Bambini di tutto il mondo preparatevi a morire

Mentre ieri a Parigi si riuniva il Nutrition for Growth Summit, vertice dedicato alla nutrizione del pianeta, nuove stime diffuse da un gruppo di esperti su Nature hanno evidenziato quanto l’improvviso stop agli aiuti avrebbe conseguenze letali per anni a venire. Oltre all’annunciato smantellamento di Usaid, anche altri tra i principali donatori occidentali hanno manifestato l’intenzione di diminuire i loro impegni, dal Regno Unito (-40%) alla Francia (-37%), dai Paesi Bassi (-30%) al Belgio (-25%). In totale questi tagli equivarrebbero a un calo del 44% rispetto agli 1,6 miliardi di dollari donati nel 2022 all’Oms sul fronte degli obiettivi per la nutrizione. La malnutrizione acuta grave, sottolineano gli esperti, è la più letale forma di malnutrizione: è responsabile fino al 20% della mortalità infantile e colpisce 13,7 milioni di bambini ogni anno nel mondo.

Una diminuzione globale – come annunciato di 704 milioni di dollari per i programmi contro la fame si tradurrebbe in un calo di 290 milioni per trattamenti contro la malnutrizione acuta grave. Vorrebbe dire uno stop ad interventi in favore di 2,3 milioni di bambini nei Paesi a medio e basso reddito, con il rischio di ulteriori 369mila morti l’anno tra i bambini sotto i 5 anni, morti che si potrebbero invece prevenire. Il solo stop di Usaid lascerebbe un milione di bambini senza accesso ai trattamenti, con la morte di 163.500 bambini. (da “Avvenire” – Paolo M. Alfieri)

Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda.

Un conto però sono i pietismi pubblicitari, un conto è la realtà che si sta profilando in conseguenza dell’ondata egoistica mondiale guidata dagli Usa di stampo trumpiano: i rapporti impostati sulla forza, una sorta di colonialismo riveduto e scorretto, un tutti contro tutti all’insegna del “mors tua vita mea”, un globalizzato “chi fa per sé fa per tre”.

«Amare, nella sua radice sanscrita kam, significa desiderare. Non è semplice tolleranza o indifferenza alla differenza. Non è subire, ma agire in modo nuovo, diventare artigiani di pace» (Chiara Giaccardi). Non si tratta di reagire, ma di cambiare le regole del gioco, sostituendo alla violenza qualcosa di più forte e duraturo: la non-violenza efficace, come diceva Simone Weil. E allora, che c’entra l’amore? Si può davvero costruire il bene senza amare il nemico? Comincio a credere che sia, più che questione di morale o di buona volontà, soprattutto di sopravvivenza umana. Che amare il proprio nemico non sia solo un gesto di bontà, ma una necessità. È questa la sfida radicale del Vangelo: non basta smettere di odiare, bisogna persino fare del bene a chi ci avversa. Solo così nasce la pace: dura, difficile, ma possibile. D’altronde, se amiamo solo chi ci ama, che merito ne abbiamo? “Amate i vostri nemici” è forse il proposito più difficile di tutto il Vangelo. Perché “nemico” non è una parola qualunque: porta con sé sofferenza, offese, rabbia, rancore. È un comandamento che scandalizza, perché ci spinge fuori dalla nostra zona di conforto, oltre ciò che ci appare logico e ragionevole. Eppure, proprio lì, in quell’apparente follia, potrebbe nascondersi la più grande rivoluzione possibile. (da un’omelia di don Umberto Cocconi) 

E allora torno da mio padre, che combatteva aspramente la grettezza d’animo, la meschinità e la tirchieria. Nelle sue colorite espressioni, ricordo come rifiutasse la logica dell’avaro: «S’a t’ tén sarè la man, a ne t’ cäga in man gnanca ‘na mòsca». Non sopportava le mentalità chiuse, quanti non sapevano guardare oltre il proprio naso: «Bizoggna volär ält, a stär bas as fa sémpor in témp».

Resto in ambito famigliare. Mia sorella andava profondamente in crisi di fronte alle immagini dei bimbi denutriti o morenti: si commuoveva, pronunciava parole dolcissime di compassione e spesso si allontanava dal video non reggendo al rammarico dell’impotenza di fronte a tanta innocente sofferenza. Sì, perché il cuore viene prima della mente, la sofferenza altrui deve essere interiorizzata prima di essere affrontata sul piano della concreta solidarietà e della risposta politica. Sarà quindi il caso di aprire le mani e i portafogli pubblici e privati, di volare alto, non con i satelliti di Elon Musk, ma con il cuore per vedere e soccorrere le miserie di questo mondo.

 

 

 

 

 

Dell’opposizione non se ne può proprio più

La sfilza di critiche delle opposizioni, le loro richieste di chiarimenti, per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sono come “i libelli dell’Inquisizione”. E sono mosse, è convinto, dal tentativo di fermare quella che definisce “la madre di tutte le riforme”: non più il premierato, dunque, ma la riforma della Giustizia. Che sarà seguita da un referendum, entro l’anno o forse la primavera prossima: e, tra attacchi ai magistrati e accuse di toghe politicizzate, la destra sembra già preparare il terreno. (dal quotidiano “La Stampa” – Francesca Schianchi)

Non se ne può più di un governo che si regge e galleggia sul discredito di chi osa criticarlo e chiedergli conto del suo operato: anche il ministro della Giustizia non è da meno, si nasconde dietro la similitudine con l’Inquisizione e dietro la ferma volontà di portare avanti la madre di tutte le riforme.

Le opposizioni hanno fatto il loro mestiere, gli hanno chiesto conto di una squallida vicenda politico-diplomatica, quella della liberazione del torturatore libico: la risposta è picche!

Mi sembra che la madre di tutte le riforme non sia il “divide et impera” nei confronti della magistratura, ma la delegittimazione del Parlamento ridotto a mera cassa di risonanza del governo. Fino a qualche tempo fa sugli autobus c’era l’avviso al pubblico di non disturbare il manovratore: non lo vedo più, lo hanno collocato nelle sedi governative e parlamentari.

E tutto questo che giustificazione ha? Quella che il governo è stato eletto dai cittadini: due menzogne in una. In realtà il favore popolare al governo Meloni è assai limitato: la maggioranza di una minoranza! Poi, l’elettorato non ha nominato il governo, ma il Parlamento, che a sua volta ha concesso la fiducia la governo. Il discorso è quindi molto meno banale e sbrigativo: il nostro è un sistema parlamentare e il governo deve rispondere al Parlamento, in primis alle opposizioni che hanno il dovere di controllarlo ed incalzarlo.

Qualcuno sostiene snobisticamente che l’opposizione non si fa a suon di mozioni di sfiducia e/o di polemiche sulle parole e i comportamenti del Presidente del Consiglio e dei ministri. E come si fa?

Mi sovviene un gustoso episodio della vita di don Andrea Gallo, chiamato a rispondere davanti ad un pezzo grosso del Vaticano dei suoi atteggiamenti ritenuti religiosamente “scorretti”. Si difese alla grande affermando semplicemente di osservare ed applicare Il Vangelo. Al che il porporato di turno reagì scetticamente dicendo: “Se la metti su questo piano…”. “E su quale piano la dovrei mettere’” ribatté acutamente don Gallo.

Le opposizioni, bene o male, svolgono il ruolo loro assegnato dalla Costituzione. I governanti e i politici raffinati sembrano dire: “Se la mettiamo su questo piano non se ne esce vivi…”. “E su quale piano dobbiamo mettere la politica?”. Probabilmente su un’altra Costituzione, che si intravede sempre più nitidamente all’orizzonte.

 

Quei simpaticoni degli americani…

Che sia sul palco di una conferenza, davanti alle telecamere o scriva in una chat che sarebbe dovuta restare riservata, JD Vance non fa mistero della sua scarsa simpatia per l’Europa, in linea del resto con Donald Trump. E nella conversazione sull’imminente attacco in Yemen, cui era stato aggiunto per errore il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, il vicepresidente americano è particolarmente duro: “Odio salvare di nuovo l’Europa”, dice nello scambio con il segretario alla Difesa, Pete Hegseth. Il riferimento è all’imminente raid americano in Yemen, per spingere gli Houthi a mettere fine agli attacchi contro le navi commerciali in transito nel Mar Rosso. Vance esprime chiaramente dubbi sull’operazione che servirebbe più gli interessi europei, visto che dal Mar Rosso, dallo stretto di Bab-el-Mandeb e dal Golfo di Aden passa il 40% del traffico commerciale europeo contro solo il 3% di quello americano.
“Penso che stiamo commettendo un errore”, dice il vicepresidente, esprimendo dubbi sul fatto che Trump ne sia consapevole, secondo la ricostruzione di Goldberg che, davanti al regalo di uno scoop inatteso, ha pubblicato foto delle schermate degli scambi tra Vance, Hegseth e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, che lo aveva aggiunto alla chat per errore. Vance teme che l’attacco sia “in contraddizione” con le bacchettate di Trump all’Europa. Nonostante questo, “se pensi che dobbiamo farlo, andiamo. Odio solo salvare di nuovo l’Europa”, chiarisce Vance a Hegseth che si affretta a dirsi sulla stessa linea. “Condivido pienamente il tuo disgusto per un’Europa scroccona”, scrive il capo del Pentagono, secondo cui, arrivati a quel punto, bisogna almeno controllare la narrativa. Dunque, bisogna dare la colpa all’ex presidente Joe Biden per avere fallito con gli Houthi e all’Iran per il loro sostegno ai ribelli. La scarsa simpatia di Vance verso l’Europa non è una novità. Pochi giorni dopo l’insediamento, dal palco della conferenza di Monaco, non lesinò critiche al vecchio continente: “La minaccia che mi preoccupa di più per l’Europa non è la Russia. Non è la Cina. Non è nessun altro attore esterno. Quello che mi preoccupa è la minaccia interna – il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori che sono condivisi con gli Stati Uniti d’America”, aveva detto. E sulla stessa linea una recente intervista a Fox News: “L’Europa rischia di arrivare a un suicidio della sua civiltà”. (AGI – Sabrina Bellosi)

I rapporti internazionali non si basano sulle simpatie personali, ma anche sulle relazioni umane tra i governanti. Non auspico certo l’ipocrisia fra i potenti della terra, però mi sembra che tutto abbia un limite. Che l’Europa abbia beneficiato ripetutamente degli aiuti statunitensi è innegabile, ma non mi si dica che tutto è avvenuto per il buon cuore degli americani e non anche per tornaconto internazionale.

Quante porcherie hanno fatto gli Usa e l’Europa ha taciuto… Non so sinceramente dove voglia parare l’attuale amministrazione americana se non ad un assetto del mondo in chiave squisitamente egoistica. Qualcuno sostiene che sia sempre stato così: oggi si ha il coraggio di dirlo e farlo apertamente.

Rifiuto categoricamente il cinismo della politica: con ogni probabilità Trump (e chi abbaia per lui) sa che solo l’Europa, pur con tutti i limiti e i difetti, può contribuire ad un assetto mondiale ben diverso da quello imperialistico di Usa, Russia e Cina. Le provocazioni vanno rinviate al mittente, ma la dignità europea non deve venir meno.

Il nostro presidente della Repubblica Sandro Pertini amava dire: «Gli italiani non sono primi né secondi ad alcuno». Il concetto vale, a maggior ragione, anche per l’Europa.

Ecco perché bene ha fatto Sergio Mattarella a prendere netta posizione sulla questione emblematica dei dazi.

L’Europa “ha la forza per interloquire con calma, autorevolezza e determinazione” ai dazi che minaccia l’amministrazione Trump. Sergio Mattarella sembra voler far ritrovare autostima e compattezza ad un’Europa che appare timorosa a replicare alle barriere tariffarie che l’America trumpiana sta imponendo al mondo.

(…)

C’è tanta Europa nei pensieri di queste settimane del presidente: un’Europa che è un modello “straordinario” che il mondo ci imita. Un’Europa che non si deve fermare, che – aggiunge – ha bisogno di aggiornarsi, di colmare lacune, di avere processi decisionali più veloci e tempestivi”. Ma soprattutto c’è un’Europa che deve essere forte ed orgogliosa, che deve però far valere il suo peso nella guerra – Mattarella sottolinea la parola “guerra” – dei dazi. “Bisogna essere sereni senza alimentare un eccesso di preoccupazione perché la Ue – rimarca ancora – ha la forza per interloquire e per contrastare una scelta così immotivata. L’Europa è un soggetto forte, quindi bisogna interloquire con calma ma anche con determinazione”. Non si legge, quindi, nelle parole del presidente alcun timore reverenziale nell’affrontare il problema ma neanche si scorge l’irrazionale volontà di “rappresaglie”. (Ansa.it)

E se a JD Vance non dovesse piacere l’atteggiamento del nostro Presidente della Repubblica, vorrà dire che se ne dovrà fare una ragione. L’importante è rimanere ancorati ad una visione pacificamente dignitosa e dignitosamente pacifica. Il resto lasciamolo agli americani di turno e agli opportunisti di comodo.

 

 

 

 

Un filosofo che vuol strafare

Ho grande stima, considerazione e attenzione per il professor Massimo Cacciari, ma ho il timore che sia sempre più affetto da protagonismo a tutti i costi. Mi ha sinceramente sorpreso lo scomposto e strafottente attacco culturale da lui fatto al presidente Mattarella per le dichiarazioni inerenti i rischi storici corsi dalla Russia in materia di imperialismo.

Quando non gli si dà ragione inizia a muoversi nervosamente, sbuffa, e puntualmente erutta l’iconico: “Sono trent’anni che lo dico!”. Parliamo ovviamente di Massimo Cacciari, filosofo italiano ed ex sindaco di Venezia, ospite fisso dei talk show italiani. Da brillante allievo di Hegel qual è, sa bene che la filosofia, come la Nottola di Minerva, arriva sempre al tramonto di un’epoca e tenta di spiegare l’intrinseca razionalità della sua parabola. Lui, invece, arriva prima di cena e spiega come si sarebbe dovuto fare, che se solo avessimo studiato i libri che dice lui lo avremmo pre-visto (il trattino è per imitarne lo stile di scrittura).

E così, con la solita albagia spirituale, liquida come “puttanate” le parole Mattarella su Russia e Terzo Reich, rimembrando il sacrificio dei soldati sovietici per liberarci dai nazisti. E pazienza se il Presidente della Repubblica non ha mai paragonato direttamente la Russia di oggi alla Germania nazista, ma ha detto correttamente che le guerre di conquista hanno sempre una natura simile, dinanzi alla quale ogni tentativo di “appeasement”, cioè di ingenuo “accomodamento pacificatorio”, rischia di essere inefficace e controproducente. Cacciari è dotato di una forza speculativa di prim’ordine connessa a una cultura vastissima, e non lo si può certo associare alla brigata dell’antiamericanismo rozzo e del nostalgismo sovietico. Eppure anche lui, sull’Ucraina, abita più o meno la medesima narrazione della “complessità”, che inserisce l’invasione di Putin in un telaio dell’antagonismo tra imperi talmente intricato da far perdere le tracce delle responsabilità. (da “Il Pensiero Storico – rivista internazionale di storia delle idee”, articolo originariamente pubblicato il 1° marzo 2025 sul quotidiano “L’Altravoce – il Quotidiano nazionale” a firma di Alfonso Lanzieri (1985), dottore di ricerca in filosofia dal 2017)

È evidente e condannabile che l’Europa si sia appiattita sulla sterile autodifesa di principi e non abbia rischiato alcuna via diplomatica su cui basare il reale contrasto all’invasione dell’Ucraina. Ciò non toglie che la Russia stia percorrendo strade storicamente imperialistiche e che ciò lo si debba affermare a piene lettere senza indulgenze e senza opportunismi. Sergio Mattarella ha tentato proprio di coniugare questi due aspetti e lo ha fatto con eloquenza culturale, coerenza storica e credibilità politica.

Forse è il caso che Massimo Cacciari si dia una calmata per uscire da una sorta di sistematico e sterile scetticismo. Nessuno ha la verità assoluta in tasca: come spesso ho sentito dire da lui stesso, bisogna ragionare!

Sono personaggi come Mattarella ad avere il carisma per rilanciare il ruolo dell’Europa: non oscuriamo, per amor di Dio, questi spiragli di luce, magari solo per cattivo gusto catastrofista, per ridimensionare la portata dei principi, per non disturbare i manovratori finalmente usciti allo scoperto, per essere più machiavellici di Machiavelli. Per favore, lasciateci respirare, se non a pieni polmoni, almeno con l’aiuto di chi ha fiato per l’europeismo autentico e per la ricerca di una pace giusta.

 

 

 

Un po’ di piazza non fa mai male

La manifestazione in piazza convocata da Michele Serra a favore dell’Europa ha subito attacchi concentrici ed inaccettabili. Da che mondo è mondo la piazza non è mai stata momento di coerente contestazione, ma piuttosto di contraddittoria provocazione.

Che senso ha quindi pretendere che in piazza scendano persone di uguale sensibilità: credo che decidere di manifestare a favore dell’Europa sia stato di per sé un evento positivo al di là delle differenze e delle sfumature politiche.

Qualcuno vi ha voluto vedere necessariamente una opzione riarmista tout court: non risponde a verità, ma all’intenzione di piegare la realtà alla propria visione settaria.

Qualcuno ha inteso seppellirla sotto le ipotetiche e strumentali polemiche pseudo-storiche: che senso ha mettere in contrapposizione gli aneliti di Ventotene con i dubbi attuali se non quello di creare confusione e scompiglio paralizzanti?

Qualcuno ha finto di scandalizzarsi per un contributo che il comune di Roma avrebbe concesso agli organizzatori: è più scandaloso sperperare soldi pubblici in feste di piazza o far sì che la piazza accolga degnamente un dibattito politico esiziale come quello europeo?

Cosa ne concludo? Che, nonostante tutto, la piazza fa ancora paura, a destra e a manca. Fa paura a Giorgia Meloni abbarbicata alla sua comunicazione fasulla, fa paura ai partiti di governo che temone di essere messi a nudo nelle loro insensatezze, fa paura persino ai pacifisti timorosi di essere “spiazzati”, fa paura ai perbenisti che protestano per i fondi pubblici utilizzati e alzano le spalle per le migliaia di morti provenienti dalle guerre in corso.

Bene ha fatto Michele Serra a smuovere le acque. Non so se l’iniziativa potrà avere un seguito, sicuramente avrà costretto parecchi cittadini a porsi almeno il problema del futuro dell’Italia, dell’Europa e del mondo.

Ricominciare a discutere seriamente è il modo migliore per uscire dal pantano in cui stiamo sguazzando. Usciranno idee divergenti? Si scontreranno visioni alternative? Sempre meglio che subire pedissequamente l’incedere (anti)storico di Donald Trump, di Ursula von der Leyen e di Giorgia Meloni.

Le guerre a ciliegia

Raid Usa contro gli Houthi, Trump: “Fermate gli attacchi nel Mar Rosso o scateneremo l’inferno”.

Senonché l’inferno è già ampiamente scatenato ad opera di questo pazzo criminale e di chi, direttamente o indirettamente lo sostiene. Cosa si potrà mai fare ancora di più?

Non conosco i termini politici della questione terroristica degli Houthi, so soltanto una cosa, che mi diceva mio padre.

Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”.  Ora c’è in giro per il mondo ben più di Mussolini, come minimo ne conto tre o quattro.

Non ho idea di dove si andrà a parare, certamente avremo conflitti a ciliegia. A noi resterà l’orgoglio di mettere in riga chi disturba. Guerra chiama guerra!

L’ignoranza trumpiana è crassa: questo imbecille, che ha incantato e incanta gli imbecilli, non ha capito o finge di non aver capito che la questione palestinese è centrale nei rapporti col mondo medio-orientale e non solo.  Sta mettendocela tutta per mettere a soqquadro tutti i già difficilissimi rapporti in essere.

Potrebbe essere il suo disastro: stia bene attento che col mondo islamico non si scherza. Personalmente prevedo a breve termine un evento traumatico tipo “Torri gemelle”, dopodiché … buon divertimento a tutti o meglio, buon inferno a tutti. Trump potrà illudersi di parlare a nuora (Russia) perché suocera (Cina) intenda; potrà tentare di mettere in buca l’Europa anche perché l’Europa non aspetta altro che di essere imbucata.

Col terrorismo islamico il discorso è molto diverso: le minacce e i fieri accenti servono a poco con chi non ha paura di morire. Pensa un po’ a che punto sono arrivato: non avrei mai pensato di fare paradossalmente il tifo per gli islamici. Chi sostiene Trump sappia che prima o poi potrebbe raccogliere non solo immigrazione aggiuntiva e fuori controllo, ma terrorismo bello e buono.  Vorrà dire che ce lo saremo voluto…

Il manifesto di Serra, Benigni e Zuppi

Confesso che faccio sempre più fatica ad interessarmi alla politica: la vedo finita secondo i miei schemi…

Anche il filosofo Massimo Cacciari dall’alto del suo snobistico scetticismo, giunto all’apice della sua analisi catastrofista, ammette che non resta da fare altro che il proprio dovere.

Spero possa succedere comunque qualcosa che mi costringa a tornare alla politica, attualmente tutto mi allontana…

Ci sono due aspetti fuorvianti, nel pur giustificato desolante quadro dibattimentale, che rischiano di portare acqua al mulino della disinformazione e del disimpegno. Ad una narrazione “comodamente” appiattita sull’esistente fa riscontro una bartaliana contro-analisi dell’è tutto sbagliato e non si può nemmeno tentare di rifarlo.

I due punti cardine dell’acuto e dotto scetticismo paralizzante sono, da una parte, la sottovalutazione del passato ideologico anti-fascista, e dall’altra parte la sopravvalutazione di una sorta di inesorabile realpolitik a cui non è possibile opporsi tanto appare stringente ed avvolgente.

I richiami all’antifascismo, all’antinazionalismo, relegati nella soffitta dei ricordi, tolgono la giusta dimensione storica al presente sganciandolo dal passato in funzione di uno spregiudicato futuro.

Gli esempi si sprecano, ultima la sussiegosa reazione al distruttivo remake ventoteniano: non si doveva cadere nella trappola polemica meloniana per guardare alle problematiche del presente, come se l’europeismo fosse una pratica odierna da sbrigare alla faccia della storia.

Non accetto questo subdolo e colto (?) revisionismo dove tutti i gatti sonobigi: la vogliamo capire o no che i pericoli nazi-fascisti, coniugati soprattutto con le spinte autoritariamente nazionalistiche, sono molto presenti e non vanno liquidati con una presuntuosa alzata di spalle?

Il secondo paralizzante punto riguarda, invece e pure, lo sconfortante rifiuto ad affrontare le situazioni considerate come tegole che cadono da edifici senza tetti. Anche qui gli esempi non mancano: l’inerzia europea vista come una sorta di condanna, la mancanza di prospettive internazionali di coesistenza pacifica subita senza battere ciglio, l’assoluta sfiducia nella diplomazia ritenuta un’ostruzionistica perdita di tempo.

A questo punto o ci si accoda alla narrazione guerrafondaia prevalente o ci si rifugia nello splendido isolamento devitalizzante. Personalmente rischio grosso chiamandomi fuori dalla situazione. Bisognerebbe avere la pazienza di una terza via.

Conversando con un carissimo amico, ho ipotizzato un’impostazione culturale innovativa partendo da tre eventi significativi: la piazza europeista di Michele Serra, la ricostruzione culturale europeista di Roberto Benigni e la proposta rifondativa del cardinale Matteo Zuppi, già avanzata durante la Settimana Sociale di Trieste, di “una Camaldoli europea”, con partecipanti da tutta Europa, per parlare di democrazia ed Europa.

Forse potrebbe essere un ulteriore voltata di pagina in senso europeistico così come, in un certo senso, già auspicato da Altiero Spinelli. E se l’euroscetticismo di Giorgia Meloni usato come un fioretto per infilzare la democrazia, diventasse l’europeismo brandito come una clava (l’unica!) per rilanciare la democrazia?

È pur vero che si può vivere con impegno anche senza fare i conti con gli assetti politici. Nel ’68 sostenevo, come tanti della mia generazione, che tutto era politica, oggi tendo a sostenere che tutto è fede e impegno cristiano. Mi iscrivo al partito di Serra, Benigni e Zuppi…

La musica di Ventotene e il baccano di Bruxelles

Sono perfettamente consapevole di nutrire un concetto aristocratico della politica, che, a mio giudizio, è un po’ come la musica: o la si capisce oppure è meglio lasciar perdere. Non è una questione di erudizione e/o di mera concordanza di idee, ma piuttosto di sensibilità e di sintonia culturale (oserei dire esistenziale). Mi raccontava mia sorella Lucia, peraltro molto appassionata di musica classica, di essere incappata nel pregiudizio di un monaco musicista, il quale, prima di aprire con lei ogni e qualsiasi discorso inerente la musica, si informò accuratamente sulla sua competenza in materia e, solo dopo avere avuto abbondanti rassicurazioni da fonti autorevoli, avviò la discussione.
L’operazione Ventotene, messa in atto dalla Presidente del Consiglio, sembra ispirata da un misto di arroganza, malafede e smaccata ignoranza. Citare, come ha fatto Giorgia Meloni, il Manifesto di Ventotene in quella maniera è come citare il Vangelo dove leggiamo, tra le altre cose, «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada» (Mt 10,34) e concludere che Gesù è un estremista guerrafondaio.
È chiaramente una provocazione, una mossa strumentale che può avere presa su molti, purtroppo, in particolare su chi non conosce la storia del nostro Paese e la vita di coloro che hanno redatto quel manifesto. Erano dei giganti che Mussolini codardamente aveva condannato al confino per paura delle loro idee. Idee che per fortuna e grazie al loro coraggio e a quello di Ursula Hirschmann e Ada Rossi superarono i confini dell’isolotto e cambiarono la storia. (dal quotidiano “Avvenire” – Vittorio Pelligra)
Purtroppo, in questo sciagurato periodo, mi imbatto sempre più in quel misto di arroganza, malafede e smaccata ignoranza di cui alla precedente citazione. Ecco perché scatta in me una sorta di repulsione rispetto al dibattito in corso, una triste sensazione di perdere tempo, di non cavare un ragno dal buco: non è questione di opinioni, ma di impossibilità a dialogare con chi non ha opinioni, ma soltanto argomenti da sparare alla boia. È come parlare non tanto fra sordi, perché al limite ci si può intendere a gesti, ma fra persone che testardamente usano il linguaggio della pancia elettorale e nulla più.
Sempre più rare sono le occasioni serie per affrontare i gravissimi problemi che ci coinvolgono: non ce la faccio più. Lo so benissimo, sarò accusato di essere presuntuoso, ma, quando vedo le sorti italiane in mano ad una sedicente governante che spara cavolate a raffica, mi sento umiliato e devo reagire col silenzio, facendo il mio dovere (come dice Massimo Cacciari), l’unica cosa che mi rimane.
E cos’è e qual è il mio dovere? Testimoniare nei fatti quotidiani la vocazione ad essere artigiano di pace ed il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace (è la preghiera scritta dal Cardinale Zuppi).
Basta? Non lo so! E la politica? La lasciamo a Giorgia Meloni e a chi, direttamente o indirettamente, le porta il lume? A chi è d’accordo con lei o snobisticamente non ritiene di cadere in certe trappole polemiche? Scendiamo in piazza? Forse serve ancora a qualcosa: a fare incazzare la Meloni e a farla straparlare. Michele Serra con il suo appello alla piazza un risultato lo ha ottenuto: togliere la maschera europeista a chi ritiene l’Europa un fastidioso orpello culturale, storico e politico, polemizzando a distanza con i veri europeisti di Ventotene (con loro non si possono raccontare balle come si fa con Macron e c. o come ancor peggio, si fa con Trump e c.)
Dopo la bagarre scoppiata in Aula alla Camera dei deputati e la rivolta delle opposizioni per le parole provocatorie di Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene, ad attaccare la premier è stato anche il dem Federico Fornaro: “Non è accettabile fare la caricatura di quegli uomini. Lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qua grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarli. Vergogna”. (da “Il Fatto Quotidiano)
Ebbene devo ammettere che, ascoltando Fornaro, mi sono venuti i brividi, mi sono commosso: beato lui che ha la possibilità concreta e il coraggio di gridare la propria indignazione. Vorrei tanto fare come lui…
Sono tornato con la mente alle animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica: agli inizi degli anni novanta constatavamo che alla politica stava sfuggendo l’anima, se ne stavano andando i valori e rischiava di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restava che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti: dopo il craxismo, che aveva intaccato le radici etiche della democrazia, venne il berlusconismo a rivoltare il sistema creando un vero e proprio regime, in cui siamo ancora invischiati ed immersi fino al collo a livello nazionale ed internazionale.
Torno in conclusione al concetto “musicale” da cui sono partito. Quando a mio padre rimproveravano di essere esageratamente permaloso di fronte a certe espressioni, era solito affermare convintamente: «L’ è al tón ch’a fà la muzica…». Probabilmente di fronte alle penose performance di Giorgia Meloni aggiungerebbe: “L’am fa compasión…”.

 

 

La bella trattativa si vede dalla telefonata

Vladimir Putin ferma gli attacchi alle centrali in Ucraina per trenta giorni, acconsente a liberare 175 prigionieri di guerra ucraini (in cambio di altrettanti soldati russi) e accetta di tornare quanto prima ai negoziati di pace (probabilmente in Arabia Saudita). Donald Trump prenderà in «considerazione» di mettere fine agli aiuti militari e alla condivisione dell’intelligence di Washington con Kiev, oltre a imporre la fine della mobilitazione forzata in Ucraina: tutte condizioni chiave poste dal presidente russo per la ripresa dei colloqui. Nel frattempo, il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino organizzeranno almeno una partita di hockey fra Usa e Russia negli Stati Uniti. La lista delle decisioni concrete prese nel corso dell’attesissima telefonata sulla pace in Ucraina fra i leader russo e americano – durata oltre due ore – è corta, e comprende un gesto altamente simbolico della «normalizzazione delle relazioni bilaterali» tra Mosca e Washington che il Cremlino insegue dall’insediamento di Trump e ieri ha enfatizzato come fondamentale risultato del colloquio. Un ripristino di un’amicizia “alla pari” che concede a Putin il riconoscimento dello status della Russia come grande potenza al pari degli Stati Uniti. Non a caso il comunicato emesso da Mosca alla fine della chiamata sottolinea la «responsabilità condivisa di Russia e Stati Uniti per la stabilità nel mondo» e la discussione «del Medio Oriente come di una regione nella quale avviare una cooperazione per prevenire futuri conflitti». Una promozione per Mosca, che da quando ha invaso la Crimea è considerata un paria dalla comunità internazionale, e anche un’alleanza in vista di una sorta di nuova Yalta, una spartizione del potere mondiale che passa attraverso la negoziazione bilaterale della fine del conflitto iniziato da Mosca. Per ora i contatti fra Trump e Putin non hanno portato a una vera e propria divisione dei territori o delle risorse ucraine. Ma le basi sono già state poste. Dal quotidiano “Avvenire” – Elena Molinari)

C’era da aspettarselo, la prospettiva era chiara fin da prima delle elezioni americane: spartirsi il mondo che fa da spettatore della spartizione stessa. Ci sono due incognite nell’equazione: la Cina e la Ue. Paradossalmente spero più nel potere di interdizione della Cina che in quello dell’Unione europea.

Un certo qual multilateralismo ci dava l’illusione che i rapporti fra gli Stati fossero comunque discutibili e inquadrabili in un contesto di coesistenza pacifica. La maschera è caduta e siamo tornati alla peggiore delle logiche spartitorie.

Non vedo vie d’uscita, anche perché l’Europa non ha nessuna intenzione di rompere le uova nel paniere di Trump e l’antesignana di questo omertoso atteggiamento è proprio l’Italia.

Anche la velleitaria intenzione di mettere tutto sul piano della potenza militare mi fa sorridere: è ridicolo rispondere all’invito “autoritarismi di tutto il mondo, unitevi” con quello dei “vasi di coccio di tutta Europa armatevi”.

Abbiamo tanto sproloquiato sulla difesa a tutti i costi dell’Ucraina, salvo mollarla nel momento decisivo in cui verrà presa per i fondelli. Non si poteva trattare perché doveva arrivare chi sa trattare.

Tutti dicono che finalmente si intravede uno spiraglio di pace, la narrazione è questa! Come ho già avuto modo di scrivere, si tratta della pace dei sepolcri, con gli europei a fare opportunisticamente la parte dei sepolcri imbiancati. Che schifezza!

Un tempo, quando i rapporti fra gli Stati si potevano ancora mettere in discussione, si sarebbe detto che è meglio una cattiva pace di una buona guerra. Oggi il discorso si è impreziosito: c’è rimasta solo una cattiva pace che è anche una pessima guerra.

Meloni, stia zitta o si pulisca la bocca

Il Manifesto di Ventotene è un testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, con il contributo di Eugenio Colorni, durante il loro confino sull’isola di Ventotene imposto dal regime fascista. È considerato il testo fondativo del pensiero federalista europeo e una delle basi ideologiche dell’integrazione europea.

“Spero non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa”. La premier sfida l’opposizione leggendo alcuni passaggi di uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. Frasi pesanti. “La rivoluzione, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”. Oppure: “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. La reazione? Fischi, urla, proteste. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, sospende la seduta.

Si riprende, ma il clima resta rovente. Meloni incalza: “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”. L’opposizione insorge, chiede le scuse. La seduta viene sospesa di nuovo.

Qualsiasi documento politico non può essere letto in modo trivialmente fazioso, ma al contrario va inserito nel suo contesto storico e interpretato alla luce dei principi a cui fa riferimento. Vale per la Costituzione italiana così come vale per il manifesto di Ventotene: anche il Vangelo può essere strumentalizzato a fini polemici.

Dice papa Francesco: «Parlare sempre dei poveri non è comunismo, è la bandiera del Vangelo». Parlare di socialismo e di funzione sociale della proprietà privata non è comunismo, ma autentico europeismo e richiamo ai valori di democrazia e giustizia sociale.

Fa letteralmente schifo che il presidente del Consiglio per difendere il suo euroscetticismo attacchi l’europeismo di chi in esso credeva veramente pagando di persona. Se non è fascismo questo…Se non è trumpismo… Gli italiani capiranno? In Europa cosa penseranno? Qual è l’Europa di Giorgia Meloni? Non l’ho capito e, se l’ho capito, non è la mia Europa. Gira e rigira torniamo sempre più a concezioni e metodi di stampo fascista e nazionalista. La Meloni non parlava ai suoi adepti, ma al Parlamento: forse lo considera un’aula sorda e grigia. Forse è irritata dal fatto che, bene o male, gli italiani siano scesi in piazza: una protesta oggi e una domani, non si sa dove si potrà andare a finire. Attenzione a non strafare, a non esagerare con la mordacchia…   Sappia Meloni che Trump può contare su Musk, mentre lei può contare su Salvini e c.

Avrà il coraggio di ripetere queste oscenità politiche al prossimo Consiglio d’Europa? Sarà meglio che le tenga di scorta per il primo incontro che le verrà concesso alla Casa Bianca: lì si potrà sfogare…