Stacchiamo la spina alle ideologie

Si è scatenata un’ondata di attenzione verso il caso del piccolo Charlie Gard, il bambino inglese sballottato fra la vita e la morte, non tanto e non solo per effetto della tremenda sindrome di cui è vittima, ma a causa di una querelle etico-giuridica imbastita sul suo destino esistenziale.

Siamo in un caso opposto rispetto ai suicidi assistiti: i genitori del piccolo sono contrari a staccare la spina nonostante la scienza ufficiale non lasci scampo alla sorte di Charlie e la magistratura inglese abbia sentenziato lo stacco della spina stessa. Il mondo è bello perché è vario: se uno, in condizioni di vita irrimediabilmente compromesse, vuol farla finita, incontra parecchi ostacoli ed espone addirittura chi lo aiuta a guai giudiziari (Marco Cappato rischia paradossalmente 12 anni di carcere per aver aiutato un amico a recarsi in Svizzera in una clinica dove applicano il suicidio assistito); se uno, seppure tramite i suoi genitori, vuol provare a continuare a vivere sperando nei progressi della scienza, deve piegarsi alla sentenza di un giudice che ritiene, seppure motivatamente, giunto il momento di chiudere l’esistenza. Insomma tutti possono decidere quando una deve morire, meno l’interessato o i suoi legittimi rappresentanti: i medici, la scienza ufficiale, i giudici, i legislatori, i governi, i religiosi, i moralisti, tutti si arrogano, più o meno un diritto di interferire, tutti meno i diretti interessati.

Vorrei capire perché se una persona non vuole su di sé alcun accanimento terapeutico debba essere costretto a subirlo in base alla legge o ad un principio etico-religioso; al contrario non vedo perché se una persona vuole continuare la battaglia per sopravvivere, debba essere obbligato a gettare la spugna in base alla scienza che non gli dà scampo e/o alla magistratura che ritiene inumano tenere in vita una persona senza plausibili prospettive di miglioramento sanitario.

Tutto cospira contro l’uomo ed il rispetto per la sua vita: chi parla in nome della scienza, chi in nome della legge, chi in nome di Dio, chi in nome della società. Trovo assurdo che l’Alta Corte inglese non prenda doverosamente atto della volontà di questi due coraggiosi genitori e non consenta loro di provare ancora ulteriori terapie sperimentali, anche se molto improbabili o illusorie. Non si tratta di evitare al bambino ulteriori sofferenze: credo infatti che i genitori non siano egoisticamente e sadicamente attaccati alla loro creatura, ma solo pervicacemente decisi a non lasciare niente di intentato per il loro figlio. Si tratta invece di segnare autoritariamente il primato istituzionale sulla coscienza individuale: non sono assolutamente d’accordo. Questo vale, ripeto, per chi la vuol fare finita e per chi vuole provarci ancora. Non diamo la vita in pasto alle ideologie, stacchiamo la spina a queste sovrastrutture esistenziali e lasciamo che le persone abbiano la libertà di staccare la propria spina senza soffrire di spine nel fianco.

C’è un ospedale che si offre di accogliere questo bambino per sperimentare al buio una terapia. Lasciamo stare che in questa iniziativa possa esserci un qualcosa di strumentale (persino Trump ci ha visto uno scoop umanitario, lui peraltro a corto di credibilità etica), l’importante è lasciare che la prova possa essere eseguita. Questi genitori non solo hanno la sventura, umanamente parlando, di vivere con un figlio portatore di enormi handicap, ma anche l’amarezza di dover combattere una paradossale battaglia in difesa dello spiraglio di vita che continuano a vedere. Non mi interessa se lo vedono più con gli occhi del cuore che con quelli della ragione: hanno il diritto di vederlo e la società ne deve prendere atto con rispetto e solidarietà.