La pena di morte non ha scadenza

Lo stato dell’Arkansas (Usa) sta facendo una corsa contro il tempo per riuscire ad eseguire alcune condanne a morte (tre già eseguite in questi giorni) prima della scadenza del farmaco utilizzabile allo scopo, che, tra l’altro, provoca inutili, crudeli e inaccettabili sofferenze al condannato.

La vicenda ha parecchi significati. Prima di tutto assume il rilievo di una macabra farsa o di una tragicommedia: la corsa ad eseguire una condanna a morte per futili motivi farmaceutici, quasi che una volta scaduto il farmaco il condannato si dovesse considerare automaticamente graziato.

In secondo luogo abbiamo il persistere di un istituto incivile, quale la pena di morte, nella legislazione di Stati sedicenti democratici: non è un caso che la Corte Suprema degli Usa, dopo la nomina di un giudice scelto da Donald Trump, tramite la quale si è configurata una maggioranza di destra all’interno del massimo organo costituzionale americano (in spregio al principio democratico della separazione dei poteri), abbia sbloccato queste esecuzioni, che da tempo venivano rinviate per motivi giudiziari (riapertura del processo) o per motivi umanitari (sofferenze eccessive provocate dal farmaco letale).

In terzo luogo l’Onu, nonostante battaglie a livello di opinione pubblica mondiale (in prima linea, come sempre, in Italia, i radicali), non è finora riuscito a eliminare questo rimasuglio di autentica disumanità dalle legislazioni di tanti Paesi, anche di quelli considerati democratici secondo i normali e tradizionali canoni.

In quarto luogo la pena di morte viene usata come prova del nove per l’ammissione della Turchia all’Unione Europea. L’aspirante (?) dittatore Erdogan sta infatti proponendo un referendum per la reintroduzione della pena capitale, forse l’ultimo (e nemmeno il peggiore) atto di una sistematica violazione dei principi democratici in quel Paese. Molto bene che l’Europa sia l’unico continente al mondo in cui non si applica la pena di morte. Altrettanto giusto porre questa condizione agli Stati che intendono aderirvi. Non sentiamoci tuttavia troppo a posto in coscienza perché di violazioni ai principi democratici ne compiamo e ne tolleriamo bellamente tutti i giorni.

In quinto luogo guardiamo alla Turchia ed è giusto farlo, ma gli Usa non sono il nostro principale alleato? E non abbiamo nulla da dire? Si penserà che c’è ben altro in ballo con gli Stati Uniti, che il contenzioso è molto più largo, complesso e articolato. Resta il fatto che assistere distrattamente a delle esecuzioni capitali non è il modo migliore per impostare i rapporti con gli alleati americani. Immaginiamoci se a Trump interesserà questo problema? Noi però non proviamo neanche a ricordarglielo. Sono sicuro che a Paolo Gentiloni non sarà passato nell’anticamera del cervello di sollevare questo problema quando è andato a colloquio col Presidente americano alla Casa Bianca. Così come ai suoi predecessori quando si sono incontrati con i predecessori di Trump.

In sesto luogo sono altrettanto sicuro che anche in Italia molti mi direbbero: ma lasciamo perdere, con tutti i problemi che abbiamo… D’altra parte nel nostro Paese non esiste la pena di morte; ma cos’è, se non pena di morte, un sistema carcerario che comporta giornalmente suicidi di detenuti? Ce la caviamo con un’alzata di spalle o forse anche col vomitare, a livello popolare e non solo, sentenze da far accapponare la pelle. Non sarà democratico Erdogan, ma non sentiamoci i primi della classe, perché non li siamo. Né in Europa, né in Italia.

In settimo luogo, se qualcuno non l’avesse capito, sono fermamente e visceralmente contrario alla pena di morte per tutti i motivi possibili e immaginabili. Non c’è realpolitik che tenga, non c’è scusa accampabile, non c’è niente da aggiungere.