Gaza sono entrati 200 camion con aiuti umanitari attraverso il valico di Rafah. Il presidente americano Joe Biden ha ventilato l’ipotesi sull’estensione della tregua. (dal quotidiano “La Stampa”)
Tutti hanno espresso moderata e dubbiosa soddisfazione alla quale non posso che associarmi. Personalmente però aggiungo un forte senso di rabbia. Perché prima di arrivare a questa tregua si è voluto sacrificare tante vite umane e provocare tanti lutti e distruzioni? Domanda retorica? La risposta la dava mio padre: “Quand as trata äd fär dil guéri ien tutt dacordi, s’as trata äd fär la päza i caton fôra un sach äd bàli”.
Gira e rigira dovranno pur trovare un modus vivendi, non potranno stare in guerra per sempre. Forse però preferiscono la guerra a spizzichi e bocconi. Per fortuna, almeno apparentemente, nessuno soffia più di tanto sul fuoco. A Joe Biden riconosco una insperabile moderazione nonostante il fiato sul suo collo da parte del folto e potente elettorato ebraico-statunitense: poteva certamente fare anche di più, lo faccia almeno adesso come ha lasciato intendere.
Anche il mondo arabo non dimostra entusiasmo per questo conflitto, persino gli iraniani, che generalmente non vanno per il sottile, sembrano in frenata. I cosiddetti moderati buttino acqua sul fuoco e provino a intromettersi positivamente magari senza fare troppo baccano, ma consapevoli che la questione palestinesi li riguarda e non li può trascinare nella rovina totale.
Mentre la responsabilità immediata dello scoppio di questa guerra è senza dubbio ascrivibile al terrorismo di Hamas, il suo protrarsi così a lungo ricade anche sul premier israeliano Netanyahu, colpevole di politiche pazzesche in pace e di reazioni sconsiderate in guerra. Possibile che gli americani non siano in grado di mandarlo a casa, considerata l’opposizione che incontra anche in Israele e in tutto il mondo compresi gli alleati occidentali? Possibile che nessuno riesca a portare alla ragione i palestinesi sottraendoli alla tentazione del ricorso al terrorismo? Possibile che non si rendano conto che la loro pur sacrosanta voglia di uno Stato indipendente e sicuro non può trasformarsi in una sorta di martirio strumentale a ben altri disegni di potenza araba? Possibile che non riescano a trovare un minimo di classe dirigente che li guidi? Possibile che l’Europa non possa svolgere un ruolo di pacifica intermediazione nell’interesse di tutti?
Se non si riuscirà a rispondere positivamente a questi inquietanti interrogativi, la tregua durerà ben poco, come del resto le parti in causa hanno già lasciato intendere. C’è una gustosa barzelletta in materia di pugilato. Un pugile suonato sull’orlo del ko torna all’angolo per riprendere fiato. I suoi secondi lo incoraggiano a proseguire il match che, a loro dire, sta andando bene. Al che il pugile incredulo chiede: “Ma allora si può sapere da dove arrivano tutte le botte che sto prendendo?”.
Può darsi sia così anche per israeliani e palestinesi. Forse si chiederanno se valga la pena continuare con la carneficina come vorrebbero i loro capi. Finirà la pausa, suonerà il gong e ci sarà qualcuno che avrà il buonsenso di gettare autorevolmente la spugna? Fino al prossimo match? No, per sempre!