La penicillina cinematografica

Il potente produttore cinematografico di Hollywood Harvey Weinstein è caduto in disgrazia per le accuse di molestie sessuali rivoltegli da numerose e note star. Sta emergendo un quadro disgustoso di un ambiente da sempre caratterizzato da meccanismi di selezione legati al sesso. Non sono sorpreso di quanto sta emergendo, anche se non sono sicuro che si tratti di stupri in senso stretto. È un po’ come con la mafia: tutti sanno, molti si adeguano, la magistratura scoperchia la pentola quando deborda.

Può ritenersi stuprata un’attrice che per fare carriera si piega ai ricatti sessuali di un produttore? In un certo senso sì. Certamente le donne (e non solo le donne…) subiscono, direttamente o indirettamente, pressioni psicologiche che possono sconfinare in veri e propri ricatti. Per battere questi vomitevoli andazzi bisogna però avere il coraggio di resistere a monte e non limitarsi ad accusare a valle. Capisco benissimo che se si entra in certi meccanismi sia difficile non cadere nel tritacarne sessuale, sia problematico non pagare il “pizzo sessuale” pena l’espulsione dalla graduatoria. Tuttavia il male si combatte a priori, perché dopo è sempre troppo tardi.

Non sono in grado di valutare se Harvey Weinstein sia un vero e proprio maniaco che ha sfruttato la sua posizione dominante per dare libero sfogo ai propri impulsi: lo appurerà la magistratura tentando di dipanare uno scandalo, che imperverserà a livello mediatico vista la notorietà dei personaggi coinvolti. Barak e Michelle Obama si sono detti “disgustati” e lo sono anch’io. La politica americana, di cui questo personaggio era probabilmente un benefattore, sarà imbarazzata (discorso sempre delicato quello dei rapporti tra politica ed affari).

Se devo essere sincero al limite del cinismo, mi sento però molto più sconvolto dalle violenze sessuali a cui sono sottoposte le giovani migranti costrette a prostituirsi pena la loro incolumità e integrità fisica, rispetto alle attricette che cedono ai ricatti sessuali per fare carriera. C’è una certa differenza tra i due fenomeni: da una parte, se una donna si ribella rischia la tortura, se non la morte, per sé e per la propria famiglia; dall’altra, se scappa, rischia di non fare carriera come attrice.

Discorso capovolto per gli sfruttatori del sesso: se possibile, mi fa ancora più orrore il “magnaccia” in guanti bianchi rispetto a quello da strada, anche se ormai, probabilmente le due fattispecie tendono mafiosamente ad integrarsi.

Ripulire l’ambiente dello spettacolo da queste ed altre sozzure sarà molto difficile: si tratta di un mondo che racchiude in sé tutte le peggiori contraddizioni del sistema capitalistico. Quando vedo la gente entusiasmarsi davanti alle passerelle dei festival cinematografici, mi prende un senso di pena per chi sfila (ancor maggiore se penso ai “prezzi” talvolta loro estorti per la carriera) e per chi applaude.

Mio padre, che era un dissacratore nato, prevedeva, ai suoi tempi, che il popolino avrebbe facilmente osannato un divo dello spettacolo e probabilmente snobbato, se non pernacchiato, uno scienziato. Diceva testualmente: «Se a Pärma ven Sofia Loren, i fan i pugn pr’andärla a veddor; sa vén Alexander Fleming i ghh scorezon adrè’…». Sofia Loren veniva tirata in ballo in senso figurato, solo come simbolo. Tutte le morti scampate per merito dell’inventore della penicillina non sono niente di fronte alla fama di un’attrice “sessocchieggiata”, magari dopo essere stata vittima a suo tempo di molestie sessuali.