Il bostik del centro-sinistra

Nell’area politica di centro-sinistra, dopo essersi esercitati nella storica arte del dividersi, si stanno convertendo a quella dell’unirsi o meglio dell’incollare i vari cocci risultanti dalle rotture irresponsabilmente provocate.

Pensano infatti che rimettendo insieme i vari pezzi possa risultare una creatura politica credibile e trascinante per l’elettorato: ho parecchi e seri dubbi che il problema della sinistra stia nel ricreare sic et simpliciter l’unità. Temo che al potenziale elettore interessi poco che ci siano o non ci siano Bersani, D’Alema, Pisapia, Grasso, Boldrini, Prodi, Letta, Civati, Speranza, Fratoianni, Scotto etc. La ricerca degli equilibri lascia del tutto indifferente il popolo della sinistra, forse addirittura lo infastidisce e lo irrita ulteriormente: la gente è interessata assai più ai problemi concreti che alla lucidatura delle identità storiche, vuole valutare proposte e programmi e non il pedigree dei vari personaggi recitanti sulla scena politica.

I nodi e le questioni fondamentali del centro-sinistra riguardano da una parte la coniugazione di legalità e solidarietà e dall’altra la combinazione fra socialità e modernità. In questa fase storica in cui dominano le paure, i cittadini, anche appartenenti ai ceti popolari, hanno l’ansia di difendersi dalla delinquenza e “dall’assalto” dei migranti: la scommessa della sinistra è quella di garantire un tasso accettabile di legalità pur tenendo aperto il discorso verso gli immigrati e gli emarginati in genere. Trattasi di una vera e propria sfida che va ben oltre i pruriti ideologici, i sociologismi datati e gli utopismi fragili.

Il discorso vale anche per rendere compatibili le spinte all’uguaglianza con quelle verso la modernità: l’uguaglianza non può essere ancorata alla pedissequa difesa dei diritti, ma deve essere proiettata in un contesto socio-economico in evoluzione, dove i diritti si difendono con lo sviluppo dell’economia, con l’europeizzazione delle soluzioni e con la mobilità sociale.

Checché se ne dica, la riforma del mercato del lavoro varata in questi anni non è un tradimento degli schemi di carattere pansindacale, ma è un tentativo di aprire le possibilità di lavoro per tutti con il coraggio della flessibilità e della gradualità. Se il ritrovamento dell’unità deve essere la cancellazione delle riforme portate avanti in questi anni, una sorta di “mortus”, non porterà da alcuna parte e creerà solo ulteriori e demagogici equivoci. Se si avrà in tutto o in parte la rivincita dell’impostazione politica tradizionale sui tentativi di svecchiamento, se, in poche parole, ritornerà in auge il sistema superato dell’egualitarismo sociale e del sinistrismo piazzaiolo, la convergenza di facciata farà pagare un prezzo alle possibilità future e inchioderà la sinistra ad un ruolo minoritario di testimonianza con lo sterile consenso dei “duri e puri”.

I padri più o meno nobili della sinistra stanno ritrovando un loro spazio, ma ciò non significa che recuperino consenso sul piano politico e garantiscano spazio di manovra in senso programmatico. È un passaggio molto delicato: mentre a destra è sufficiente trovare un simulacro di unità per recuperare l’elettorato, mentre ai grillini basta alzare i toni della loro presenza per incanalare la protesta, alla sinistra serve un progetto di governo credibile e moderno anche a costo di perdere certi gruppi e certi personaggi anacronistici.

Se si va alla spasmodica e tardiva ricerca dell’unità burocratica e schematica si finirà col riempire le piazze e soprattutto le liste, ma col vuotare le urne.