Il Papa del buon senso

A mio giudizio papa Francesco non ha detto e scritto nulla di sconvolgente sulla problematica del cosiddetto “fine vita”. In estrema sintesi ha affermato che rispettare la vita non vuol dire spadroneggiarla o tiranneggiarla. In fin dei conti ha solo usato il buon senso, che nei documenti ufficiali vaticani viene chiamato “discernimento”: superare cioè le regole codificate per affrontare i singoli casi con la giusta attenzione e soprattutto col cuore aperto alle persone ed ai loro problemi.

Se questo cambiamento di prospettiva è considerato una rivoluzione vuol proprio dire che esisteva una cristallizzazione dogmatica tale da inchiodare la Chiesa ad un passato assai lontano. Il diniego dei funerali religiosi a Pier Giorgio Welby ne è una sintomatica dimostrazione.

Il volere a tutti i costi confondere il rifiuto dell’accanimento terapeutico con l’eutanasia, il volere confondere l’eutanasia o il suicidio assistito con il suicidio tout court, il volere scomunicare necessariamente chi decide di suicidarsi anziché sforzarsi di rispettarne e capirne le drammatiche motivazioni continua comunque a imperversare. Non so se basterà il buon senso del Papa, spero di sì.

Probabilmente sto forzando l’indirizzo teologico-pastorale di papa Francesco: se discernimento deve esserci, ci sia in ogni caso e, se questo discernimento non saprà o vorrà farlo la Chiesa con i suoi ministri, lo farà comunque il Padre Eterno, che la sa molto più lunga del papa, dei cardinali, dei vescovi, dei preti, dei frati, delle suore e di tutti i credenti.

Ho vissuto di riflesso un caso di suicidio avvenuto nell’ambito della mia famiglia allargata: una meravigliosa e generosa zia, che decise di farla finita sfiancata e terrorizzata da sofferenze indicibili. Ricordo, come potrei dimenticare, il dramma dei familiari nell’immaginare quello vissuto da questa donna coraggiosa: si trattava, a mio avviso, di accanimento terapeutico anche in quel caso. Forse, quando una persona arriva sull’orlo del suicido, in qualche modo c’è sempre un po’ di accanimento: terapeutico, umano, sociale, esistenziale.

Ho sempre rifiutato categoricamente il bigotto giudizio moralistico di chi afferma che ci voglia più coraggio a vivere che a togliersi la vita. Qualcuno arriva a considerare conseguentemente il suicidio come un atto di viltà verso se stesso e verso gli altri. Ma fatemi il piacere!

Finalmente la Chiesa ha trovato un papa che rifugge da queste assurde categorie di ragionamento e di comportamento: una boccata di aria fresca da respirare a pieni polmoni, senza illudersi che possa bastare a disinquinare la Chiesa da errori secolari. I ritardi storici esistono. Il cardinal Martini lo aveva “spregiudicatamente” ammesso. La religione cattolica non è una religione di libro, si basa sulla rivelazione operata dalla persona di Gesù Cristo, il quale non ha scritto nessuna regola, per non farsi ingabbiare nelle disquisizioni teologiche e morali che non valgono niente.

Lo squallido Pinkerton, in uno sprazzo di umanità, dice alla sua giovane sposa Butterfly, piangente in quanto rinnegata dai suoi per motivi religiosi: «Bimba, bimba non pianger per gracchiar di ranocchi…tutta la tua tribù e i Bonzi tutti del Giappone non valgono il pianto di quegli occhi cari e belli». Il discorso valeva per il rinnegamento, ma possiamo farlo valere anche per il suicidio disperato di madama Butterfly, caduta suo malgrado dalla padella dei Bonzi nella brace degli imperialisti cattolici americani.