Sulla tomba di Kissinger non cresce il prezzemolo valoriale

La morte di Henry Kissinger, con il relativo contorno di ricostruzioni storiche della sua lunga vita (fäls cmé ‘na lapida, si dice in dialetto parmigiano), mi ha fatto sentire a pieno titolo come un pesce fuor d’acqua a livello della concezione dei rapporti internazionali. Se non ho capito male l’illustre statista sosteneva che nei rapporti fra gli Stati non possono valere le regole etiche applicabili a quelli fra le persone. Non lo posso accettare!

Sono convinto che la politica, in tutti gli ambiti, debba tendere al compromesso ottenibile ai livelli più alti possibili e immaginabili, ma questo non vuole significare abdicare ai valori, ai principi, alle idealità per ripiegare miseramente sulla più cinica delle realpolitik. Al contrario, proprio partendo dai propri valori e dal rispetto per i valori altrui si può costruire una convivenza accettabile anche se non ottimale. Questa è la tensione di un politico! Non la rassegnazione agli assetti di puro potere!

Prendo un aspetto della “dottrina” kissingeriana: la lotta al comunismo. Non si può giocare su due tavoli, quello della ricerca dei patti con le superpotenze comuniste e quello dell’attacco sistematico e drammatico ai Paesi sudamericani a cui tarpare le ali della democrazia al fine di evitare ogni e qualsiasi conquista sociale targabile come comunista. Tutti sappiamo il disastro compiuto dagli Usa in Cile con il soffocamento dell’evoluzione democratica impersonificata da Salvador Allende e dalla sua strategia e l’instaurazione di un regime dittatoriale e sanguinario come quello di Augusto Pinochet. É solo un episodio fra le tante porcherie commesse dagli Usa in tutto il mondo, non certo solo per opera di Kissinger, ma a cui Kissinger ha sicuramente dato un impulso notevolissimo.

Per tornare al Cile, agli Usa dava fastidio chi puntava al dialogo coi comunisti non tanto per appoggiarli ma per coinvolgerli nella costruzione di una larga e partecipata democrazia. Anche il Italia il discorso del “compromesso storico” nacque proprio in conseguenza della svolta politica cilena e, così come in Cile questo nuovo e problematico corso venne bruscamente interrotto dal golpe Pinochet ideato ed appoggiato dagli Usa (soprattutto da Kissinger), in Italia venne accantonato col rapimento e l’uccisione di Aldo Moro (lei la pagherà cara disse Kissinger a Moro, di cui riferì ironicamente di non capire il linguaggio. Lo capiva benissimo, ma non lo poteva accettare perché partiva da basi valoriali e politiche totalmente differenti).

Non mi dilungo sul conflitto vietnamita: una vicenda complessa e tragica in cui Kissinger ha giocato un ruolo ondivago ed equivoco. Ma era la sua mentalità. Anche all’interno degli Usa giocò su due tavoli, quello democratico e quello repubblicano, accasandosi presso il miglior offerente. Questa non è diplomazia, questo è mero opportunismo. Certo che l’intelligenza e l’abilità non gli mancavano (oggi mancano completamente), ma erano al servizio di una visione cinica degli equilibri mondiali basati sullo strapotere americano intorno a cui dovevano ruotare tutte le altre nazioni.

Più la storia va avanti e più capisco e condivido il neo-atlantismo dei Fanfani, dei Dossetti, dei La Pira, dei Mattei: Occidente sì, ma a schiena dritta e con dignità valoriale e politica. Mattei la pagò cara, così come diversi anni dopo successe a Moro. Dossetti cambiò “mestiere”.  La Pira seguì un suo meraviglioso percorso di testardo impegno in favore della pace. Fanfani riuscì, con tanta difficoltà e con risultati molto limitati, a tradurre a livello politico-governativo questo concetto di neo-atlantismo o atlantismo critico.

Qualcuno sostiene che avesse ragione Alcide De Gasperi a piegarsi agli Usa: strada obbligata in un dopo-guerra italiano al limite dell’impossibile. Conflitti tra giganti. Quanta nostalgia! La morte di Kissinger mi rafforza in certe idee quasi da visionario e consolida la mia coscienza di persona che vuole mettere i valori in tutto e per tutto, come una sorta di prezzemolo democratico. Ho l’orgoglio di avere tentato di non rinunciare mai ad essi e di modestamente testimoniarli nel mio impegno civile, politico e professionale. Mi giudicherà il Padre Eterno. Anche Kissinger, che a cent’anni era recentemente andato a colloquio coi maggiorenti cinesi ottenendo udienza ed ascolto, avrà il suo bel daffare davanti al giudizio di Dio, dove la realpolitik non vale nulla e valgono solo le opere in soccorso di chi soffre per fame, sete, ingiustizie e guerre. Riposi in pace!