La “strategia del doppio cappello”, che si è mostrata debolissima in questa fase, rischia di essere ancora più debole quando Meloni dovrà parlare con Bruxelles, e con Ursula Von der Leyen, dei conti pubblici italiani. Pur senza avallare strane tesi per cui i vertici europei potrebbero accanirsi contro l’Italia per consumare autolesionistiche “vendette”, è indubbio, ancora logica alla mano, che il dialogo sugli «interessi nazionali» è più complesso se la presidente del Consiglio dell’Italia viene percepita, e si autopercepisce, come opposizione politica alla Commissione. Persino l’esito della partita per il commissario italiano a Bruxelles, in cui il peso specifico di Roma dovrebbe rappresentare un insuperabile fattore oggettivo, rischia di essere alterato dalla confusione creata dai “due cappelli”. Perciò sarebbe auspicabile che la contronarrazione dei fatti di Strasburgo non arrivasse al punto di produrre un altro effetto-boomerang dannoso stavolta non per un partito, ma per il Paese. Da questa prospettiva, proprio la figura di Von der Leyen, che ha già dimostrato di sapere aprire con Meloni un dialogo pragmatico, può rappresentare ancora un appiglio, anziché un problema, per la premier italiana. Dal punto di vista interno, infine, impossibile non cogliere un nesso tra il “no” europeo di FdI e le ultime dinamiche interne alla maggioranza. Al Consiglio Europeo di giugno Meloni aveva giustificato l’astensione su Von der Leyen anche come una posizione mediana tra la contrarietà della Lega patriota e il “sì” convinto della Forza Italia popolare. Il voto di Strasburgo riavvicina Meloni a Salvini e allontana la premier, invece, da Tajani. E aumenta per di più le distanze da Marina e Pier Silvio Berlusconi, che a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro hanno espresso la stessa “visione”: lo spostamento degli azzurri in un centro più autonomo, soprattutto sui valori di fondo. (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Iasevoli)
All’indomani delle elezioni europee Giorgia Meloni veniva considerata come la vincitrice, pronta a dare le carte per una nuova Ue a trazione italiana. A nemmeno due mesi di distanza si registra un fallimento su tutti i piani, interno, europeo, politico, strategico e tattico, a dimostrazione che la classe non è acqua e che l’abilità politica non si improvvisa con la presunzione.
L’Italia ne esce isolata, indebolita, tenuta fuori dai giochi che contano: non basta dare le carte, bisogna prima di tutto conoscere il gioco. Schiacciata sulla componente salviniana, costretta a dialogare con l’imbarazzante patriottismo della destra europea, ridotta a pietire un commissario di qualche rilievo, considerata una ruota di scorta che al momento opportuno si rivela bucata.
I motivi di fondo di questo fallimento sono sostanzialmente due: la incapacità di passare da un ruolo di leader de noantri a quello di premier di tutti gli italiani; l’assenza di una visione strategica dell’Europa; l’adozione di una navigazione politica di piccolo cabotaggio; la superbia degli ignoranti che non finisce mai.
Ursula alla fine ha battuto Giorgia per due a zero, senza essere un fenomeno di abilità politica. Se si potesse fare uno scambio a livello di mercato politico (come avviene per i calciatori), sarei disposto ad offrire Meloni in cambio di Von der Leyen, aggiungendo magari anche un Crosetto, un Fitto e, se proprio servisse a chiudere la trattativa, persino un Lollobrigida.
La politica è fatta anche di resa dei conti e per l’Italia meloniana saranno lacrime e sangue a livello europeo, perché ci faranno pagare il doppio gioco portato avanti dal nostro inqualificabile premier. Ma, come noto, agli italiani va bene così e Giorgia Meloni rimane una donna intelligente, preparata e che la sa lunga, così lunga da portarci tutti a puttane.