Non sono mai stato un massimalista, ma in questo periodo mi accorgo di esserlo ancor meno. Ogni pretesto è buono per scatenare immediatamente la caccia al traditore. Mi riferisco alla bufera nominalistica scatenata sul capo del ministro dell’Interno Minniti, reo di fare il proprio mestiere cercando di garantire un po’ più di sicurezza ai cittadini che sono o si sentono insicuri e soprattutto reo di avere affermato che una politica di sinistra non è affatto in contrasto con il perseguimento da parte dello Stato di obiettivi garantisti a favore dei soggetti psicologicamente, socialmente ed economicamente deboli (i forti si difendono da soli oppure hanno chi li difende).
Si tratterebbe di una deriva destrorsa, di una maldestra e strumentale rincorsa rispetto ai cavalli di battaglia populisti e leghisti. Non capisco perché se un ministro cerca di mettere un po’ di ordine nelle città, se tenta di regolamentare le strutture di accoglienza degli immigrati, se punta a rendere più vicine le strutture pubbliche alla gente per vincere le ansie e le paure dei cittadini, debba essere considerato un perbenista deviante che vuole solo catturare consenso cavalcando gi egoismi delle persone. Potrà prendere provvedimenti più o meno incisivi ed efficaci, potrà commettere errori, potrà sbagliare qualche colpo, ma sinceramente non vedo alcun tradimento rispetto ai valori ed agli ideali della sinistra politica e sociale.
Marco Minniti si sta impegnando al massimo, sta cercando di lavorare con grande impegno in un campo delicato e problematico: lasciamolo lavorare in pace, critichiamolo pure, ma non buttiamogli addosso questi scrupoli tipici di una sinistra massimalista ed inconcludente di cui i cittadini deboli e in difficoltà non sanno di che farsene.
L’ultimo conato di vomito da massimalismo acuto è stato sfogato sulla presidente del Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani, esponente di spicco del Partito Democratico, se non vado errato vice-segretaria fino a qualche giorno fa. In occasione di un tentativo di stupro subito da una ragazza di Trieste ad opera di un richiedente asilo ha scritto: «La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese».
Da sinistra, e non solo, gliene hanno dette di tutti i colori: parole incivili e razziste. Ha dovuto precisare il suo pensiero, peraltro molto chiaro, ragionevole e serio. Ha infatti aggiunto: «Non esistono stupri di serie a e di serie b. Sono tutti atroci. In questo caso all’atrocità si aggiunge la rottura del patto di accoglienza. Cose di buon senso, anche se scomode. La violenza è sempre da condannare senza colore e graduatorie, ma un richiedente asilo instaura un rapporto di fiducia con chi lo accoglie. Oltre alla vittima, della quale ci si dimentica sempre, vengono traditi gli altri richiedenti asilo e tutti quelli che si battono per l’accoglienza».
Vorrei che i tanto fervorosi e intolleranti esponenti della sinistra mi spiegassero cosa c’è di strano e di scandaloso in questo ragionamento. Ormai tutte le occasioni servono per giustificare la recente fuoruscita dal Pd. Su ogni argomento si alza la cortina fumogena di Bersani e c. per lanciare scomuniche e fare la sinistra prova del nove a chi ha il coraggio di esprimere proposte e giudizi in assoluta buona fede. Persino qualche esponente dem ha avuto qualcosa da ridire (la violenza non si pesa); il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha perso una buona occasione per tacere (Serracchiani ha sbagliato).
Pensate se fosse possibile fare un processo politico pubblico per vedere se sia più di sinistra Debora Serracchiani o Giuseppe Sala. Ne sentiremmo e vedremmo delle belle.
Il giudizio più profondo (?) viene però dal capogruppo di Mdp alla Camera, Francesco La Forgia, che parla dello “scivolamento di un intero Paese sul piano della civiltà”. Semplicemente pazzesco.