Anche la prepotenza è una droga

“Viviamo nel paradosso di una vulgata che spaccia la droga come un forma di libertà, e io non riesco a capire come si faccia a considerare libertà qualcosa che ti rende schiavo”.

Lo ha detto la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo a Montecitorio alla “Giornata mondiale contro le droghe”.

“Voglio ribadire dei concetti lapalissiani e banali, sapendo che posso diventare oggetto di polemica, ma sono abituata a difendere ciò in cui credo. Il primo è che la droga fa male sempre e comunque, ogni singolo grammo di principio attivo si mangia un pezzo di te” ha aggiunto la premier. “Le droghe fanno male tutte, non esistono distinzioni, chi dice una cosa diversa dice una menzogna. Dire che ci sono droghe che possono essere usate è un inganno”. Lo ha detto la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo a Montecitorio alla “Giornata mondiale contro le droghe”. “In uno spinello di oggi c’è una quantità di principio attivo enormemente più grande di quanto ce n’era in quelli di qualche decennio fa e si può definire leggera qualcosa che ha il 78% del principio attivo?”.

 “Una politica che non riesce a dare risposte ai giovani a offrire opportunità e che in cambio dice ‘vabbè, però fumati una canna’ non sarà mai la mia politica” ha precisato la premier. “Fin quando ci sarà questo governo è finita la stagione del disinteresse. Il messaggio che vogliamo lanciare oggi è che lo Stato intende fare la sua parte per combattere un fenomeno che è fuori controllo” ha precisato Meloni. “Arriviamo al paradosso di avere serie che hanno come eroe uno spacciatore sulle stesse piattaforme che hanno fatto documentari contro su Muccioli che aveva salvato migliaia di ragazzi quando lo Stato era girato dall’altra parte”. Lo ha detto la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo a Montecitorio alla ‘Giornata mondiale contro le droghe’. “La narrazione va in una direzione, film, serie, il messaggio sottinteso è sempre lo stesso, la droga è anticonformista, non fa male, fa bene”.

Botta risposta alla Camera fra la premier Giorgia Meloni e il deputato di Più Europa, Riccardo Magi, durante l’evento dal titolo ‘Giornata mondiale contro le droghe’. Magi è intervenuto con un’azione dimostrativa – mostrando dei cartelli con scritto ‘Cannabis non ci pensa lo stato ci pensa la mafia’ – mentre stava intervenendo Meloni, che gli ha risposto: “Abbiamo visto i risultati in questi anni di lavoro che avete fatto. La ringrazio di aver partecipato. Dovreste sapere che non sono una persona che si fa intimidire, perché io so cosa sto facendo, il punto è se voi vi rendete conto di quello che state facendo”.  (Ansa.it Politica)

Vorrei collocare l’intervento livoroso di Giorgia Meloni fra due affermazioni che mi sono molto care e congeniali: una di mio padre, l’altra di Mino Martinazzoli.

Quando a mio padre rimproveravano di essere esageratamente permaloso di fronte a certe espressioni, era solito affermare convintamente: «L’ è al tón ch’a fà la muzica…». Gli piaceva cioè prescindere dal merito delle questioni, criticando aspramente il metodo presuntuoso ed aggressivo dell’interlocutore. Della serie nessuno ha la ricetta in tasca.

Un politico di razza, a cui mi sentivo molto vicino per mentalità e cultura prima che per motivi politici, Mino Martinazzoli, allora segretario del Partito Polare nato sulle ceneri della Democrazia Cristiana, ad una domanda secca su un problema complesso rispose con ammirevole equilibrio e grande onestà intellettuale, dicendo (riporto a senso): «Sento molti miei colleghi che ostentano certezze a tutto spiano, io rischio di esprimere solo forti dubbi, perché di certezze ne ho ben poche…». Sono sicuro che, dall’alto della sua intelligenza di pensiero, associata all’umiltà di proposta, direbbe così anche oggi su tante sbrigative sparate illusoriamente decisioniste in ordine a problemi assai complicati.

Giorgia Meloni ha le sue idee, peraltro non so fino a qual punto condivise da tutto il governo e da tutte le forze politiche che lo sostengono (ma questo è un altro discorso). Ha improntato la sua politica alla difesa di questioni identitarie che non sempre corrispondono agli umori, alle sensibilità, alle priorità della gente, sentendosene l’interprete assoluta sulla base di risultati elettorali molto discutibili sul piano numerico (maggioranza di una ristretta minoranza di votanti) e molto fluttuanti a seconda del momento e della materia in questione. Ad esempio: è proprio sicura Giorgia Meloni che la maggioranza del popolo italiano, compresi i cittadini che l’hanno votata, sia d’accordo sulla linea pedissequamente e scriteriatamente bellicista adottata in ordine al conflitto russo-ucraino? Penso che potrebbe sorgerle un simile dubbio anche in materia di tossicodipendenze.

Il tono, che adotta spesso, è comunque inaccettabile a prescindere dal merito delle questioni: quando si governa democraticamente bisogna accettare le critiche, anche se spiacevoli e provocatorie, non è ammissibile alzare la voce e aggredire l’interlocutore appioppandogli responsabilità globali e trincerandosi dietro la propria forza elettorale (vedi sopra) e dietro la propria ansia da prestazione comiziesca. La democrazia comincia dai voti popolari, ma poi si regge sul confronto nel merito dei problemi e sulla capacità di affrontarli.  É così anche per il delicatissimo e gravissimo problema delle droghe. Tutti hanno le loro idee, ma nessuno ha la soluzione definitiva e risolutiva.

Mi permetto di far presente alla premier che anche il potere può diventare una droga se viene esercitato con la presunzione di avere la verità in tasca e di considerare pregiudizialmente come provocatori ed incapaci quanti osano contestare a diverso livello.

Il dubbio, Martinazzoli docet, non è atroce e non è sintomo di debolezza, ma di serietà e forza. Non si può dialogare insolentendo l’interlocutore. Che Giorgia Meloni si stia montando la testa è cosa molto evidente. Ha pieno diritto di portare avanti convintamente le proprie idee: una donna politica di destra che fa politiche di destra. Quando si dice destra-destra si intende questo. Ma non ha il diritto di squalificare alle grida chi osa criticarla (è un vizio che viene dal ventennio… e dai dittatori di ogni tempo e luogo).

Guardi piuttosto umilmente nel suo passato (quando affermava che Mussolini era un grande statista, quando esprimeva feroci critiche verso l’Europa, quando andava a braccetto con forze politiche estere collocate ai limiti e oltre i limiti della democrazia, quando faceva minoranza durissima a prescindere dai consensi elettorali in suo possesso, etc. etc. mi fermo per carità di patria), nel suo partito (c’è gente che ha serie nostalgie fasciste, che ha  trascorsi politici equivoci, che non è fior di democratico…), nel suo governo (ricordi cosa ebbe a dire di lei Silvio Berlusconi, cosa continui a dire su tanti problemi Matteo Salvini, cosa dicano e disdicano in continuazione i suoi ministri, cosa pensino ad alta voce del suo governo a livello delle istituzioni europee e dei partner europei etc. etc.) e troverà motivi validi per darsi una calmata e per affrontare i problemi nella loro oggettività e non nella loro demagogica portata identitaria.

D’altra parte, come ha detto acutamente ed ironicamente lo storico Lucio Caracciolo (capace di seppellire sotto una battuta chi si erge a salvatore della patria), quando Giorgia Meloni si siederà ai tavoli di confronto a livello europeo ed internazionale, abbasserà i toni e cambierà musica. E allora perché fare la voce grossa con Riccardo Magi e regalare sorrisetti a Biden e Macron? Opportunismo di Stato o debolezza intellettuale, culturale e caratteriale?