Si potrebbe fare del 20 dicembre scorso, un venerdì, la data simbolo dell’irrilevanza del parlamento. In quello stesso giorno, infatti, ci sono state due votazioni emblematiche. L’aula della camera dei deputati ha votato prima la fiducia – l’ennesima – posta dal governo sulla manovra, nonché a sera il disegno di legge di bilancio nel suo complesso. Un provvedimento che ha visto prima marginalizzata la Commissione bilancio (le trattative sono avvenute tutte in sede ministeriale e politica, cioè extraparlamentare) e poi ammutolita l’aula, chiamata solo a sancire a scatola chiusa il provvedimento, senza nemmeno poterla discuterla. Non si dica modificarla, no, neanche esaminarne i contenuti.
A mezzogiorno, tuttavia, la camera ha votato e approvato anche un altro atto apparentemente distante: le dimissioni da deputato di Enrico Letta. L’ex segretario del Pd ed ex presidente del Consiglio ha preferito lasciare il parlamento per dedicarsi all’insegnamento. Questa volta in Spagna. Un addio che fa seguito a quello di molti altri deputati e senatori. Una fuga che per altro era iniziata già nella precedente legislatura.
Il primo a lasciare, in questa legislatura è stato Carlo Cottarelli, dimessosi dopo soli nove mesi di legislatura il 9 maggio 2023. Il senatore del Pd, anticipando in questo Letta, disse esplicitamente di avere la sensazione di essere ininfluente nelle decisioni politiche e anche nel dibattito pubblico dal suo scranno al senato, e di preferire la cattedra alla Cattolica. Ed in effetti da lì è più ascoltato. (dal quotidiano “Il manifesto” – Kaspar Hauser)
È innegabile che sia in atto una sorta di strisciante depauperamento e rimescolamento istituzionale, al punto da chiedersi se la nostra Repubblica sia ancora di tipo parlamentare. Le motivazioni sono diverse: il partitismo che allunga le proprie mani sulle istituzioni, non solo sul parlamento ma soprattutto sul parlamento; il governismo da tempo in atto, che vorrebbe addirittura sboccare in presidenzialismo o premierato forte; l’insofferenza dei parlamentari che, dopo aver sperimentato la durezza e il rischio di insignificanza e di irrilevanza mediatica del loro lavoro, fuggono in preda ad un incontenibile “primadonnismo” alla ricerca di spazi politici alternativi più incisivi e più spettacolari.
Alla base di tutto ciò c’è una mancanza di rispetto per le istituzioni e un protagonismo spinto della politica a livello leaderistico. I parlamentari, per dirla con un’espressione eufemisticamente poco elegante, non sanno dove tenere il culo: si fanno eleggere a Montecitorio o Palazzo Madama, poi scappano verso altri lidi, accampando ragioni poco plausibili e riconducibili più alla smania presenzialista che all’intenzione di incidere realmente nella vita del Paese.
Non ricordo chi fosse, ma un grande personaggio sosteneva che la democrazia si esercita non tanto con le elezioni, ma dopo le elezioni. Questa eloquente affermazione dovrebbe essere messa sotto il naso dei politici, che in questa confusa stagione non sanno dire e fare altro che sputare nel piatto parlamentare dove mangiano. Speriamo di non dovere convertire il nostro sistema in “pirlamentarismo”, come ho sentito dire a margine di una lucida e spietata analisi politica formulata da una simpatica anziana signora.
Se invece di sparlare di riforme costituzionali, di piangere sul latte versato durante i riti parlamentari, di scalpitare sugli scranni di deputati e senatori, di saltabeccare da uno studio televisivo all’altro, di rilasciare dichiarazioni stucchevoli e scontate, i nostri rappresentanti lavorassero sodo per varare buone leggi, scritte con professionalità e competenza, mirate ad affrontare le problematiche concrete, forse avremmo qualcosa di meglio rispetto ad un parlamento di chiacchieroni e di assenteisti che forniscono un perfetto assist all’astensionismo. Non mi preoccupa lo scontro anche duro sulle soluzioni dei problemi, ma mi scandalizza la polemica sul nulla; non mi disturba il richiamo alle ideologie, ma mi preoccupa la mancanza di idee; non mi da fastidio la contrapposizione valoriale, ma mi sconcerta l’assenza dei valori.
Ammetto che esista, anche nei miei auspici, un sottofondo di pericoloso qualunquismo, ma credo sia molto più grave il qualunquismo dei parlamentari che non fanno il loro dovere, rifugiandosi dietro polemiche sterili. Volete una dimostrazione? Le loro manierate pubbliche dichiarazioni partono sempre da un attacco frontale all’avversario e finiscono lì, senza alcun contributo (pro)positivo. Un difetto che purtroppo accomuna un po’ tutti i parlamentari a prescindere dalla loro collocazione politica.
Quando ho l’occasione di seguire qualche scorcio di seduta parlamentare, mi accorgo che il livello culturale e professionale di deputati e senatori non è poi così scandalosamente insufficiente. Allora mi chiedo: provate a lavorare alacremente e seriamente e chissà che non si riesca a cavare un po’ di sangue dalle rape. Restate al vostro posto, laddove, bene o male, vi hanno messo gli elettori, siate più obiettivi e soprattutto più attivi.
Sarebbe necessaria infine una costituzionale larga conventio ad excludendum nei confronti dei media, che non informano ma confondono le idee ai cittadini, promuovono i polemisti, santificano i furbi e penalizzano gli intelligenti. Invece purtroppo c’è la corsa ad occupare spazi mediatici a prescindere dagli scopi e dai contenuti: il gusto politico di apparire anziché di essere.