La tasa pr i gat

Tutti conosceranno la barzelletta in cui una persona “spiritosa” si rivolge al farmacista per chiedergli una confezione di “spirito di contraddizione”. Dopo una brevissima perplessità il farmacista risponde con una certa soddisfazione: «Se attende un attimo le posso fornire quanto richiesto: le consegno una fotografia di mia moglie…». In dialetto e raccontata dal grande Bruno Lanfranchi era tutt’altra cosa.

In politica, soprattutto in campagna elettorale, è normale che tutti vogliano abolire o diminuire le tasse: chi mette in discussione il canone televisivo, chi le tasse universitarie, chi vuole abbassarle tutte. A spararle grosse si fa presto, a destra, a sinistra ed al centro.

Mio padre riconosceva che l’Italia aveva raggiunto un notevole benessere pur tra mille difficoltà, che il clima democratico reggeva, che il paese continuava a crescere e chi governava “ Al n’era miga un gabbiàn “ perché   “a pära facil mo l’ é dificcil bombén” e “ né gh vól miga di stuppid parchè i stuppid i s’ fermon prìmma”.

Non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Oggi, di fronte alle sparate anti-tasse, ripeterebbe quel ragionamento terra terra che gli ho sentito fare diverse volte: «Se fosse così facile, lo avrebbero fatto anche coloro che hanno governato fino ad oggi. Non credo che fossero dei sadici o dei masochisti. Il problema è un altro e cioè: se tutti i paghison e i fisson col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…».

Avrebbe un insperato alleato nel ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. Per lui le proposte di abolire o abbassare le tasse sono un regalo alla parte più ricca del Paese, una cosa trumpiana, dal momento che le fasce più deboli sono già esentate da parecchie tasse. Ecco spuntare lo spirito di contraddizione di cui sopra. Non ha tutti i torti, ma non ha nemmeno tutte le ragioni: è il signornò della campagna elettorale. Non so se si atteggia così solo per distinguersi o in quanto convinto di quel che dice. Non mi sembra perfettamente in linea con il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che sostiene come il governo non possa creare sviluppo e lavoro in modo diretto, ma possa favorirli usando le leve del potere politico, una di queste è senza dubbio quella fiscale.

Quando il ministro Padoa Schioppa sosteneva paradossalmente che pagare le tasse   fosse non solo un onere ma anche un onore, non solo un obbligo ma anche una soddisfazione, tutti lo deridevano: quel che intendeva dire tutti lo capivano, ma veniva loro comodo sputtanarlo come un visionario qualsiasi.

In conclusione sulle tasse non si deve fare demagogia, non si può stare sempre e comunque dalla parte del manico, non si può fare della poesia.

La morale della favola è nella battuta di mio padre. La ripeto: «Se tutti i paghison e i fisson col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…». Dopo forse bisognerebbe istituire “la tasa pr i gat”.