Delle vicende giudiziarie di Donald Trump, che stanno assumendo un’entità paradossale, non stupisce tanto la quantità e la qualità delle incriminazioni, quanto la disinvoltura con cui il mondo politico americano e l’opinione pubblica ne assorbono l’impatto.
Sembra (quasi) impossibile, ma le incriminazioni appaiono addirittura direttamente proporzionali al consenso degli elettori: più Trump rischia di essere condannato e di andare addirittura in galera e più gli americani gli concedono fiducia o, quanto meno, benevola attenzione.
Fatte le debite proporzioni e gli opportuni adattamenti storici, anche in Italia è successo qualcosa di simile rispetto alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi: entrambi si sono dichiarati perseguitati dalla magistratura e si sono appellati al popolo. E il popolo, per tutta una serie di motivi, ha creduto e crede più a loro che ai giudici.
Lo stesso partito repubblicano non riesce assolutamente a liberarsi dell’ingombrante ricandidatura di Trump, forse per mancanza di candidati alternativi, forse per paura di essere coinvolto in uno scandalo dalle dimensioni colossali, forse perché la politica si sta sempre più allontanando dall’etica, forse per la debolezza di Joe Biden e del partito democratico.
Se il sistema politica non trova la dignità e la forza per reagire, molto strano però risulta il comportamento dei cittadini statunitensi, che stanno dimostrando di essere un corpaccione amorfo totalmente incapace di reagire. Tutto considerato, sembrano dire, perso per perso, tanto vale affidarsi a Trump, che magari riuscirà, in qualche modo, a chiudere la guerra in Ucraina e proverà a mettere in riga la Cina.
Le ricette populiste e sovraniste di Trump sembrano resistere: incarna la peggior democrazia possibile, rendendola vincente sulla base di parametri inaccettabili ma necessari. Per la verità non è che in Italia siamo molto distanti da questa logica. Ci salva il sistema istituzionale articolato, che si insinua nel rapporto diretto fra cittadino e governo. Non è un caso se Giorgia Meloni continua a parlare di riforma istituzionale, presidenzialismo o premierato che sia, proprio per sottrarsi al gioco democratico e rispondere, in fin dei conti direttamente, all’elettorato sempre più disamorato, sfiduciato e fuorviato.
Fortunatamente la Costituzione italiana ha blindato la democrazia con un sistema istituzionale di pesi e contrappesi di cui è molto difficile liberarsi. Negli Usa hanno solo il disturbo della magistratura peraltro piuttosto asservita al potere politico, in Italia, volendo, abbiamo ben altre possibilità difensive. L’attuale governo sta puntando su alcune direttive: riformare, per imbrigliarla, la magistratura, condizionare e spadroneggiare il sistema mediatico, semplificare le istituzioni per rafforzare il potere esecutivo a danno di quello legislativo e giudiziario, togliere di mezzo direttamente o indirettamente la Presidenza della Repubblica nel suo ruolo di garante, incanalare la politica europea in modo omogeneo o comunque compatibile rispetto agli indirizzi italiani, puntare ad un atlantismo piatto e acritico, valido chiunque sia al governo degli Usa.
A ben pensarci si vogliono togliere di mezzo tutte le pietre d’inciampo su cui cadde Silvio Berlusconi. Donald Trump ha meno problemi. Assomiglia a Berlusconi e si prepara a tornare a galla alla grande: il dato fondamentale in comune è il mix tra politica e affari. Lo si vede chiaramente, ma si fa una certa fatica a combatterlo. Stiamo ben attenti, perché c’è in gioco la democrazia, quella vera, non quella dei giorni nostri.