La lupa perde il pelo, ma non il vizio

Durante il periodo degli anni settanta e ottanta del secolo scorso ho bazzicato parecchio la città di Roma per motivi professionali e per altri motivi. Mi stupivo dell’enorme quantità di manifesti, esposti sui muri della città, riconducibili all’allora movimento sociale, cosa piuttosto insolita in Emilia e, allora, anche in tutto il nord-Italia. Poi facevo un rapido ripasso storico e mi rendevo conto che il lupo perde il pelo, ma non il vizio: Roma era stata la sede del cosiddetto stato clerico-fascista e continuava a sentire le sirene incantatrici del nuovo fascismo. Ci sono state alcune parentesi, ma la storia è sostanzialmente continuata e prosegue tutt’oggi.

La proposta di intitolare una strada a Giorgio Almirante è stata approvata dal consiglio comunale romano con il voto favorevole dei cinque stelle e di altri, con la solita distratta sorpresa del Sindaco Virginia Raggi, che, come al solito, non c’era e se c’era dormiva. Penso sia nota a molti la gustosa barzelletta di quel Tizio che entra in farmacia per acquistare una confezione di profilattici. Molto imbarazzato sussurra appena la sua ordinazione. Il farmacista fa finta di non capire e chiede: «Mi ripeta per cortesia». Il distinto signore si vede costretto a ripetere a voce normale: «Vorrei una scatola di preservativi…». Ho capito dice il commesso ad alta voce: «Le prendo subito una scatola di preservativi». Vista però la presenza di molti clienti, preferisce rivolgersi al suo collega del retrobottega e con tono di voce piuttosto forte dice: «Portami per favore una scatola di preservativi per questo signore». Dopo qualche secondo arriva al bancone il secondo farmacista con i preservativi: «Ecco qua la scatola di preservativi che mi avete chiesto». Il povero cliente, dopo aver subito questa tortura psicologica, rosso di vergogna paga, ma prima di uscire ha un rigurgito di dignità e urla a tutti: «Se qualcuno non l’avesse ancora capito, io questa sera ho intenzione di “trombare”».

Se qualcuno non avesse ancora capito che Roma è una città fascista e che i suoi mali dipendono anche da questo fatto, ecco il fantasma di Almirante evocato a rinfrescare nostalgicamente una triste memoria. Faccio la parte del farmacista della barzelletta e chiedo ai romani: «Volete proprio intitolare una strada a Giorgio Almirante?». Mi rispondono con un sì deciso, senza alcuna vergogna di aver votato alcuni anni or sono per un sindaco neo-clerico-fascista, quel Gianni Alemanno che ne ha combinate di tutti i colori tendenti al nero,  orgogliosi di aver dato i natali alla patriottica leader dei Fratelli d’Italia, che muore dalla voglia di salire sul carro giallo-verde: lei opportunisticamente snobbata in Parlamento da questo governo, che l’ha sta colmando di soddisfazioni sul campo e  potrebbe tranquillamente aggiungere il nero alla bandiera del cambiamento.  Prendo atto.

Non capisco tuttavia simili distrazioni grilline. L’unica spiegazione plausibile sta nel fatto che i seguaci di Grillo, seguendo il verbo casaleggiano, vanno dietro la corrente per incassare i voti ovunque si annidino. Siccome l’aria che tira è di destra estrema (alla faccia di quanti continuano a pontificare sulla fine degli schemi), hanno probabilmente pensato di uscire allo scoperto e di rileggere la storia a loro modo (con tutto il rispetto per il defunto Giorgio Almirante, il quale meriterebbe di essere lasciato in pace). Parma si vantava di non aver mai consentito di prendere la parola pubblicamente a questo esponente missino. Ero in piazza Garibaldi quella volta che lo fecero scappare, aprendo i rubinetti del gas dell’ex Cobianchi. Come cambia il mondo! Oggi Roma, la capitale d’Italia lo vuole onorare e la sindaca Raggi, alle prese con altre varie ed articolate questioni imbarazzanti, rassicura che non se ne farà nulla, rispondendo anche alla comunità ebraica che aveva espresso il suo sdegno. Sembra effettivamente la vomitevole sbrigativa risposta al nobile recente intervento di Liliana Segre nell’aula del Senato. Tra le numerose grane, che stanno assillando e stringendo Virginia Raggi (alcune dovute anche al casino che ha regna nel  suo partito: non si comprende se la vogliono rovinare o difendere), questa effettivamente è la più piccola. Fino ad un certo punto…

La pietà di Melania

Il poeta Andrea Chénier, nell’omonima opera di Umberto Giordano, ai tempi della rivoluzione francese, di fronte al lusso sfrenato e provocante di una festa in casa di una nobile famiglia, dopo aver subito le risate di scherno delle vacue ed eleganti giovani nobildonne, improvvisa un canto all’amore difendendo i suoi ideali contro i costumi corrotti dell’epoca. Rivolgendosi alla contessina Maddalena dice: «In cotanta miseria…sol l’occhio vostro esprime umanamente qui un guardo di pietà, ond’io guardato ho a voi si come a un angelo. E dissi: ecco la bellezza della vita».  Forse direbbe così anche oggi rivolgendosi a Melania Trump, la bella moglie del presidente americano, scesa in campo per la prima volta su una questione politica, criticando il marito per la linea dura contro gli immigrati al confine col Messico.  Ha coraggiosamente affermato: «Odio vedere bimbi separati dalle loro famiglie».

I bambini, separati dai genitori, sono bloccati in gabbie di metallo costruite all’interno di magazzini nel sud del Texas. Una condizione che molte associazioni definiscono “disumana”. In alcune gabbie erano sistemati 20 bambini, con bottigliette di acqua sparse ovunque e fogli di carta stagnola usati come coperta.  L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto agli Stati Uniti di interrompere la separazione, al confine con il Messico, dei bambini migranti dai loro genitori, giudicandolo un comportamento censurabile ed inaccettabile: «Il pensiero che qualsiasi Stato cerchi di scoraggiare i genitori infliggendo questi abusi ai bambini è inammissibile».

Non so come l’abbia presa Donald Trump. Le donne hanno comunque sempre una marcia in più e riescono a far pesare il cuore anche nelle faccende politiche. Maddalena di Coigny lo fece agli albori della rivoluzione francese, Melania Trump lo ha fatto in piena rivoluzione anti-immigrati. La settecentesca contessina, almeno nell’opera di Giordano, riscatta tutte le pecche della sua nobile famiglia, innamorandosi di Andrea Chénier e morendo per amore insieme a lui, vittima del terrore pseudo-rivoluzionario. Alla fascinosa first lady statunitense non mi sento di chiedere tanto, mi accontento del suo “guardo di pietà”, auspicando che possa essere contagioso a livello americano, internazionale e financo italiano.

Spesso mi chiedo se i politici abbiano fidanzate, mogli, compagne che possano farli ragionare e ridurli a più miti consigli. Un mio carissimo amico, alludendo ai rapporti di coppia, sosteneva che i cuscini parlano. Parlassero pure, ma in senso umano e non in senso affaristico o carrieristico. Temo infatti che a volte la donna, strumentalizzando il proprio indubbio ascendente, possa spingere il suo partner a commettere azioni scorrette sul piano economico e sociale, ma mi piace di più immaginare un influsso benefico della donna sull’uomo. Mi ha colpito una frase banale detta da Matteo Salvini a giustificazione di una candida camicia indossata in contrasto con la verde divisa di partito: «È stato un ordine di mio figlio bambino, l’unico in grado di darmene». Ci vorrebbero anche altri a chiedere a Salvini di uscire dagli stereotipi leghisti che si è imposto. Magari la sua compagna, che dicesse: «Odio vedere gli immigrati respinti al mittente con le loro navi sballottate in mare alla ricerca di uno scalo umanitario». Non mi illudo, ma la speranza è sempre l’ultima a morire, soprattutto quando ci sono di mezzo delle donne.

Il sondaggismo che tacita le coscienze

Scusi lei è favorevole o contrario? A cosa? Non lo so, ma poco importa. Ormai è vietato ragionare, è fondamentale schierarsi. Mi viene in mente come reagì ad una simile domanda il mio indimenticabile professore di italiano. Erano i tempi del referendum sul divorzio e rispose all’incolpevole intervistatore: «Tu sei un cretino!». Per poi aggiungere davanti al microfono dello sbigottito sondaggista: «Amo mia moglie e quindi sono personalmente contrario al divorzio. Ma l’introduzione di questo istituto risponde ad esigenze civili e come tale deve essere giudicato…». Ben detto non c’è che dire. Tutto ciò sta a significare che sono allarmanti, ma lasciano il tempo che trovano, i risultati del sondaggio in base al quale quasi il 60% degli italiani sarebbe favorevole alla chiusura dei porti verso le navi delle organizzazioni non governative, cariche di immigrati raccolti in mare aperto. Sembrerebbe un applauso scrosciante alla (non) politica inaugurata dal neoministro degli Interni Matteo Salvini. In realtà tale sondaggio è falsato e gonfiato per tanti motivi.

Davanti ad un problema enorme, non tanto per le dimensioni emergenziali, comunque piuttosto limitate, ma per la sua portata storica e inarrestabile, si preferisce voltarsi dall’altra parte criminalizzando le ong, perché hanno l’ardire di buttarci in faccia una triste realtà, di richiederci una forte e seria assunzione di responsabilità: chi ci dice nei denti le verità scomode è sempre antipatico se non odiato. Le ong vengono esorcizzate quali organizzazioni d’affari speculanti sui traffici in mare degli immigrati abbandonati dagli scafisti. Che una organizzazione non governativa tedesca abbia apostrofato come fascista il vice-premier italiano Matteo Salvini è pazzesco, ma ben più pazzesco è il fatto che questa ong, pur esagerando nei toni, non abbia tutti i torti nella sostanza.

L’Italia non è l’unica o la più generosa e accogliente sponda per gli immigrati: i dati complessivi della presenza sul territorio europeo non dicono questo. Tuttavia in materia di prima accoglienza gli altri Stati europei sono in grave difetto: con i loro clamorosi ritardi, con le loro reazioni stizzite, con le loro ondivaghe prese di posizione, finiscono col dare ragione a Salvini, gli stanno confezionando un perfetto assist. L’opinione pubblica italiana risente quindi di questo clima del “soli contro tutti” ed è spinta a reagire in modo irrazionale e a seguire pedissequamente chi fa la voce grossa.

Secondo il ministro degli Esteri Moavero Milanesi il duro indirizzo adottato dall’Italia servirebbe a scuotere le coscienze dei governi: sarà una bella gara scuotere le coscienze altrui, rendendo dure ed indifferenti le proprie. Si sta facendo un gran polverone politico e diplomatico sulla pelle di persone disperate richiedenti aiuto. Potrà essere vero e ragionevole che non si possa accoglierle tutte indistintamente, ma non partiamo dalla fine, prima analizziamo il fenomeno e cerchiamo di gestirlo a livello europeo senza fughe all’indietro, partendo dall’idea di fare comunque qualche sacrificio e consapevoli che il respingimento tout court non è una risposta accettabile da nessun punto di vista, men che meno per provocare chi tende alla latitanza. Non si può giocare sulla scacchiera europea e africana o a battaglia navale sui porti del mediterraneo. L’opinione pubblica italiana, come tutte le opinioni pubbliche dei paesi europei, non mi sembra in grado di tranciare giudizi secchi: va considerata nel suo grave sintomo di un malessere egoistico tutto da capire e da approfondire, a cui occorre prestare critica attenzione e dare risposte plausibili, senza cavalcarlo spregiudicatamente nelle sue manifestazioni istintive ed irrazionali.

 

In balìa delle onde

Papa Francesco, con evidente allusione alla vicenda della nave Aquarius con immigrati alla disperata ricerca di un porto europeo a cui fare scalo, ha invitato a non lasciare nessuno in balìa delle onde. Prima o poi sono sicuro che anche lui si prenderà la sua dose di rimbrotti salviniani. Perché mentre i leghisti, con accompagnamento musicale dei grillini, cantano agli uomini le loro canzoni, il Papa canta agli angeli le sue orazioni (Gioconda di A. Ponchielli, libretti di Arrigo Boito, atto primo).

A proposito dell’essere in balia delle onde non mi sono mai sentito solidale con gli immigrati come in questo periodo: loro soffrono questa drammatica situazione in senso proprio, io la soffro in senso figurato; loro fuggono dalla disperazione e rischiano di trovarne una ancora maggiore, io mi sento precipitare dalla padella dell’inconcludenza politica alla brace della rivoluzione dell’antipolitica; loro chiedono materialmente una mano che li salvi dal mare in cui si sono avventurati per fuggire dalle sicure prospettive di morte per guerra, fame, tortura, io grido come non mai alla politica, quella vera, di fare un passo avanti e di liberarmi dalla confusione in cui siamo precipitati.

Il compianto Marco Pannella faceva una originale distinzione della classe politica fra coloro che non sono capaci di niente e quanti sono capaci di tutto: le due categorie andrebbero leggermente aggiornate e mischiate, perché purtroppo i capaci di niente si candidano a risolvere tutto e i sedicenti capaci di tutto non riescono a combinare nulla. C’è uno spaventoso clima contraddittorio che avvolge tutto e tutti. A livello internazionale gli Usa di Donald Trump da una parte sembrano puntare alla coesistenza pacifica con i nemici storici (Cina, Russia, Corea del Nord), dall’altra mettono seriamente in discussione i legami con gli alleati storici (Europa); da una parte puntano a depotenziare l’arsenale nucleare collocato in pole position (Corea del Nord), dall’altra rimettono in discussione gli accordi recentemente stipulati in tal senso (Iran); da una parte  sembrano strizzare l’occhio ai Paesi arabi, dall’altra provocano assurdamente i palestinesi con  lo spostamento a Gerusalemme dell’ambasciata americana e il riconoscimento a tale città del ruolo di capitale di Israele; da una parte sembrano dialogare con la Cina e poi innescano una sconvolgente guerra dei dazi con tale Paese.

Ma veniamo a noi. Avremmo tutto l’interesse a trovare accordi con i Pesi mediterranei per superare la posizione di debolezza all’interno dell’Unione Europea, riformandola e ristrutturandola, e per gestire in modo razionale e solidale il fenomeno migratorio, invece, in modo a dir poco scriteriato, tendiamo ad un asse privilegiato col gruppo di Visegrad, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, i cosiddetti Paesi sovranisti, l’insieme delle nazioni che non vogliono ospitare migranti, coloro che hanno intenzione di destrutturare l’Unione Europea dall’interno.  Guai se qualcuno osa criticare il nostro modo sguaiato di affrontare l’emergenza immigrazione e poi è tutto una pesante critica al volontariato e alle imprese sociali impegnata nell’accoglienza agli immigrati e alle ong impegnate nel salvataggio. Cavalchiamo spudoratamente la paura dell’immigrato che ci danneggia e ci sconvolge e non guardiamo ai nostri connazionali che li sfruttano vergognosamente e soprattutto agli italiani che usufruiscono correttamente dei loro servizi. Li consideriamo un peso insostenibile per le finanze pubbliche, quando le cifre dimostrano che la partita immigrati è a nostro favore (è più quel che versano nelle nostre casse di quanto prelevano in termini di assistenza e protezione).

Ecco perché mi sento in balia delle onde culturali e politiche e, siccome soffro maledettamente il mal di mare, ho frequenti crisi di vomito, soprattutto quando vedo e sento certi personaggi. Quelli che un giorno attaccano la Francia, rea di dire qualche verità sul nostro comportamento, e il giorno dopo corrono all’Eliseo per stringere la mano ai cugini d’oltralpe. Quelli che vogliono la botte piena degli aiuti Ue e la moglie ubriaca di antieuropeismo. Quelli che “onestà, onestà” e poi piantano scivoloni pazzeschi sulle bucce di banana della corruzione. Quelli che spendono 100 euro per il “cappottino del cane” e preferiscono lasciar morire i loro simili in terra e in mare.

Il compromesso dalla cintola in giù

Mi sono ripetutamente chiesto quale sia la strategia, ammesso e non concesso che ne esista una, dei due partiti protagonisti dell’attuale fase politica, vale a dire il M5S e la Lega. Stanno cavalcando a vanvera la protesta e la sfiducia della gente, stanno andando dietro la corrente populista spinta da Trump, Putin e loro adepti palesi ed occulti, stanno cercando di fare il pieno elettorale e man bassa dei posti di potere? C’è un disegno nella loro alleanza o si tratta di un opportunistico connubio senza capo né coda? Domande che stanno a monte di quanto sta succedendo, poste per capire dove stiamo andando, politicamente parlando.

Le macroscopiche differenze tra i due interlocutori le coglie perfettamente anche un cieco con le fette di populismo sugli occhi. E allora? Da dove parte e dove vuole arrivare questo paradossale imbroglio tra suocera e nuora? Azzardo l’ipotesi di un triste compromesso storico fra grillini e leghisti. Ecco il ragionamento. Siamo le due forze politiche fondamentali, capaci di rappresentare e interpretare la stragrande maggioranza del popolo italiano. La pensiamo diversamente su tante questioni, ma conviene convivere pacificamente per un po’ di tempo, quello necessario a fare il pieno di voti, ma anche e soprattutto ad entrare definitivamente nei gangli dell’odiato establishment e della dominante burocrazia, per mettere le radici nel tessuto socio-politico italiano ed internazionale. Poi ci potremo anche dividere, contrapporre, sfidare, nel frattempo avremo fatto il vuoto attorno a noi e ce la giocheremo al meglio.

Mio padre sosteneva che io gli assomigliavo solo dalla cintola in giù: lo diceva per umiltà di padre e per ammirazione verso la moglie. Il compromesso storico grillo-leghista assomiglia a quello moro-berlingueriano solo dalla cintola in giù: un compromesso ai livelli più bassi e il cosiddetto contratto di governo lo dimostra, un accordo di potere basato sul governare senza alcuna cultura di governo e le prime scelte lo evidenziano clamorosamente, una cavalcata elettorale continua e l’appello continuo al popolo la rende concreta. Non si può definirlo un compromesso antistorico perché purtroppo la storia attuale è zeppa di robaccia populista, sovranista e protezionista: si è scelta la storia sbagliata per affermare gli interessi di partito con un clamoroso e demagogico tradimento dei veri interessi popolari, si è intrapresa la strada subdola e illusoria dell’antipolitica che porta dritti all’antidemocrazia.

La prima fase consisterà nel rifondare la democrazia sui falsi valori della partecipazione diretta e del depotenziamento delle Istituzioni repubblicane; la seconda nel governare insieme per consolidare questa nuova (?) democrazia; la terza nel ridurre la competizione politica ed elettorale a livello di confronto tra due populismi, per semplificare, uno di destra e uno di sinistra. Potrebbe essere un disegno già in atto, che parte dalle farneticanti elaborazioni pseudo-culturali della Casaleggio associati, dalle performance piazzaiole di Beppe Grillo, dall’autoritarismo riveduto e corretto (per non dire di peggio) e dai comizi razzisti della Lega salviniana, dal badogliano governo di Giuseppe Conte, dal Parlamento ridotto a camera sorda e grigia di ratifica di quanto deciso sui social media, da un Presidente della Repubblica ridotto a mero notaio delle spinte populiste. Sull’ultimo punto i nostri eroi si sono sbagliati, perché al Quirinale non c’è un reuccio alla Vittorio Emanuele IV o Umberto III, ma un autentico democratico. Il Parlamento si dia una mossa, la gente cerchi di capire che la storia non si fa con un pezzo di gesso messo in mano ai gestori dei bar sport della politica.

Corruzione all’ultimo stadio

Sorprende che nella realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle, opera discussa e controversa, siano annidate vicende di associazione per delinquere finalizzate alla commissione di condotte corruttive e di una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione: nove arresti (un imprenditore, cinque suoi collaboratori, tre persone riconducibili alla politica; gli indagati sono ventisette tra cui politici appartenenti a diverse aree.

Ho usato la parola sorprendente non perché io sia un ingenuo, ma perché mi sembra strano che il comune di Roma, già nell’occhio del ciclone per altre questioni giudiziarie, non abbia sorvegliato adeguatamente su una vicenda importante e peraltro messa fin dall’inizio nel mirino della critica a livello politico, urbanistico, ed amministrativo. Un secondo motivo di sorpresa sta nei tempi dell’inchiesta che, stando alle notizie che si sentono e si leggono, riguarderebbe tra l’altro, un faccendiere legato al movimento cinque stelle e tangenti destinate ai due partiti che formano il governo appena insediato: una sorta di altolà giudiziario alla credibilità di chi sbandiera il cambiamento e si troverebbe impelagato nella continuità corruttiva?

Non sono solito rovistare nelle inchieste giudiziarie per placare la sete di pulito: staremo a vedere come evolverà la situazione. Abbiamo visti troppi e gravi tiramolla giudiziari con assoluzioni finali. Sono consapevole della estrema delicatezza e complessità delle procedure amministrative, nelle quali ci vuole un attimo a finire nei guai per atti compiuti in buona fede. Voglio concedere sempre e comunque a tutti la possibilità di difendersi e quindi aspetto prima di sputare sentenze e di comminare condanne sommarie e non sopporto le improvvisate gogne mediatiche. Quando un politico o una parte politica finiscono in guai di carattere giudiziario, mi viene spontaneo tenere ben distinti i due piani, quello della, anche spietata, critica politica, da quello della strumentale spalmatura di fango.

Due ragionamenti politici comunque si impongono. Il primo riguarda l’attuale amministrazione capitolina: il comune sarebbe pronto a sospendere il progetto. Mi sembra il solito pianto sul latte versato. Questi amministratori, Virginia Raggi in testa, stanno dimostrando di essere quanto meno dei confusionari pazzeschi, capaci solo di nascondersi dietro l’alibi dei disastri di chi c’era prima e totalmente incapaci di segnare una vera svolta per una città sempre più allo sbando. Forse, nell’interesse di tutti anche di loro stessi, sarebbe ora che se ne andassero a casa.

Un secondo ragionamento riguarda chi fa politica sulla base di una diversità etica annunciata, ma purtroppo piuttosto disattesa. Mi riferisco ai pentastellati, zeppi, a livello locale, di denunce, inchieste, etc.  I casi sono due: o si tratta di gente capitata per caso al vertice di importanti enti locali, oppure la loro diversità muta assai presto in tendenziale omogeneità immorale. Non fa differenza la rassicurazione di fare piena luce e di sbattere fuori gli invischiati: hanno sempre detto tutti così, anche perché non si può dire diversamente. Sarebbe inoltre il caso che questi rigorosi censori ricordassero l’ardore punitivo usato verso gli avversari politici: probabilmente, a parti invertite, sarebbero già scesi in piazza al grido di “onestà-onestà” e invece eccoli ancora lì a tentennare e a difendere con le unghie ed i denti Virginia Raggi e c.

Pur essendo un acerrimo e convinto avversario di Lega e Cinquestelle nonché un osservatore critico implacabile del loro “mostruoso” governo, non provo alcuna soddisfazione nel vederli in difficoltà sul piano della credibilità etica. Non sono mai stato un qualunquista, ho sempre ritenuto che la politica sia un discorso molto più complesso ed articolato del semplice rispetto del codice penale, sono stato abituato a non godere mai delle difficoltà altrui: non sarà certo l’arresto di un ipotetico faccendiere grillino a farmi cambiare mentalità e stile.

 

Un incidente diplomatico al giorno aumenta il consenso intorno

Prima la Tunisia, poi Malta, poi la Francia, per non parlare dell’Europa tutta: in pochi giorni il governo italiano, tramite soprattutto il suo ministro degli Interni, Matteo Salvini, è riuscito a incasinare i rapporti con diversi Stati in un assurdo crescendo polemico fine a se stesso. Il ministro dell’economia, Tria, ha annullato il viaggio in programma a Parigi, dove avrebbe dovuto incontrare l’omologo francese Le Maire. Il ministro degli Esteri Moavero Milanesi ha convocato alla Farnesina l’ambasciatore di Francia in Italia Masset e, data la sua assenza da Roma, ha ricevuto l’incaricata d’affari Raulin. Il ministro italiano ha detto che il governo considera “inaccettabili” le dichiarazioni pubbliche rese a Parigi, anche a livello governativo, sul caso Aquarius: «Stanno compromettendo le relazioni Italia-Francia. Parigi assuma iniziative per sanare la situazione».

Salvini si scatena: «I francesi fanno i fenomeni, ma hanno respinto più di 10 mila persone alle frontiere con l’Italia, tra cui moltissime donne e bambini. Sommessamente ricordo che, sul fronte Nord Africa, tutti paghiamo l’instabilità portata proprio dai francesi in Libia e a sud della Libia. Se i francesi avranno l’umiltà di chiedere scusa, pari e patta, amici come prima per lavorare in tutte le sedi. Però gli insulti da parte di chi respinge e chiude i porti non ne accettiamo. Se non ci sono scuse ufficiali, Conte fa bene a non andare a Parigi». Nel suo primo intervento al Senato, in occasione del dibattito sulla vicenda migranti Aquarius, Salvini ha ringraziato la Spagna augurandosi che eserciti la sua generosità anche nelle prossime settimane. «L’Italia, ha osservato polemicamente, accoglie 170 mila migranti e la Spagna 16 mila». E alla Francia ha detto: «Macron passi dalle parole ai fatti».

Cosa ha detto di tanto sconvolgente e offensivo la Francia. Il portavoce di En Marche, partito del presidente francese, aveva definito “vomitevole” la chiusura dei porti italiani e Macron aveva bollato il comportamento di Roma come cinico e irresponsabile. Mi permetto di essere perfettamente d’accordo con Macron anche se il suo pulpito non è certamente molto credibile. Aggiungo che effettivamente l’Europa non ha sufficientemente aiutato l’Italia nella sua azione verso i migranti.

Bisogna comunque fare qualche osservazione. Mi pare innanzitutto che i numeri, snocciolati da Salvini per sbugiardare e sputtanare gli altri Paesi europei, siano parziali e non tengano conto dell’intero fenomeno migratorio. Se infatti si guarda al numero totale di migranti inseriti nei Paesi europei in proporzione al numero degli abitanti, la graduatoria vede l’Italia in posizione piuttosto defilata. Quindi rifiutiamo pure le reprimende francesi, ma non facciamo ad oltranza i primi della classe e le vittime della situazione. In secondo luogo i problemi non si avviano a soluzione con gli incidenti diplomatici e con le schermaglie polemiche, ma con una azione seria di confronto e dialogo con i partner europei, mettendoli di fronte alle loro indubbie responsabilità, ma ricordando oltretutto che il gioco al massacro potrebbe comportare l’apertura dei nostri armadi, da cui potrebbero spuntare scheletri imbarazzanti. In terzo luogo non si può ammiccare ai Paesi dell’Est-Europa per omogeneità populista e sovranista, dimenticando che i loro stati, dopo aver beneficiato di enormi aiuti, sputano nel piatto dove mangiano e si chiudono a riccio verso i migranti nord-africani, senza considerare che pure loro hanno sbolognato parecchi cittadini verso l’Europa più sviluppata e questi non sono tutti stinchi di santo nei loro comportamenti fuori dalla patria.

Mettiamoci pure contro tutti, sbattiamo i pugni sui tavoli, suscitiamo l’orgoglio nazionale riveduto e corretto per incrementare i consensi elettorali, minacciamo rappresaglie e vendette, ma non dimentichiamo la barzelletta di quel marito cornuto e mazziato: per schivare gli improperi e le bastonate della moglie, si rifugia sotto il letto. Al reiterato e autoritario invito della moglie ad uscire dal penoso nascondiglio, egli, con un rigurgito di machismo, risponde: «Mi  fagh cme no vôja e stag chi!». Il ministro Salvini, con Giuseppe Conte a reggere un penoso moccolo ed il M5S a succhiare opportunisticamente la ruota, constata come l’Italia si sia nel tempo ficcata sotto il letto, per difficoltà storiche e debolezze congenite, ma anche per colpe non piccole di governi in cui la Lega era presente ed operante, ed ora intende fare la voce grossa e medita seriamente di venirne fuori con intenti politicamente bellicosi. Semplicemente ridicolo!

Il viminalega

La Costituzione italiana al secondo comma dell’articolo 95 recita testualmente: “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”. Non mi risulta che la legge preveda la sede dei ministeri con portafoglio presso la sede del partito di provenienza del ministro. È quanto sta regolarmente avvenendo per il ministro Matteo Salvini, il quale svolge le sue funzioni ministeriali mescolandole con comizi elettorali e facendo dichiarazioni come ministro dell’Interno con tanto di manifesti leghisti alle sue spalle.

Se qualcuno non l’avesse ancora capito l’indirizzo politico del governo lo da questo signore, che, tra l’altro, intende rimanere segretario della Lega, creando una pericolosa zeppa tra la gestione dell’ordine pubblico, questione di una delicatezza estrema, e la gestione di un partito, questione del tutto diversa. Elegantemente il suo predecessore Roberto Maroni, altro leghista presente quale ministro degli Interni nei governi Berlusconi, glielo ha fatto osservare prima ancora del tempo, ma lui ha fatto orecchie da mercante, sminuendo il conflitto a livello di compatibilità tra gli impegni personali.

Ritengo decisamente inaccettabile che chi garantisce sicurezza e ordine lo faccia sbandierando la propria connotazione partitica: non è questione di forma, ma di sostanza. In Italia ci sono molti leghisti, troppi per i miei gusti, ma non tutti lo sono e Salvini non può dimenticarlo. Ha il diritto di esprimere una linea di governo relativamente al suo ministero e compatibilmente con l’indirizzo politico ed amministrativo garantito dal Presidente del Consiglio, ma ha anche il dovere di amministrare correttamente e seriamente la sua macchina ministeriale nell’interesse del popolo italiano. Ha giurato pronunciando la seguente formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Il ministro Matteo Salvini sta dimostrando di non essere affatto fedele alla storia della nostra Repubblica, non in quanto il suo partito abbia, almeno in passato, vagheggiato una secessione, ma perché dimostra di non essere in linea con i presupposti basilari del nostro stato democratico; non sta affatto osservando la Costituzione laddove dispone: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. L’attuale ministro degli Interni non sta esercitando le sue funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione, ma secondo i dettami dei suoi elettori: non va bene per un parlamentare (fino a legge contraria non legato da vincolo di mandato elettorale), immaginiamoci se può andar bene per un ministro.

Penso tutti ricordino come Umberto Bossi, allora leader della Lega nord, intendesse pulirsi il sedere con la bandiera italiana. Ebbene, Luigi Di Maio ne voleva fare lo strumento per un’indegna gazzarra contro il Presidente della Repubblica, salvo fare un ancora più indegna e opportunistica retromarcia. Salvini sta andando ben oltre il folclore bossiano, di fatto ha sostituito la bandiera italiana con quella leghista. Rimpiango Bossi. Il giallo e il verde mescolati assieme fanno il blu, come la mia rabbia. Ma si vede chiaramente che il giallo tende a scomparire e prevale il verde, che non ha niente a che vedere con la speranza. Se ne rendano conto anche i grillini, succubi del disegno salviniano: hanno buttato fuori dalla porta Berlusconi e si vedono rientrare dalla finestra qualcosa di peggio.  Se devo essere sincero: nonostante tutto mi è più simpatico Salvini (almeno si capisce cosa vuole) rispetto a Di Maio (non solo non si capisce cosa vuole, ma non lo capisce nemmeno lui). Con Salvini non c’è mai fine al peggio, con Di Maio al meglio non c’è neanche inizio.

Nosotros podemos ser racistas

“Ci siamo insediati da pochi giorni e già la musica sta cambiando”. Così il ministro delle infrastrutture Toninelli, autorevole esponente del M5S, a margine della vicenda della nave Aquarius con 629 migranti rifiutata dall’Italia e accolta dalla Spagna su sollecitazione di due sindaci, Ada Colau di Barcellona e Joan Ribó di Valencia. Che Matteo Salvini giochi a fare il bullo davanti alle navi cariche di immigrati, dichiarando che “l’Italia ha smesso di chinare il capo e di ubbidire, perché c’è chi ha il coraggio di dire NO”, non mi stupisce: si era capito da tempo che finivamo in questa deriva elettoralistica, che non so dove ci porterà, sicuramente lontano dalla civiltà. Che Danilo Toninelli si accodi pedissequamente alla Lega, confondendo il cambiamento con il respingimento dei poveri diavoli, mi scandalizza e spero faccia riflettere l’elettorato cinque stelle o almeno lo costringa ad uscire dall’equivoco.

I due sindaci di cui sopra, decisivi a quanto pare nella decisione del governo spagnolo di aprire il porto alla nave che stava latitando in mezzo al mare, sono stati candidati al loro importante incarico da Podemos, che se non vado errato è un movimento a cui i grillini vorrebbero assomigliare. Vedo sul piano politico una forte contaminazione destrorsa del M5S, che, a giudicare dai recentissimi risultati elettorali della consultazione amministrativa comunale, probabilmente sta già mettendo in crisi l’elettorato pentastellato o almeno una parte di esso.  I grillini accettano di buon grado di farsi fagocitare da Salvini. In un certo senso Salvini, che fa penosamente il verso a Trump, mi fa ridere con la sua aria da bullo di periferia che prima o poi andrà a sbattere contro le istituzioni italiane ed europee; Toninelli e c. mi fanno piangere di vergogna: se è questo il nuovo establishment che avanza, preferisco quello vecchio e decrepito.

Si sta facendo strada l’idea che la discussione politica a tutti i livelli premi chi alza la voce, chi grida, come succede al bar dove prevale l’irrazionalità dei prepotenti sull’incertezza dei miti. Avete visto? Così si fa! Diranno i leghisti a chi li ha votati. Adesso basta: dobbiamo farci rispettare. Sarà questa la parola d’ordine del governo giallo-verde. Sono perfettamente consapevole che l’Europa finora sul problema migranti si è girata dall’altra parte, ma gli esponenti più solleciti nel fregarsene altamente di questo problema sono proprio gli amici governanti dei Paesi con cui Salvini vuole tessere un rapporto privilegiato. Se tutti cominciano a fare i furbetti dove li mettiamo gli immigrati? Mi aspetto che, prima o poi, li si voglia provocatoriamente albergare in Vaticano. Alcune sere or sono ho imparato che per rimpatriare tutti i clandestini occorrerebbero anni e anni di voli aerei, ammesso e non concesso che gli Stati d’origine accettino di accoglierli, perché diversamente ci sarebbe nell’aria un paradossale viavai.

So benissimo che lo Stato Italiano non è la Caritas, ma vorrei tanto che non diventasse l’incarnazione statuale di egoismo, indifferenza, durezza, freddezza, avarizia, grettezza. Siamo arrivati al dunque, alla regola d’oro di mio padre: “S’a t’ tén il man sarädi a ne t’ cäga in man gnan’ ‘na mòsca”. Non so quanti immigrati ospiti la Spagna e quale atteggiamento abbia tenuto finora su questa delicata partita, ma farmi battere in volata, magari strumentalmente, dagli amici spagnoli non è per me una grande soddisfazione. Ricordo quanto bene dicesse degli spagnoli il mio grande amico Giampiero Rubiconi: forse aveva ragione lui e non mi resta che fare un pensierino di emigrare in Spagna. Assomigliano tanto a noi italiani, ma non hanno Salvini, Grillo, Di Maio, Toninelli etc. In compenso hanno i secessionisti catalani. Vorrà dire che resterò in Italia a piangere sulle urne elettorali, prima di finire nell’urna cimiteriale. Allegria!

 

 

Al cinema tra gomme americane e vomito trumpiano

Un mio carissimo amico, per dimostrare l’imprevedibilità e la stranezza della vita, raccontava spesso uno sgradevole e curioso episodio capitatogli. Era entrato in una sala cinematografica pressoché deserta e aveva scelto in tutta tranquillità la poltroncina su cui accomodarsi, pregustando una visione tranquilla e rilassante del film in programmazione. Dopo qualche istante, si mosse appena per meglio sistemarsi e si accorse di essersi seduto su una gomma americana, malignamente e goliardicamente posizionata da uno spettatore in vena di brutti scherzi: spettacolo rovinato, pantaloni da buttare, incazzatura inevitabile e persistente.

Come italiano mi sento spettatore di un film americano con la sorpresa di essermi seduto su una tiramolla trumpiana. Davanti alle sceneggiate del presidente statunitense ci sarebbe anche da ridere, alla più brutta ce la si potrebbe cavare con un’alzata di spalle: cazzi loro, se la vedano gli americani, lo hanno voluto e se lo godano pure. Il problema sta nel fatto che nell’ipotetico cinema in cui entriamo troppe poltrone sono a rischio tiramolla, c’è buio, non ci sono più le maschere con la pila elettrica, i posti a sedere sono scarsi e soprattutto il film è obbligatorio a vedersi.

Non so se gli americani siano pentiti della scriteriata scelta (non) fatta, ma ci hanno fatto un regalino di quelli che ti cambiano la vita. Il loro presidente dice e disdice in continuazione, fa e disfa a getto continuo, si diverte a rompere le uova nel paniere europeo, aizza l’uno contro l’altro, gioca su più tavoli, mette tutto in discussione, usa la clava dei dazi, se ne sbatte altamente dell’ecologia e dell’ambiente, sceglie implacabilmente la parte sbagliata per procurare danni e poi strizza l’occhio al malcapitato sotto le sue grinfie. La politica internazionale è diventata come non mai una partita a poker dove naturalmente vince il più ricco. Dal mondo politicamente diviso tra occidente e oriente con i paesi del terzo mondo in bilico tra i due blocchi siamo passati a un equilibrio (?) internazionale in cui i paesi forti si divertono a giocare sporco fra di loro e concedono qualche mancia a quelli più deboli, ignorando totalmente i popoli sottosviluppati.

Gli Stati Uniti storicamente ci hanno aiutato molto, è loro convenuto, ma comunque gli aiuti ci sono arrivati. Oggi siamo diventati i loro zimbelli ed a qualcuno questo ruolo sta benissimo. Anche a me in passato è successa una disavventura cinematografica. Ero in un posto di villeggiatura e chissà perché decisi, assieme ai miei cugini, di andare al cinema: una sala zeppa di gente con un caldo asfissiante. Trovammo un posto a malapena. Dietro di noi si creò un po’ di subbuglio: una donna si era sentita male e non trovò di meglio che vomitarmi addosso imbrattandomi i pantaloni. Mi alzai di scatto per andarmi a pulire, ma ci fu chi lestamente prese il mio posto incurante del vomito abbondantemente spalmato sulle poltroncine.

La trovo una quasi perfetta metafora della confusione esistente nei rapporti internazionali.  Non so se il debuttante Giuseppe Conte, al G7 in Canada, si sia seduto su una gomma americana o abbia sporcato i pantaloni col vomito trumpiano. Ho intuito che abbia ricevuto una pacca sulla spalla cercando di stare al gioco dei più forti e accontentandosi delle comode briciole russo-americane rispetto alle ben più impegnative micche europee.  Un modo come un altro per galleggiare. L’Italia storicamente ha sempre adottato una politica estera dignitosa, rispettabile e coerente. Nell’ipotetico cinema di cui sopra in passato ci siamo seduti, se non proprio nei secondi posti, non certo nelle prime file, ma il film, bene o male, lo abbiamo visto. Attenzione a non accontentarci di un cinema di seconda classe dove proiettano pellicole riciclate, illudendoci di essere gli invitati d’onore nella sala cinematografica di lusso.