Carne da vacanze

Due suicidi in poche ore. Due donne si sono tolte la vita nella stessa struttura carceraria. È accaduto nel carcere le Vallette di Torino. Il sindacato di polizia penitenziaria Osapp nel tardo pomeriggio di oggi ha fatto sapere che una detenuta italiana si è tolta la vita intorno alle 17.30 impiccandosi nella propria cella. Poco prima Vicente Santilli, segretario regionale del Sappe, aveva dato notizia di un altro decesso, quello di una donna di 43 anni che si è lasciata morire di fame sempre nel carcere di Torino.

“Due suicidi in contemporanea in carcere oltre alla classica indignazione dovrebbero produrre uno scatto di azioni da parte dell’Amministrazione Penitenziaria. Invece siamo certi che dopo i 44 suicidi dall’inizio dell’anno non accadrà nulla”, ha commentato il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo. Sulla situazione della struttura carceraria di Torino è intervenuta anche l’assessora ai rapporti col Sistema carcerario della Città di Torino: “La morte di due donne detenute in carcere oggi è il segnale evidente che occorrono interventi mirati e urgenti perché la situazione è disperata. Le storie di queste donne, diverse tra loro, ma accomunate dalla disperazione impone che le carenze di operatori e di adeguati supporti sanitari a sostegno delle fragilità si debbano risolvere il prima possibile attraverso l’azione di tutte le istituzioni”, ha commentato, Gianna Pentenero.

La donna che si è lasciata morire di fame si chiamava Susan John, era sposata e aveva un figlio di 4 anni. Era stata portata nel carcere delle Vallette il 21 luglio dopo avere trascorso un lungo periodo agli arresti domiciliari: doveva scontare una pena detentiva inflitta per tratta e immigrazione clandestina. La procura ha aperto un’inchiesta. Lunedì prossimo sarà affidata l’autopsia. Secondo quanto trapela la 43enne rifiutava il cibo perché “voleva vedere il figlio”. “Non diceva altro”, si apprende da fonti informate. “L’intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria di servizio non ha purtroppo impedito la morte della detenuta” ha comunicato Scintilli, evidenziando che la donna, entrata in carcere nel luglio scorso in un reparto riservato a detenuti con disagi di carattere psichiatrico, si era “fin da subito rifiutata di assumere alimenti, rifiutava ogni cura e sollecitazione a mangiare e persino i ricoveri in ospedale”. Scintilli ha poi concluso sottolineando il fatto che il Piemonte è “una delle Regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti”. Sulla vicenda è intervenuto anche Donato Capace, segretario generale del Sappe, denunciando la situazione sanitaria precaria delle carceri che rimane “allarmante” e “non superata” e chiedendo “interventi concreti” fra cui anche la riapertura degli “Ospedali psichiatrici giudiziari” e maggiori investimenti e tecnologie.

“Una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico”, sottolinea la senatrice Ilaria Cucchi: “Una morte – continua – di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima”, prosegue Cucchi che chiede che venga fatta chiarezza sulla vicenda.

Protesta anche Antigone che in generale ricorda le difficili condizioni nelle carceri italiane: “Il sovraffollamento continua ad essere una delle principali problematiche del sistema penitenziario italiano”, si legge in una nota, “con un tasso che viaggia attorno al 121%, con 10.000 persone detenute in più rispetto ai posti effettivamente disponibili (e un numero di presenze in costante crescita). Il sovraffollamento non toglie solo spazi vitali, ma anche possibilità di lavoro e di svolgere attività che spezzino la monotonia della vita penitenziaria. Quella monotonia che porta all’emergere di situazioni di forte depressione, alla base di un aumento di suicidi e atti di autolesionismo nel periodo estivo”. E ancora: “Proprio i suicidi, pur nel silenzio della politica e di parte del sistema dell’informazione, continuano ad essere una piaga a cui il carcere ha abituato. Dopo gli 85 dello scorso anno, quest’anno sono già 42 e 1.352 quelli avvenuti dal 2000 ad oggi. L’estate, da questo punto di vista, non aiuta”. (da “Il fatto quotidiano”)

Il vero dramma, oltre che nei suicidi (disperato sbocco della disperazione esistenziale), sta nell’indifferenza con cui li subiamo, quasi fossero un normale pedaggio pagato per la nostra (in)civile convivenza, e nell’inerzia della politica e della pubblica amministrazione, che, da sempre, trattano la questione carceraria come l’ultimo dei problemi.

Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda.

Non pretendo che gli italiani rinuncino alla loro partenza per le vacanze in segno di lutto e rispetto per i morti in carcere, che aumentano nel periodo estivo; non pretendo che i parlamentari accorcino le loro ferie, peraltro scandalosamente lunghe; un po’ più di sensibilità e attenzione sarebbe doverosa, ma prevale in tutti la rimozione del problema.

Voltaire, nel diciottesimo secolo, affermava: “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”: da ciò si può dedurre come, al giorno d’oggi, l’Italia non sia un Paese per nulla civile. Qualche rimbrotto al riguardo ci arriva persino dall’Unione europea ed è tutto dire.

Non si tratta di fare della retorica o della demagogia, ma fa indubbiamente scalpore che mentre la gran parte degli italiani se ne va in vacanza (come facciano Dio solo lo sa, considerate le condizioni difficili in cui versa il Paese) ci sia chi, disperato per una disumana impostazione della sua detenzione carceraria oltre magari per una insensata lungaggine del procedimento giudiziario a suo carico, si toglie la vita.

Per il mio caro ed indimenticabile amico sacerdote Luciano Scaccaglia, i gesti liturgici erano genialmente ed immediatamente allargati dal loro religioso simbolismo all’impatto esistenziale. Durante la celebrazione del Battesimo sull’altare venivano posti due riferimenti essenziali: la Bibbia e la Costituzione italiana. L’una chiedeva al cristiano la fedeltà alla Parola di Dio, l’altra al cittadino l’attivo rispetto dei principi democratici posti a base del vivere civile.

Ebbene, forse vale la pena ricordare quello che indica Gesù quale criterio di giudizio, di premio o di condanna, per la vita di un cristiano: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi”.

Così come è doveroso rammentare come la funzione rieducativa della pena, trovi il suo riconoscimento nel 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, il quale sancisce che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Da cristiani e/o cittadini non possiamo prescindere da questi riferimenti etici e a Dio (per chi ci crede) e alla propria coscienza (per chi ce l’ha) non potremo rispondere: “Ma io ero in vacanza…”.