Il vóto e il vòto

La recente ulteriore, anche se leggera, flessione dei votanti alle elezioni amministrative in diversi comuni italiani induce a riprendere una seria e disincantata riflessione su questa tendenza.

L’astensionismo è di destra o di sinistra? In sé e per sé sembrerebbe una domanda stupida e in parte effettivamente la è: l’astensione dal voto è motivata proprio dal volersi sottrarre a scelte politiche turbate da manicheismo e semplicismo. Addirittura si arriva a giustificare il non voto con la mancanza di competizione derivante dagli esiti scontati previsti in sede sondaggistica. È una tripla enorme cazzata: perché assimila gli elettori ai tifosi, perché riduce la consultazione elettorale a mera presa d’atto degli umori emergenti dai sondaggi e perché utilizza i sondaggi come strumenti per influenzare le opinioni politiche dei cittadini.

Le motivazioni dell’astensionismo patologico, ben diverso da quello fisiologico presente e normale in ogni democrazia, sono parecchie e complesse e mal si prestano ad essere giubilate in una futile diatriba del tipo “l’astensionismo ha premiato il centrodestra e punito il centrosinistra?”. Anche se i sondaggisti e gli esperti di flussi elettorali non si sbilanciano, di fronte a questa domanda, la narrazione, che ormai ha assunto la cantilena del ritornello, sostiene che la tendenza al non voto danneggia la sinistra.

Fino a qualche tempo fa si sosteneva il contrario: lo zoccolo duro della sinistra era considerato intangibile, mentre era il consenso alla destra a soffrire le fluttuazioni del momento. Perché oggi dovrebbe essere esattamente il contrario? Si sono notevolmente allentate la ideologizzazione e la radicalizzazione del consenso. Durante le animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta constatavamo che alla politica stava sfuggendo l’anima, se ne stavano andando i valori e rischiava di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restava che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Se diamo per scontato che il potenziale elettore di sinistra sia motivato da idealità e valori, ne possiamo comprendere una certa riottosità al voto in presenza di una degenerazione individualistica della politica (sfrenato carrierismo negli addetti ai lavori, egoistico consumismo negli esclusi dai lavori) nonché un rifiuto categorico, quasi viscerale, a retrocedere la politica ad arte dei propri affari.

Quindi anche il potenziale elettorato di sinistra è protagonista del fenomeno assenteista. Di qui a sostenere che ne sia l’esclusivo o almeno principale attore ci passa una notevole differenza. Non penso che a sinistra esista una sorta di paralizzante purismo, mentre a destra prevalga un accomodante e bottegaio pragmatismo. Forse si scontrano due tendenze patologiche: da una parte la tendenza a ingessare i principi nella teoria che non riesce a concretizzarsi; dall’altra parte la tendenza a prescindere dai principi per ripiegare sulle soluzioni illusorie. In mezzo ci sta il cittadino elettore. Se è minimamente avveduto, rifiuta entrambi gli approcci e non partecipa al voto. Se ingenuamente casca nella rete, vota e vota certamente più a destra che a sinistra. La domanda di cui sopra andrebbe quindi corretta in questo senso: l’astensionismo riguarda più gli scontenti o gli ingenui?

Sono portato a credere che l’astensionismo non danneggi soprattutto la sinistra, ma interroghi la politica e ne scopra gli altarini e punisca comunque l’improvvisazione di destra e sinistra. Evidentemente dal fondo del barile della politica che stiamo raschiando non possono emergere grandi soluzioni, ma piccole divagazioni e in questo, la destra è maestra, non sempre, ma quella con cui abbiamo a che fare attualmente in Italia lo è certamente, almeno nel breve periodo.

Non è possibile una controprova ipotizzando un’andata alle urne molto più consistente. Si può solo ragionare concludendo che, se non cambiassero i presupposti della politica, resterebbero intatti gli equilibri e gli elettori, sempre più rassegnati, si comporterebbero in modo direttamente proporzionale a quelli attuali.