La pulisìa l’è méz magnär

Eravamo a metà degli anni sessanta e frequentavo la classe terza dell’istituto tecnico commerciale. Un mattino l’insegnante di italiano e storia, uomo di grande carisma, di notevole capacità didattica e di esemplare dirittura morale, entrò in classe e trovò la cattedra piuttosto sporca. Si spazientì e chiese all’alunno più vicino alla porta di chiamare immediatamente il bidello perché venisse a dare una pulita. Dopo pochi secondi ritornò in classe il mio compagno con uno straccio in mano, che fece l’atto di dare una ripulita alla cattedra, ma fu immediatamente bloccato dall’insegnante che gli disse: «No, i tuoi genitori pagano le tasse e tu hai diritto di avere un servizio come si deve, chiedi che il bidello venga qua». Il bidello arrivò e venne bonariamente ma fermamente rimbrottato: «As manda un ragass a pulìr? In dò sèmmia?». Arrivarono le inconsistenti scuse, la pulizia venne eseguita da chi aveva il dovere di farlo, ci guardammo in faccia e capimmo che avevamo usufruito di una strana, ma efficacissima, lezione di educazione civica. Questo episodio quasi deamicisiano l’ho ricordato leggendo le cronache che riportano le iniziative sempre più numerose ed insistenti di gruppi e associazioni di cittadini impegnati volontariamente nel ripulire strade, piazze, giardini, monumenti e muri (quelle spontanee e non quelle promosse polemicamente e provocatoriamente da partiti politici).

Succede in molte città, complice l’inadempienza degli enti preposti, la mancanza di fondi, la maleducazione di troppi, l’incuria generale. L’impegno di questi numerosi volontari ha sicuramente un valore civico, un significato educativo, una portata culturale che va al di là del risultato concreto, peraltro ragguardevole, del recupero del decoro ambientale.

La città capitale d’Italia al riguardo è emblematica: l’emergenza rifiuti torna spesso d’attualità con i cumuli di spazzatura nelle strade, con il ping-pong di responsabilità fra gli enti pubblici interessati, con gli impianti incapaci di smaltire l’immondizia, con la raccolta differenziata che è lungi dal risolvere il problema dello smaltimento regolare ed ecologicamente corretto.

Se fossi il sindaco o l’assessore all’ambiente o il presidente dell’ente incaricato della nettezza urbana, proverei vergogna, ma ormai tutti hanno la scusa pronta: il governo chiama in causa le regioni, le regioni buttano la palla ai comuni, questi sostengono che l’impiantistica sia una competenza regionale, i comuni poi hanno scarsità di risorse e   delegano questi servizi ad enti ad hoc, l’assessore aspetta l’imprimatur della giunta, la giunta attende l’approvazione del bilancio preventivo, il direttore dell’ente preposto aspetta l’arrivo di nuovi mezzi tecnici e la possibilità di assumere nuovo personale, i sindacati indicono scioperi perché i lavoratori, per la scarsità degli addetti, sono costretti a orari pesanti, etc, etc. Tra l’altro queste nuove società miste pubblico-privato, che gestiscono i servizi di nettezza urbana, di raccolta rifiuti, di manutenzione del verde, hanno livelli tali di autonomia da essere ormai fuori dalla portata dei comuni. Un tempo, come diceva un ex-amministratore di una azienda municipale, il sindaco, se vedeva una strada sporca, un quartiere degradato, poteva sollevare il telefono e chiedere conto. Oggi ci sono i manager, specialisti nel quadrare i bilanci in un modo molto semplice, prestare servizi carenti a fronte del pagamento di utenze sempre più costose.

Così i cittadini pagano le tasse comunali e i compensi per determinati servizi e poi, se vogliono che il loro quartiere o i giardinetti sotto casa godano di un livello accettabile di pulizia, alla domenica prendono una ramazza e un sacco per raccogliere le immondizie e vanno a fare gli straordinari.

È opportuno che, di fronte alle evidenti difficoltà dell’ente pubblico a soddisfare l’esigenza di certi servizi, la società faccia di necessità virtù e si candidi a gestire alcune fasi più scopertamente bisognose di risposta in un proficuo rapporto di collaborazione pubblico e privato: questo è il principio di sussidiarietà, che dovrebbe però trovare applicazione istituzionale, contrattuale ed economicamente onerosa, altrimenti diventa un arrangiarsi vero e proprio ed un mero sostituirsi a chi dovrebbe svolgere un compito e butta la spugna perché non è in grado di farlo. Una scelta di comodo da parte dell’ente pubblico, che approfitta della disponibilità dei cittadini.

Credo che questi interventi spontanei abbiano e debbano avere anche e soprattutto lo scopo di provocare e diffondere il senso civico nei cittadini e la responsabilizzazione nei pubblici amministratori. Io sarò legato a schemi superati, ma non penso che ci si possa illudere di risolvere così i problemi e forse nessuno coltiva questa illusione. Ammiro chi si impegna mentre io faccio chiacchiere, sono convinto che tutto sommato possa essere la miglior forma di protesta-proposta. Attenti a non cadere nell’esibizionismo ambientale, nel volontariato una tantum, nel velleitarismo civico. Qualcuno parla e scrive di “un immenso cantiere di cittadinanza attiva, che racconta un’Italia solidale fatta di famiglie, ragazzi, pensionati, decisi nel loro piccolo a salvare il mondo”. Mi sembra un quadro idilliaco e francamente un po’ esagerato, ma ben venga chi si impegna, chi considera che “la pulisìa l’è méz magnär”, purché…qualcuno non speculi sulle pulizie fatte gratis dall’esercito dei volontari.