Alla fine degli anni sessanta-inizio anni settanta ricoprivo la modesta carica di segretario di una sezione Dc, nota per il suo orientamento di sinistra (una sezione Vietcong, si diceva allora). Durante una riunione venne fuori il discorso del disarmo della polizia, peraltro nei conflitti di lavoro: si alzò un iscritto e gridò a gran voce che lui alla polizia avrebbe dato i cannoni ed ebbe un seguito tale da riportare in breve tempo la sezione nelle rassicuranti mani della destra democristiana. Anche allora si speculava sulla paura della gente, non c’era il problema dei profughi, c’era il sessantotto con tutte le sue proteste studentesche ed operaie. Anche allora si fomentava l’ansia sociale per tradurla politicamente in reazione e conservazione.
La polizia respira questo esagerato desiderio di ordine e traduce, anche oggi checché ne dica il suo coccodrillesco capo Franco Gabrielli, questo sentimento in comportamenti esageratamente e spropositatamente forti: gli idranti contro i disgraziati che non sanno dove trovare un rifugio e occupano fabbricati e suolo pubblico. I benpensanti sostengono che la polizia deve far rispettare la legalità e infatti il prefetto, anzi la prefetta, di Roma ha dato l’ordine di sgombrare un palazzo in parte occupato da profughi e disperdere l’accampamento di (s)fortuna nei giardinetti di piazza Indipendenza. Un poliziotto con i gradi avrebbe addirittura incoraggiato gli agenti a reagire con violenza ad eventuali provocazioni (“questi devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa, spaccategli un braccio”). Sono curioso di vedere quali provvedimenti disciplinari verranno adottati nei confronti di questo funzionario così solerte. Per fortuna a questo incitamento di stampo fascista (bisogna pur chiamare le cose col loro nome…) ha fatto da contraltare il gesto di un poliziotto, che ha consolato con una carezza una rifugiata messa in grave difficoltà dalle sgombero effettuato. Le autorità emanano ordini sbrigativi e sgradevoli, i superiori non si fanno scrupoli, per fortuna chi esegue riesce a trovare un po’ di umanità anche nel bel mezzo degli scontri: uno smacco per chi comanda, un piccolo, grande gesto di solidarietà da chi (non) ubbidisce.
Di quanto sostiene il capo della polizia condivido una cosa: i problemi andrebbero affrontati e risolti a monte. Può infatti essere comodo scaricare le colpe sulla polizia che usa le maniere forti per arginare le esasperate proteste di gente che non sa dove sbattere la testa. Prima di dare quello scriteriato ordine di sgombero il prefetto doveva tentarle tutte coinvolgendo, governo, amministrazione comunale e regionale, volontariato, diocesi, Vaticano, Papa, etc. etc, non con burocratiche missive, ma con generosi interventi umani. Non può lavarsi le mani sostenendo, in una intervista a dir poco meramente burocratica, che non tocca al prefetto trovare assistenza e ricovero: fino a prova contraria il prefetto rappresenta lo Stato e quindi ha il “dovere” di cercare e proporre soluzioni, non solo di ordine pubblico, ma di carattere sostanziale. Il ministro abbia il coraggio di verificare se questa prefetta abbia fatto tutto quanto era in suo potere per evitare questa bruttissima pagina dei rapporti fra Stato e rifugiati o richiedenti asilo eritrei ed etiopi. Il ministro tenga sulla corda i funzionari pigri e imboscati, smuova quella burocrazia che pensa di risolvere i problemi con una circolare o, peggio ancora, con interventi di forza (lo Stato quando vuole essere forte, è allora che si dimostra debole).
È possibile che non si riesca a sbloccare una situazione del genere, che non si riesca a trovare un ricovero, anche se provvisorio, per questa gente disperata? Il governante deve rispettare le leggi, ma prima delle leggi vengono le persone, prima degli ordini viene il cuore, prima degli idranti viene il dialogo, prima della forza viene la ragione, prima della paura viene la solidarietà umana.
Non vorrei che l’adozione di queste maniere forti risentisse del clima antiterroristico, che in realtà non c’entra niente, ma psicologicamente sta condizionando un po’ tutti. Il ministro Minniti sta cercando di affrontare l’emergenza immigrazione con grande impegno, bisogna dargliene atto. Ha individuato alcune linee di comportamento interessanti, concrete, anche se in parte discutibili e ancora tutte da realizzare e verificare. Non mi cada però su queste bucce di banana. Ci risparmi gli attacchi ai poveracci: non si può attaccare con violenza i profughi, gente che ha sofferto e soffre, non si può essere intolleranti verso le loro trasgressioni. Non faccia la fine di Giuliano Amato, suo illustre predecessore, che voleva “dichiarare guerra” agli accattoni e che si sentì rinfacciare giustamente la corruzione promossa dal suo partito e da lui sopportata pazientemente per anni quando era nel “taschino” di Bettino Craxi. Quella pazienza, che aveva riservato alle malefatte di tangentopoli, non voleva accordarla ai fastidiosi poveracci che stendono la mano.
Minniti, Amato e Craxi a parte, sforziamoci di buttare il cuore oltre l’ostacolo, lasciamo stare gli idranti e i manganelli, rientriamo tutti nella ragionevole volontà di considerarci e rispettarci reciprocamente come esseri umani.