No al suicidio assistito, sì al suicidio imposto

Ancora un “no” per Indi Gregory, la bambina di otto mesi, affetta da una rarissima malattia mitocondriale, condannata dall’Alta Corte di Londra alla sospensione dei trattamenti vitali. Il giudice, Robert Peel, ha respinto anche l’appello con cui la famiglia chiedeva almeno di poter portare la piccola a casa per farla spirare tra i suoi cari. Il tribunale ha deciso invece che Indi morirà al Queen’s Medical Center di Nottingham, dove è ricoverata sin dalla nascita, o in hospice. (dal quotidiano “Avvenire”)

Poi è arrivato l’appello sulla possibilità di trasferire la giurisdizione del caso al giudice italiano, ma l’appello è stato rifiutato e negato il trasferimento della piccola in Italia e di conseguenza verrà stabilito il termine per il distacco dei supporti vitali.

A prescindere da come e quando finirà la macabra telenovela, il caso drammatico della vita di questa bambina si è trasformato da caso umano a caso diplomatico-giudiziario per la testardaggine della magistratura londinese che tende a negare un tentativo in extremis di salvarla o di portarla a morte assistita. Non entro nel merito della questione anche se devo ammettere che tra le due radicalità, quella di chi in Italia vuole negare a tutti i costi il suicidio assistito o istituti legislativi simili e quella inglese che vuole determinare con una sentenza la morte di un soggetto in fin di vita, preferisco la prima.

La soluzione ideale starebbe nelle sacrosante parole di don Andrea Gallo: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa». Così come, aggiungo io, bisognerebbe rispettare il diritto a fare tutti i tentativi possibili per salvare una vita.

La vita è cosa troppo seria per essere delegata alle decisioni dello Stato, in senso restrittivo o in senso estensivo. La legge e chi la applica dovrebbero limitarsi a registrare la volontà del soggetto interessato valutandone solo la genuinità. Il di più mi sembra una indebita intromissione.

Così come ho grande e partecipato rispetto per chi decide di porre fine alle proprie sofferenze, ho altrettanta considerazione per chi si attacca alla vita e tenta di preservarla fino all’ultima possibilità. Non c’era serio motivo per negare ai genitori di Indi Gregory un estremo tentativo con il ricovero della piccola all’ospedale del Bambin Gesù. In questo caso vale più che mai il noto detto “tentar non nuoce”.

La persona viene prima delle regole. Lo dice, per i credenti, il Vangelo; lo dice, per i cittadini italiani, la Costituzione. Chi scantona da questo irrinunciabile principio è destinato a sbagliare, magari anche in buona fede. Sbaglia chi trasforma il diritto alla vita in una condanna a vivere, sbaglia chi si arroga il diritto di negare il diritto a vivere fino all’ultimo respiro.

Sul decorso della mia vita non accetto che a disporne sia la politica, la legge, il Vaticano, la magistratura, il parlamento, il governo e chi più ne ha più ne metta. Tutti mi dovrebbero aiutare per il meglio senza interferire sulla mia coscienza.

Non si dovrà quindi, come disse in una stupenda battuta polemica Pier Luigi Bersani, accettare che a decidere la nostra morte sia il senatore Gaetano Quagliariello, preoccupato solo di compiacere i cattolici dotati di dogmatici paraocchi, né l’Alta Corte di Vattelapesca, preoccupata del rigoroso rispetto della legge sulla nostra pelle.

Un’ultima velenosa riflessione. Pur con tutto il doveroso rispetto per la vita di Indi Gregory e per il dramma dei suoi genitori, non posso esimermi dal rilevare come altrettanta attenzione e partecipazione mediatica e popolare non esista per i bambini che sono morti e continuano a morire a Gaza. Non si può nemmeno dire “lontan dagli occhi, lontan dal cuore”, perché tutto ci viene fin troppo propinato a livello di immagini.

Mio padre trovava una paradossale e ironica risposta alle contraddizioni etiche negli umani comportamenti, rilevando acutamente come di fronte alla caduta di un cavallo gli astanti esclamino “povra béstia”, mentre di fronte alla caduta di una persona si sbellichino dalle risa. Forse nel caso della morte dei bambini (e non solo) si può dire: molti morti, nessun morto. Mia sorella metteva sarcasticamente a confronto gli sforzi sanitari per salvare la vita di una persona con la disinvoltura con cui si effettuano carneficine dovute a guerra e fame nel mondo. Che dire? Oltre che sadici, siamo anche masochisti e…stupidi!