Un giudice preso a melonate

Giorgia Meloni ha reagito in modo scomposto alla decisione con cui il tribunale di Catania ha sconfessato il recente decreto approvato in Consiglio dei ministri, che prevede la possibilità per i migranti, provenienti dai Paesi considerati “sicuri”, di versare quasi 5mila euro di cauzione per evitare di essere trattenuti in centri dedicati. Il giudice, ritenendo il provvedimento illegittimo e in contrasto con la normativa europea, ha accolto il ricorso di una persona migrante, di origini tunisine, sbarcata il 20 settembre a Lampedusa e portata nel nuovo centro di Pozzallo, e ha disposto la sua ‘liberazione’. A seguire, sulla stessa scia, sono stati dichiarati illegittimi i trattenimenti di altre tre persone con la stessa condizione giuridica.

La vicenda ha un profilo istituzionale: trascinare il Paese in una diatriba contro la Magistratura è roba berlusconiana riciclata. La premier stia al suo posto, punto e stop. Contro l’atto giudiziario in questione si può ricorrere nei tempi e modi previsti dalla legge ed è perfettamente inutile e dannoso scatenare polemiche sul filo del rasoio anticostituzionale.

Sul piano politico anche il più sprovveduto degli osservatori capisce come il governo stia brancolando nel buio, dando un colpo al cerchio europeo e uno alla botte italiana: l’aiuto alle ong della Germania rientrerebbe in un complotto anti-italiano, la sentenza del giudice di Catania sarebbe un surrettizio aiuto all’immigrazione illegale.

Il fenomeno migratorio non va esorcizzato, ma gestito con buonsenso. Mi sembra opportuno ricordare, a proposito di buonsenso, quanto don Raffaele Dagnino, uno storico sacerdote di Parma, basandosi sulla sua schietta e profonda religiosità, disse per incoraggiare un’amica a cui era nato un figlio con una piccola imperfezioni fisica. «L’important l’è cal g’abia dal bon sens, ‘na roba ca ne’s compra miga dal bodgär».

Ho l’impressione che Giorgia Meloni non intenda provare a gestire l’immigrazione, ma dare l’impressione di poterla eleminare dall’agenda. E chi osa farglielo osservare direttamente o indirettamente diventa un guastafeste o addirittura un nemico che trama nell’ombra. Il giochino di criminalizzare gli oppositori è vecchio, inaccettabile e tipico dei regimi antidemocratici.

Le ong non vanno esorcizzate perché portano i migranti in Italia, ma vanno ringraziate perché salvano persone umane. La Germania non è nemica dell’Italia, con essa bisogna ragionare, discutere e trovare punti di collaborazione. Il giudice di Catania fa il suo mestiere e va rispettato. I decreti del governo si possono e si devono discutere senza che chi lo fa venga considerato un disfattista. La cauzione per i migranti è un’autentica follia, si abbia il buongusto di ammetterlo.

Al di là di tutto tira però una bruttissima aria di subdolo attacco alle istituzioni: il ventilato presidenzialismo, la programmata deriva autonomistica regionale, il risorgente scontro con la Magistratura, la latente conflittualità e/o l’oscura trama a livello europeo, ci stanno mettendo nella precarietà e nella peggior situazione possibile per affrontare i problemi enormi che abbiamo.

C’è la sensazione che non si tratti tanto di discutibile indirizzo politico dell’attuale governo, ma di conclamata inadeguatezza culturale e professionale della premier e della sua compagine ministeriale.

Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion» (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica. Quella squalifica che sta colpendo chiunque alzi il ditino contro le farneticazioni governative in materia migratoria e non solo.