La tragedia in tazza

Il panorama è apocalittico: milioni di morti sparsi in tutto il mondo, scene sconvolgenti provenienti soprattutto dall’India, domande inquietanti sul futuro dell’umanità. Mi pongo sempre più il problema inquietante se stiamo vivendo l’inizio della fine (Gesù: “Vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori… e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze”) oppure se ci stiano arrivando segnali inequivocabili dell’assoluta necessità di cambiare tutto (Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato…l’è tutto da rifare!”) oppure se sia iniziata una sorta di bagno purificatore per tutta la creazione (messaggi di Medjugorje).

Un caro e simpatico amico, di fronte alle drammatiche e tragiche stranezze dei comportamenti umani, si chiedeva: “Non so cosa aspetti il Padre Eterno ad intervenire per buttare tutto all’aria e semmai rifare tutto da capo”. In verità Dio, secondo la fede cristiana, in cui mi riconosco convintamente, è già intervenuto, incarnandosi e andando in croce per poi risorgere (“la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”). Lungi da me imbastire una frettolosa ed apocalittica analisi del fenomeno pandemico in cui siamo sprofondati, intendo solo partire dalla enormità della tragedia per compararla ai nostri vacui comportamenti.

La gente tira un sospiro di sollievo, si consola con le riaperture e si distrae con una tazzina di caffè (spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè…) finalmente bevuta al bar dell’angolo o al bar del centro, con una striminzita cena al ristorante (al freddo e al gelo…), con un precipitoso rifugio in una sala cinematografica, con la prospettiva degli apericovid, insomma con l’illusione del tutto come prima e più di prima, dimostrando di avere  poco cervello, niente cuore e un bel po’ di pelo sullo stomaco.

La politica anziché concentrarsi sui 248 miliardi in ballo, da cui dipende il futuro del nostro Paese, preferisce baloccarsi nella insulsa diatriba sul coprifuoco in tarda serata e mettersi vergognosamente alla caccia di consensi e di capri espiatori sulla pelle degli italiani. Il centro-destra è alle prese più con la propria identità che con quella del coronavirus, tutti, più o meno, si comportano come gatti che marcano il loro territorio (lasciamo perdere il come…) intendendo segnalare la propria presenza agli elettori disperati, promettendo ad essi le cose più assurde ed impossibili.

Per tutti gli attori di questa commedia/tragedia all’italiana vale la famosa barzelletta delle promesse elettorali: vi daremo questo, vi concederemo quest’altro, vi offriremo ciò che vorrete… E l’afta epizootica? chiese timidamente un agricoltore della zona interessata. Vi daremo anche quella! rispose gagliardamente il comiziante di turno. Sulla invitante torta del Recovery plan si scateneranno gli appetiti elettoralistici oltre che le voracità burocratiche. Giustamente Mario Draghi sembra fregarsene altamente andando avanti per la sua impervia strada.

Gli scienziati fanno peggio dei teologi bizantini i quali erano soliti dibattere tra di loro sul sesso degli angeli, anche quando i Turchi di Maometto stavano per espugnare Costantinopoli, nel 1453, ponendo fine all’Impero romano d’Oriente. Essi occupano mediaticamente gli spazi di discussione per dibattere a vanvera, mentre il virus sta buttando all’aria il mondo intero: sempre più mi chiedo dove e come trovino il tempo per le loro narcisistiche passerelle televisive, occupati, come dovrebbero essere, nei reparti ospedalieri o negli istituti di ricerca. Il malato è contento e sereno quando vede intorno al proprio letto diversi medici impegnati seriamente a combattere la sua malattia; è confuso, irritato e disperato quando li vede litigare e ascolta i loro inconcludenti ragionamenti.

I media in modo vergognosamente autoreferenziale cavalcano le notizie in modo indegno: è in atto un autentico sciacallaggio, la ripugnante attività volta allo sfruttamento scandalistico di informazioni allo scopo di conquistare l’audience e salvaguardare i propri spazi economici e di influenza sulla pubblica opinione. Non resisto più a questa indegna gazzarra: basta!

Cosa altro dovrà succedere per farci rinsavire? Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva per sdrammatizzare e forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda. A margine del disastro covid infatti non c’è bisogno né di pietismo né di indifferenza Né di sbornia mediatica, ma di una presa di responsabilità collettiva. Tremo di fronte alla prova del fuoco inaugurata dalle riaperture: succederà la già vista e patita folle corsa allo smarcamento? Semmai, quando ci viene voglia di evadere scriteriatamente, proviamo a guardare le immagini provenienti dal mondo e teniamo presente che ad oggi sono 147.377.159 i casi di contagio confermati dall’inizio della pandemia e sono 3.112.041 i morti. Cifre da capogiro che stiamo affogando in una tazzina di caffè.

Le pentole terroristiche

L’arresto in Francia dei terroristi latitanti mi induce a parecchie dolorose riflessioni che (s)coprono immediatamente la superficiale soddisfazione (?) per la consegna alle patrie galere di persone colpevoli di gravi delitti seppure a sfondo politico. A costo di essere frainteso le riporto di seguito in modo sconclusionato, ma emozionato e sofferto. Chiedo scusa se involontariamente finirò con l’urtare qualche sensibilità, ma sono convinto che i medici pietosi facciano puzzolenti anche le ferite più antiche. Chiarisco in premessa, se mai ce ne fosse bisogno, che ho sempre respinto e respingo categoricamente ogni e qualsiasi tipo di violenza e che il mio impegno politico si è sempre svolto in senso democratico e pacifico. Nessuna indulgenza verso chi si è macchiato di reati compiuti sulla base di ideologie politiche, ma all’invettiva fine a se stessa preferisco lo sforzo della riflessione.

Parto dalla dottrina, che prende il nome del presidente socialista francese Francois Mitterand ed era diretta a non concedere l’estradizione a persone imputate o condannate, in particolare italiani, ricercati per «atti di natura violenta ma d’ispirazione politica», contro qualunque Stato, purché non diretti contro lo Stato francese, qualora i loro autori avessero rinunciato a ogni forma di violenza politica, concedendo di fatto un diritto d’asilo a ricercati stranieri che in quel periodo si rifugiarono in Francia.

Sostanzialmente, il consiglio dei ministri francese il 10 novembre 1982, aveva già adottato un’analoga linea di prassi, prima dell’enunciazione della dottrina Mitterrand del 1985: «Non sarà tenuto conto della natura politica dell’infrazione, l’estradizione sarà concessa in linea di principio nei casi in cui siano stati commessi […] «atti criminali (rapimento di ostaggi, omicidi, violenze che abbiano provocato ferite gravi o la morte, ecc.) di natura tale che il fine politico addotto sia insufficiente a giustificare il ricorso a mezzi inaccettabili».

Questa prassi era basata su dichiarazioni orali di Mitterrand, e – secondo vari giuristi – si poneva in contrasto con le obbligazioni internazionali della Francia derivanti dalla vigenza di svariati trattati. Nel caso di rifugiati italiani, tale prassi veniva giustificata con una presunta “non conformità” della legislazione italiana agli standard europei, soprattutto per quanto concerneva le leggi speciali, l’uso della carcerazione preventiva e il rapporto con i collaboratori di giustizia.

La cosiddetta dottrina Mitterand non era basata su principi peregrini anche se era molto ardita e si è prestata più a umiliare le vittime che a redimere i colpevoli. Era, in un certo senso, la riedizione riveduta, ampliata e scorretta dell’amnistia togliattiana, che fu un provvedimento di condono delle pene proposto alla fine della seconda guerra mondiale in Italia dal Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti, approvato dal governo italiano. L’amnistia comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni, i reati commessi al Sud dopo l’8 settembre 1943 ed i reati commessi al Centro e al Nord dopo l’inizio dell’occupazione militare Alleata ed aveva efficacia per i reati commessi a tutto il giorno 18 giugno 1946. Lo scopo era la pacificazione nazionale dopo gli anni della guerra civile, ma vi furono polemiche sulla sua estensione, tanto che il 2 luglio 1946 Togliatti, con l’emanazione della circolare n. 9796/110, raccomandò interpretazioni restrittive nella concessione del beneficio.

Il limite fondamentale di quell’indirizzo politico francese era soprattutto l’intromissione surrettizia nell’amministrazione della giustizia italiana: l’Italia veniva cioè trattata come uno Stato anti-democratico i cui oppositori violenti meritavano almeno una certa comprensione. Non è un caso infatti che questo strano assetto sia stato clamorosamente rimesso in discussione in un momento in cui i rapporti con i cugini francesi hanno preso una piega più solidaristica e meno conflittuale rispetto al passato più o meno recente.

Mitterand non era un cretino (di politici simili ce ne vorrebbero e il suo aperturismo sociale, pur con tutta la cautela del caso, lo preferisco all’ondivago incedere del pragmatismo macroniano), ma varò una “dottrina” che finì col fare da sponsor ad un pentitismo di facciata (troppo comodo ed equivoco per essere vero), che si contrapponeva al ravvedimento operoso del pentitismo all’italiana (utilitaristico, opportunistico e sostanzialmente ingiusto). Due pentitismi a confronto, che hanno creato più danni che benefici a tutti i livelli.

Ho tentato di contestualizzare storicamente il discorso togliendolo dalle secche dell’abbasso Mitterand e dell’evviva Macron e della mera epidermica soddisfazione (illusione) di poter ammanettare la storia e di sotterrare un passato inquietante i cui fantasmi ideologici rischiano ancor oggi di ritornare a galla. Lasciamo che ognuno paghi i conti con la propria coscienza e con la giustizia, il resto è fuffa revanscista.

La seconda riflessione infatti riguarda le farneticanti analisi del terrorismo brigatista. Siamo proprio sicuri che quando i brigatisti parlavano e scrivevano di Stato imperialista delle multinazionali (SIM) non avessero qualche ragione? L’affaire vaccini anticovid è tutto lì a dimostrare come le multinazionali del farmaco, dietro il paravento della corsa scientifica e salvifica, abbiano imbastito una colossale speculazione alle spalle di un imbelle potere politico mondiale, europeo e nazionale con tutte le disastrose conseguenze del caso. Qualcuno sostiene che il comunismo sia un cristianesimo impazzito, io aggiungo che il brigatismo rosso, per quanto di suo e non di aggiunto, era una giustizia sociale impazzita: la medicina e la chirurgia sbagliate aggravano la malattia e/o ammazzano il malato. Tuttavia non pensiamo che la sconfitta del terrorismo rosso (per quello nero occorrerebbero altri discorsi, perché non tendeva a cambiare la società ma a istituzionalizzarne i mali) ci abbia consegnato una società migliore. Forse ha solo buttato via l’acqua sporca, mentre il bambino resta sporco. La nostra società è e rimane profondamente ingiusta e ce ne stiamo accorgendo: il covid è un brigatismo globale e totale, che ci sta mettendo letteralmente in ginocchio.

Terza riflessione. Sono convinto che i brigatisti rossi con tutto l’antipasto esplosivo della cosiddetta sinistra movimentista ed extraparlamentare (ricordo l’analisi di don Raffaele Dagnino davanti alla manifestazione nazionale di Lotta continua tenuta a Parma a metà degli anni settanta: c’è qualcosa di vero nel grido di protesta di questi giovani…) avessero un fondamento di sovversiva “buona fede”, sfociato in una follia autoreferenziale e violenta, come tale da condannare senza esitazione (qualcuno purtroppo esitò…), strumentalizzata ideologicamente (gli opposti estremismi…) e manovrata internazionalmente (la guerra fredda ci guazzò dentro…). Forse lo stesso Moro, durante la sua prigionia, dopo essere stato l’unico politico a capire la portata della contestazione giovanile, capì cosa effettivamente bollisse nella pentola terroristica, capì di essere vittima di un gioco molto più articolato e complesso e tentò, non tanto di salvare la propria pelle, ma di allargare e approfondire il discorso dell’antiterrorismo. Non ci riuscì forse solo per la testardaggine di Mario Moretti e la presunzione della politica ufficiale: un leader assurdo per un movimento paradossale e tanti fieri difensori per una società che non voleva ammettere i propri difetti.

Quarta riflessione. Non accetto i trionfalismi di una destra anti-democratica che vuole sciacquare nella Senna i propri panni sporchi di brigatismo nero e di relativo stragismo. I peccati storici di questa destra le dovrebbero impedire di scagliare ogni e qualsiasi pietra. Anche la sinistra ha i suoi peccati (i compagni che sbagliano…), tutti ne abbiamo (siamo solo capaci di difendere lo status quo…) e quindi non sentiamoci a posto in coscienza dopo avere incarcerato gli epigoni viventi di una violenza politica, che ci dovrebbe interpellare più che scandalizzare. Ho apprezzato la reazione composta dei famigliari delle vittime (nessun cedimento al senso di vendetta) molto più dello stucchevole e stereotipato omaggio delle autorità italiane (sapeva di tardivo e inopinato perbenismo).

 

La mia “cassandrata” vaccinale

Riporto di seguito un articolo di Maria Teresa Martini pubblicato sul sito de La Stampa il 25 aprile 2021, intitolato “Operatori sanitari in piazza a Torino contro l’obbligo al vaccino: Un ricatto che va contro il diritto internazionale. I presenti al flash mob in piazza accusano: «Non è un vaccino, ma una sperimentazione»”.

Alcune centinaia di operatori della sanità e del comparto socio-assistenziale hanno manifestato nel pomeriggio con un flashmob in piazza Castello, contro l’obbligo di vaccinazione. L’iniziativa è stata organizzata da gruppi associativi e da CUB Sanità per sollecitare alla Regione: «La sospensione dell’applicazione dell’art. 4 del DL 44 /2021, in attesa della eventuale trasformazione in legge dal Parlamento, e la garanzia che, in nessun caso, nessun operatore sociale e sanitario sarà privato del proprio reddito, anche, se necessario, con interventi appositi».

Per la CUB la scelta del 25 aprile non è casuale. «Dalla fine della seconda guerra mondiale tutte le carte internazionali dei diritti, inclusa la carta dei principi dell’Unione Europea, sanciscono il diritto inviolabile alla integrità fisica e al consenso informato per qualsiasi trattamento sanitario. Obbligo e consenso sono chiaramente una contraddizione. Nessun consenso può essere basato sul ricatto di perdere la possibilità di lavorare e mantenere se stessi e la propria famiglia. Una simile norma contravviene a nostro avviso l’art.36 della Costituzione». Alessandro Zanetti, coordinatore della CUB Sanità: «In molte aziende, pubbliche e private, si verificano illegalità e scorrettezze come la violazione della privacy, pressioni indebite, la pubblicazione delle liste dei vaccinati e non vaccinati».

Ma tra le motivazioni prioritarie che hanno portato in piazza – con mascherine e distanziamento rispettato – infermieri, oss, educatori di comunità, c’è anche la convinzione che «la vaccinazione antiCovid non dia la certezza di essere sicura per chi la fa né quella di non contagiare gli altri. Questo in base al rapporto 4/2021 dell’Istituto Superiore di Sanità». Un’operatrice socio sanitaria che lavora in ospedale ha spiegato che nel suo reparto su una sessantina di lavoratori un quarto circa, con varie appartenenze sindacali, si riconosce nelle posizioni espresse oggi dai manifestanti, arrivati anche da Ivrea, Biella e altre località della Regione.

La CUB ha annunciato che darà assistenza sindacale e legale a chi subisse pressioni illegali: «Impugneremo le sospensioni dal lavoro – ha detto Zanetti – portando i casi davanti alla Corte Costituzionale».

Cvd, come volevasi dimostrare. Non resisto alla tentazione di autocitarmi e quindi aggiungo di seguito quanto contenuto nel mio commento postato lo scorso 29 marzo 2021 (una piccola narcisistica digressione).

“Lungi da me santificare gli operatori sanitari che non intendono vaccinarsi contro il covid, ma, prima di colpevolizzarli, vorrei capire, come mai persone culturalmente attrezzate in materia, esposte notevolmente al rischio di contaminazione, pur sapendo che tanti loro colleghi ci hanno lasciato finora le penne, si intestardiscono a non volersi sottoporre a vaccinazione.

Siamo in prossimità della Pasqua e mi viene spontaneo fare riferimento a quanto disse Nicodemo agli sbrigativi colleghi colpevolisti del Sinedrio: «La nostra legge non ci permette di condannare un uomo senza prima ascoltare da lui cosa ha fatto».

Quindi prima di approvare un decreto contro gli operatori sanitari, che non si vaccinano, con la previsione di penalità consistenti nel trasferimento, nelle ferie forzate o addirittura nel licenziamento, vorrei tanto capire le motivazioni di questo atteggiamento recalcitrante al limite della legalità. Da tempo mi chiedo il perché di questo comportamento apparentemente irrazionale e irresponsabile e non riesco a trovare giustificazioni plausibile se non il generico timore delle controindicazioni del vaccino, che per la verità molti nutrono e superano, mentre parecchi non riescono a superare.

Su questo discorso si scontrano due principi: il senso civico richiesto al cittadino ed il suo diritto alla libertà di cura. Il senso civico vale per tutti, ancor più per soggetti che svolgono particolari funzioni a servizio della collettività, come è per gli operatori sanitari. Il diritto a rifiutare il vaccino è intoccabile, ma bisognerebbe coniugarlo con il diritto alla salute degli altri. Il problema è estremamente delicato e non vorrei essere nei panni della ministra della giustizia Marta Cartabia a cui è stato delegato il compito di stendere al riguardo un provvedimento. La sua competenza deriva dall’incarico ministeriale che ricopre, ma anche dalla preparazione ed esperienza giuridica acquisita anche e soprattutto a livello costituzionale. Sì, perché qui è in ballo la Costituzione nei suoi principi fondamentali.

Il decreto che dovrà sanzionare gli operatori sanitari andrà studiato molto bene ad evitare code interminabili di controversie legali facilmente immaginabili. Piove sul bagnato dei problemi che non mancano: aggiungiamoci pure anche questo. Non ho idea come potrà funzionare una soluzione giuridica che salvi capre e cavoli. Forse però sarebbe meglio affidarsi ad un tentativo serio e stringente di convincimento delle persone interessate, dopo aver capito e valutato le loro rimostranze e prima di aprire un contenzioso molto brutto da ogni punto di vista”.

Non aggiungo altro. La protesta degli operatori sanitari, stando alla cronaca di cui sopra, va ben oltre quello che si poteva facilmente immaginare, arrivando sostanzialmente a definire la vaccinazione anticovid come una sperimentazione di massa. Qualcuno si sta divertendo nel giochino di almanaccare le gaffe di Mario Draghi (in piccolissima parte ci sono cascato anch’io, pur dando a Draghi quel che è di Draghi e ammettendo che solo chi non fa non falla). Se però vogliamo proprio insistere nel divertimento innocuo, aggiungiamoci questa “pestata orrenda” di Marta Cartabia (roba da dilettante allo sbaraglio), che probabilmente, quando è stato approvato in consiglio dei ministri l’articolo 4 del DL 44/2021, si è distratta un attimo.  Staremo a vedere… Ma chi sono io per giudicare Marta Cartabia?

Una cornetta da alzare e da sbattere

Ecco di seguito il retroscena dei rapporti fra Italia e Unione Europea durante la dirittura finale del recovery plan così come autorevolmente riportato dal Corriere della sera.

“Ad un certo punto del pomeriggio Mario Draghi alza il telefono per la seconda volta in due giorni, richiama la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non alza la voce, ma manda un messaggio che chiude una trattativa estenuante, ruvida, segnata dalla diffidenza degli uffici tecnici di Bruxelles: «Non credo che dobbiamo fornire ulteriori spiegazioni, basta così. Ci vuole rispetto per l’Italia». A Palazzo Chigi, alle nove di sera, dicono che l’accordo politico con la Commissione è chiuso, ma che il confronto con Bruxelles è stato segnato da una serie di richieste sulle riforme che accompagneranno il Piano «piene di cavilli» e «di sfiducia nelle capacità del Paese» di implementarle.

Ci sono stati anche momenti di scontro vero con Bruxelles: hanno chiesto più dettagli sul contrasto al lavoro nero, sui tempi e i contenuti della riforma della giustizia, sulle semplificazioni delle procedure, su concorrenza e liberalizzazioni. Su quest’ultimo punto è dovuto intervenire ancora una volta il presidente del Consiglio, con un messaggio diplomatico e al contempo molto fermo: «Non si può chiedere tutto e subito ad un Paese con un’economia in ginocchio». La riforma della concorrenza si farà, insieme alle altre, nel Pnrr sono indicati tempi e contenuti di almeno 15 fra decreti leggi e leggi delega di riforma del Paese nei prossimi mesi ed anni, con tanto di cronoprogramma.

Dopo 48 ore filate di videoconferenze e telefonate fra il governo italiano e gli uffici della Commissione, la trattativa si conclude con l’accettazione delle garanzie che Draghi offre in prima persona. Nel Piano predisposto dal precedente governo c’era una sola pagina dedicata alle riforme di attuazione del Recovery, «oggi ce ne sono 40», mettono nero su bianco a Palazzo Chigi. Come dire: la Commissione apprezzi lo sforzo di riscrittura del Piano fatto dal governo Draghi, che «è stato molto profondo» rispetto a quello che si è ritrovato in mano quando si è insediato. È stata anche una corsa contro il tempo: domani il Recovery sarà presentato al Parlamento, poi spedito a Bruxelles nella sua ultima versione”.

Credo che questa breve cronaca spieghi più di ogni analisi politica il significato e la portata del premierato di Draghi proprio nella fase in cui si cominciano a sentire i rumors dell’insoddisfazione e della relativizzazione del suo operato. A chi continua nello stucchevole tentativo di relegare Draghi nella continuità con il governo precedente ecco servite le più eloquenti domande/risposte: chi mai avrebbe avuto il coraggio e la credibilità di dire “basta” alle pur comprensibili perplessità accampate dagli organismi competenti della UE? Chi avrebbe l’autorevolezza per garantire in prima persona un percorso lungo e accidentato di riforme indispensabili al nostro Paese? Chi potrebbe affermare convintamente, come sosteneva il presidente Sandro Pertini, che l’Italia non è né prima né seconda agli altri Stati europei e non solo? Chi avrebbe la concreta lungimiranza per avviare e portare avanti quelle riforme, dalla giustizia alla burocrazia alla scuola alla lotta alla corruzione e al lavoro nero, di cui ci siamo riempiti la bocca nei decenni scorsi?

Draghi, pur tra mille difficoltà e intoppi, sta tenendo fede alle aspettative: volevamo un interlocutore sicuro ed esperto per ottenere i fondi della UE e spenderli nel migliore dei modi. Le attese non stanno andando deluse e dobbiamo prenderne atto con una certa soddisfazione anziché spaccare il capello in quattro alla ricerca del difetto. Chi più di Draghi ha conoscenza dei gangli burocratici della macchina amministrativa per poterli aggirare non con la bacchetta magica della demagogia, ma con la competenza che riesce a snidare le lentezze e gli ostruzionismi? Chi più di Draghi ha in questa fase storica la capacità di coniugare le esigenze economiche con quelle sociali imponendo i tempi e i modi non di una mera ripresa come se niente fosse successo, ma di una ripartenza difficile ma possibile? Chi più di Draghi ha la possibilità di contemperare le esigenze finanziarie dei mercati e delle casse erariali nazionali e comunitarie nel rispetto di una certa etica che vada al di là di una mera caccia ai profitti e alle speculazioni?

Sono volutamente domande provocatoriamente retoriche. Comunque sia non si può sbrigativamente liquidare l’operato di Mario Draghi con una scettica alzata di spalle o con un sorrisetto ironico. Abbiamo trovato una guida e cerchiamo di seguirla con una certa pazienza, senza attese messianiche e senza i soliti sciocchi benaltrismi. Qualcosa si sta sbloccando, è presto, ma finalmente si può guardare avanti con dignità e fiducia. Il resto si vedrà… Draghi non ha bisogno né di grancasse fracassone né di trombette stonate. Gli è bastato alzare la cornetta…

Stretti nella morsa fra esodi e pestilenze di massa

Centotrenta morti per un’altra strage annunciata. Tutte le autorità europee sapevano da due giorni che nel Canale di Sicilia c’erano 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici. Eppure nessuno ha inviato navi per soccorrere i migranti in balia del mare grosso.

Sono durissime le parole, il giorno dopo la tragedia, della portavoce dell’Oim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli: “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”.

Ho letto con sdegno e pena sul quotidiano Avvenire la ricostruzione ora per ora, di come sono andate le cose tra silenzi, omissioni e scaricabarile. Una vicenda che aggiunge l’ennesima ciliegina sulla torta bestiale cucinata con indifferenza, irresponsabilità e incapacità in materia di immigrazione.

L’Europa non è riuscita in tanti anni a varare un piano di salvataggio e accoglienza per gli immigrati, giocando al rimpallo di responsabilità tra i Paesi membri, preferendo foraggiare i “dittatori” al fine di fermare l’emorragia dei disperati ributtati nelle discariche-lager, non riuscendo a programmare nulla di serio sulla base di un atteggiamento umanamente accettabile, socialmente agibile ed economicamente compatibile.

L’Italia, geograficamente assai esposta al fenomeno, per parecchio tempo ha oscillato orrendamente e sadicamente tra le lamentazioni verso l’Unione Europea e le velleitarie disumane volontà di chiudere porti e confini ai disperati del mare. Ad un certo punto è stato fatto un tentativo teoricamente serio di regolare il flusso, coinvolgendo i Paesi di origine e di primo transito, ma tutto si è rivelato inutile ed inadeguato da ogni punto di vista.

Nel frattempo tutti si sono pretestuosamente “distratti”, alle prese con la pandemia ed ai poveracci, che ballano sui barconi della morte, nessuno presta alcuna attenzione. È fin troppo vergognoso doverlo ammettere, ma è così. Abbiamo fatto finta che il problema non esistesse, poi abbiamo cominciato a sgravarci la coscienza affermando lapalissianamente che l’alluvione va fermata a monte salvo essersene altamente fregati per decenni, lasciando questi Paesi nell’isolamento economico-sociale e nel rifiuto politico. Quando l’acqua è arrivata alle porte di casa ci siamo illusi di poter alzare qualche sbrigativa diga protettiva o di ributtarla addosso a qualcun altro. Morale della favola, l’unica arma di gestione del fenomeno è lasciare bollire la pentola, cuocendo a fuoco lento i disperati, e scolmandola con qualche naufragio più o meno inevitabile (?).

Adesso siamo stretti nella morsa biblica tra gli esodi e le pestilenze di massa: il modo peggiore per riequilibrare popolazione e risorse. Se aggiungiamo il fatto di essere impegnati nella masochistica distruzione progressiva delle risorse, la mega-frittata è fatta. Mi chiedo cosa si possa fare individualmente al di là della doverosa denuncia di queste inequità sistemiche e sistematiche. Politicamente parlando faccio fatica ad individuare il meno peggio esistente sul mercato. A livello internazionale non vedo sbocchi di risveglio umanitario. A livello culturale sento e vedo prevalere l’indirizzo egoistico: parlando di immigrati in questo momento si rischia di essere guardati come persone fuori dalla realtà, inutili sognatori in cerca di grane.

Sarà forse per questo che una mia acuta conoscente mi definisce, in senso buono ma con una punta di ironia, come un poeta che declama poesie in un mondo prosaico. Io cerco di contenermi, però sono fatto così, salvo poi parlare bene e razzolare male. Ma quando penso ai naufraghi lasciati sprofondare nel mare non mi sento affatto tranquillo in coscienza.

 

 

La sinistra snob fa le ideologiche pulci a Draghi

Il diritto/dovere di critica è indubbiamente il sale della democrazia, guai se non fosse così e nessuno deve essere esentato costituzionalmente, istituzionalmente e personalmente dalle critiche al suo operato. Il discorso vale anche per Mario Draghi su cui si sta però esercitando una critica salottiera di sinistra e populista di destra, che lasciano il tempo che trovano.

Trascuriamo per non essere ripetitivi lo sciocchezzaio di una destra, che sta con un piede dentro e uno fuori dal governo. Fratelli d’Italia ogni giorno deve riscaldare la minestra per giustificare la scelta di restare in minoranza e all’opposizione del governo Draghi. La Lega invece deve oscillare fra l’aplomb ministeriale di Giorgetti e la sguaiatezza politica di Salvini per salvare capra e cavoli di fronte ad un elettorato in via di smarrimento.

Lasciamo stare anche l’aprioristico, anche se furbo e documentato, atteggiamento di Marco Travaglio, che ha lo scopo di dimostrare come Draghi stia facendo le stesse cose di Conte potendo però contare su un clima osannante ed incensante nei suoi confronti. Cosa si vorrebbe? Che Draghi mettesse al rogo Conte e bruciasse assieme a lui tutti i suoi atti e provvedimenti? Si pretende una sorta di spoil system globale che non sta né in cielo né in terra?

Voglio invece appuntare l’attenzione sul salotto sinistrorso, tentato di rifugiarsi in un inconcludente purismo pseudo-ideologico, alzando il sussiegoso sopracciglio davanti al comportamento tecnocratico di Mario Draghi. Che Draghi fosse un tecnocrate di altissimo livello prestato ad una politica di bassissimo livello è cosa arcinota: chi lo ha chiamato in causa sapeva perfettamente quel che faceva e lo ha scelto proprio perché la politica non era in grado di esprimere una guida attendibile e credibile per il Paese in un momento di tragica difficoltà.

Che senso ha allora il ragionamento di Massimo Cacciari che rivendica il primato della politica rimpiangendo i Berlinguer e i Moro e svaccando sul nascere il recovery plan in quanto progetto privo di respiro e di aggancio politico. Sappiamo benissimo che l’Unione Europea è in mano ai tecnocrati e allora in questo momento si è giustamente ritenuto opportuno esprimere un tecnocrate con i coglioni assai duri al fine di fare breccia nel muro burocratico europeo, elaborando con competenza e capacità gestionali un enorme ed epocale programma di investimenti atto ad avviare riforme strutturali per riavviare lo sviluppo su basi innovative.

So benissimo che sarebbe compito della politica pura fissare una simile ed impegnativa strategia, ma in questo momento la debolezza della politica impone un massiccio ricorso al contributo dei tecnici. Non vedo chi altri all’infuori di Draghi possa elaborare proposte credibili da presentare alla Ue e chi meglio di lui possa garantire una gestione seria e rigorosa dei fondi europei. Lasciamolo lavorare e rinunciamo a questi pruriti: abbiamo un Paese che rischia di andare in fallimento e ci mettiamo a discutere sul sesso degli angeli della politica?

Sempre Massimo Cacciari enfatizza la necessità della riforma della scuola e dell’università all’interno del suddetto piano. Sono settantacinque anni che si parla di riforma scolastica, ci hanno provato fior di ministri di destra, sinistra e centro. Non ci sono riusciti. In pochi giorni con l’elaborazione del recovery plan ci dovrebbe riuscire Draghi? Ma che modo è mai questo di esercitare la critica? Speriamo che parte dei fondi provenienti dall’Unione Europea siano incanalati a favore della scuola per avviare un’agognata riforma, ma non pretendiamo la bacchettata magica che trasformi i casini scolastici ed universitari in perfetti collegi per educandi.

E che dire della riproposizione della questione se nasca prima l’uovo della necessità di riformare la politica e la legislazione o la gallina della necessità di rifondare una burocrazia snella e leale al servizio del Paese? Il problema viene sollevato in quanto sarà la burocrazia ad intervenire direttamente o indirettamente nella gestione del recovery plan. E allora aspettiamo la revisione del quadro legislativo o la riforma burocratica prima di avviare un progetto che di conseguenza non partirebbe mai?

Ultima chicca cacciariana: la pretesa che Draghi dovesse procedere ad una pesante stigmatizzazione del comportamento di Beppe Grillo sulla vicenda giudiziaria del figlio. È pur vero che Grillo è il capo di un partito che sostiene l’attuale governo, ma cosa doveva fare Draghi? Pretendere le scuse, squalificarlo a vita, chiedere le dimissioni dei ministri provenienti dal M5S? Finalmente abbiamo un presidente del Consiglio che cerca di fare il proprio mestiere e adesso desideriamo che si impicci in altre questioni pur gravi ma non di sua competenza?

Altra questione sollevata dai fini dicitori di sinistra è quella della scelta del generale Figliuolo quale commissario alla vaccinazione. Sono allergico agli uomini in divisa, ma Draghi si è rivolto ad un personaggio decisamente impegnato senza fronzoli e senza compromessi in una impresa che richiede polso fermo e idee precise. Secondo me ha fatto benissimo. Anche i militari, come i tecnici, non dovrebbero ricoprire responsabilità politiche. Ma se la politica non è all’altezza del suo compito, aspettiamo che nasca un nuovo De Gasperi prima di aggredire i problemi che ci stanno divorando?

 

O partigiano portami via

Qual è il sentimento prevalente che suscita in me la festa del 25 aprile, la celebrazione della Resistenza al nazi-fascismo e della liberazione del Paese da questo lungo incubo? Non esito a rispondere: la vergogna! Sono passati tanti anni e abbiamo dissipato un’eredità democratica, dopo aver vissuto di rendita su di essa e senza essere stati capaci di investirla e rinnovarla.

La classe dirigente del Paese trovò nel lascito resistenziale le risorse umane e sociali per iniziare e proseguire il difficile ma entusiasmante cammino democratico. Strada facendo la spinta si è persa, le generazioni formatesi alla luce resistenziale si sono spremute senza trovare la continuità del discorso inaugurato con la Costituzione. Abbiamo sprecato la storia e ce ne dobbiamo vergognare: abbiamo una situazione politica penosamente avvitata su se stessa, senza luci e con troppe ombre; viviamo in un contesto sociale  lacerato, dilaniato da egoismi e cattiverie, che hanno preso il posto del confronto democratico aspro ma agganciato ai valori fondamentali; i partiti politici hanno perso la loro funzione di mediazione, non sono più in grado di “concorrere  con metodo democratico a determinare la politica nazionale” e vanno per la loro strada con l’ansia di garantirsi un impossibile e costruttivo consenso popolare; le forze sociali hanno perso credibilità e rappresentatività; le istituzioni si sono talmente indebolite da creare nei cittadini un senso di qualunquistico abbandono.

Forse sto esagerando, ma esagerava anche chi è morto per conquistarci la libertà e la democrazia. A volte mi chiedo: cosa direbbero se tornassero in vita e vedessero lo scempio che abbiamo fatto dei loro ideali e dei loro sacrifici? Forse avrebbero il coraggio di rimboccarsi le maniche e di ricominciare daccapo. Quello che noi stentiamo a fare preferendo crogiolarci nella delusione e nello scoraggiamento.

Per fare memoria viva del passato mi faccio, come spesso accade, aiutare da mio padre:  era figlio dell’Oltretorrente parmense, ne conosceva tutti gli abitanti, contava moltissimi amici nel quartiere, ne aveva frequentato le osterie (dove si osava parlar male del fascismo e di Mussolini), le barberie (luogo allora di ritrovo e del gossip più antico e leale), aveva cantato e discusso di musica nei covi popolari e verdiani, aveva respirato a pieni polmoni un’aria sana e democratica e quindi non poteva farsi intossicare dal fascismo. A proposito di osterie mi raccontava come esistesse un popolano del quartiere (più provocatore che matto) il quale era solito entrare nei locali pubblici ed urlare una propaganda contro corrente del tipo: “É morto il fascismo! La morte del Duce! Basta con le balle!”. Lo stesso popolano dell’Oltretorrente che aveva improvvisato un comizio ai piedi del monumento a Corridoni (ripiegato all’indietro in quanto colpito a morte in battaglia), interpretando provocatoriamente la postura nel senso che Corridoni non volesse vedere i misfatti del fascismo e di Mussolini, suo vecchio compagno di battaglie socialiste ed intervistate: quel semplice uomo del popolo, oltre che avere un coraggio da leone, conosceva la storia ed usava molto bene l’arte della polemica e della satira.  Ci voleva del fegato ad esprimersi in quel modo, in un mondo dove, mi diceva mio padre, non potevi fidarti di nessuno, perché anche i muri avevano le orecchie.

Cosa direbbe e farebbe oggi quell’eroico popolano: veniva regolarmente arrestato e pestato a sangue, dopo di che riprendeva i suoi comizi di protesta e di denuncia. Forse avrebbe il coraggio di gridare: “È morta la democrazia! Basta con le farse democratiche! Fermiamoci e torniamo indietro!”. D’altra parte il mio carissimo amico Valter Torelli, ex partigiano, di fronte al declino democratico reagiva di brutto con un secco e inesorabile invito ai politici: “Chi vàgon a ca tùtti!”. Lo diceva anche e soprattutto rivolto agli esponenti di quei partiti che dovevano essere i testimoni e gli interpreti dell’antifascismo.

Urge un esame di coscienza molto profondo alla luce della storia della Resistenza: fare un lungo passo indietro per prendere la rincorsa. Qualcuno osa osservare che in fin dei conti non è tutto oro quel che luccica e che quindi si può relegare nel dimenticatoio un periodo fatto anche di odi e vendette. Resistenza (nel cuore e nel cervello) e Costituzione (alla mano), impongono una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sull’antifascismo non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna, rischia grosso, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.

Se dovesse prevalere un omertoso e delinquenziale revisionismo del passato a copertura del nulla del presente, non mi resterebbe che cantare a squarciagola:

“O partigiano portami via,
Bel partigiano portami via
Che mi sento di morir”

Per le plebi un po’ di pazienza e torna il Caf

Mario Draghi è ancora di gran lunga il leader politico più amato dagli italiani, anche se (faccio riferimento a dati leggermente arretrati, ma il discorso a cui voglio arrivare non ne dovrebbe risentire) il suo consenso cala di 1,7 punti percentuali e si attesta al 56,1 per cento. A seguire Giorgia Meloni, sostanzialmente stabile con il 40,1 per cento di gradimento. Al terzo posto si piazza Giuseppe Conte, che compie un balzo in avanti di 0,6 punti percentuali al 35,8 per cento, mentre Matteo Salvini perde lo 0,2% e scende al 33%. Chiude la cinquina Enrico Letta che guadagna lo 0,4 per cento e raggiunge il 28,4. A stilare la classifica è Tecné, in collaborazione con l’agenzia Dire, nel suo tradizionale “borsino” dei leader. Dopo i primi cinque, seguono Silvio Berlusconi al 27,4, Roberto Speranza al 23,1%, Emma Bonino al 21%, Carlo Calenda al 17,5%, Matteo Renzi al 10,8%.

Anche Pilato fece un rapido e sbrigativo sondaggio e risultò che Barabba, forse non un semplice brigante ma un politico rivoluzionario e violento, aveva un consenso altissimo, quasi unanime rispetto a Gesù, relegato alla simpatia di quattro donnette e pochissimi altri, che urlavano la sua innocenza.  Si dirà che si trattava di un esperimento mediatico imbastito ridicolmente dal potere civile, Pilato appunto, che ci rimase molto male e se ne lavò le mani, e vomitevolmente strumentalizzato ed enfatizzato dal potere religioso, il Sinedrio, che riuscì in breve volgere di tempo a rovesciare la situazione fino a qualche giorno prima trionfalmente favorevole al potenziale “Re dei Giudei”.

Nell’opera lirica verdiana Simon Boccanegra, di fronte ai rapidi voltagabbana della gente genovese, il doge popolare si lascia andare ad un aristocratico sarcasmo: “Ecco le plebi”. Il tutto a dimostrazione di come le classifiche, che ci vengono continuamente propinate, lascino il tempo che trovano e forniscano indicazioni assai poco plausibili se non addirittura fuorvianti. Non capisco infatti come dallo stesso campione statistico possa uscire una simpatia così accentuata verso Mario Draghi assieme ad una pur notevole considerazione verso Giorgia Meloni: schizofrenia popolare, anche perché subito dopo viene il dato dell’alta considerazione verso Giuseppe Conte. Agli italiani, in buona sostanza, piace tutto e il suo contrario, fatto salvo che questi dati sono sostanzialmente e mediaticamente truccati e servono solo a giochicchiare con la democrazia.

E allora? Preferisco ragionare e sbagliare con la mia testa. Dietro il governo Draghi ed i suoi tentativi di mettere in buca la politica politicante e inconcludente, intravedo il tentativo doroteo di ritrovare il bandolo della matassa partitica piuttosto ingarbugliata. Nel secolo scorso la politica italiana si avvitò intorno alla formula del centro-sinistra: si passò gradualmente da una lungimirante e coraggiosa intuizione di collaborazione tra il centro moderato e la sinistra riformista fino ad arrivare, strada facendo, all’accordo di puro potere fra democristiani e socialisti consacrato nel Caf (acronimo di una formula politica bloccata su un patto sciagurato fra Craxi, Andreotti e Forlani).

Oggi abbiamo la prospettiva di un accordo fra Pd e M5S, doroteizzato da due improvvisati ma ragionati leader, Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Pur con qualche fatica riesco a trovare qualche somiglianza e mescolanza con Andreotti e Forlani, mentre non riesco a individuare il Craxi della situazione (azzardo: Giancarlo Giorgetti? E perché no!). Una cosa è certa: il Caf portò la politica italiana al disastro culminato in tangentopoli. Non ho idea dove potrebbe portare l’accordo fra Letta e Conte.

Non chiedetemi il perché, ma temo il peggio, vale a dire una doroteizzazione di ritorno della politica, preoccupata solo di tornare in sella. Forse sono un po’ cattivo, penso male, ma ricordiamoci che proprio Andreotti ci insegnava come a pensar male si faccia peccato, ma ci si azzecchi. Gli italiani ci impiegheranno due minuti a capovolgere le loro simpatie, a liquidare Draghi, a sostituire il Covid con i virus della peggiore politica. Se andasse così, tutto sommato, mi accontenterei, perché gli anticorpi contro la politica politicante me li sono fatti da tempo e, nella mia mente, funzionano. Quanto alle plebi, al Paese, non mi resterebbe altro che mandarlo a quel paese…

 

 

 

Il copriLega

Quando si vuole litigare, un pretesto si trova sempre e spesso questi litigi lasciano un segno indelebile, proprio perché pretestuosi e totalmente ingiustificati ed evidenziano un malumore di base difficilmente superabile.

Matteo Salvini – non ho capito fino a qual punto il suo atteggiamento sia condiviso all’interno della Lega dai cosiddetti governisti regionali e nazionali, i vari Giorgetti e Zaia tanto per intendersi – gioca a fare il piazzista della politica, ha una fifa maledetta di essere scavalcato dai piazzisti d’Italia (leggi Giorgia Meloni e c.), non si trova nei panni del collaborazionista e quindi smania e scalpita alla ricerca del consenso malpancista, squalificando e strumentalizzando le proteste aperturiste, peraltro, ad onor del vero, non destituite di qualche fondamento.

Mario Draghi nei giorni scorsi ha avuto la freddezza di aprire la porta facendo cadere gran parte di chi la spintonava fanaticamente dal punto di vista del ritorno ad una certa normalità di vita economica e sociale. E allora Salvini si è rialzato in piedi, si è sentito ancor più imbrigliato e ha colto il residuo, marginale, ma eclatante, problema dell’orario del “tutti a casa” per scatenare un’assurda polemica e trovare il modo di distinguersi a tutti i costi, appuntandosi la medaglia del difensore degli oppressi dal coprifuoco.

Cosa cambia chiudere la circolazione alle ore 23,00 rispetto alle ore 22,00? Sostanzialmente niente, è una di quelle questioni civetta, che servono a sbandierare il nulla. Che Draghi sia piuttosto seccato lo capisco benissimo, anche perché aveva avuto il preventivo via libera dalla cosiddetta cabina di regia (un tempo si chiavano vertici) prima di annunciare e varare il piano delle riaperture. Non so fino a quando potrà durare questo gioco allo smarcamento facile e non so nemmeno se e quanto a Salvini renderà in termini di consenso. Troppo scoperte queste manovrette da strapazzo, roba vecchia come il cucco.

Per la verità Salvini è in buona compagnia delle Regioni: non si capisce cosa vogliano e cosa stiano facendo, se non un casino pazzesco. Stesse in me le eliminerei, perché stanno evidenziando la totale incapacità a svolgere il loro eccessivo ruolo istituzionale. Il discorso regionale va ripensato del tutto. Un’assurda e patetica gara a fare i primi della classe senza esserli. Come ho detto e scritto più volte preferisco mille volte la vera ed autentica burocrazia ministeriale alla improvvisata ed incompetente burocrazia regionale. Provare per credere. Io ho provato e vi garantisco che è molto meglio avere a che fare con un centralista competente che con un decentralista che non sa un cazzo.

Così come rimpiango amaramente Umberto Bossi e la sua Lega autenticamente sociale rispetto ai velleitarismi nazionalistici di Matteo Salvini. A proposito avete notato come le mascherine ultimo grido di Salvini abbiano impresso il tricolore? E pensare che Bossi col tricolore si voleva pulire il culo… Come cambia il mondo…

 

La vaccinazione alla “sperindio”

“Studi sul vettore virale: «Possibili trombosi, ictus e ischemie anche per gli anziani». Ema verso lo stop. Mentre i vaccini a Rna messaggero, come quello di Pfizer, decollano con l’arrivo di sette milioni di dosi in più da qui a giugno, rischiano di rimanere a terra quelli a vettore virale come AstraZeneca e Johnson&Johnson. Per ora riservati solo agli over 60, ma a rischio di ritiro da qui a qualche settimana se gli studi in corso dovessero dimostrare un’incidenza dei rari casi di trombosi cerebrale superiore alla norma anche nella popolazione anziana”.

Così l’incipit di un articolo del quotidiano La Stampa, forse un po’ datato, perché la situazione vaccinale varia minuto per minuto. A costo di essere pedantemente ripetitivo mi chiedo: e tutti i soggetti finora vaccinati con AstraZeneca? E quelli che vengono tuttora vaccinati con questo farmaco?

Ricordo tanto tempo fa un curioso episodio della nascita di un bambino di pelle nera da due genitori di pelle bianca. Al potenziale padre venne immediatamente il sospetto che la moglie lo avesse tradito con un uomo di colore ed i medici tentarono di spiegargli che si poteva essere verificato uno scherzo genetico, spiacevole, rarissimo, ma possibile. Penso che allora non fosse ancora possibile appellarsi alla prova del Dna e quindi quello sfortunato padre-marito fu costretto a berla da botte, oltre tutto beffeggiato da battutine stupide e cattive facilmente immaginabili. Chi, dopo essere stato vaccinato, si vedesse colpito da trombosi, ictus o ischemia, ammesso e non concesso che facesse in tempo a rendersene conto, non si sentirebbe appagato dalla legge dei grandi numeri e dai rassicuranti calcoli di costi-benefici in capo all’intera popolazione.

Non è ammissibile il vergognoso balletto vaccinale, in cui sono impegnate troppe ballerine (gli scienziati) e troppi nani (le autorità di vario tipo e livello), che ha l’effetto di creare panico tra i vaccinati ed i vaccinandi e di compromettere sul nascere la credibilità di una campagna peraltro fondamentale nella guerra al coronavirus. Si sta portando avanti una sorta di sperimentazione di massa alla “sperindio”.  Non so se sia scientificamente inevitabile, so che è umanamente inaccettabile. Fin dove tutto dipenda da fatti imponderabile e imprevedibili o dalla fretta e dalla disorganizzazione, cattive consigliere, non saprei. La verità starà probabilmente nel brutto mezzo di una vicenda certamente tragica e paradossalmente incerta.

Siamo partiti dall’idea di riservare il vaccino AstraZeneca, considerandone la sua relativa efficacia, ai soggetti under 60 in quanto meno esposti al rischio mortale. Poi improvvisamente vengono a galla i casi di morti sospette: inizialmente si dice che non sono provati i collegamenti con la vaccinazione. Poi si nota che il collegamento c’è a livello di compromissione nella circolazione sanguigna ed allora si retrocede in difesa, mettendo in campo il discorso della minima incidenza dei casi rispetto alla grandissima quantità delle somministrazioni effettuate. Ad un certo punto però alcuni Stati partono in quarta e interrompono l’uso di questo vaccino: l’Italia, seppure in ritardo, si accoda. Arriva il responso di Ema che toglie le castagne dal fuoco: AstraZeneca è valido e si può proseguire con qualche cautela in più. Contrordine compagni: AstraZeneca verrà somministrato agli over 60 in quanto meno esposti al rischio di coagulazione del sangue (chi sa il perché è più bravo di me). E la seconda dose per chi ha già avuto la prima di AstraZeneca? Chi decide di utilizzare un altro vaccino (vedi Francia), chi intende proseguire andando fino in fondo con questo chiacchieratissimo farmaco. Qualcun altro decide di sbarazzare il campo togliendolo dalla circolazione, altri (come l’Italia) andranno avanti in attesa di una ulteriore pronunciamento dell’Ema in attesa di esaurire le scorte ma soprattutto in attesa che arrivi una grossa quantità di vaccino più sicuro (Pfizer), visto che trombosi, ictus e ischemie si verificano anche a danno di persone anziane. Nel frattempo anche il vaccino Johnson&Johnson, che utilizza lo stesso meccanismo antivirale, entra nell’occhio del ciclone negli Usa, ne viene bloccato l’utilizzo e ne viene fermata l’esportazione in Europa proprio nel momento in cui sembrava una valida alternativa (provvedimento successivamente rientrato).  Fra qualche settimana non è improbabile che AstraZeneca e Johnson&Johnson, sulla base di ulteriore pronunciamento di Ema (l’autorità sanitaria europea), seguito a ruota da quello di Aifa (l’autorità sanitari italiana), vadano in cavalleria sostituiti dai vaccini più sicuri(?), vale a dire Pfizer e Moderna, che si basano su un altro procedimento virologico (si dirà cosi?).  Staremo a vedere e speriamo bene…non ci si capisce più niente.

Nel frattempo la campagna vaccinale va avanti con la diligenza del buon Figliuolo di Stato, che dovrà essere a prova di pronunciamenti ondivaghi e di flussi incerti: speriamo in lui, è un generale dell’esercito con il compito di comandare l’armata brancaleone. Qualcuno, in vena di anacronistici purismi istituzionali, osserva che i militari dovrebbe fare un altro mestiere. Bene, non manca altro che impegnarci a delegittimare questo signore, che ce la sta mettendo tutta.  Non gli sarà facile mettere ordine nel disordine generale. Certo non potrà pensare di mettere in fila e sull’attenti i cittadini con un ordine secco calato dall’alto e tanto meno l’Europa, le aziende farmaceutiche, le autorità sanitarie. Mi accontenterei che mettese in fila i governatori regionali. E gli scienziati? A loro, che sono sempre sull’attenti mediatico, dia il “riposo” sanitario che meritiamo noi poveri vaccinandi in cerca di vaccino.