Parigi val bene una riforma costituzionale

Tra i commenti sul primo turno delle elezioni presidenziali francesi è spuntata una linea interpretativa trasposta forzosamente in Italia e dai contorni piuttosto paradossali: il panegirico del sistema istituzionale e della legge elettorale transalpina, che ci dovrebbero insegnare qualcosa e magari ispirare una riforma italica.

Mi sono stupito, incuriosito ed irritato. A livello parlamentare la Francia ha un’Assemblea Nazionale eletta con sistema uninominale a doppio turno (Camera bassa) e un Senato eletto dalle regioni, con meno poteri rispetto all’Assemblea. Il tutto però inserito in un assetto semi-presidenziale – il presidente eletto a suffragio universale diretto con sistema uninominale a doppio turno – che prevede molti poteri di governo per il presidente stesso anche se egli non è il capo dell’esecutivo.

Se guardiamo al Senato è tutto molto simile a quanto prevedeva la riforma renziana bocciata dal referendum del 04 dicembre scorso. Se facciamo riferimento alla legge elettorale, il tanto bistrattato “italicum”, svuotato dal ripristino istituzionale e bocciato in parte dalla Corte Costituzionale, tentava di introdurre un premio di maggioranza a doppio turno che si avvicinava, solo un po’, al sistema francese.

Per quanto concerne i poteri presidenziali la riforma non prevedeva alcun rafforzamento né in capo al Presidente della Repubblica, né in capo al Presidente del Consiglio, ciononostante si gridò al golpe sostenendo che si venisse comunque a creare una pericolosa concentrazione di poteri nelle mani del premier (devo ancora capire dove stesse questo pericolo strumentalmente agitato a destra e manca). Pensiamo se si fosse mai pensato di introdurre un semi-presidenzialismo alla francese: per Matteo Renzi ci sarebbe stato non solo un No al referendum, ma il rogo.

Allora? Smettiamola di fare i furbi! Non cerchiamo assurdi parallelismi. Certo il tempo sta dando ragione alla riforma italiana, bocciata pesantemente anche da chi prometteva di farne una alternativa in sei mesi (non riescono nemmeno a trovare uno straccio di legge elettorale con cui andare al voto).

Per quanto riguarda la Francia andiamo adagio ad esaltarne il sistema istituzionale: dopo l’elezione del Presidente della Repubblica i Francesi eleggeranno (11 giugno prossimo) l’Assemblea Nazionale dove si potrebbe formare una maggioranza politicamente non in linea con il vincitore delle presidenziali, dal momento che entrambi i pretendenti sono estranei al tradizionale gioco partitico (socialisti-gollisti). Si potrebbe creare un corto circuito tra Presidenza e Parlamento con effetti negativi sulla governabilità e stabilità del Paese. Mi auguro che vinca Macron e che possa contare su una solida maggioranza parlamentare di cui sia il riferimento e non l’ostaggio. L’ipotesi Le Pen non la prendo neanche in considerazione per scaramanzia. Staremo a vedere.

Infine due piccole riflessioni sul risultato elettorale del primo turno francese. Socialmente parlando si conferma una nuova configurazione sociale del voto popolare: da una parte le campagne e le periferie orientate all’antisistema di destra o di sinistra e ad una società chiusa e ripiegata su se stessa, dall’altra le città con l’elettorato alle prese con una società aperta, europeistica, multiculturale. È una tendenza già emersa con la brexit e con l’elezione di Trump. Operai, contadini, quelli che un tempo si chiamavano proletariato, sono alla disorientata ricerca di uno Stato protettivo e difensivo e non lo trovano nel riformismo, ma pensando di capovolgere il sistema e le elite che lo guidano, inseguendo cioè chi abbaia alla luna.

Di conseguenza la destra e la sinistra, non uguali fra di loro ma moderate, lasciano campo alle formazioni estremiste, per le quali non conta includere ma escludere, per le quali non servono alleanze e amicizie ma scontro e inimicizie. La dice lunga il neutralismo di Mélenchon al secondo turno: all’estrema sinistra fa più gioco un potere in mano alla destra estrema con cui combattere a viso aperto e mani nude, piuttosto che un potere moderato con cui dialogare. Il vizio storico della sinistra di cui si intravede qualche massimalistica eco nell’Italia dell’antirenzismo.