I promessi sentimenti e le garantite aridità

C’è un passaggio, nel famoso racconto della conversione dell’Innominato, in cui la sola presenza di Lucia, vittima prescelta del male, suscita nell’uomo che le si contrappone un cambiamento radicale. Il suo corpo ferito e oltraggiato parla più delle parole.

L’Innominato «abbassò gli occhi, stette ancora un momento immobile e muto; indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva detto – è vero -, esclamò: “Perdonatemi!”». Rispondendo a ciò che non aveva detto. Quest’uomo che aveva impostato sulla violenza tutta la vita, riesce ora a comprendere anche il non detto. Una frase che mostra la via per accedere ad un profondo rispetto dell’altro: avvicinare e comprendere, cogliere, dell’animo, il detto ma anche il non detto. A questo dobbiamo ambire, a questo vertice di umanità dobbiamo far giungere l’uomo contemporaneo. L’Innominato non è un convertito perché impara ad andare a Messa. Capisce cosa si muove nel cuore di una persona, la guarda con occhi nuovi e la scopre in tutta la sua dignità. L’esatto contrario della cieca violenza che elimina ciò che non sa capire, che non vuole comprendere, che non parla e non ascolta, che non sa entrare in dialogo.

L’“alessitimia” è l’incapacità muta di dare parole ai propri sentimenti. La nostra società nevrotica, accecata dalla furia del movimento, del caos e del disordine, non sa accompagnare gli uomini a diventare capaci di fermarsi e cercare di dare parole al “guazzabuglio del cuore”. Di amore si vive, non ne possiamo fare a meno. Ma di amore si muore e si soccombe, anche. L’amore si trasforma nel suo contrario. «L’ho uccisa perché l’amavo» – fu l’assurda giustificazione che un uomo portò dopo il suo omicidio. Laura Pigozzi, nel suo volume Amori tossici, mette in guardia dall’«invocare la natura come guida dell’umano».

È necessaria una profonda educazione ai sentimenti, alle emozioni e alla capacità di gestirle, assecondarle o frenarle. Il maschio violento è un uomo per cui il mondo e la vita coincidono con la propria esuberante e immediata natura. Ciò che ci salverà, allora è la cultura di un “bordo” e di confini. La base solida di una rinnovata “scuola” sentimentale dovrà essere una sorta di “teologia del confine”. Come scrive Pigozzi, «l’amore è una questione di confini, di bordi che dovrebbero restare porosi, mobili, morbidi, e costituire il passaggio di ciò che nutre, come fa la membrana di una cellula». Bisogna imparare ad accettare e far emergere il valore di un “bordo”, nelle relazioni umane. Di un limite. Non è una barriera, il bordo, è un confine che chiama all’impegno e alla responsabilità di conoscerlo, prima di attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo senza calpestarlo. (dal quotidiano “Avvenire” – Riccardo Mensuali)

In un commento di qualche giorno fa al tragico fatto del femminicidio di Giulia Cecchettin ho riportato en passant quella che mi era sembrata quasi una boutade di Vittorio Sgarbi in materia di educazione sessuale nelle scuole. Sono rimasto colpito perché la sua provocatoria affermazione “filo-manzoniana” era in netta controtendenza rispetto allo snobistico scantinato in cui è relegato il romanzo de “i promessi sposi” ad opera del moderno culturame con la puzza sotto il naso.

Cosa affermava invece Sgarbi? Esprimeva un sacrosanto scetticismo nei confronti dello sbrigativo quanto superficiale toccasana rappresentato dall’introduzione dell’educazione sessuale fra le materie di insegnamento scolastico, aggiungendo come basterebbe insegnare ad apprezzare la cultura e l’arte per creare un freno alle degenerazioni maligne: il rapporto fra Renzo e Lucia ne “I promessi sposi”, opera letteraria che costituisce già materia di insegnamento, dovrebbe essere una fonte formativa ben più importante di un corso di lezioni psicologiche sui rapporti fra uomo e donna (ho citato a senso).

Ebbene la cosa mi ha incuriosito e sono riuscito ad approfondirla grazie a un articolo a firma Riccardo Mensuali apparso dul quotidiano “Avvenire”, che ho ritenuto di citare ampiamente e che rispecchia totalmente il mio pensiero riguardo alla delicata, direi sconvolgente, materia della violenza sulle donne.

Non avevo, nella mia crassa ignoranza, mai sentito parlare di “alessitimia” e in questa incapacità muta di dare parole ai propri sentimenti ho trovato lo specchio perfetto della nostra società, che pretende di interpretare e regolare i sentimenti prescindendo da essi e reagendo alla deriva valoriale con una sorta di vademecum perbenista da inculcare nel cervello delle persone.

O riscopriamo reciprocamente e coraggiosamente il “vertice di umanità” contenuto nei nostri più silenziosi sentimenti oppure rimaniamo imprigionati negli schemi della nostra società schizofrenica, che vuol guarire senza mettere mano al “guazzabuglio del cuore”.

Perfino nei rapporti condominiali ho la tendenza a far prevalere le ragioni del cuore su quelle più o meno violente della contrapposizione degli interessi personali, al punto da meritarmi l’ironico epiteto di “poeta immobiliare” e da mettere i condòmini su pericolose piste anti-economiche. Ragion per cui negli ultimi tempi mi rifugio vigliaccamente nella non partecipazione alle assemblee, preferendo i dialoghi personali in cerca del “cuore” condominiale.

Sì, perché la ricetta del proprio cuore, aperto a quello degli altri, vale sempre e comunque ed è l’unico antidoto alla violenza. Non c’è regolamento condominiale che tenga, non c’è educazione al sesso che riesca a sgelare i cuori e a rimettere a posto anche i più delicati e vulcanici rapporti.

Ecco il motivo per cui ho apprezzato le acute osservazioni di Vittorio Sgarbi e andrò a rileggermi con tanta commozione la pagina manzoniana della conversione dell’Innominato e del miracolo di Lucia che, col suo sofferto silenzio, riesce a parlare e ad aprire il cuore del più cinico ed incallito dei delinquenti.