Tra l’Onu e niént da sén’na…

Non so se capita solo a me, ma, quando nei telegiornali sento parlare di Onu e di riunione del suo Consiglio di sicurezza, mi viene spontaneo cambiare canale. Se non si vuole   risolvere un problema si costituisce una commissione ad hoc, se non si vuole risolvere un problema internazionale si fa una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questo organismo, a cui dovrebbero essere delegate le questioni più spinose relative ai rapporti fra le nazioni del mondo, si riduce infatti a una palestra di inconcludente diplomazia, in cui si esercitano le grandi potenze con abbondanti schermaglie, che lasciano le cose come stanno o addirittura rischiano di peggiorarle.

Se aspettiamo che i grandi seduti attorno al tavolo, ovale, rotondo o quadrato che sia, risolvano i problemi mondiali, stiamo proprio freschi. A parte l’anacronistico e paralizzante diritto di veto, quelle riunioni assomigliano in tutto a una infinita partita a scacchi dove non si sa chi sia il Re e la Regina, ma forse si capisce molto bene chi sono le semplici pedine. Tra queste ultime metto certamente la Corea del Nord col suo ineffabile e paffuto Kim Jong-un: se Russia, Cina e Stati Uniti avessero fra di loro un minimo di spirito collaborativo, questo assurdo leader potrebbe andare tranquillamente a giocare a flipper anziché divertirsi con i missili e le bombe nucleari. Ma fa comodo, ora alla Cina per dimostrare che è diventata a tutti gli effetti una superpotenza competitiva e decisiva, alla Russia per significare che senza Putin non si combina nulla, agli Usa per fornire l’alibi alla mostra dei muscoli gonfiati di Donald Trump.

Le sanzioni sono da sempre una misura inutile e dannosa per la convivenza pacifica: fanno scontare ai sudditi le colpe dei loro capi, rinsaldano al potere i dittatori sparsi per il mondo, danneggiano tutto e tutti, creano solo confusione e ingiustizie, vengono platealmente violate soprattutto a livello di rifornimento di armi.

Mi sto chiedendo se Kim Jong-un stia sfuggendo di mano ai suoi alterni burattinai. La differenza infatti tra gli equilibri del terrore passati e quelli presenti sta tutta nell’autorevolezza e nella ragionevolezza dei contendenti. Fino ad ora avevo la sensazione che sapessero almeno quando era ora di smetterla di giocare alla guerra e di fare sul serio. Sul senso di responsabilità di Putin, Trump e Xi Jinping non scommetto neanche un euro; i Brics li ritengo dei bric-à-brac e poi di bricchi preferisco quelli del latte.

Si parla di attacchi preventivi, roba da far accapponare la pelle. Il più è cominciare poi… anche l’Iran è un’altra Corea dietro l’angolo del trumpismo, gli Hezbollah del Libano rompono i coglioni a Israele…

L’Europa conta come il due di coppe e sta a guardare tutta compresa nei casini delle proprie porte girevoli, nelle chiacchiere sul problema migranti e sulle perpetue tornate elettorali dei suoi Stati-membro. Il Giappone trema, la Corea del Sud nicchia etc. etc.

L’unica speranza è che la crescente pluralità di protagonisti significativi possa in qualche modo abbassare la posta in palio e spiazzare la Corea del Nord. Come quando in una famiglia si litiga talmente tanto e tutti contro tutti da finire col prenderci l’abitudine, riuscendo a convivere e frenando indirettamente le intemperanze dei più scalmanati. Certo che ridurre la politica internazionale a rissa da cortile è molto rischioso oltre che vergognoso. Altro che realpolitik…

Tornando all’Onu, questo organismo pletorico e inconcludente, mi viene da concludere con un’amara battuta parmigiana: “tra l’Onu e niént da sén’na…”.